La malinconia araba: parole in libertà a 4 anni dalla rivoluzione egiziana.
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Fouad Roueiha
La malinconia araba*https://www.youtube.com/watch?v=umlJJFVgYVIOgni volta che ascolto questa canzone scende, inevitabile, una lacrimuccia. “O piazza, dov’eri fino ad ora?… La nostra forza sono le nostre idee e la nostra unità è la nostra arma… siamo nati nuovamente ed è nato il sogno testardo…” Un testo che spacca il cuore, lo sbriciola mentre abbiamo tutti negli occhi l’immagine di Shaimaa al Sabbagh, oggi che il movimento 6th of April Youth Movement – حركة شباب 6 إبريل è fuori legge ed a governare sono di nuovo i militari, con un pugno ben più duro di MubarakVoglio tornare con la memoria a 4 anni fà. Quando l’ondata, il risveglio, investì la Tunisia c’era già chi parlava di “effetto domino”. In cuor mio lo speravo, ma la Tunisia è un piccolo paese. Quando quelli che allora si chiamavano “Venerdì della rabbia” contagiarono anche l’Egitto, il più grande dei paesi arabi, Um Al Dounia (la Madre del Mondo), beh… ora invece iniziavo a crederci. Mi ricordo piazza Tahrir colma, le notti passate a guardarla. All’epoca lavoravo ancora con l’Agenzia Amisnet ma pochi mesi prima avevo posto fine al mio programma sui paesi del Mediterraneo, per cui mi mangiavo le mani mentre mi occupavo di tutt’altro e vedevo la storia scorrere dietro lo schermo. Ricordo che in quel periodo lavoravo ancje con Muhammad Abdel-Kader alla redazione di un documentario, ci eravamo appena conosciuti ma l’emozione per i fatti egiziani ci ha avvicinati subito e parlarne con lui era un grande piacere. Era il tempo della speranza delle manifestazioni milionarie, della piazza-stato autorganizzata, con mense, ospedali da campo, servizi d’ordine, pulizie, esibizioni artistiche e laboratori… Osservavo e mi pareva un sogno. Quando Mubarak si dimise credevo che tutto fosse possibile, ” al helm mush mustahil” dicono i Cairokee, “il sogno non è più impossibile”. Poi è stata la volta di Piazza della Perla a Sanaa, nello Yemen, che prendeva il testimone di Tahrir. Mi ricordo che intervistai توكل كرمان Tawakkol Karman, che di lì a poco avrebbe vinto il nobel. Stavolta la vittoria fù meno netta, un cambio di facciata, ma continuavo a credere che El Pueblo Unido Jamas Serà Vencido! Contemporaneamente, ignorata dai più, c’era la rivoluzione del 14th February 2011 Revolution Day in Bahrain يوم الغضب البحريني14 فبراير, la prima repressa nel sangue. La repressione fù opera delle truppe saudite. Non diedi molta importanza a questo fatto, il Bahrain è il più povero degli Emirati, un paese da poche centinaia di migliaia di cittadini, ed onestamente non mi aspettavo che i sauditi (che certo non sono noti per l’amor di democrazia) avrebbero permesso una rivolta che avrebbe potuto ispirare le altre popolazioni del Golfo. In Marocco i venerdì della rabbia hanno indotto il re ad introdurre riforme, più che altro di facciata, e si erano bene o male spenti. In Algeria il tentativo è stato timido e represso immediatamente. I primi, grandi, nuvoli si addensarono ad oscurare la primavera con l’inizio dei moti in Libia. Gheddafi era una figura simbolo, il Caligola arabo, eccentrico e spietato. Un dittatore che scrive il Libretto Verde con una terza via tra socialismo e capitalismo, che si proclama non capo di Stato, ma comandante della rivoluzione e si erge a simbolo della rivalsa anticoloniale e della resistenza anti-americana (salvo poi accordarsi sul caso Lockerby). Gheddafi era un despota, ma la popolazione numericamente modesta e le ingenti risorse gli consentivano di