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Mese: novembre 2016
Le voci degli invisibili di Falerna
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Le voci degli invisibili di Falerna
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Detenzioni sparizioni eliminazione. I migranti tra censura e nuova narrazione
Il 12 novembre 2016 si è svolto a Vicenza il convegno “Stato di Guerra e Guerra ai Migranti.
Cosa c’è dietro l’icona di Fidel Castro?
La figura del rivoluzionario e politico cubano rimarrà nella memoria come un emblema della sinistra, ma per i suoi detrattori resterà un esempio della dittatura e della violazione dei diritti umani
L’articolo Cosa c’è dietro l’icona di Fidel Castro? sembra essere il primo su Arabpress.
Budapest recrute trois mille chasseurs frontaliers
publié dans HULALA Media francofono di base in Ungheria, a Budapest, dal 2009, Hulala copre oggi tutta l’Europa centrale, con una squadra…
Francia primo paese europeo a etichettare merci da insediamenti israeliani
Dal blog Europa e mondo arabo di Roberta Papaleo
L’articolo Francia primo paese europeo a etichettare merci da insediamenti israeliani sembra essere il primo su Arabpress.
Siria: i ribelli hanno i giorni contatti
L’avanzata dell’esercito siriano sta mettendo a dura prova la resistenza dei ribelli ad Aleppo
L’articolo Siria: i ribelli hanno i giorni contatti sembra essere il primo su Arabpress.
Poly Bridge
Chronicle Keepers The Dreaming Garden
Spy Bugs
Loot Hero DX
Redemption Eternal Quest
Street Arena
Wave of Darkness
Victor Vran
Gryphon Knight Epic
Grey Goo
Legend of Kay Anniversary
Dream
Industry giant II
Mos Speedrun 2
Airscape The Fall of the Gravity
Klaus Ps4
Professional Farmer 2017
Internet e mondo arabo
LEGO Dimensions disponibile in Italia!
CON BATTLEFIELD™ 1 GIOCATORI PROTAGONISTI IN TV SU DMAX
Dai talebani all’ISIS: Dispersione del fronte insurrezionale e terrorismo (Conferenza SIOI)
Dai talebani all’ISIS: Dispersione del fronte insurrezionale e terrorismo (Conferenza SIOI)
Molte novità in materia di lavoro stagionale sono entrate in vigore il 24 novembre con il decreto…
Il 24 novembre il ministero dell’Interno ha inviato a tutte le prefetture una circolare che spiega cosa è cambiato.
In particolare nella…
Tronismo di massa e sestessità scatologica: la cifra stilistica del populismo quotidiano, da Titti Brunetta a Lapo Elkann, via Maria Feliziani
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Lorenzo. La cosa che mi ha più colpito dell’intervista a Titti Brunetta è stata questa frase: “Non ho giocato, ero io con il mio animo, le mie passioni politiche, il mio impegno civile e i miei rapporti di affettività.…
Tronismo di massa e sestessità scatologica: la cifra stilistica del populismo quotidiano, da Titti Brunetta a Lapo Elkann, via Maria Feliziani è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
Tronismo di massa e sestessità scatologica: la cifra stilistica del populismo quotidiano, da Titti Brunetta a Lapo Elkann, via Maria Feliziani
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Lorenzo. La cosa che mi ha più colpito dell’intervista a Titti Brunetta è stata questa frase: “Non ho giocato, ero io con il mio animo, le mie passioni politiche, il mio impegno civile e i miei rapporti di affettività.…
Tronismo di massa e sestessità scatologica: la cifra stilistica del populismo quotidiano, da Titti Brunetta a Lapo Elkann, via Maria Feliziani è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
Tronismo di massa e sestessità scatologica: la cifra stilistica del populismo quotidiano, da Titti Brunetta a Lapo Elkann, via Maria Feliziani
di Lorenzo Declich e Anatole Pierra Fuksas
Lorenzo. La cosa che mi ha più colpito dell’intervista a Titti Brunetta è stata questa frase: “Non ho giocato, ero io con il mio animo, le mie passioni politiche, il mio impegno civile e i miei rapporti di affettività.…
Tronismo di massa e sestessità scatologica: la cifra stilistica del populismo quotidiano, da Titti Brunetta a Lapo Elkann, via Maria Feliziani è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
Il rinnovo del permesso di soggiorno
In via generale la normativa prevede che lo straniero, al momento del rinnovo, debba essere in possesso dei requisiti previsti per l…
Costa libica: meno navi di soccorso più persone a rischio. Gli effetti dei nuovi accordi
Ripiegamento delle navi umanitarie dopo il rafforzamento dei rapporti tra EUNAVFOR MED e Guardia Costiera libica.
Taranto: #Nohotspot né qui né altrove — Confronto con stampa e attivisti
Condividi e promuovi l’iniziativa
No hotspot, né qui né altrove
Abbiamo letto con inquietudine il rapporto di Amnesty International…
La guerra fredda tra Kabul e Islamabad
Il generale Qamar Javed Bajwa ha preso il posto del generale Raheel Sharif a capo delle forze armate pachistane in un momento di grandi tensioni con India e Afghanistan. Prende il comando dopo l’ultima querelle tra Kabul e Islamabad che riguarda il recente attacco del gruppo settario pachistano Lashkar-i-Jhangvi (LJ) all’accademia di polizia di Quetta il 25 ottobre scorso con un bilancio di oltre sessanta morti. Benché l’attentato sia stato rivendicato dallo Stato Islamico e messo in atto da un gruppo radicale nato nel Punjab pachistano e con un passato settario e sanguinario soprattutto in Belucistan (provincia di cui Quetta è la capitale), l’intelligence di Islamabad ha, seppur indirettamente, accusato Kabul. Le intercettazioni telefoniche dei membri del commando avrebbero rivelato, secondo Islamabad, che il cervello dell’operazione stava in Afghanistan.
Non è la prima volta che si sentono accuse simili. Una sorta di gara a dimostrare – non senza qualche ragione – che i gruppi che si muovono sul poroso confine tra i due Stati trovano, ora in Afghanistan ora soprattutto in Pakistan, il proprio “rifugio” sicuro. Il santuario da cui muovere o coordinare gli attentati nel Paese confinante. Questa tensione è andata crescendo nel tempo dall’agosto del 2015 – quando una serie di attentati in Afghanistan ha fatto da corollario al naufragio di un neonato tentativo negoziale – e accuse, ritorsioni, minacce tra i due Paesi hanno conosciuto una nuova stagione: aspra e dai tratti durissimi. Non solo nei toni. Pakistan e Afghanistan si creano problemi alla frontiera per il transito delle rispettive mercanzie; i servizi segreti anziché collaborare nascondono le informazioni; i governi si accusano vicendevolmente di ospitare e proteggere i terroristi; il Pakistan infine ha iniziato l’espulsione di un milione di afgani indocumentati che vivono oltre frontiera da decenni. La cosa (le espulsioni hanno già raggiunto quota 400mila) mette in difficoltà Kabul che ha già a che fare con oltre un milione di sfollati interni e ha appena firmato un accordo con l’Unione europea sui rimpatri forzati di afgani senza visto che prevede l’arrivo a Kabul di almeno 80mila persone nei prossimi sei mesi.
