Giorno: 29 gennaio 2015

Gli arabi oggi: tra occidentalizzazione ed estremismo

Di Saoud Maherzi. Al Huffington Post Maghreb (28/01/2015). Traduzione e sintesi di Ismahan Hassen. Anche all’interno di Paesi arabi e a maggioranza musulmana, sta verificandosi un importante fenomeno: alcuni fedeli infatti sono in difficoltà, poiché si trovano a far fronte allo sradicamento della civiltà islamica, cuore della cultura araba, sotto diversi aspetti. Alla base di […]

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#AlBab, prov. di #Aleppo, #Siria – 29 gennaio 2015 – Venti persone sono rimaste…

#AlBab, prov. di #Aleppo, #Siria – 29 gennaio 2015 –
Venti persone sono rimaste uccise e decine ferite nei bombardamenti aerei condotti dall’aviazione siriana su Al Bab, una cittadina in mano all’ISIS in provincia di Aleppo; la maggior parte delle vittime si è registrata nel mercato del bestiame, colpito da uno dei quattro attacchi aerei.

Le ambulanze giungono in uno dei luoghi colpiti
https://youtu.be/M4auggaFt5U

Arabia Saudita: re Salman riorganizza il governo

(Agenzie) Il re Salman bin Abdel-Aziz ha proceduto alla riorganizzazione del governo saudita, nominandone i ministri e riassegnando alcune delle cariche principali attraverso l’emanazione di decreto reale. Il principe ereditario Muqrin è stato nominato vice primo ministro, mentre il secondo principe ereditario, Mohammed bin Naif, è stato nominato secondo vice premier e ministro degli Affari Interni. Il […]

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Israele contro Hezbollah e Iran, una faida targata “18”

mcc43 Domenica 18 gennaio un elicottero israeliano centra una colonna di automezzi in movimento in territorio siriano, zona delle Alture del Golan. 12 vittime. Spiccano il generale dei Guardiani della Rivoluzione dell’Iran Mohammad Allahdadi, i comandanti di Hezbollah Mohammed “Abu” Issa e il giovane Jihad Mughniyeh, figlio di Imad, lo storico capo militare ucciso da Israele nel […]

Egitto: donne in protesta al Cairo contro uccisione manifestante

(Agenzie). Dozzine di donne egiziane hanno protestato per le strade del Cairo in segno di protesta contro l’uccisione dell’attivista Shaimaa el-Sabbagh durante le manifestazioni della scorsa settimana. Le donne, più di 100, hanno criticato duramente la repressione della polizia egiziana, accusandola di aver causato la morte dell’attivista.  

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Siria: conclusi i negoziati a Mosca tra regime e opposizione

(Agenzie). Si è conclusa a Mosca quella che sembra essere la prima sessione di negoziati tra rappresentanti del regime di Damasco e dell’opposizione siriana, i quali hanno concordato l’organizzazione di un nuovo incontro, sebbene senza fissarne la data. Vitaly Naumkin, moderatore del dialogo, ha dichiarato che la maggior parte dei partecipanti hanno concordato su una […]

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Stop al jihadismo: sito francese contro la minaccia terrorista

Articolo di Silvia Di Cesare. #Stopdjihadisme : Ils te disent… di gouvernementFR Sono passate tre settimane dall’attacco terroristico al settimanale satirico Charlie Hebdo e al supermercato Kosher di Parigi. Saïd Kouachi, 34 anni, Chérif Kouachi, 32 anni e Hamyd Mourad, 18 anni, sono i colpevoli degli attentati che hanno causato la morte di 17 persone. […]

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Tatuaggi e calligrafia in un progetto del fotografo Bashar Alaeddin

(Baraka Bits). Bashar Alaeddin, affermato fotografo giordano, ha di recente realizzato un progetto dal titolo “Arab Ink” attraverso il quale illustra la narrativa visiva delle persone che, per diversi motivi, hanno scelto di tatuare scritte in arabo sul loro corpo: c’è chi vuole rendere omaggio alla persona amata, chi vuole raccontare una storia , chi vuole ricordare […]

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Israele e l’ipotesi di ritorsioni continue

Di Mustapha Fahasa. Asharq al-Awsaṭ (28/01/2015). Traduzione e sintesi di Lorenzo P. Salvati. Sarebbe troppo semplicistico affermare che l’operazione militare condotta da Israele contro i vertici militari di Hezbollah e della Guardia Rivoluzionaria iraniana avesse come unico scopo quello di frenare una possibile avanzate del gruppo sciita nel Golan, assecondando così le preoccupazioni securitarie dello stato […]

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Tunisia: Yassine Ayari inizia sciopero della fame

(Agenzie). Il blogger tunisino Yassine Ayari ha iniziato uno sciopero della fame nella prigione civile di Mornaguia in segno di protesta contro il divieto a lui imposto dal carcere di ricevere e spedire corrispondenza. Secondo il suo avvocato Melek Ben Amor, Ayari protesta inoltre contro il “verdetto ingiusto” emesso contro di lui. A questo proposito, la […]

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Libia: ONU approva trasferimento negoziati

