Mese: agosto 2013

I danni della Primavera araba al turismo dei paesi MENA

29/08/2013 | L’estate è ormai agli sgoccioli, strade, porti, aeroporti e stazioni sono affollate di turisti che ritornano a casa, le vacanze, insomma, sono finite quasi per tutti. Ma qual è la situazione del turismo nella regione mediorientale e nordafricana? Secondo i dati relativi al 2012 forniti dal Tourism Highlights 2013, report redatto dall’UNWTO (United […]

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

Traduzione di Emanuele Calitri
Testo originale:http://revsoc.me/letters-to-comrades/ysqt-hkm-lskr-l-lwd-lflwl-l-lwd-lkhwn

Testo in inglese:http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article3073

Egitto. I rivoluzionari difronte alla controrivoluzione: costruire l’alternativa all’esercito ed ai Fratelli Musulmani.

Riguardo i colloqui di “esclusione”[dal processo politico] e di “riconciliazione” i Socialisti Rivoluzionari non possono costruire la loro posizione isolati dagli umori e dagli orientamenti delle masse – malgrado le loro forti contraddizioni interne. Queste masse non accetteranno una riconciliazione con la Fratellanza Musulmana. Come dichiarammo:”suonare le trombe della riconciliazione pone sullo stesso piano l’assassino e la vittima e ciò è completamente inaccettabile senza portare ad un giusto processo gli assassini dei martiri – tutti i martiri – e coloro che hanno istigato alla violenza.” Se le masse influenzate dai media e dalla propaganda borghese vogliono escludere la Fratellanza ignorando l’esercito e gli elementi delvecchio regime, dobbiamo anche attaccare il ritorno dello stato di Mubarak sotto il vessillo di Al-Sisi, che è più pericoloso d iMuhammed al-Beltagi [il leader dei Fratelli Musulmani].

In queste circostanze dobbiamo dire direttamente,coraggiosamente, chiaramente e senza esitazione “Abbasso il regime militare…no al ritorno dei feloul [gli esponenti del regimedi Mubarak NdT]… no al ritorno della Fratellanza Musulmana”.

Siamo preoccupati dell’isolamento?

Non c’è dubbio che le tattiche del Socialismo Rivoluzionario si fondano da una parte sulla determinazione del livello di sviluppo della coscienza delle masse e della classe operaia, sia nelle loro basi che nella loro avanguardia, dall’altra sull’analisi delle possibilità e delle opportunità di sviluppare e rafforzare il movimento di massa durante il corso della rivoluzione.

Oggi il movimento di massa ha grandi contraddizioni al suo interno ed affronta delle grandi sfide, forse la più grande di queste è l’apparente riconciliazione di un settore delle masse con le istituzioni dello stato, in particolare l’esercito ed il Ministero dell’Interno – la testa ed il cuore della controrivoluzione. Tuttavia nonostante la grande frustrazione che colpisce grandi settori di rivoluzionari che hanno lottato contro lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate) nell’anno e mezzo successivo alla rivoluzione e che hanno continuato a lottare contro il regime di Morsi l’unico modo per avere un ruolo importante nel movimento è di avere a che fare con esso, di comprenderne le contraddizioni senza sottovalutarne o esagerarne il potenziale.

L’alleanza degli elementi del vecchio regime e dei media liberali con i servizi di sicurezza, l’esercito ed il Ministero dell’Interno è riuscita ad influenzare le masse proiettando una falsa immagine di neutralità dell’esercito e della polizia, che vengono ritratti come amici del popolo contro Morsi, la Fratellanza ed i loro alleati islamisti, anche tentando di cancellare gli omicidi e le torture dello stato dalla memoria delle masse. Molte forze politiche, specialmente l’opportunista Fronte di Salvezza Nazionale,la campagna Tamarod e la Corrente Popolare, hanno recitato il ruolo più sporco nel ripulire questa immagine tramite i loro proclami sulla “serrata dei ranghi”. Lodano il ruolo dell’esercito e delle istituzioni dello stato nel soddisfare la richiesta del popolo di chiudere con il regime della Fratellanza, che considerano il più grande pericolo per la Rivoluzione Egiziana. Tuttavia la visione dell’ “esercito salvatore” rappresenta solo un piccolo strato della coscienza delle masse. Quasi tutti i partiti stanno lavorando per rafforzare questa visione, ma sotto sotto rimangono vive le richieste della rivoluzione ed i suoi obiettivi: pane, libertà e giustizia sociale.