Benché raramente si metta l’accento sull’importanza dei rapporti tra Islamabad e Kabul, in questi mesi la tensione tra i due Paesi è così elevata da costituire forse il principale macigno sul futuro di un processo di pace che dovrebbe portare a negoziare il governo d Ashraf Ghani coi talebani di mullah Akhundzada. Come abbiamo visto c’è un primo elemento di contenzioso che riguarda i “santuari”. Il Pakistan ne ha sempre forniti ai talebani (a Quetta, nel Waziristan e in genere nelle aree tribali) e l’Afghanistan sta facendo adesso la stessa cosa, ad esempio con mullah Fazlullah, il leader dei talebani pachistani (Tehrek-e-Taliban Pakistan/ Ttp), che sarebbe “tollerato” oltrefrontiera. L’altro problema riguarda il processo negoziale in sé. Islamabad vorrebbe controllarlo e, se non aver l’ultima parola, garantirsi a Kabul un governo amico (non, come ora, un esecutivo in buoni rapporti con l’India).
Se sul primo punto siamo a bocce ferme (e l’espulsione di 400mila afgani lo conferma) sul secondo andiamo ancora peggio. Il processo negoziale che nell’estate di un anno fa era cominciato faticosamente a Murree in Pakistan sotto l’egida di Islamabad, si è poi arenato dopo l’annuncio della morte di mullah Omar sostituito, con diversi problemi interni al movimento talebano, da mullah Mansur (considerato molto filo pachistano), ucciso poi da un drone americano nel maggio del 2016. La sua morte sembrava aver affossato ogni possibile apertura negoziale e aveva visto una recrudescenza degli attacchi talebani – al cui comando è adesso mullah Akhundzada – volti a vendicare la morte dei due suoi leader.
Il negoziato coi talebani (il governo ha già firmato un accordo col gruppo guerrigliero di Gulbuddin Hekmatyaar) avrebbero però marciato sotto traccia tanto che, in ottobre, il quotidiano britannico The Guardian ha dato notizia di due incontri a settembre e ottobre a Doha, dove ha sede l'”ambasciata” del movimento guerrigliero. I talebani hanno smentito che vi siano stati colloqui di pace col governo ma la notizia è stata poi confermata da Kabul anche se in forma ufficiosa. A quanto si sa a questi incontri avrebbe partecipato per il governo afgano Mohammad Hanif Atmar, National Security Advisor del presidente Ashraf Ghani, e Mohammad Masum Stanekzai, a capo del National Directorate of Security (NDS, i servizi afgani). Per i talebani vi sarebbe stato tra gli altri mullah Abdul Manan Akhund, fratello di mullah Omar e in futuro vi potrebbe partecipare anche il figlio di Omar, Mohammad Yaqub. Infine sarebbe stato presente un diplomatico americano, cosa indirettamente confermata dall’ambasciata statunitense in Afganistan. Insomma c’erano tutti tranne i pachistani. Poi però i talebani hanno inviato una delegazione ufficiale in Pakistan (mullah Salam Hanifi e mullah Jan Mohammed, già ministri dell’emirato di Omar, con maulvi Shahabuddin Dilawar, ex ambasciatore talebano) per “informare” Islamabad su quanto avvenuto a Doha.
Se la missione diplomatica talebana abbia ricucito non è chiaro né è chiaro cosa riserverà il futuro. Lo spiraglio è ancora debole e compromesso da troppe frizioni, interrogativi, tensioni. Vale la pena di aggiungere al quadro la lettera che ha scritto a mullah Akhundzada l’ex portavoce di mullah Omar, Tayyeb Agha, già responsabile dell’ufficio di Doha prima di dimettersi dall’incarico per contrasti con Mansur. Tayyeb Aga scrive al capo talebano che dovrebbe abbandonare il titolo di Amir al-Muminin e che persino la qualifica Emirato andrebbe sostituita da un termine più modesto: “movimento”, dal momento che per ora i talebani non controllano né tutto il Paese né la capitale. Aga chiede alla leadership, che rimprovera di stare per lo più oltre frontiera, di rinunciare alla violenza e alla coercizione che, dice Tayyeb, viene utilizzata per compattare i ranghi. “All the mujahedin fighters should be ordered to cease killing our opponents inside mosques and stop killing prisoners… Stop killing people under suspicion traveling on roads. Stop bombing bridges, roads, and other similar places. Stop killing aid and construction workers who are helping our nation and building our homeland” (la traduzione inglese dal pashto è di Radio Free Europe). La lettera è importante perché dà conto di un dibattito interno che tende ad allargarsi a temi non solo prettamente militari. Tayyeb Agha – che resta una figura di rilievo – critica infatti anche i troppi legami coi servizi segreti pachistani e iraniani e mette il dito nella piaga degli “stranieri”: “It is imperative to stop the flow of non-Afghan fighters and control their activities”. Ce n’è per lo Stato islamico ma anche per ceceni o uzbeki e anche per i talebani pachistani del Ttp.
Questo quadro è purtroppo sempre accompagnato da una preoccupante cornice: Unama, la missione Onu a Kabul, ha reso noto il bilancio complessivo delle vittime civili nel 2015: 11.002 (3.545 morti, 7.457 feriti). I dati mostrano un incremento complessivo del 4% rispetto al 2014 con un trend impressionante di crescita (nel 2009 i morti erano stati 2.412). Quanto ai soldati dell’esercito afgano, anche qui le cifre sono pesanti: tra gennaio e agosto 2016 – secondo fonti americane – sono stati uccisi 5.523 tra soldati e poliziotti e i feriti sono stati 9.665. Cifre cui bisogna aggiungere i caduti tra la guerriglia di cui non ci sono dati certi. A completare il quadro, sono stati pubblicati i dati sulla produzione di oppio, fonte di finanziamento dei talebani ma anche zoccolo duro della criminalità organizzata nazionale e transnazionale. Secondo l’Agenzia per la droga e il crimine (Unodc), il 2016 vede un incremento del 10% delle aree coltivate col papavero (da 74mila ettari a oltre 81.300). La produzione dovrebbe invece registrare un aumento addirittura del 43%: da 3.300 metri cubi nel 2015 a 4.800 quest’anno.