(Agenzie). Le parti in conflitto partecipanti ai negoziati sulla crisi libica a Ginevra hanno concordato che le prossime sessioni di dialogo potranno tenersi in Libia. “È stato raggiunto un accordo di principio per cui la prossima sessione di negoziati verrà tenuta in Libia, a condizione che si garantiscano le circostanze adatte in termini di logistica e di […]

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Turchia: giornalista in carcere per insulti a Erdogan

(Agenzie). La giornalista turca Mine Bekiroglu è stata condannata a due anni di carcere con l’accusa di insulto al presidente Erdogan su Facebook. Lo riporta il giornale Todays Zaman. La Bekiroglu è stata incarcerata lo scorso febbraio e poi rilasciata in attesa di giudizio. “I miei post su Facebook non erano insulti”, ha dichiarato. La giornalista dovrà presentarsi in […]

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Anno nuovo, cinismo vecchio

(di Pietro Figuera, per Utopia). Dall’alto delle nostre poltrone, sazi di tacchini e lasagne, ci siamo concessi una pausa “social” e siamo andati a curiosare tra le ultime notizie. Chi […]

Nigeria: Boko Haram tema principale al summit dell’Unione Africana

(Agenzie). Un portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite ha riferito che Ban Ki-moon parteciperà al vertice dei capi di Stato dell’Unione Africana ad Addis Abeba, in Etiopia, e che la minaccia Boko Haram in Nigeria e la ricerca di una soluzione al problema saranno i temi principali che il segretario affronterà. Gli attacchi di Boko […]

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Io sono Charlie il siriano

(di Dima Wannus, per Orient Net. Traduzione dall’arabo di Claudia Avolio). “Io non sono Charlie”. Io sono una siriana che vive a Beirut, come molti altri siriani, gran parte dei […]

Le prime pagine dei giornali arabi

Al-Quds al-Arabi –  quotidiano panarabo Tensione in Libano dopo l’uccisione e il ferimento di soldati israeliani in un attacco di Hezbollah Sale la tensione in Libano dopo l’attacco da parte di Hezbollah che ha portato la morte e il ferimento di soldati israeliani. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presieduto ieri sera una riunione d’emergenza […]

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Crescita economia: le previsioni per il 2015. Marocco: più 4,2%

La crescita economica mondiale accelererà del 3,1% quest’anno, secondo i pronostici Coface, che ha presentato le proprie proiezioni durante la conferenza annuale sul rischio paese, lo scorso 27 gennaio a Parigi. La crescita mondiale migliora di 0,4 punti, ma le incertezze sullo stato di salute dell’economia globale sono ancora molte. “Un sentimento di grande cautela […]

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Crescita economia: le previsioni per il 2015. Marocco: più 4,2%

La crescita economica mondiale accelererà del 3,1% quest’anno, secondo i pronostici Coface, che ha presentato le proprie proiezioni durante la conferenza annuale sul rischio paese, lo scorso 27 gennaio a Parigi. La crescita mondiale migliora di 0,4 punti, ma le incertezze sullo stato di salute dell’economia globale sono ancora molte. “Un sentimento di grande cautela […]

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Crescita economia: le previsioni per il 2015. Marocco: più 4,2%

La crescita economica mondiale accelererà del 3,1% quest’anno, secondo i pronostici Coface, che ha presentato le proprie proiezioni durante la conferenza annuale sul rischio paese, lo scorso 27 gennaio a Parigi. La crescita mondiale migliora di 0,4 punti, ma le incertezze sullo stato di salute dell’economia globale sono ancora molte. “Un sentimento di grande cautela […]

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Michelle Obama senza velo in Arabia Saudita

(El País). Dopo Laura Bush e Hillary Clinton, è stata la volta di Michelle Obama. La first lady statunitense, che ha accompagnato il presidente Obama nella sua recente visita ufficiale in Arabia Saudita, ha deciso di non coprirsi la testa durante il ricevimento ufficiale a Riyad con la famiglia reale saudita. La decisione ha ricevuto non […]

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Kuwait: attivisti arrestati per critiche contro Arabia Saudita

(Agenzie). Le autorità del Kuwait hanno arrestato e trattenuto diversi attivisti online per interrogarli su dei commenti ritenuti offensivi contro il defunto re saudita Abdullah bin Abdel-Aziz, secondo quanto riferito dal Comitato Nazionale per il Monitoraggio delle Violazioni, un gruppo indipendente per i diritti umani. Da parte loro, il ministero dell’Interno non ha rilasciato alcun commento sugli arresti e […]

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Yemen: Houthi rapiscono studenti che manifestano

(Agenzie). Il corrispondente di al-Arabiya ha riferito che militanti armati dei ribelli Houthi in Yemen hanno rapito alcuni studenti che manifestavano davanti all’università a Sana’a proprio contro questi militanti. Pare che gli Houthi abbiano usato manganelli contro i manifestanti che urlavano: “no al confessionalismo”.  