Non possiamo perdere di vista che tra queste contraddizioni larghi settori delle masse hanno una grande sicurezza di sé, malgrado tutti questi specchietti per le allodole e la falsa “guerra al terrorismo”. Dall’inizio della rivoluzione hanno genuinamente imposto la loro volontà ed hanno rovesciato due presidenti e quattro governi. Questa sicurezza, che risiede sotto le contraddizioni superficiali, è ciò che li ha spinti ad insorgere contro Morsi e ciò che permetterà di completare la lotta contro il nuovo governo,non appena diverranno chiare le sue linee guida politiche ed economiche contrarie agli interessi delle masse. Ciò malgrado vi sia una parziale speranza in alcuni settori che il governo soddisferà le loro richieste.

A questo punto dobbiamo trovare ogni modo possibile per raggiungere il nucleo genuino della coscienza dei poveri e delle masse lavoratrici, il cui interesse fondamentale è di continuare la rivoluzione. Dobbiamo continuare ad evidenziare le enormi capacità che le masse hanno mostrato nell’ondata del 30 giugno e nelle precedenti ondate della rivoluzione propagandone le vere richieste e mobilitandosi per ottenerle in ogni provincia e in ogni posto di lavoro. Ma ciò non deve indurci a nascondere alcune nostre linee politiche e i nostri principi per godere di un sostegno temporaneo.

Al contrario se nascondessimo i nostri slogan o le nostre linee politiche per obiettivi di breve termine diventeremmo soltanto degli opportunisti e questo non è il modo in cui operano i Socialisti Rivoluzionari. Abbiamo sempre evitato l’opportunismo ed abbiamo costruito il nostro progetto organizzativo tra le masse e per la vittoria della rivoluzione egiziana. Ad esempio non possiamo smettere di attaccare le menzogne dei media del vecchio regime e dei liberali borghesi, o smettere di condannare la controrivoluzione portata avanti oggi dall’esercito e dal Ministero degli Interni. Non possiamo smettere di ricordare i crimini dello SCAF e dei compagni di Mubarak e smettere di chiedere che vengano messi a processo insieme a quei capi della Fratellanza che nelle scorse settimane si sono distinti per aver istigato alla violenza sguinzagliando dei disgustosi sentimenti settari. In ogni caso non possiamo attenuare i nostri attacchi politici contro gli elementi del vecchio regime e gli opportunisti nel governo Beblawi, contro le palesi tendenze liberiste di questo esecutivo e contro il consolidamento dello stato repressivo causato dalla nomina dei nuovi governatori provinciali. Non possiamo smussare le nostre critiche agli enormi poteri e privilegi che la costituzione assegna all’esercito, al suo controllo di circa il 25%dell’economia egiziana, alla continuazione dell’umiliante accordo di Camp David e così via. Dobbiamo continuare per una questione di principio.

Minimizzare il ritorno dello stato di Mubarak e della repressione militare è estremamente pericoloso. Lo stato di Mubarak, che non è scomparso dalle scene dall’inizio della rivoluzione, oggi ritorna con pieni poteri, privo di crisi interne e con il supporto di ampi settori delle masse. È questa situazione che ci spinge a partire all’attacco contro questo regime ed i suoi simboli, visto che non attenderà a lungo prima di aggredire tutti coloro che chiederanno che si compia la rivoluzione.

Dalla nostra posizione potrebbe conseguire un temporaneo isolamento dalle masse. Il nostro messaggio non verrà subito recepito dalla maggioranza malgrado tutti gli sforzi che compiamo sui posti di lavoro, nelle università e nei territori. In realtà questo isolamento è già iniziato prima del 30 giugno a causa delle nostre posizioni contro l’esercito, il vecchio regime e la Fratellanza, ma non dobbiamo cadere nella frustrazione: fin quando le contraddizioni resteranno presenti nella coscienza delle masse il movimento rimarrà un veicolo che può essere colpito da vari fattori che lo porteranno su sentieri tortuosi e non verso un percorso dritto e crescente. Il reale volto del regime repressivo attualmente al potere si rivelerà agli occhi delle masse che pian piano cominceranno a lottare contro di esso.

Ciò non significa un completo isolamento dalle masse visto che ci sono decine di migliaia di giovani rivoluzionari che hanno combattuto contro il regime militare sotto i vessilli della Rivoluzione Egiziana ed hanno portato avanti la lotta contro il regime di Morsi. Sono ancora radicati nei principi del socialismo rivoluzionario, hanno meno contraddizioni e non stanno puntando sulle istituzioni statali,soprattutto sull’esercito che è la spina dorsale della controrivoluzione. Costoro saranno attratti dalle posizioni dei Socialisti Rivoluzionari dopo aver visto come le forze politiche si sono svendute ai militari e al nuovo governo da loro nominato. Da questa prospettiva la situazione è migliore di quanto lo sia stata dopo l’11 febbraio 2011, quando per mesi solo i Socialisti Rivoluzionari e pochi altri singoli attivisti lottavano contro lo SCAF.

Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi abbiamo l’opportunità di attrarre alcuni di questi rivoluzionari per rafforzare le nostre fila ed avere un ruolo più stabile nelle prossime ondate della rivoluzione. Contemporaneamente vogliamo anche integrare i lavoratori ed i poveri che hanno fatto la rivoluzione ed hanno partecipato all’ondata del 30 giugno per ottenere quegli obiettivi che non si sono realizzati. È della massima importanza rianimare il progetto del Fronte Rivoluzionario con quei partiti di sani principi che non sono finiti delle braccia dello stato e del nuovo governo e che non si sono nemmeno alleati con gli islamisti,ma bensì hanno sempre cercato di portare avanti gli obiettivi della Rivoluzione Egiziana.

I Socialisti Rivoluzionari

Egitto, 15 agosto 2013

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REPORTAGE DI UNA RIVOLUZIONE

REPORTAGE DI UNA RIVOLUZIONE Da Dahab, Egitto + dal Cairo Di Sonia Serravalli (autrice de “L’oro di Dahab” – Premio Rhegium Julii 2007 – e di “Se baci la rivoluzione”, IBUC Edizioni, gennaio 2012) Gennaio 2011, l’inizio. Durante la rivoluzione: … Continue reading

REPORTAGE DI UNA RIVOLUZIONE

REPORTAGE DI UNA RIVOLUZIONE Da Dahab, Egitto + dal Cairo Di Sonia Serravalli (autrice de “L’oro di Dahab” – Premio Rhegium Julii 2007 – e di “Se baci la rivoluzione”, IBUC Edizioni, gennaio 2012) Gennaio 2011, l’inizio. Durante la rivoluzione: … Continue reading

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REPORTAGE DI UNA RIVOLUZIONE Da Dahab, Egitto + dal Cairo Di Sonia Serravalli (autrice de “L’oro di Dahab” – Premio Rhegium Julii 2007 – e di “Se baci la rivoluzione”, IBUC Edizioni, gennaio 2012) Gennaio 2011, l’inizio. Durante la rivoluzione: … Continue reading

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REPORTAGE DI UNA RIVOLUZIONE Da Dahab, Egitto + dal Cairo Di Sonia Serravalli (autrice de “L’oro di Dahab” – Premio Rhegium Julii 2007 – e di “Se baci la rivoluzione”, IBUC Edizioni, gennaio 2012) Gennaio 2011, l’inizio. Durante la rivoluzione: … Continue reading

Reciproci feedback

Sono molte le persone che in questi giorni mi mandano lettere o messaggi privati lusinghieri. Vi ringrazio di cuore e dico agli italiani tra questi che come voi siete fieri di me, io lo sono di voi, in quanto ritengo … Continue reading

Reciproci feedback

Sono molte le persone che in questi giorni mi mandano lettere o messaggi privati lusinghieri. Vi ringrazio di cuore e dico agli italiani tra questi che come voi siete fieri di me, io lo sono di voi, in quanto ritengo … Continue reading

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Sono molte le persone che in questi giorni mi mandano lettere o messaggi privati lusinghieri. Vi ringrazio di cuore e dico agli italiani tra questi che come voi siete fieri di me, io lo sono di voi, in quanto ritengo … Continue reading

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Guardare l’Egitto e ricordare l’Algeria

(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi) Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino? L’altro giorno su Facebook ho visto…

Guardare l’Egitto e ricordare l’Algeria

(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi) Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino? L’altro giorno su Facebook ho visto…

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(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi) Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino? L’altro giorno su Facebook ho visto…

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(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi) Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino? L’altro giorno su Facebook ho visto…

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(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi) Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino? L’altro giorno su Facebook ho visto…

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(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi) Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino? L’altro giorno su Facebook ho visto…

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(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi) Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino? L’altro giorno su Facebook ho visto…

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(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi) Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino? L’altro giorno su Facebook ho visto…

Guardare l’Egitto e ricordare l’Algeria


Guardare l'Egitto e ricordare l'Algeria

(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi)

Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino?