A questo quadro si può aggiungere il costo della guerra che il governo, solo negli ultimi due mesi, ha stimato a oltre 26 milioni di euro: a farne le spese 300 scuole, 41 centri sanitari, 7mila case, 50 moschee, 170 ponti e cento chilometri di strada.
La guerra fredda tra Kabul e Islamabad
Il generale Qamar Javed Bajwa ha preso il posto del generale Raheel Sharif a capo delle forze armate pachistane in un momento di grandi tensioni con India e Afghanistan. Prende il comando dopo l’ultima querelle tra Kabul e Islamabad che riguarda il recente attacco del gruppo settario pachistano Lashkar-i-Jhangvi (LJ) all’accademia di polizia di Quetta il 25 ottobre scorso con un bilancio di oltre sessanta morti. Benché l’attentato sia stato rivendicato dallo Stato Islamico e messo in atto da un gruppo radicale nato nel Punjab pachistano e con un passato settario e sanguinario soprattutto in Belucistan (provincia di cui Quetta è la capitale), l’intelligence di Islamabad ha, seppur indirettamente, accusato Kabul. Le intercettazioni telefoniche dei membri del commando avrebbero rivelato, secondo Islamabad, che il cervello dell’operazione stava in Afghanistan.
Non è la prima volta che si sentono accuse simili. Una sorta di gara a dimostrare – non senza qualche ragione – che i gruppi che si muovono sul poroso confine tra i due Stati trovano, ora in Afghanistan ora soprattutto in Pakistan, il proprio “rifugio” sicuro. Il santuario da cui muovere o coordinare gli attentati nel Paese confinante. Questa tensione è andata crescendo nel tempo dall’agosto del 2015 – quando una serie di attentati in Afghanistan ha fatto da corollario al naufragio di un neonato tentativo negoziale – e accuse, ritorsioni, minacce tra i due Paesi hanno conosciuto una nuova stagione: aspra e dai tratti durissimi. Non solo nei toni. Pakistan e Afghanistan si creano problemi alla frontiera per il transito delle rispettive mercanzie; i servizi segreti anziché collaborare nascondono le informazioni; i governi si accusano vicendevolmente di ospitare e proteggere i terroristi; il Pakistan infine ha iniziato l’espulsione di un milione di afgani indocumentati che vivono oltre frontiera da decenni. La cosa (le espulsioni hanno già raggiunto quota 400mila) mette in difficoltà Kabul che ha già a che fare con oltre un milione di sfollati interni e ha appena firmato un accordo con l’Unione europea sui rimpatri forzati di afgani senza visto che prevede l’arrivo a Kabul di almeno 80mila persone nei prossimi sei mesi.
Benché raramente si metta l’accento sull’importanza dei rapporti tra Islamabad e Kabul, in questi mesi la tensione tra i due Paesi è così elevata da costituire forse il principale macigno sul futuro di un processo di pace che dovrebbe portare a negoziare il governo d Ashraf Ghani coi talebani di mullah Akhundzada. Come abbiamo visto c’è un primo elemento di contenzioso che riguarda i “santuari”. Il Pakistan ne ha sempre forniti ai talebani (a Quetta, nel Waziristan e in genere nelle aree tribali) e l’Afghanistan sta facendo adesso la stessa cosa, ad esempio con mullah Fazlullah, il leader dei talebani pachistani (Tehrek-e-Taliban Pakistan/ Ttp), che sarebbe “tollerato” oltrefrontiera. L’altro problema riguarda il processo negoziale in sé. Islamabad vorrebbe controllarlo e, se non aver l’ultima parola, garantirsi a Kabul un governo amico (non, come ora, un esecutivo in buoni rapporti con l’India).
Se sul primo punto siamo a bocce ferme (e l’espulsione di 400mila afgani lo conferma) sul secondo andiamo ancora peggio. Il processo negoziale che nell’estate di un anno fa era cominciato faticosamente a Murree in Pakistan sotto l’egida di Islamabad, si è poi arenato dopo l’annuncio della morte di mullah Omar sostituito, con diversi problemi interni al movimento talebano, da mullah Mansur (considerato molto filo pachistano), ucciso poi da un drone americano nel maggio del 2016. La sua morte sembrava aver affossato ogni possibile apertura negoziale e aveva visto una recrudescenza degli attacchi talebani – al cui comando è adesso mullah Akhundzada – volti a vendicare la morte dei due suoi leader.
Il negoziato coi talebani (il governo ha già firmato un accordo col gruppo guerrigliero di Gulbuddin Hekmatyaar) avrebbero però marciato sotto traccia tanto che, in ottobre, il quotidiano britannico The Guardian ha dato notizia di due incontri a settembre e ottobre a Doha, dove ha sede l'”ambasciata” del movimento guerrigliero. I talebani hanno smentito che vi siano stati colloqui di pace col governo ma la notizia è stata poi confermata da Kabul anche se in forma ufficiosa. A quanto si sa a questi incontri avrebbe partecipato per il governo afgano Mohammad Hanif Atmar, National Security Advisor del presidente Ashraf Ghani, e Mohammad Masum Stanekzai, a capo del National Directorate of Security (NDS, i servizi afgani). Per i talebani vi sarebbe stato tra gli altri mullah Abdul Manan Akhund, fratello di mullah Omar e in futuro vi potrebbe partecipare anche il figlio di Omar, Mohammad Yaqub. Infine sarebbe stato presente un diplomatico americano, cosa indirettamente confermata dall’ambasciata statunitense in Afganistan. Insomma c’erano tutti tranne i pachistani. Poi però i talebani hanno inviato una delegazione ufficiale in Pakistan (mullah Salam Hanifi e mullah Jan Mohammed, già ministri dell’emirato di Omar, con maulvi Shahabuddin Dilawar, ex ambasciatore talebano) per “informare” Islamabad su quanto avvenuto a Doha.