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Giordania: nuova minaccia Daish contro pilota giordano

(Agenzie) Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) ha inviato, servendosi dell’ostaggio giapponese Kenji Goto, un nuovo messaggio di minaccia alla Giordania nel quale afferma che ucciderà il pilota al-Kasaesbeh se Amman non rilascia la prigioniera irachena al-Rishawi entro il tramonto di oggi. “Sono Kenji Goto. Questo è un messaggio vocale che mi hanno detto di inviarvi. Se […]

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Libia: gruppo affiliato a Daish rivendica attentato Tripoli

(Agenzie) Un gruppo libico affiliato a Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) ha rivendicato la responsabilità dell’attentato al Corinthia Hotel di Tripoli nel quale sono morte 10 persone. Il gruppo, che si fa chiamare “Stato Islamico nella Provincia di Tripoli”, ha dichiarato di aver sferrato l’attacco per rivendicare la more di Abu Anas al-Libi, catturato dagli USA […]

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Al via la 46° edizione della Fiera del Libro del Cairo tra cultura, rinnovamento religioso e politica estera

La 46° edizione della Fiera internazionale del Cairo è stata inaugurata ieri al Cairo a Madinat Nasr, in ritardo di una settimana per dare la possibilità che si celebrasse la ricorrenza della Rivoluzione del 25 gennaio 2011, senza dover interrompere le attività culturali. Per l’Egitto sono stati giorni dolorosi e sanguinosi, quelli precedenti a questa … Continua a leggere

Interludio afgano


Riflessioni a margine di 14 anni vissuti pericolosamente. Cosa si chiude con la fine del 2014, cosa si apre con l’avvento del 2015
Lunedi 12 gennaio, il neo presidente Ashraf Ghani ha finalmente annunciato la lista dei ministri del suo governo. Le nomine hanno ricevuto una reazione comprensibilmente tiepida visto che, l’impasse politico generato dalla condivisione dei poteri tra Ghani e Abdullah Abdullah (l’altro sfidante per la presidenza che, avendola persa, ha preteso una condivisione dei poteri e un ruolo da premier) aveva ormai superato i “cento giorni” del nuovo corso entro i quali il presidente avrebbe dovuto sia nominare la squadra, sia mostrare i primi risultati del suo programma. In base al nuovo “Cencelli” di Kabul, dei 25 ministri in carica, 13 li ha scelti Ghani (tra cui Difesa e Finanze) e 12 li ha scelti Abdullah. Sono questi ultimi, dicasteri di peso (Esteri, Interno, Economia, Sanità, Istruzione), a dimostrazione che il braccio di ferro tra i due ha finito per premiare quasi più il premier che il presidente. Va detto però che i portafogli più importanti (compresa la nomina del governatore della banca centrale) sono saldamente nelle mani di Ghani e chi controlla la cassa controlla tutto, specialmente in un periodo in cui il sostegno estero andrà scemando. I primi problemi comunque sono già arrivati: il parlamento ha contestato la previsione di budget, ossia la finanziaria del governo (alla fine approvata a fine gennaio) e ha bocciato alcuni ministri o chiesto la verifica sul rispetto delle condizioni poste dai regolamenti parlamentari per adire agli scranni: potrebbe trattarsi solod i questioni di potere ma essere anche la dimostrazione di una certa vitalità del parlamento afgano.
Al momento della sua contestazione, la previsione di bilancio diceva che Kabul dovrebbe incassare, tra tasse e dazi, 125 miliardi di afghanis mentre altri 275 miliardi dovrebbero arrivare dall’aiuto internazionale (in totale 8 mld di dollari). I media locali hanno fatto notare che l’anno scorso il governo si era prefissato un incasso di 133 miliardi ma ne aveva ottenuti solo 100. E la borsa degli aiuti stranieri si fa sempre più stretta, tanto che potrebbe strangolare la fragile economia locale. Se la stagione politica si presenta dunque densa di nubi, quella economica non ha cieli meno sgombri: è incorniciata in un futuro incerto, gravato da interrogativi sulla generosità dei donatori che la Conferenza internazionale di Londra del dicembre scorso ha solo in parte fugato pur reiterando l’impegno a non abbandonare l’Afghanistan.
Che l’economia locale vada male – in un mercato del lavoro su cui si affacciano ogni anno 400mila nuovi soggetti in cerca di occupazione – lo si evince facilmente dalla caduta libera dei prezzi sul mercato immobiliare, dove la vendita di case e terreni ha subito deprezzamenti anche del 50%, a fronte di una stagnazione nella quale le transazioni si sono fermate. Inoltre, anche grazie alla sua corsa mondiale al rialzo, il dollaro si è apprezzato di diversi punti percentuali sull’afghanis, divisa che invece in questi anni è stata molto stabile (un deprezzamento della moneta locale potrebbe però favorire le esportazioni depresse dalla sua eccessiva stabilità). Con la fine della presenza massiccia della Nato anche le commesse legate alla guerra stanno calando vertiginosamente o orientando il governo a servirsi da produttori esteri che offrono merci a costo minore. L’economia sostenuta virtualmente da una sorta di clausola di privilegio verso i produttori nazionali viene meno proprio mentre il futuro degli stipendi a militari e funzionari pubblici si va riempiendo di ritardi nei pagamenti e di incognite sulla tenuta dei salari e dell’occupazione