L’altro giorno su Facebook ho visto un post di un famoso blogger egiziano, Wael Abbas, che diceva: “benvenuti in Algeria!”. Qualche giorno dopo mentre ero in macchina la “redazione esteri” di Radio Popolare (capeggiata da un giornalista di origine algerina, Chaouki Senoussi) tentò una analisi in cui spiegava sostanzialmente che “la situazione egiziana non è paragonabile a quella algerina del 1992 perché all’epoca in Algeria gli Islamisti non avevano la maggioranza.”

Ed è tutto un ping-pong di opinioni sul web e sui giornali tra chi sostiene che i due scenari siano uguali e chi sostiene il contrario.

Sicuramente sentendo, vedendo quello che succede in Egitto tutti i giorni, non posso fermare il mio pensiero dal volare verso quei giorni traumatici vissuti tra il 1991 e il 1992.

Nel 1988 ci fu una insurrezione generale. Che non assomigliava nella forma a quelle di che in questi anni hanno messo fine ad alcuni regimi arabi. I tempi erano diversi. L’Algeria era un paese socialista (almeno ufficialmente) e se non faceva parte del blocco sovietico era comunque alla sinistra dell’organizzazione dei non allineati. Il ghiaccio della guerra fredda si stava sciogliendo e il “wind of change”, come canteranno gli “Scorpions” 3 anni dopo, il vento del cambiamento cominciava a soffiare. Ma invece di svegliare le masse sottomesse alle dittature svegliò prima l’appetito vorace delle leadership corrotte: Era ora di sbarazzarsi del guscio socialista per far fruttare le fortune e il potere acquisiti in quel contesto ormai svuotato di significato e di fascino in quello del capitalismo.

Il terrore poliziesco era arrivato alle stelle. Il cantante dissidente Matoub Lounes cantava: «Due Lettere instaurano la paura: S e M. Siamo terrorizzati anche in pieno giorno». SM erano le iniziali di “Sécurité Militaire”, i servizi segreti. Ma ciò nonostante il fronte sociale era caldo, c’erano scioperi e manifestazioni, sempre duramente represse, un po’ ovunque. L’inflazione era alle stelle. Lo stipendio medio permetteva giusto di comprare le cose vendute a prezzo sostenuto nei negozi di stato. Peccato che questi erano quasi sempre vuoti. La rendita degli idrocarburi che aveva assicurato un benessere relativo per anni era entrata in crisi. I paesi del Golfo Persico stavano inondando il mercato sotto milioni di barili di petrolio al giorno. Iran e Iraq che erano in guerra lo facevano per sostenere lo sforzo bellico. Le monarchie arabe semplicemente per destabilizzare il mercato a loro favore. Il petrolio era sceso sotto la soglia dei venti dollari al barile. Per paesi che non avevano la capacità produttiva della penisola araba e popolazioni molto più numerose furono anni duri. E l’Algeria era una di quelli.


Guardare l'Egitto e ricordare l'Algeria

Il 5 ottobre 1988 è tutto il sistema che entra in collasso. È l’insurrezione generale. Ma le scintille scatenanti partono da dentro il regime stesso. Chadli Bendjedid, l’allora presidente della repubblica in un discorso alla nazione in TV invita la gente a sollevarsi se vogliono il cambiamento. Tante città del paese sono messe a fuoco da bande di cittadini furiosi. Davanti all’incapacità delle unità antisommosse della polizia a ripristinare l’ordine, l’esercito esce nelle strade e la repressione si fa spietata. I militari sparano abbondantemente sulla folla.: si parla di 500 a 800 morti. Migliaia i feriti, arresti e tortura in numeri considerevoli.

Ma oltre l’invito a sollevarsi lanciato in televisione dal presidente, ci sono tante altre stranezze nell’insurrezione del 1988.

Uno: l’onda coinvolge tutto il Nord del paese, stranamente, tranne la Cabilia, regione sempre pronta a scattare;

Due: gli attivisti dei movimenti di sinistra, tra cui lo scrittore Kateb Yacine, sono arrestati la vigilia dell’inizio degli scontri; ( Abed Charef, Algérie ’88 Un chahut de gamins.? Laphomic, Alger, 1990 ).

Tre: Mentre la repressione preventiva si abbatte sugli attivisti di sinistra, gli integralisti del futuro Fronte Islamico della Salvezza (FIS) hanno tutta la libertà di movimento di cui hanno bisogno e riescono ad organizzare una manifestazione durante il coprifuoco generale e a recuperare così a loro profitto la rabbia dei giovani, delle vittime della tortura e delle famiglie dei caduti.