Se la missione diplomatica talebana abbia ricucito non è chiaro né è chiaro cosa riserverà il futuro. Lo spiraglio è ancora debole e compromesso da troppe frizioni, interrogativi, tensioni. Vale la pena di aggiungere al quadro la lettera che ha scritto a mullah Akhundzada l’ex portavoce di mullah Omar, Tayyeb Agha, già responsabile dell’ufficio di Doha prima di dimettersi dall’incarico per contrasti con Mansur. Tayyeb Aga scrive al capo talebano che dovrebbe abbandonare il titolo di Amir al-Muminin e che persino la qualifica Emirato andrebbe sostituita da un termine più modesto: “movimento”, dal momento che per ora i talebani non controllano né tutto il Paese né la capitale. Aga chiede alla leadership, che rimprovera di stare per lo più oltre frontiera, di rinunciare alla violenza e alla coercizione che, dice Tayyeb, viene utilizzata per compattare i ranghi. “All the mujahedin fighters should be ordered to cease killing our opponents inside mosques and stop killing prisoners… Stop killing people under suspicion traveling on roads. Stop bombing bridges, roads, and other similar places. Stop killing aid and construction workers who are helping our nation and building our homeland” (la traduzione inglese dal pashto è di Radio Free Europe). La lettera è importante perché dà conto di un dibattito interno che tende ad allargarsi a temi non solo prettamente militari. Tayyeb Agha – che resta una figura di rilievo – critica infatti anche i troppi legami coi servizi segreti pachistani e iraniani e mette il dito nella piaga degli “stranieri”: “It is imperative to stop the flow of non-Afghan fighters and control their activities”. Ce n’è per lo Stato islamico ma anche per ceceni o uzbeki e anche per i talebani pachistani del Ttp.
Questo quadro è purtroppo sempre accompagnato da una preoccupante cornice: Unama, la missione Onu a Kabul, ha reso noto il bilancio complessivo delle vittime civili nel 2015: 11.002 (3.545 morti, 7.457 feriti). I dati mostrano un incremento complessivo del 4% rispetto al 2014 con un trend impressionante di crescita (nel 2009 i morti erano stati 2.412). Quanto ai soldati dell’esercito afgano, anche qui le cifre sono pesanti: tra gennaio e agosto 2016 – secondo fonti americane – sono stati uccisi 5.523 tra soldati e poliziotti e i feriti sono stati 9.665. Cifre cui bisogna aggiungere i caduti tra la guerriglia di cui non ci sono dati certi. A completare il quadro, sono stati pubblicati i dati sulla produzione di oppio, fonte di finanziamento dei talebani ma anche zoccolo duro della criminalità organizzata nazionale e transnazionale. Secondo l’Agenzia per la droga e il crimine (Unodc), il 2016 vede un incremento del 10% delle aree coltivate col papavero (da 74mila ettari a oltre 81.300). La produzione dovrebbe invece registrare un aumento addirittura del 43%: da 3.300 metri cubi nel 2015 a 4.800 quest’anno.
A questo quadro si può aggiungere il costo della guerra che il governo, solo negli ultimi due mesi, ha stimato a oltre 26 milioni di euro: a farne le spese 300 scuole, 41 centri sanitari, 7mila case, 50 moschee, 170 ponti e cento chilometri di strada.
La guerra fredda tra Kabul e Islamabad
Il generale Qamar Javed Bajwa ha preso il posto del generale Raheel Sharif a capo delle forze armate pachistane in un momento di grandi tensioni con India e Afghanistan. Prende il comando dopo l’ultima querelle tra Kabul e Islamabad che riguarda il recente attacco del gruppo settario pachistano Lashkar-i-Jhangvi (LJ) all’accademia di polizia di Quetta il 25 ottobre scorso con un bilancio di oltre sessanta morti. Benché l’attentato sia stato rivendicato dallo Stato Islamico e messo in atto da un gruppo radicale nato nel Punjab pachistano e con un passato settario e sanguinario soprattutto in Belucistan (provincia di cui Quetta è la capitale), l’intelligence di Islamabad ha, seppur indirettamente, accusato Kabul. Le intercettazioni telefoniche dei membri del commando avrebbero rivelato, secondo Islamabad, che il cervello dell’operazione stava in Afghanistan.
Non è la prima volta che si sentono accuse simili. Una sorta di gara a dimostrare – non senza qualche ragione – che i gruppi che si muovono sul poroso confine tra i due Stati trovano, ora in Afghanistan ora soprattutto in Pakistan, il proprio “rifugio” sicuro. Il santuario da cui muovere o coordinare gli attentati nel Paese confinante. Questa tensione è andata crescendo nel tempo dall’agosto del 2015 – quando una serie di attentati in Afghanistan ha fatto da corollario al naufragio di un neonato tentativo negoziale – e accuse, ritorsioni, minacce tra i due Paesi hanno conosciuto una nuova stagione: aspra e dai tratti durissimi. Non solo nei toni. Pakistan e Afghanistan si creano problemi alla frontiera per il transito delle rispettive mercanzie; i servizi segreti anziché collaborare nascondono le informazioni; i governi si accusano vicendevolmente di ospitare e proteggere i terroristi; il Pakistan infine ha iniziato l’espulsione di un milione di afgani indocumentati che vivono oltre frontiera da decenni. La cosa (le espulsioni hanno già raggiunto quota 400mila) mette in difficoltà Kabul che ha già a che fare con oltre un milione di sfollati interni e ha appena firmato un accordo con l’Unione europea sui rimpatri forzati di afgani senza visto che prevede l’arrivo a Kabul di almeno 80mila persone nei prossimi sei mesi.
Benché raramente si metta l’accento sull’importanza dei rapporti tra Islamabad e Kabul, in questi mesi la tensione tra i due Paesi è così elevata da costituire forse il principale macigno sul futuro di un processo di pace che dovrebbe portare a negoziare il governo d Ashraf Ghani coi talebani di mullah Akhundzada. Come abbiamo visto c’è un primo elemento di contenzioso che riguarda i “santuari”. Il Pakistan ne ha sempre forniti ai talebani (a Quetta, nel Waziristan e in genere nelle aree tribali) e l’Afghanistan sta facendo adesso la stessa cosa, ad esempio con mullah Fazlullah, il leader dei talebani pachistani (Tehrek-e-Taliban Pakistan/ Ttp), che sarebbe “tollerato” oltrefrontiera. L’altro problema riguarda il processo negoziale in sé. Islamabad vorrebbe controllarlo e, se non aver l’ultima parola, garantirsi a Kabul un governo amico (non, come ora, un esecutivo in buoni rapporti con l’India).
Se sul primo punto siamo a bocce ferme (e l’espulsione di 400mila afgani lo conferma) sul secondo andiamo ancora peggio. Il processo negoziale che nell’estate di un anno fa era cominciato faticosamente a Murree in Pakistan sotto l’egida di Islamabad, si è poi arenato dopo l’annuncio della morte di mullah Omar sostituito, con diversi problemi interni al movimento talebano, da mullah Mansur (considerato molto filo pachistano), ucciso poi da un drone americano nel maggio del 2016. La sua morte sembrava aver affossato ogni possibile apertura negoziale e aveva visto una recrudescenza degli attacchi talebani – al cui comando è adesso mullah Akhundzada – volti a vendicare la morte dei due suoi leader.