Secondo un rapporto dello Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction(Sigar, l’agenzia pubblica americana che fa le pulci ai conti per la ricostruzione), Kabul non avrebbe infatti abbastanza liquidità per pagare in futuro i suoi soldati, specie quando, nel 2024, i sussidi esterni per la Difesa dovrebbero terminare. Secondo Sigar le forze armate (Ansf) sono una delle aree a maggior rischio:esercito (Ana) e polizia (Anp) sono al momento composti da 352mila uomini, un numero che la Nato ha proposto di ridurre a 228.500 entro il 2017 proprio per renderlo sostenibile. Ma anche in quel caso Kabul potrebbe non farcela. Questa forza – per quanto ridotta – viene infatti a pesare per 4,1 miliardi di dollari l’anno, cifra a cui Kabul dovrebbe contribuire con 500 milioni fino dall’anno prossimo e che, teoricamente, dal 2024 dovrebbe pagare da sola. Ma poiché nel 2013 il governo è riuscito a incassare da tasse e dazi meno della metà dell’intero budget statale (5,4 mld di dollari) il conto è presto fatto. Kabul immagina di riservare alla spesa per le forze di sicurezza il 3% del budget sperando che il suo Pil cresca e, con lui, anche questa percentuale. Ma se adesso a ripianare i conti ci pensa la comunità internazionale e non è difficile immaginare che a fondi d’aiuto sempre più ridotti, Kabul si ritroverà ad avere sempre meno liquidità per i salari di soldati e poliziotti. Sempre che non li sottragga alla spesa per i servizi o dai salari degli impiegati statali.
Se sarà dunque complesso in futuro mantenere un esercito efficiente, pagare il

Nella foto di Pajhwok, Ghani a sn e Abdullah

salario ai funzionari pubblici per garantire governance e servizi specie in presenza di un costo esorbitante del comparto militare, l’unica via d’uscita logica e pragmatica resta quella di por fine velocemente al conflitto coi talebani. Ma per quel che riguarda il processo di pace (sinora una chimera) le difficoltà sono di doppia natura: da una parte il governo non sembra fare grandi passi avanti (se non con annunci roboanti per alcuni militanti e comandanti guerriglieri che depongono le armi) anche se è difficile dire se esistano o meno negoziati segreti con la guerriglia (o una parte di essa). Dall’altra, la domanda è: quale guerriglia? Il fronte del nemico si presenta infatti estremamente frammentato e, secondo alcuni, addirittura con una aperta crisi di leadership oltreché di visione e di strategia. I talebani afgani non sono jihadisti nel senso che Al Qaeda (o lo Stato islamico, la cui presenza in Afghanistan è stata tra l’altro appena segnalata) danno a questo concetto (internazionalizzazione del jihad) ma semmai nazionalisti religiosi. Non tutti però la pensano così: alcune frange, benché minoritarie, sono jihadiste e qaediste (è il caso della Rete Haqqani, in ottime relazioni con i “cugini” pachistani del Tehrek-e-Taleban Pakistan/Ttp).

Il recente attacco alla scuola di Peshawar a dicembre in Pakistan (oltre 140 morti assassinati proprio da una fazione del Ttp) ha dimostrato come il fronte guerrigliero sia diviso da logiche, tattiche e strategie molto differenti: non solo il sito ufficiale dei talebani afgani (che farebbe capo alla cosiddetta shura di Quetta e dunque a mullah Omar, benché se ne metta in dubbio l’esistenza in vita) ha condannato l’azione prendendone le distanze, ma la stessa posizione ha preso rispetto all’azione kamikaze che, precedentemente, aveva ucciso – in Afghanistan – oltre 40 spettatori di una partita di pallavolo (azione forse attribuibile agli Haqqani). La distanza tra talebani afgani e pachistani è nota, ma sembra emergere sempre di più una frattura interna alla guerriglia afgana che finora ha sempre cercato di mostrare un volto unitario. Questo aspetto la rende più fragile ma rende anche più difficile la trattativa.

Il recente tentativo, soprattutto pachistano, di distendere i rapporti tra i due Paesi indica però un nuovo positivo elemento. Kabul ha sempre accusato Islamabad di aver chiuso entrambi gli occhi sui santuari che, nel Paese dei puri, ospitano i guerriglieri afgani (shura di Quetta e di Peshawar, Rete Haqqani) ma da qualche tempo è Kabul a chiudere gli occhi sui santuari dei talebani pachistani in territorio afgano. Solo la collaborazione tra i due governi – e non l’uso strumentale dei diversi fronti guerriglieri – può mettere fine a un fenomeno che danneggia entrambi. Una dimostrazione tangibile di questa svolta è stata la recentissima messa al bando in Pakistan della Rete Haqqani (valido aiuto per il Ttp e nemico numero 1 in Afghanistan) e di altre nove organizzazioni estremiste e terroriste. Se il buongiorno si vede dal mattino, questa è forse la notizia più rilevante del nuovo anno anche se pagata al carissimo prezzo di oltre 140 vite di giovani studenti.