Quelli eventi segnano due grandi cambiamenti: proclamazione della liberalizzazione della politica e soprattutto dell’economia e l’entrata in campo degli islamisti come attori politici di primo piano.

Dopo le riforme politiche, il paese entra in una vera fase euforica. Ci sembra di essere usciti definitivamente dal tunnel. La parola “dimuqratiya”, democrazia, si mangiava a tutte le salse. I partiti politici crescono come funghi, i chioschi a giornale che finora vendevano solo quelli del partito esibiscono una miriade di nuove testate. La tv e la radio nazionale si apre alle opposizioni o almeno fa finta di farlo. Si parla di politica ovunque… Ma la doccia fredda non tarda ad arrivare.


Guardare l'Egitto e ricordare l'Algeria

(Foto: il figlio di Ali Benhadj arringa la folla)
Mi ricordo come oggi del 12 giugno 1990. Ci sono state le prime (e ultime)elezioni amministrative libere . Avevo monitorato lo spoglio delle schede nel nostro comune e quando uscì vittorioso il Fronte delle Forze Socialiste (FFS), anche se non sono mai stato uno di loro, visto che militavo molto più a sinistra, sono andato a festeggiare la vittoria con i suoi elettori. Quello che si festeggiava non era la vittoria di quel partito, ma la meraviglia di vedere finalmente una elezione non teleguidata. Ma il mattino del 13 ci aspettava uno choc. Il Fronte Islamico della Salvezza aveva letteralmente conquistato il paese: 54% di voti, maggioranza in 46% dei consigli municipali e 55% dei consigli di Wilayat (Province).

Dopo quello tsunami il sogno era finito e poco poco scivolò verso l’incubo. Le pressioni da parte dei militari obbligano il governo a rimandare la data delle legislative. Gli islamisti sicuri di vincerle cominciano un vero braccio di ferro. Sciopero generale, Sit-in nelle piazze di Algeri. Una situazione che durò varie settimane fin quando interviene l’esercito a sgomberare le piazze e fa arrestare alcuni membri della direzione del Fronte Islamico della Salvezza. Tra gli arrestati i due principali leader, rappresentanti delle principali correnti del Fronte: Abbassi Madani (presidente del consiglio direttivo e figura “moderata”) e Ali Behhadj (vice presidente e leader carismatico dell’ala dura del movimento).


Guardare l'Egitto e ricordare l'Algeria

Nel frattempo molte cose sono successe anche a livello internazionale. Il Fronte Islamico era sostenuto e finanziato dalle monarchie del Golfo Persico (sempre loro, sì). Nella notte del 2 agosto 1990 l’esercito iracheno invade il Kuwait. La direzione del Fis è ovviamente per il sostegno della monarchia islamica contro il mostro laico iracheno. Ma nel meeting che organizzano in una sala polisportiva di Algeri per annunciare la linea da seguire trovano una sala scaldata a bianco, ma lo slogan cantato è: “Ya Saddam Ya habib /damar damar Tal Abib!”, (Saddam amato nostro /distruggi distruggi Tel-Aviv). Il militante medio del Fis di quelli anni era in genere un islamista di fresca data. L’Islam politico fino agli anni 90 aveva poco pubblico in Algeria. E i giovani che erano entrati in massa nel partito di Dio, più per ripicca contro le repressioni che per altro, erano cresciuti come tutti noi a pane e anti-imperialismo. E per tutti noi le monarchie del Golfo erano la mano dell’imperialismo americano nella regione, punto e basta. La direzione del Fis era davanti a un dilemma: sostenere il Kuwait e perdere la base o sostenere Saddam e perdere i petrodollari. Preferirono la base. Il Fis ne usci indebolito economicamente ma più popolare che mai.

Dopo la repressione il governo organizzò lo stesso le elezioni legislative, con qualche mese di ritardo e con i leader del Fis in carcere. Il 26 dicembre 1991 fu un nuovo tsunami, più grande del primo. Al primo turno avevano già il 48% dei seggi parlamentari, ed erano in ballottaggio in molte province. Era chiaro che se ci fosse stato il secondo turno avrebbero vinto la maggioranza assoluta. Si parla ovunque di pressioni e brogli. Mohamed Said, uno dei nuovi leader della nuova direzione annuncia che “gli algerini si devono preparare ad un cambiamento nel modo di vivere.” L’ombra della polizia religiosa, come in Arabia Saudita, planava sulle strade di Algeri.