Il negoziato coi talebani (il governo ha già firmato un accordo col gruppo guerrigliero di Gulbuddin Hekmatyaar) avrebbero però marciato sotto traccia tanto che, in ottobre, il quotidiano britannico The Guardian ha dato notizia di due incontri a settembre e ottobre a Doha, dove ha sede l'”ambasciata” del movimento guerrigliero. I talebani hanno smentito che vi siano stati colloqui di pace col governo ma la notizia è stata poi confermata da Kabul anche se in forma ufficiosa. A quanto si sa a questi incontri avrebbe partecipato per il governo afgano Mohammad Hanif Atmar, National Security Advisor del presidente Ashraf Ghani, e Mohammad Masum Stanekzai, a capo del National Directorate of Security (NDS, i servizi afgani). Per i talebani vi sarebbe stato tra gli altri mullah Abdul Manan Akhund, fratello di mullah Omar e in futuro vi potrebbe partecipare anche il figlio di Omar, Mohammad Yaqub. Infine sarebbe stato presente un diplomatico americano, cosa indirettamente confermata dall’ambasciata statunitense in Afganistan. Insomma c’erano tutti tranne i pachistani. Poi però i talebani hanno inviato una delegazione ufficiale in Pakistan (mullah Salam Hanifi e mullah Jan Mohammed, già ministri dell’emirato di Omar, con maulvi Shahabuddin Dilawar, ex ambasciatore talebano) per “informare” Islamabad su quanto avvenuto a Doha.
Se la missione diplomatica talebana abbia ricucito non è chiaro né è chiaro cosa riserverà il futuro. Lo spiraglio è ancora debole e compromesso da troppe frizioni, interrogativi, tensioni. Vale la pena di aggiungere al quadro la lettera che ha scritto a mullah Akhundzada l’ex portavoce di mullah Omar, Tayyeb Agha, già responsabile dell’ufficio di Doha prima di dimettersi dall’incarico per contrasti con Mansur. Tayyeb Aga scrive al capo talebano che dovrebbe abbandonare il titolo di Amir al-Muminin e che persino la qualifica Emirato andrebbe sostituita da un termine più modesto: “movimento”, dal momento che per ora i talebani non controllano né tutto il Paese né la capitale. Aga chiede alla leadership, che rimprovera di stare per lo più oltre frontiera, di rinunciare alla violenza e alla coercizione che, dice Tayyeb, viene utilizzata per compattare i ranghi. “All the mujahedin fighters should be ordered to cease killing our opponents inside mosques and stop killing prisoners… Stop killing people under suspicion traveling on roads. Stop bombing bridges, roads, and other similar places. Stop killing aid and construction workers who are helping our nation and building our homeland” (la traduzione inglese dal pashto è di Radio Free Europe). La lettera è importante perché dà conto di un dibattito interno che tende ad allargarsi a temi non solo prettamente militari. Tayyeb Agha – che resta una figura di rilievo – critica infatti anche i troppi legami coi servizi segreti pachistani e iraniani e mette il dito nella piaga degli “stranieri”: “It is imperative to stop the flow of non-Afghan fighters and control their activities”. Ce n’è per lo Stato islamico ma anche per ceceni o uzbeki e anche per i talebani pachistani del Ttp.
Questo quadro è purtroppo sempre accompagnato da una preoccupante cornice: Unama, la missione Onu a Kabul, ha reso noto il bilancio complessivo delle vittime civili nel 2015: 11.002 (3.545 morti, 7.457 feriti). I dati mostrano un incremento complessivo del 4% rispetto al 2014 con un trend impressionante di crescita (nel 2009 i morti erano stati 2.412). Quanto ai soldati dell’esercito afgano, anche qui le cifre sono pesanti: tra gennaio e agosto 2016 – secondo fonti americane – sono stati uccisi 5.523 tra soldati e poliziotti e i feriti sono stati 9.665. Cifre cui bisogna aggiungere i caduti tra la guerriglia di cui non ci sono dati certi. A completare il quadro, sono stati pubblicati i dati sulla produzione di oppio, fonte di finanziamento dei talebani ma anche zoccolo duro della criminalità organizzata nazionale e transnazionale. Secondo l’Agenzia per la droga e il crimine (Unodc), il 2016 vede un incremento del 10% delle aree coltivate col papavero (da 74mila ettari a oltre 81.300). La produzione dovrebbe invece registrare un aumento addirittura del 43%: da 3.300 metri cubi nel 2015 a 4.800 quest’anno.
A questo quadro si può aggiungere il costo della guerra che il governo, solo negli ultimi due mesi, ha stimato a oltre 26 milioni di euro: a farne le spese 300 scuole, 41 centri sanitari, 7mila case, 50 moschee, 170 ponti e cento chilometri di strada.
La guerra fredda tra Kabul e Islamabad
Il generale Qamar Javed Bajwa ha preso il posto del generale Raheel Sharif a capo delle forze armate pachistane in un momento di grandi tensioni con India e Afghanistan. Prende il comando dopo l’ultima querelle tra Kabul e Islamabad che riguarda il recente attacco del gruppo settario pachistano Lashkar-i-Jhangvi (LJ) all’accademia di polizia di Quetta il 25 ottobre scorso con un bilancio di oltre sessanta morti. Benché l’attentato sia stato rivendicato dallo Stato Islamico e messo in atto da un gruppo radicale nato nel Punjab pachistano e con un passato settario e sanguinario soprattutto in Belucistan (provincia di cui Quetta è la capitale), l’intelligence di Islamabad ha, seppur indirettamente, accusato Kabul. Le intercettazioni telefoniche dei membri del commando avrebbero rivelato, secondo Islamabad, che il cervello dell’operazione stava in Afghanistan.
Non è la prima volta che si sentono accuse simili. Una sorta di gara a dimostrare – non senza qualche ragione – che i gruppi che si muovono sul poroso confine tra i due Stati trovano, ora in Afghanistan ora soprattutto in Pakistan, il proprio “rifugio” sicuro. Il santuario da cui muovere o coordinare gli attentati nel Paese confinante. Questa tensione è andata crescendo nel tempo dall’agosto del 2015 – quando una serie di attentati in Afghanistan ha fatto da corollario al naufragio di un neonato tentativo negoziale – e accuse, ritorsioni, minacce tra i due Paesi hanno conosciuto una nuova stagione: aspra e dai tratti durissimi. Non solo nei toni. Pakistan e Afghanistan si creano problemi alla frontiera per il transito delle rispettive mercanzie; i servizi segreti anziché collaborare nascondono le informazioni; i governi si accusano vicendevolmente di ospitare e proteggere i terroristi; il Pakistan infine ha iniziato l’espulsione di un milione di afgani indocumentati che vivono oltre frontiera da decenni. La cosa (le espulsioni hanno già raggiunto quota 400mila) mette in difficoltà Kabul che ha già a che fare con oltre un milione di sfollati interni e ha appena firmato un accordo con l’Unione europea sui rimpatri forzati di afgani senza visto che prevede l’arrivo a Kabul di almeno 80mila persone nei prossimi sei mesi.