Interludio afgano


Riflessioni a margine di 14 anni vissuti pericolosamente. Cosa si chiude con la fine del 2014, cosa si apre con l’avvento del 2015
Lunedi 12 gennaio, il neo presidente Ashraf Ghani ha finalmente annunciato la lista dei ministri del suo governo. Le nomine hanno ricevuto una reazione comprensibilmente tiepida visto che, l’impasse politico generato dalla condivisione dei poteri tra Ghani e Abdullah Abdullah (l’altro sfidante per la presidenza che, avendola persa, ha preteso una condivisione dei poteri e un ruolo da premier) aveva ormai superato i “cento giorni” del nuovo corso entro i quali il presidente avrebbe dovuto sia nominare la squadra, sia mostrare i primi risultati del suo programma. In base al nuovo “Cencelli” di Kabul, dei 25 ministri in carica, 13 li ha scelti Ghani (tra cui Difesa e Finanze) e 12 li ha scelti Abdullah. Sono questi ultimi, dicasteri di peso (Esteri, Interno, Economia, Sanità, Istruzione), a dimostrazione che il braccio di ferro tra i due ha finito per premiare quasi più il premier che il presidente. Va detto però che i portafogli più importanti (compresa la nomina del governatore della banca centrale) sono saldamente nelle mani di Ghani e chi controlla la cassa controlla tutto, specialmente in un periodo in cui il sostegno estero andrà scemando. I primi problemi comunque sono già arrivati: il parlamento ha contestato la previsione di budget, ossia la finanziaria del governo (alla fine approvata a fine gennaio) e ha bocciato alcuni ministri o chiesto la verifica sul rispetto delle condizioni poste dai regolamenti parlamentari per adire agli scranni: potrebbe trattarsi solod i questioni di potere ma essere anche la dimostrazione di una certa vitalità del parlamento afgano.
Al momento della sua contestazione, la previsione di bilancio diceva che Kabul dovrebbe incassare, tra tasse e dazi, 125 miliardi di afghanis mentre altri 275 miliardi dovrebbero arrivare dall’aiuto internazionale (in totale 8 mld di dollari). I media locali hanno fatto notare che l’anno scorso il governo si era prefissato un incasso di 133 miliardi ma ne aveva ottenuti solo 100. E la borsa degli aiuti stranieri si fa sempre più stretta, tanto che potrebbe strangolare la fragile economia locale. Se la stagione politica si presenta dunque densa di nubi, quella economica non ha cieli meno sgombri: è incorniciata in un futuro incerto, gravato da interrogativi sulla generosità dei donatori che la Conferenza internazionale di Londra del dicembre scorso ha solo in parte fugato pur reiterando l’impegno a non abbandonare l’Afghanistan.
Che l’economia locale vada male – in un mercato del lavoro su cui si affacciano ogni anno 400mila nuovi soggetti in cerca di occupazione – lo si evince facilmente dalla caduta libera dei prezzi sul mercato immobiliare, dove la vendita di case e terreni ha subito deprezzamenti anche del 50%, a fronte di una stagnazione nella quale le transazioni si sono fermate. Inoltre, anche grazie alla sua corsa mondiale al rialzo, il dollaro si è apprezzato di diversi punti percentuali sull’afghanis, divisa che invece in questi anni è stata molto stabile (un deprezzamento della moneta locale potrebbe però favorire le esportazioni depresse dalla sua eccessiva stabilità). Con la fine della presenza massiccia della Nato anche le commesse legate alla guerra stanno calando vertiginosamente o orientando il governo a servirsi da produttori esteri che offrono merci a costo minore. L’economia sostenuta virtualmente da una sorta di clausola di privilegio verso i produttori nazionali viene meno proprio mentre il futuro degli stipendi a militari e funzionari pubblici si va riempiendo di ritardi nei pagamenti e di incognite sulla tenuta dei salari e dell’occupazione

Secondo un rapporto dello Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction(Sigar, l’agenzia pubblica americana che fa le pulci ai conti per la ricostruzione), Kabul non avrebbe infatti abbastanza liquidità per pagare in futuro i suoi soldati, specie quando, nel 2024, i sussidi esterni per la Difesa dovrebbero terminare. Secondo Sigar le forze armate (Ansf) sono una delle aree a maggior rischio:esercito (Ana) e polizia (Anp) sono al momento composti da 352mila uomini, un numero che la Nato ha proposto di ridurre a 228.500 entro il 2017 proprio per renderlo sostenibile. Ma anche in quel caso Kabul potrebbe non farcela. Questa forza – per quanto ridotta – viene infatti a pesare per 4,1 miliardi di dollari l’anno, cifra a cui Kabul dovrebbe contribuire con 500 milioni fino dall’anno prossimo e che, teoricamente, dal 2024 dovrebbe pagare da sola. Ma poiché nel 2013 il governo è riuscito a incassare da tasse e dazi meno della metà dell’intero budget statale (5,4 mld di dollari) il conto è presto fatto. Kabul immagina di riservare alla spesa per le forze di sicurezza il 3% del budget sperando che il suo Pil cresca e, con lui, anche questa percentuale. Ma se adesso a ripianare i conti ci pensa la comunità internazionale e non è difficile immaginare che a fondi d’aiuto sempre più ridotti, Kabul si ritroverà ad avere sempre meno liquidità per i salari di soldati e poliziotti. Sempre che non li sottragga alla spesa per i servizi o dai salari degli impiegati statali.
Se sarà dunque complesso in futuro mantenere un esercito efficiente, pagare il