L’11 gennaio 1992 l’esercito occupa le piazze. Il Presidente Chadli Bendjedid è costretto a dimettersi. L’esercito nomina un governo provvisorio e chiama a dirigerlo un eroe della guerra di liberazione che aveva vissuto fin a quel momento in esilio: Mohammad Boudiaf. Il Fis è sciolto per decisione giudiziaria e decine di migliaia di militanti e eletti locali del movimento sono deportati senza processo verso dei campi di tende in mezzo al deserto. Il seguito lo sappiamo: lacrime e sangue per quasi due decenni.

————————————

Quali domande mi suscita la situazione egiziana di oggi? Quali elementi di risposta mi possono venire in mente? Leggere su Almablog

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(Foto: Bambini vestiti di sudari sfilano per Morsi)

Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino?

L’altro giorno su Facebook ho visto un post di un famoso blogger egiziano, Wael Abbas, che diceva: “benvenuti in Algeria!”. Qualche giorno dopo mentre ero in macchina la “redazione esteri” di Radio Popolare (capeggiata da un giornalista di origine algerina, Chaouki Senoussi) tentò una analisi in cui spiegava sostanzialmente che “la situazione egiziana non è paragonabile a quella algerina del 1992 perché all’epoca in Algeria gli Islamisti non avevano la maggioranza.”

Ed è tutto un ping-pong di opinioni sul web e sui giornali tra chi sostiene che i due scenari siano uguali e chi sostiene il contrario.

Sicuramente sentendo, vedendo quello che succede in Egitto tutti i giorni, non posso fermare il mio pensiero dal volare verso quei giorni traumatici vissuti tra il 1991 e il 1992.

Nel 1988 ci fu una insurrezione generale. Che non assomigliava nella forma a quelle di che in questi anni hanno messo fine ad alcuni regimi arabi. I tempi erano diversi. L’Algeria era un paese socialista (almeno ufficialmente) e se non faceva parte del blocco sovietico era comunque alla sinistra dell’organizzazione dei non allineati. Il ghiaccio della guerra fredda si stava sciogliendo e il “wind of change”, come canteranno gli “Scorpions” 3 anni dopo, il vento del cambiamento cominciava a soffiare. Ma invece di svegliare le masse sottomesse alle dittature svegliò prima l’appetito vorace delle leadership corrotte: Era ora di sbarazzarsi del guscio socialista per far fruttare le fortune e il potere acquisiti in quel contesto ormai svuotato di significato e di fascino in quello del capitalismo.

Il terrore poliziesco era arrivato alle stelle. Il cantante dissidente Matoub Lounes cantava: «Due Lettere instaurano la paura: S e M. Siamo terrorizzati anche in pieno giorno». SM erano le iniziali di “Sécurité Militaire”, i servizi segreti. Ma ciò nonostante il fronte sociale era caldo, c’erano scioperi e manifestazioni, sempre duramente represse, un po’ ovunque. L’inflazione era alle stelle. Lo stipendio medio permetteva giusto di comprare le cose vendute a prezzo sostenuto nei negozi di stato. Peccato che questi erano quasi sempre vuoti. La rendita degli idrocarburi che aveva assicurato un benessere relativo per anni era entrata in crisi. I paesi del Golfo Persico stavano inondando il mercato sotto milioni di barili di petrolio al giorno. Iran e Iraq che erano in guerra lo facevano per sostenere lo sforzo bellico. Le monarchie arabe semplicemente per destabilizzare il mercato a loro favore. Il petrolio era sceso sotto la soglia dei venti dollari al barile. Per paesi che non avevano la capacità produttiva della penisola araba e popolazioni molto più numerose furono anni duri. E l’Algeria era una di quelli.


Guardare l'Egitto e ricordare l'Algeria

Il 5 ottobre 1988 è tutto il sistema che entra in collasso. È l’insurrezione generale. Ma le scintille scatenanti partono da dentro il regime stesso. Chadli Bendjedid, l’allora presidente della repubblica in un discorso alla nazione in TV invita la gente a sollevarsi se vogliono il cambiamento. Tante città del paese sono messe a fuoco da bande di cittadini furiosi. Davanti all’incapacità delle unità antisommosse della polizia a ripristinare l’ordine, l’esercito esce nelle strade e la repressione si fa spietata. I militari sparano abbondantemente sulla folla.: si parla di 500 a 800 morti. Migliaia i feriti, arresti e tortura in numeri considerevoli.

Ma oltre l’invito a sollevarsi lanciato in televisione dal presidente, ci sono tante altre stranezze nell’insurrezione del 1988.