contenere il malcontento. Quando l’equilibrio si è rotto ha reagito con veemenza, come una belva feroce ferita “disinfesterò il paese metro per metro, casa per casa, palmo a palmo” tuonava minaccioso dagli schermi. La repressione è durissima, ma Al Jazeera, che aveva coperto accuratamente la rivoluzione egiziana, si rende protagonista della diffusione di alcune bufale… Un segnale della direzione che le TV panarabe avevano imboccato. Dai social network i libici cominciano a chiedere l’intervento internazionale ed io vado in palla: questo cozza con tutte le mie convinzioni, com’è possibile? Li contatto, provo a chiedergli “Ma cosa vi salta in mente di chiedere di essere bombardati? Non avete visto l’Iraq? Credete che intervengano per i vostri diritti, senza chiedervi nulla in cambio?” Loro mi dicevano che qualunque cosa era comunque meglio di Gheddafi… anche l’amico Farid Adly, giornalista che spesso ha scritto su il manifesto, si schiera per l’intervento ed io chedo a lui di aiutarmi a capire. Farid subisce l’ostracismo del Manifesto e buona parte della sinistra pacifista e dei miei compagni storici sono schierati contro l’intervento e nessuno sembra interessato al parere dei libici. A questo punto si consuma una spaccatura di cui avevo avuto sentore già quando i pacifisti, di cui mi sentivo parte, si opposero alla missione Unifil 2 (Libano, 2006) che in realtà consentì di arrivare ad una situazione di pace o quantomeno di stallo. Ero perplesso, ma fù solo un episodio. Sulla Libia è venuto fuori un modo completamente differente di pensare: da una parte c’era chi analizzava la situazione con schemi e preconcetti datati, con le lenti della geopolitica e degli interessi delle potenze regionali ed internazionali e delle risorse. Dall’altro c’era chi cercava di capire le ragioni della rivolta e delle successive prese di posizione dei movimenti libici… io ero tra questi ultimi, pur non approvando l’intervento NATO. Il 27 Febbraio Caligola muore, oltraggiato ed umiliato. Una vittoria amara pensai, mentre mi auguravo che la Libia presto sarebbe diventata un altra democrazia (davo per scontato che Egitto e Tunisia fossero democrazie in fieri).Poi venne il turno della Siria. Non credevo sarebbe arrivato, non osavo sperarlo. La mia compagna era incinta, io avevo decisio (e volevo convincere la mia compagna) che se fosse nata femmina l’avremmo chiamata Intifada. Tra il Marzo del 2011 e l’estate del 2012 il popolo siriano ha offerto al mondo una lezione di spirito rivoluzionario, di voglia di libertà e dignità. Nonostante la repressione, iniziata subito, camminavo tre metri, anzi sei metri sopra il cielo. Avevo anche pensato di scrivere un articolo di fantapolitica, datato 2021, in cui celebravo la firma della costituzione federale dell’ Unione delle Repubbliche Arabe. Avevo immaginato anche i dettagli di quell’articolo. “Dopo anni, la lotta dei popoli arabi per la liberazione ha portato alla scrittura di una carta avanzatissima dei diritti umani, che rinnova il senso dei diritti civili, di quelli politici e di quelli economici, ristabilendo il primato della politica e della sovranità popolare sull’economia. In questo storico giorno i legittimi rappresentanti dei popoli arabi, inclusi i rappresentanti delle minoranze amazigh, curde etc…, firmano una costituzione fatta di principi generalissimi, equivalenti alla prima parte della costituzione italilana, e che demanda la sovranità e le legislazioni specifiche alle comunità locali…” Quasi tutta la sinistra italiana parlava di complotti, mentre gli amici di una vita mi assicuravano che erano movimenti spontanei. Tutto