Nella foto di Pajhwok, Ghani a sn e Abdullah

salario ai funzionari pubblici per garantire governance e servizi specie in presenza di un costo esorbitante del comparto militare, l’unica via d’uscita logica e pragmatica resta quella di por fine velocemente al conflitto coi talebani. Ma per quel che riguarda il processo di pace (sinora una chimera) le difficoltà sono di doppia natura: da una parte il governo non sembra fare grandi passi avanti (se non con annunci roboanti per alcuni militanti e comandanti guerriglieri che depongono le armi) anche se è difficile dire se esistano o meno negoziati segreti con la guerriglia (o una parte di essa). Dall’altra, la domanda è: quale guerriglia? Il fronte del nemico si presenta infatti estremamente frammentato e, secondo alcuni, addirittura con una aperta crisi di leadership oltreché di visione e di strategia. I talebani afgani non sono jihadisti nel senso che Al Qaeda (o lo Stato islamico, la cui presenza in Afghanistan è stata tra l’altro appena segnalata) danno a questo concetto (internazionalizzazione del jihad) ma semmai nazionalisti religiosi. Non tutti però la pensano così: alcune frange, benché minoritarie, sono jihadiste e qaediste (è il caso della Rete Haqqani, in ottime relazioni con i “cugini” pachistani del Tehrek-e-Taleban Pakistan/Ttp).

Il recente attacco alla scuola di Peshawar a dicembre in Pakistan (oltre 140 morti assassinati proprio da una fazione del Ttp) ha dimostrato come il fronte guerrigliero sia diviso da logiche, tattiche e strategie molto differenti: non solo il sito ufficiale dei talebani afgani (che farebbe capo alla cosiddetta shura di Quetta e dunque a mullah Omar, benché se ne metta in dubbio l’esistenza in vita) ha condannato l’azione prendendone le distanze, ma la stessa posizione ha preso rispetto all’azione kamikaze che, precedentemente, aveva ucciso – in Afghanistan – oltre 40 spettatori di una partita di pallavolo (azione forse attribuibile agli Haqqani). La distanza tra talebani afgani e pachistani è nota, ma sembra emergere sempre di più una frattura interna alla guerriglia afgana che finora ha sempre cercato di mostrare un volto unitario. Questo aspetto la rende più fragile ma rende anche più difficile la trattativa.

Il recente tentativo, soprattutto pachistano, di distendere i rapporti tra i due Paesi indica però un nuovo positivo elemento. Kabul ha sempre accusato Islamabad di aver chiuso entrambi gli occhi sui santuari che, nel Paese dei puri, ospitano i guerriglieri afgani (shura di Quetta e di Peshawar, Rete Haqqani) ma da qualche tempo è Kabul a chiudere gli occhi sui santuari dei talebani pachistani in territorio afgano. Solo la collaborazione tra i due governi – e non l’uso strumentale dei diversi fronti guerriglieri – può mettere fine a un fenomeno che danneggia entrambi. Una dimostrazione tangibile di questa svolta è stata la recentissima messa al bando in Pakistan della Rete Haqqani (valido aiuto per il Ttp e nemico numero 1 in Afghanistan) e di altre nove organizzazioni estremiste e terroriste. Se il buongiorno si vede dal mattino, questa è forse la notizia più rilevante del nuovo anno anche se pagata al carissimo prezzo di oltre 140 vite di giovani studenti.

La malinconia araba: parole in libertà a 4 anni dalla rivoluzione egiziana.

La malinconia araba: parole in libertà a 4 anni dalla rivoluzione egiziana.