Uno: l’onda coinvolge tutto il Nord del paese, stranamente, tranne la Cabilia, regione sempre pronta a scattare;

Due: gli attivisti dei movimenti di sinistra, tra cui lo scrittore Kateb Yacine, sono arrestati la vigilia dell’inizio degli scontri; ( Abed Charef, Algérie ’88 Un chahut de gamins.? Laphomic, Alger, 1990 ).

Tre: Mentre la repressione preventiva si abbatte sugli attivisti di sinistra, gli integralisti del futuro Fronte Islamico della Salvezza (FIS) hanno tutta la libertà di movimento di cui hanno bisogno e riescono ad organizzare una manifestazione durante il coprifuoco generale e a recuperare così a loro profitto la rabbia dei giovani, delle vittime della tortura e delle famiglie dei caduti.

Quelli eventi segnano due grandi cambiamenti: proclamazione della liberalizzazione della politica e soprattutto dell’economia e l’entrata in campo degli islamisti come attori politici di primo piano.

Dopo le riforme politiche, il paese entra in una vera fase euforica. Ci sembra di essere usciti definitivamente dal tunnel. La parola “dimuqratiya”, democrazia, si mangiava a tutte le salse. I partiti politici crescono come funghi, i chioschi a giornale che finora vendevano solo quelli del partito esibiscono una miriade di nuove testate. La tv e la radio nazionale si apre alle opposizioni o almeno fa finta di farlo. Si parla di politica ovunque… Ma la doccia fredda non tarda ad arrivare.


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(Foto: il figlio di Ali Benhadj arringa la folla)
Mi ricordo come oggi del 12 giugno 1990. Ci sono state le prime (e ultime)elezioni amministrative libere . Avevo monitorato lo spoglio delle schede nel nostro comune e quando uscì vittorioso il Fronte delle Forze Socialiste (FFS), anche se non sono mai stato uno di loro, visto che militavo molto più a sinistra, sono andato a festeggiare la vittoria con i suoi elettori. Quello che si festeggiava non era la vittoria di quel partito, ma la meraviglia di vedere finalmente una elezione non teleguidata. Ma il mattino del 13 ci aspettava uno choc. Il Fronte Islamico della Salvezza aveva letteralmente conquistato il paese: 54% di voti, maggioranza in 46% dei consigli municipali e 55% dei consigli di Wilayat (Province).

Dopo quello tsunami il sogno era finito e poco poco scivolò verso l’incubo. Le pressioni da parte dei militari obbligano il governo a rimandare la data delle legislative. Gli islamisti sicuri di vincerle cominciano un vero braccio di ferro. Sciopero generale, Sit-in nelle piazze di Algeri. Una situazione che durò varie settimane fin quando interviene l’esercito a sgomberare le piazze e fa arrestare alcuni membri della direzione del Fronte Islamico della Salvezza. Tra gli arrestati i due principali leader, rappresentanti delle principali correnti del Fronte: Abbassi Madani (presidente del consiglio direttivo e figura “moderata”) e Ali Behhadj (vice presidente e leader carismatico dell’ala dura del movimento).


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Nel frattempo molte cose sono successe anche a livello internazionale. Il Fronte Islamico era sostenuto e finanziato dalle monarchie del Golfo Persico (sempre loro, sì). Nella notte del 2 agosto 1990 l’esercito iracheno invade il Kuwait. La direzione del Fis è ovviamente per il sostegno della monarchia islamica contro il mostro laico iracheno. Ma nel meeting che organizzano in una sala polisportiva di Algeri per annunciare la linea da seguire trovano una sala scaldata a bianco, ma lo slogan cantato è: “Ya Saddam Ya habib /damar damar Tal Abib!”, (Saddam amato nostro /distruggi distruggi Tel-Aviv). Il militante medio del Fis di quelli anni era in genere un islamista di fresca data. L’Islam politico fino agli anni 90 aveva poco pubblico in Algeria. E i giovani che erano entrati in massa nel partito di Dio, più per ripicca contro le repressioni che per altro, erano cresciuti come tutti noi a pane e anti-imperialismo. E per tutti noi le monarchie del Golfo erano la mano dell’imperialismo americano nella regione, punto e basta. La direzione del Fis era davanti a un dilemma: sostenere il Kuwait e perdere la base o sostenere Saddam e perdere i petrodollari. Preferirono la base. Il Fis ne usci indebolito economicamente ma più popolare che mai.