o quasi il movimento pacifista era con Assad o al massimo era silente, buona parte dei filopalestinesi, i centri sociali… mi sentivo un emarginato nell’ambiente sociale in cui fino a quel momento mi sentivo più a mio agio e continuavo a chiedermi perchè. Perchè gli stessi che si affidavano a me per essere informati sulla Palestina (che non ho mai avuto il piacere di visitare) o magari per un punto di vista, non solo non mi chiedevano nulla del mio paese, anzi non mi credevano ed alle mie spiegazioni opponevano le loro teorie senza avere alcun argomento al di là di illazioni, basandosi su “opinion leader” storici, sulla posizione del Fronte Popolare Palestinese o di comunisti vecchia, vecchissima maniera…. Pretendevano di spiegarmi la situazione. La spaccatura tra analisti geopolitici ancora immersi nella guerra fredda e persone interessate alla volontà dei popoli prima che agli interessi deglil stati si fece, per me, nettissima e definitiva.Mio figlio si chiama Damiano, naque a maggio di quel 2011, la rivoluzione siriana era ancora una splendida speranza, una stella nel buio di 50 anni di regime, credevamo che di lì a poco avremmo vinto, ne eravamo certi. Oggi invece risento i Cairokee e piango, poi ascolto questa versione di “Ya ma ahla al hurrya” e la lacrimuccia diventano lacrimonihttps://www.youtube.com/watch?v=iqc8XAo-TDAStavolta è una canzone siriana che parla di scioperi, libertà, non vioelnza “bil tanajer wa alsuhun, rah an shilu li al majnoun” “battendo pentole e piatti, toglieremo di mezzo il pazzo”… “abbassi la serranda del negozio ed apri un portone all’ingresso della libertà”. Un sogno lontanissimo, che oggi sembra fantascienza mentre mi dibatto tra articoli, programmi radiofonici e filmati per capire chi sono i “buoni” e chi i “cattivi” e scoprire che sono quasi tutti un po’ l’uno e un po’ l’altro, per capire cosa è rimasto del paese, dove ci sono edifici e dove solo macerie, dove c’è speranza e dove disperazione, dove c’è vittoria e dove c’è la resa. Mi sento come quell’uomo che abbraccia Shaimaa al Sabbagh, dal volto stravolto mentre la vede morire, con il sangue che gli cola addosso, impotente e disperato di fronte all’enormità ed irreversibilità di quel che sta avvenendo. Ed il popolo siriano mi ricorda sempre più l’uccellino cantato da Marcel Khalife e Oumaima https://www.youtube.com/watch?v=mxtHCZeqPFo Poi mi capita di parlare con quegli attivisti siriani che sono ancora nel paese, che non sono nè morti, nè arrestati, nè scappati ed allora qualcosa mi si riaccende in petto. Un fuoco, una speranza. Torno a casa ed ascolto la versione originale di Ya mahla al Hurrya, quella che rende omaggio a tutte le province siriane, quella che ho avuto l’onore di cantare a squarciagola una volta insieme a quegli attivisti che per qualche giorno erano fuori dal paese e che sarebbero tornati il giorno dopo… in quelle poche ore abbiamo festeggiato e per un attimo mi sono sentito uno di loro, qualcosa di indescrivibile https://www.youtube.com/watch?v=S89W9b3qPsATutti, tutti, dal più giovane al più esperto, quello ferito, quello che butta giù 30 antidolorifici al giorno per le torture subite, quello che a 20 anni vorrebbe ballare ma coi tendini rotti al primo salto si blocca, quello che ha visto morire i suoi cari, quello che oggi vive nell’incubo di IS, tutti dicono che quel 2011/2012 è stato il momento più bello delle loro vite.*riflessioni in occasione del 25 Gennaio, 4° anniversario della grande rivoluzione egiziana… sono un po’ in ritardo, ma non ho dei grandi riflessi Continua a leggere →
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