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Fouad Roueiha

La malinconia araba*https://www.youtube.com/watch?v=umlJJFVgYVIOgni volta che ascolto questa canzone scende, inevitabile, una lacrimuccia. “O piazza, dov’eri fino ad ora?… La nostra forza sono le nostre idee e la nostra unità è la nostra arma… siamo nati nuovamente ed è nato il sogno testardo…” Un testo che spacca il cuore, lo sbriciola mentre abbiamo tutti negli occhi l’immagine di Shaimaa al Sabbagh, oggi che il movimento 6th of April Youth Movement – حركة شباب 6 إبريل è fuori legge ed a governare sono di nuovo i militari, con un pugno ben più duro di MubarakVoglio tornare con la memoria a 4 anni fà. Quando l’ondata, il risveglio, investì la Tunisia c’era già chi parlava di “effetto domino”. In cuor mio lo speravo, ma la Tunisia è un piccolo paese. Quando quelli che allora si chiamavano “Venerdì della rabbia” contagiarono anche l’Egitto, il più grande dei paesi arabi, Um Al Dounia (la Madre del Mondo), beh… ora invece iniziavo a crederci. Mi ricordo piazza Tahrir colma, le notti passate a guardarla. All’epoca lavoravo ancora con l’Agenzia Amisnet ma pochi mesi prima avevo posto fine al mio programma sui paesi del Mediterraneo, per cui mi mangiavo le mani mentre mi occupavo di tutt’altro e vedevo la storia scorrere dietro lo schermo. Ricordo che in quel periodo lavoravo ancje con Muhammad Abdel-Kader alla redazione di un documentario, ci eravamo appena conosciuti ma l’emozione per i fatti egiziani ci ha avvicinati subito e parlarne con lui era un grande piacere. Era il tempo della speranza delle manifestazioni milionarie, della piazza-stato autorganizzata, con mense, ospedali da campo, servizi d’ordine, pulizie, esibizioni artistiche e laboratori… Osservavo e mi pareva un sogno. Quando Mubarak si dimise credevo che tutto fosse possibile, ” al helm mush mustahil” dicono i Cairokee, “il sogno non è più impossibile”. Poi è stata la volta di Piazza della Perla a Sanaa, nello Yemen, che prendeva il testimone di Tahrir. Mi ricordo che intervistai توكل كرمان Tawakkol Karman, che di lì a poco avrebbe vinto il nobel. Stavolta la vittoria fù meno netta, un cambio di facciata, ma continuavo a credere che El Pueblo Unido Jamas Serà Vencido! Contemporaneamente, ignorata dai più, c’era la rivoluzione del 14th February 2011 Revolution Day in Bahrain يوم الغضب البحريني14 فبراير, la prima repressa nel sangue. La repressione fù opera delle truppe saudite. Non diedi molta importanza a questo fatto, il Bahrain è il più povero degli Emirati, un paese da poche centinaia di migliaia di cittadini, ed onestamente non mi aspettavo che i sauditi (che certo non sono noti per l’amor di democrazia) avrebbero permesso una rivolta che avrebbe potuto ispirare le altre popolazioni del Golfo. In Marocco i venerdì della rabbia hanno indotto il re ad introdurre riforme, più che altro di facciata, e si erano bene o male spenti. In Algeria il tentativo è stato timido e represso immediatamente. I primi, grandi, nuvoli si addensarono ad oscurare la primavera con l’inizio dei moti in Libia. Gheddafi era una figura simbolo, il Caligola arabo, eccentrico e spietato. Un dittatore che scrive il Libretto Verde con una terza via tra socialismo e capitalismo, che si proclama non capo di Stato, ma comandante della rivoluzione e si erge a simbolo della rivalsa anticoloniale e della resistenza anti-americana (salvo poi accordarsi sul caso Lockerby). Gheddafi era un despota, ma la popolazione numericamente modesta e le ingenti risorse gli consentivano di contenere il malcontento. Quando l’equilibrio si è rotto ha reagito con veemenza, come una belva feroce ferita “disinfesterò il paese metro per metro, casa per casa, palmo a palmo” tuonava minaccioso dagli schermi. La repressione è durissima, ma Al Jazeera, che aveva coperto accuratamente la rivoluzione egiziana, si rende protagonista della diffusione di alcune bufale… Un segnale della direzione che le TV panarabe avevano imboccato. Dai social network i libici cominciano a chiedere l’intervento internazionale ed io vado in palla: questo cozza con tutte le mie convinzioni, com’è possibile? Li contatto, provo a chiedergli “Ma cosa vi salta in mente di chiedere di essere bombardati? Non avete visto l’Iraq? Credete che intervengano per i vostri diritti, senza chiedervi nulla in cambio?” Loro mi dicevano che qualunque cosa era comunque meglio di Gheddafi… anche l’amico Farid Adly, giornalista che spesso ha scritto su il manifesto, si schiera per l’intervento ed io chedo a lui di aiutarmi a capire. Farid subisce l’ostracismo del Manifesto e buona parte della sinistra pacifista e dei miei compagni storici sono schierati contro l’intervento e nessuno sembra interessato al parere dei libici. A questo punto si consuma una spaccatura di cui avevo avuto sentore già quando i pacifisti, di cui mi sentivo parte, si opposero alla missione Unifil 2 (Libano, 2006) che in realtà consentì di arrivare ad una situazione di pace o quantomeno di stallo. Ero perplesso, ma fù solo un episodio. Sulla Libia è venuto fuori un modo completamente differente di pensare: da una parte c’era chi analizzava la situazione con schemi e preconcetti datati, con le lenti della geopolitica e degli interessi delle potenze regionali ed internazionali e delle risorse. Dall’altro c’era chi cercava di capire le ragioni della rivolta e