Benché raramente si metta l’accento sull’importanza dei rapporti tra Islamabad e Kabul, in questi mesi la tensione tra i due Paesi è così elevata da costituire forse il principale macigno sul futuro di un processo di pace che dovrebbe portare a negoziare il governo d Ashraf Ghani coi talebani di mullah Akhundzada. Come abbiamo visto c’è un primo elemento di contenzioso che riguarda i “santuari”. Il Pakistan ne ha sempre forniti ai talebani (a Quetta, nel Waziristan e in genere nelle aree tribali) e l’Afghanistan sta facendo adesso la stessa cosa, ad esempio con mullah Fazlullah, il leader dei talebani pachistani (Tehrek-e-Taliban Pakistan/ Ttp), che sarebbe “tollerato” oltrefrontiera. L’altro problema riguarda il processo negoziale in sé. Islamabad vorrebbe controllarlo e, se non aver l’ultima parola, garantirsi a Kabul un governo amico (non, come ora, un esecutivo in buoni rapporti con l’India).
Se sul primo punto siamo a bocce ferme (e l’espulsione di 400mila afgani lo conferma) sul secondo andiamo ancora peggio. Il processo negoziale che nell’estate di un anno fa era cominciato faticosamente a Murree in Pakistan sotto l’egida di Islamabad, si è poi arenato dopo l’annuncio della morte di mullah Omar sostituito, con diversi problemi interni al movimento talebano, da mullah Mansur (considerato molto filo pachistano), ucciso poi da un drone americano nel maggio del 2016. La sua morte sembrava aver affossato ogni possibile apertura negoziale e aveva visto una recrudescenza degli attacchi talebani – al cui comando è adesso mullah Akhundzada – volti a vendicare la morte dei due suoi leader.
Il negoziato coi talebani (il governo ha già firmato un accordo col gruppo guerrigliero di Gulbuddin Hekmatyaar) avrebbero però marciato sotto traccia tanto che, in ottobre, il quotidiano britannico The Guardian ha dato notizia di due incontri a settembre e ottobre a Doha, dove ha sede l'”ambasciata” del movimento guerrigliero. I talebani hanno smentito che vi siano stati colloqui di pace col governo ma la notizia è stata poi confermata da Kabul anche se in forma ufficiosa. A quanto si sa a questi incontri avrebbe partecipato per il governo afgano Mohammad Hanif Atmar, National Security Advisor del presidente Ashraf Ghani, e Mohammad Masum Stanekzai, a capo del National Directorate of Security (NDS, i servizi afgani). Per i talebani vi sarebbe stato tra gli altri mullah Abdul Manan Akhund, fratello di mullah Omar e in futuro vi potrebbe partecipare anche il figlio di Omar, Mohammad Yaqub. Infine sarebbe stato presente un diplomatico americano, cosa indirettamente confermata dall’ambasciata statunitense in Afganistan. Insomma c’erano tutti tranne i pachistani. Poi però i talebani hanno inviato una delegazione ufficiale in Pakistan (mullah Salam Hanifi e mullah Jan Mohammed, già ministri dell’emirato di Omar, con maulvi Shahabuddin Dilawar, ex ambasciatore talebano) per “informare” Islamabad su quanto avvenuto a Doha.
Se la missione diplomatica talebana abbia ricucito non è chiaro né è chiaro cosa riserverà il futuro. Lo spiraglio è ancora debole e compromesso da troppe frizioni, interrogativi, tensioni. Vale la pena di aggiungere al quadro la lettera che ha scritto a mullah Akhundzada l’ex portavoce di mullah Omar, Tayyeb Agha, già responsabile dell’ufficio di Doha prima di dimettersi dall’incarico per contrasti con Mansur. Tayyeb Aga scrive al capo talebano che dovrebbe abbandonare il titolo di Amir al-Muminin e che persino la qualifica Emirato andrebbe sostituita da un termine più modesto: “movimento”, dal momento che per ora i talebani non controllano né tutto il Paese né la capitale. Aga chiede alla leadership, che rimprovera di stare per lo più oltre frontiera, di rinunciare alla violenza e alla coercizione che, dice Tayyeb, viene utilizzata per compattare i ranghi. “All the mujahedin fighters should be ordered to cease killing our opponents inside mosques and stop killing prisoners… Stop killing people under suspicion traveling on roads. Stop bombing bridges, roads, and other similar places. Stop killing aid and construction workers who are helping our nation and building our homeland” (la traduzione inglese dal pashto è di Radio Free Europe). La lettera è importante perché dà conto di un dibattito interno che tende ad allargarsi a temi non solo prettamente militari. Tayyeb Agha – che resta una figura di rilievo – critica infatti anche i troppi legami coi servizi segreti pachistani e iraniani e mette il dito nella piaga degli “stranieri”: “It is imperative to stop the flow of non-Afghan fighters and control their activities”. Ce n’è per lo Stato islamico ma anche per ceceni o uzbeki e anche per i talebani pachistani del Ttp.
Questo quadro è purtroppo sempre accompagnato da una preoccupante cornice: Unama, la missione Onu a Kabul, ha reso noto il bilancio complessivo delle vittime civili nel 2015: 11.002 (3.545 morti, 7.457 feriti). I dati mostrano un incremento complessivo del 4% rispetto al 2014 con un trend impressionante di crescita (nel 2009 i morti erano stati 2.412). Quanto ai soldati dell’esercito afgano, anche qui le cifre sono pesanti: tra gennaio e agosto 2016 – secondo fonti americane – sono stati uccisi 5.523 tra soldati e poliziotti e i feriti sono stati 9.665. Cifre cui bisogna aggiungere i caduti tra la guerriglia di cui non ci sono dati certi. A completare il quadro, sono stati pubblicati i dati sulla produzione di oppio, fonte di finanziamento dei talebani ma anche zoccolo duro della criminalità organizzata nazionale e transnazionale. Secondo l’Agenzia per la droga e il crimine (Unodc), il 2016 vede un incremento del 10% delle aree coltivate col papavero (da 74mila ettari a oltre 81.300). La produzione dovrebbe invece registrare un aumento addirittura del 43%: da 3.300 metri cubi nel 2015 a 4.800 quest’anno.