Dopo la repressione il governo organizzò lo stesso le elezioni legislative, con qualche mese di ritardo e con i leader del Fis in carcere. Il 26 dicembre 1991 fu un nuovo tsunami, più grande del primo. Al primo turno avevano già il 48% dei seggi parlamentari, ed erano in ballottaggio in molte province. Era chiaro che se ci fosse stato il secondo turno avrebbero vinto la maggioranza assoluta. Si parla ovunque di pressioni e brogli. Mohamed Said, uno dei nuovi leader della nuova direzione annuncia che “gli algerini si devono preparare ad un cambiamento nel modo di vivere.” L’ombra della polizia religiosa, come in Arabia Saudita, planava sulle strade di Algeri.

L’11 gennaio 1992 l’esercito occupa le piazze. Il Presidente Chadli Bendjedid è costretto a dimettersi. L’esercito nomina un governo provvisorio e chiama a dirigerlo un eroe della guerra di liberazione che aveva vissuto fin a quel momento in esilio: Mohammad Boudiaf. Il Fis è sciolto per decisione giudiziaria e decine di migliaia di militanti e eletti locali del movimento sono deportati senza processo verso dei campi di tende in mezzo al deserto. Il seguito lo sappiamo: lacrime e sangue per quasi due decenni.

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Di: Anna Maria Corsini

Nella primavera 2009 ho visitato il monastero di Marmuse e ne sono rimasta ammirata per la bellezza del luogo e soprattutto della sua cura. Questa terra mi è rimasta nel cuore. Credo che il dialogo intereligioso ed interculturale sia la strada più importante per arrivare ad affermare la giustizia e quindi la pace.
Abito a Crotone e faccio parte di un’associazione che si occupa della formazione culturale delle persone e di altro…Mia figlia ha partecipato ad un incontro tenuto da Eva Ziedan e Lorenzo Trombetta a Verona, questa primavera, organizzato dall’associazione 2 facce. Siamo amici con Silvano, Alessandro e Paola del monastero del bene comune, di Sezano.
Vorremmo entrare in contatto con Eva e Lorenzo per organizzare qualche incontro insieme qui in Calabria.
Vi ringrazio ed attendo una vostra risposta
Anna

La campagna informativa dall’interno

I TG italiani stanno diffondendo da settimane (e la situazione sta peggiorando), DATI FALSI sull’Egitto (numeri falsi, ruoli invertiti, ecc.). Per chi ne vuole sapere di più, seguiteci sul gruppo “La verità sull’Egitto dopo il 30 giugno” (la sottoscritta, Marco … Continue reading

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Tell al Zaater, agosto 1976: 3000 morti palestinesi per mano siriana

3000 cadaveri…un migliaio in più di quelli di Sabra e Chatila: il paese è lo stesso, il Libano, ed anche il sangue è lo stesso, sangue palestinese, sangue di profughi palestinesi. La mano non è la stessa però: mentre a Sabra e Chatila i quasi duemila morti vengono fatti sotto ordine israeliano ( a gestire […]

Tell al Zaater, agosto 1976: 3000 morti palestinesi per mano siriana

3000 cadaveri…un migliaio in più di quelli di Sabra e Chatila: il paese è lo stesso, il Libano, ed anche il sangue è lo stesso, sangue palestinese, sangue di profughi palestinesi. La mano non è la stessa però: mentre a Sabra e Chatila i quasi duemila morti vengono fatti sotto ordine israeliano ( a gestire […]

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3000 cadaveri…un migliaio in più di quelli di Sabra e Chatila: il paese è lo stesso, il Libano, ed anche il sangue è lo stesso, sangue palestinese, sangue di profughi palestinesi. La mano non è la stessa però: mentre a Sabra e Chatila i quasi duemila morti vengono fatti sotto ordine israeliano ( a gestire […]

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Tell al Zaater, agosto 1976: 3000 morti palestinesi per mano siriana

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Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

paologonzaga 2013-08-01 07:27:55

Questa foto è diventata virale nei giorni precedenti. L’ex-Presidente Nasser stringe la mano ad un presunto giovane El Sissi Dallo schermo alla piazza, la distanza è breve. Prima di arrivare nelle strade egiziane, la polarizzazione tra islamisti e loro oppositori si è vista sugli schermi delle emittenti televisive. Da settimane infatti i canali privati che […]

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Un pò di umorismo

Dopo un periodo che non usavo il mio blog, ritorno a postare. Per riprendere inizierei con delle vignette della famosa Do’a El ‘Adl, disegnatrice rivoluzionaria perseguitata dai governi che si sono successi dopo la rivoluzione, prima lo SCAF, il Consiglio Supremo delle Forze Armate e poi il governo Mursi. E’ stata denunciata per insulti al […]

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