delle successive prese di posizione dei movimenti libici… io ero tra questi ultimi, pur non approvando l’intervento NATO. Il 27 Febbraio Caligola muore, oltraggiato ed umiliato. Una vittoria amara pensai, mentre mi auguravo che la Libia presto sarebbe diventata un altra democrazia (davo per scontato che Egitto e Tunisia fossero democrazie in fieri).Poi venne il turno della Siria. Non credevo sarebbe arrivato, non osavo sperarlo. La mia compagna era incinta, io avevo decisio (e volevo convincere la mia compagna) che se fosse nata femmina l’avremmo chiamata Intifada. Tra il Marzo del 2011 e l’estate del 2012 il popolo siriano ha offerto al mondo una lezione di spirito rivoluzionario, di voglia di libertà e dignità. Nonostante la repressione, iniziata subito, camminavo tre metri, anzi sei metri sopra il cielo. Avevo anche pensato di scrivere un articolo di fantapolitica, datato 2021, in cui celebravo la firma della costituzione federale dell’ Unione delle Repubbliche Arabe. Avevo immaginato anche i dettagli di quell’articolo. “Dopo anni, la lotta dei popoli arabi per la liberazione ha portato alla scrittura di una carta avanzatissima dei diritti umani, che rinnova il senso dei diritti civili, di quelli politici e di quelli economici, ristabilendo il primato della politica e della sovranità popolare sull’economia. In questo storico giorno i legittimi rappresentanti dei popoli arabi, inclusi i rappresentanti delle minoranze amazigh, curde etc…, firmano una costituzione fatta di principi generalissimi, equivalenti alla prima parte della costituzione italilana, e che demanda la sovranità e le legislazioni specifiche alle comunità locali…” Quasi tutta la sinistra italiana parlava di complotti, mentre gli amici di una vita mi assicuravano che erano movimenti spontanei. Tutto o quasi il movimento pacifista era con Assad o al massimo era silente, buona parte dei filopalestinesi, i centri sociali… mi sentivo un emarginato nell’ambiente sociale in cui fino a quel momento mi sentivo più a mio agio e continuavo a chiedermi perchè. Perchè gli stessi che si affidavano a me per essere informati sulla Palestina (che non ho mai avuto il piacere di visitare) o magari per un punto di vista, non solo non mi chiedevano nulla del mio paese, anzi non mi credevano ed alle mie spiegazioni opponevano le loro teorie senza avere alcun argomento al di là di illazioni, basandosi su “opinion leader” storici, sulla posizione del Fronte Popolare Palestinese o di comunisti vecchia, vecchissima maniera…. Pretendevano di spiegarmi la situazione. La spaccatura tra analisti geopolitici ancora immersi nella guerra fredda e persone interessate alla volontà dei popoli prima che agli interessi deglil stati si fece, per me, nettissima e definitiva.Mio figlio si chiama Damiano, naque a maggio di quel 2011, la rivoluzione siriana era ancora una splendida speranza, una stella nel buio di 50 anni di regime, credevamo che di lì a poco avremmo vinto, ne eravamo certi. Oggi invece risento i Cairokee e piango, poi ascolto questa versione di “Ya ma ahla al hurrya” e la lacrimuccia diventano lacrimonihttps://www.youtube.com/watch?v=iqc8XAo-TDAStavolta è una canzone siriana che parla di scioperi, libertà, non vioelnza “bil tanajer wa alsuhun, rah an shilu li al majnoun” “battendo pentole e piatti, toglieremo di mezzo il pazzo”… “abbassi la serranda del negozio ed apri un portone all’ingresso della libertà”. Un sogno lontanissimo, che oggi sembra fantascienza mentre mi dibatto tra articoli, programmi radiofonici e filmati per capire chi sono i “buoni” e chi i “cattivi” e scoprire che sono quasi tutti un po’ l’uno e un po’ l’altro, per capire cosa è rimasto del paese, dove ci sono edifici e dove solo macerie, dove c’è speranza e dove disperazione, dove c’è vittoria e dove c’è la resa. Mi sento come quell’uomo che abbraccia Shaimaa al Sabbagh, dal volto stravolto mentre la vede morire, con il sangue che gli cola addosso, impotente e disperato di fronte all’enormità ed irreversibilità di quel che sta avvenendo. Ed il popolo siriano mi ricorda sempre più l’uccellino cantato da Marcel Khalife e Oumaima https://www.youtube.com/watch?v=mxtHCZeqPFo Poi mi capita di parlare con quegli attivisti siriani che sono ancora nel paese, che non sono nè morti, nè arrestati, nè scappati ed allora qualcosa mi si riaccende in petto. Un fuoco, una speranza. Torno a casa ed ascolto la versione originale di Ya mahla al Hurrya, quella che rende omaggio a tutte le province siriane, quella che ho avuto l’onore di cantare a squarciagola una volta insieme a quegli attivisti che per qualche giorno erano fuori dal paese e che sarebbero tornati il giorno dopo… in quelle poche ore abbiamo festeggiato e per un attimo mi sono sentito uno di loro, qualcosa di indescrivibile https://www.youtube.com/watch?v=S89W9b3qPsATutti, tutti, dal più giovane al più esperto, quello ferito, quello che butta giù 30 antidolorifici al giorno per le torture subite, quello che a 20 anni vorrebbe ballare ma coi tendini rotti al primo salto si blocca, quello che ha visto morire i suoi cari, quello che oggi vive nell’incubo di IS, tutti dicono che quel 2011/2012 è stato il momento più bello delle loro vite.*riflessioni in occasione del 25 Gennaio, 4° anniversario della grande rivoluzione egiziana… sono un po’ in ritardo, ma non ho dei grandi riflessi Continua a leggere