A questo quadro si può aggiungere il costo della guerra che il governo, solo negli ultimi due mesi, ha stimato a oltre 26 milioni di euro: a farne le spese 300 scuole, 41 centri sanitari, 7mila case, 50 moschee, 170 ponti e cento chilometri di strada.
La guerra fredda tra Kabul e Islamabad
Il generale Qamar Javed Bajwa ha preso il posto del generale Raheel Sharif a capo delle forze armate pachistane in un momento di grandi tensioni con India e Afghanistan. Prende il comando dopo l’ultima querelle tra Kabul e Islamabad che riguarda il recente attacco del gruppo settario pachistano Lashkar-i-Jhangvi (LJ) all’accademia di polizia di Quetta il 25 ottobre scorso con un bilancio di oltre sessanta morti. Benché l’attentato sia stato rivendicato dallo Stato Islamico e messo in atto da un gruppo radicale nato nel Punjab pachistano e con un passato settario e sanguinario soprattutto in Belucistan (provincia di cui Quetta è la capitale), l’intelligence di Islamabad ha, seppur indirettamente, accusato Kabul. Le intercettazioni telefoniche dei membri del commando avrebbero rivelato, secondo Islamabad, che il cervello dell’operazione stava in Afghanistan.
Non è la prima volta che si sentono accuse simili. Una sorta di gara a dimostrare – non senza qualche ragione – che i gruppi che si muovono sul poroso confine tra i due Stati trovano, ora in Afghanistan ora soprattutto in Pakistan, il proprio “rifugio” sicuro. Il santuario da cui muovere o coordinare gli attentati nel Paese confinante. Questa tensione è andata crescendo nel tempo dall’agosto del 2015 – quando una serie di attentati in Afghanistan ha fatto da corollario al naufragio di un neonato tentativo negoziale – e accuse, ritorsioni, minacce tra i due Paesi hanno conosciuto una nuova stagione: aspra e dai tratti durissimi. Non solo nei toni. Pakistan e Afghanistan si creano problemi alla frontiera per il transito delle rispettive mercanzie; i servizi segreti anziché collaborare nascondono le informazioni; i governi si accusano vicendevolmente di ospitare e proteggere i terroristi; il Pakistan infine ha iniziato l’espulsione di un milione di afgani indocumentati che vivono oltre frontiera da decenni. La cosa (le espulsioni hanno già raggiunto quota 400mila) mette in difficoltà Kabul che ha già a che fare con oltre un milione di sfollati interni e ha appena firmato un accordo con l’Unione europea sui rimpatri forzati di afgani senza visto che prevede l’arrivo a Kabul di almeno 80mila persone nei prossimi sei mesi.
Benché raramente si metta l’accento sull’importanza dei rapporti tra Islamabad e Kabul, in questi mesi la tensione tra i due Paesi è così elevata da costituire forse il principale macigno sul futuro di un processo di pace che dovrebbe portare a negoziare il governo d Ashraf Ghani coi talebani di mullah Akhundzada. Come abbiamo visto c’è un primo elemento di contenzioso che riguarda i “santuari”. Il Pakistan ne ha sempre forniti ai talebani (a Quetta, nel Waziristan e in genere nelle aree tribali) e l’Afghanistan sta facendo adesso la stessa cosa, ad esempio con mullah Fazlullah, il leader dei talebani pachistani (Tehrek-e-Taliban Pakistan/ Ttp), che sarebbe “tollerato” oltrefrontiera. L’altro problema riguarda il processo negoziale in sé. Islamabad vorrebbe controllarlo e, se non aver l’ultima parola, garantirsi a Kabul un governo amico (non, come ora, un esecutivo in buoni rapporti con l’India).
Se sul primo punto siamo a bocce ferme (e l’espulsione di 400mila afgani lo conferma) sul secondo andiamo ancora peggio. Il processo negoziale che nell’estate di un anno fa era cominciato faticosamente a Murree in Pakistan sotto l’egida di Islamabad, si è poi arenato dopo l’annuncio della morte di mullah Omar sostituito, con diversi problemi interni al movimento talebano, da mullah Mansur (considerato molto filo pachistano), ucciso poi da un drone americano nel maggio del 2016. La sua morte sembrava aver affossato ogni possibile apertura negoziale e aveva visto una recrudescenza degli attacchi talebani – al cui comando è adesso mullah Akhundzada – volti a vendicare la morte dei due suoi leader.
Il negoziato coi talebani (il governo ha già firmato un accordo col gruppo guerrigliero di Gulbuddin Hekmatyaar) avrebbero però marciato sotto traccia tanto che, in ottobre, il quotidiano britannico The Guardian ha dato notizia di due incontri a settembre e ottobre a Doha, dove ha sede l'”ambasciata” del movimento guerrigliero. I talebani hanno smentito che vi siano stati colloqui di pace col governo ma la notizia è stata poi confermata da Kabul anche se in forma ufficiosa. A quanto si sa a questi incontri avrebbe partecipato per il governo afgano Mohammad Hanif Atmar, National Security Advisor del presidente Ashraf Ghani, e Mohammad Masum Stanekzai, a capo del National Directorate of Security (NDS, i servizi afgani). Per i talebani vi sarebbe stato tra gli altri mullah Abdul Manan Akhund, fratello di mullah Omar e in futuro vi potrebbe partecipare anche il figlio di Omar, Mohammad Yaqub. Infine sarebbe stato presente un diplomatico americano, cosa indirettamente confermata dall’ambasciata statunitense in Afganistan. Insomma c’erano tutti tranne i pachistani. Poi però i talebani hanno inviato una delegazione ufficiale in Pakistan (mullah Salam Hanifi e mullah Jan Mohammed, già ministri dell’emirato di Omar, con maulvi Shahabuddin Dilawar, ex ambasciatore talebano) per “informare” Islamabad su quanto avvenuto a Doha.
Se la missione diplomatica talebana abbia ricucito non è chiaro né è chiaro cosa riserverà il futuro. Lo spiraglio è ancora debole e compromesso da troppe frizioni, interrogativi, tensioni. Vale la pena di aggiungere al quadro la lettera che ha scritto a mullah Akhundzada l’ex portavoce di mullah Omar, Tayyeb Agha, già responsabile dell’ufficio di Doha prima di dimettersi dall’incarico per contrasti con Mansur. Tayyeb Aga scrive al capo talebano che dovrebbe abbandonare il titolo di Amir al-Muminin e che persino la qualifica Emirato andrebbe sostituita da un termine più modesto: “movimento”, dal momento che per ora i talebani non controllano né tutto il Paese né la capitale. Aga chiede alla leadership, che rimprovera di stare per lo più oltre frontiera, di rinunciare alla violenza e alla coercizione che, dice Tayyeb, viene utilizzata per compattare i ranghi. “All the mujahedin fighters should be ordered to cease killing our opponents inside mosques and stop killing prisoners… Stop killing people under suspicion traveling on roads. Stop bombing bridges, roads, and other similar places. Stop killing aid and construction workers who are helping our nation and building our homeland” (la traduzione inglese dal pashto è di Radio Free Europe). La lettera è importante perché dà conto di un dibattito interno che tende ad allargarsi a temi non solo prettamente militari. Tayyeb Agha – che resta una figura di rilievo – critica infatti anche i troppi legami coi servizi segreti pachistani e iraniani e mette il dito nella piaga degli “stranieri”: “It is imperative to stop the flow of non-Afghan fighters and control their activities”. Ce n’è per lo Stato islamico ma anche per ceceni o uzbeki e anche per i talebani pachistani del Ttp.
Questo quadro è purtroppo sempre accompagnato da una preoccupante cornice: Unama, la missione Onu a Kabul, ha reso noto il bilancio complessivo delle vittime civili nel 2015: 11.002 (3.545 morti, 7.457 feriti). I dati mostrano un incremento complessivo del 4% rispetto al 2014 con un trend impressionante di crescita (nel 2009 i morti erano stati 2.412). Quanto ai soldati dell’esercito afgano, anche qui le cifre sono pesanti: tra gennaio e agosto 2016 – secondo fonti americane – sono stati uccisi 5.523 tra soldati e poliziotti e i feriti sono stati 9.665. Cifre cui bisogna aggiungere i caduti tra la guerriglia di cui non ci sono dati certi. A completare il quadro, sono stati pubblicati i dati sulla produzione di oppio, fonte di finanziamento dei talebani ma anche zoccolo duro della criminalità organizzata nazionale e transnazionale. Secondo l’Agenzia per la droga e il crimine (Unodc), il 2016 vede un incremento del 10% delle aree coltivate col papavero (da 74mila ettari a oltre 81.300). La produzione dovrebbe invece registrare un aumento addirittura del 43%: da 3.300 metri cubi nel 2015 a 4.800 quest’anno.
A questo quadro si può aggiungere il costo della guerra che il governo, solo negli ultimi due mesi, ha stimato a oltre 26 milioni di euro: a farne le spese 300 scuole, 41 centri sanitari, 7mila case, 50 moschee, 170 ponti e cento chilometri di strada.
Video per donne musulmane diventa virale: come difendersi da un aggressore
“In un mondo in cui si risponde con la paura, noi scegliamo di reagire”
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Taranto: No hotspot né qui né altrove — Confronto con stampa e attivisti
Condividi e promuovi l’iniziativa
No hotspot, né qui né altrove
Abbiamo letto con inquietudine il rapporto di Amnesty International…
“Talking Hands” una video inchiesta sulle condizioni dei richiedenti asilo a Treviso
“Se sono sopravvissuto alla Libia, penso di poter sopravvivere anche all’Italia”.
Hotspot Italia — A fianco di Amnesty International
ADIF (Associazione Diritti e Frontiere) e la Campagna LasciateCIEntrare rivolgono l’appello che segue a tutte le associazioni, forze…
Rapporto 2016 sulla protezione internazionale: fosche ombre si allungano sull’Europa e sull’Italia
Il rapporto in questione è prodotto da:
ANCI, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, SERVIZIO CENTRALE dello SPRAR in…
Se fossi un iracheno
Come reagiresti, da cittadino iracheno, se il tuo governo ti dicesse chiaramente che ignorerà i diritti umani nel tuo paese?
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Ospiti speciali: miseria in Serbia e paura al confine ungherese.
Mappa dei Campi del 2016 — Sesta Edizione
Migreurop è una rete di attivisti e ricercatori provenienti da Europa, Africa e Medio Oriente.
The deaths of transit migrants are not due to “fate”
In a few days the lives of three young people have been destroyed by the effects of the exacerbation of EU internal border controls.
Abbandono intolleranza e ruspe. Migranti sotto tiro in Calabria
Dallo Ionio al Tirreno. Amendolara, africani in condizioni disumane e alta tensione con la cittadinanza.
In Israele non esiste status di rifugiato. Gli immigrati sono classificati “infiltrati”
mcc43 da International Business Time di Andrea Spinelli Barrile Immigrazione: il modello israeliano di rimpatri e reinsediamenti produce solo disperazione “” È ad esempio la storia, raccontata da Al-Jazeera, di Musgun Gebar: quattro anni fa è partito dall’Eritrea ed ha attraversato, a piedi, il deserto del Sahara e l’altopiano del Sinai, prima di arrivare in Israele. […]
In Israele non esiste status di rifugiato. Gli immigrati sono classificati “infiltrati”
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In Israele non esiste status di rifugiato. Gli immigrati sono classificati “infiltrati”
mcc43 da International Business Time di Andrea Spinelli Barrile Immigrazione: il modello israeliano di rimpatri e reinsediamenti produce solo disperazione “” È ad esempio la storia, raccontata da Al-Jazeera, di Musgun Gebar: quattro anni fa è partito dall’Eritrea ed ha attraversato, a piedi, il deserto del Sahara e l’altopiano del Sinai, prima di arrivare in Israele. […]
In Israele non esiste status di rifugiato. Gli immigrati sono classificati “infiltrati”
mcc43 da International Business Time di Andrea Spinelli Barrile Immigrazione: il modello israeliano di rimpatri e reinsediamenti produce solo disperazione “” È ad esempio la storia, raccontata da Al-Jazeera, di Musgun Gebar: quattro anni fa è partito dall’Eritrea ed ha attraversato, a piedi, il deserto del Sahara e l’altopiano del Sinai, prima di arrivare in Israele. […]
In Israele non esiste status di rifugiato. Gli immigrati sono classificati “infiltrati”
mcc43 da International Business Time di Andrea Spinelli Barrile Immigrazione: il modello israeliano di rimpatri e reinsediamenti produce solo disperazione “” È ad esempio la storia, raccontata da Al-Jazeera, di Musgun Gebar: quattro anni fa è partito dall’Eritrea ed ha attraversato, a piedi, il deserto del Sahara e l’altopiano del Sinai, prima di arrivare in Israele. […]
In Israele non esiste status di rifugiato. Gli immigrati sono classificati “infiltrati”
mcc43 da International Business Time di Andrea Spinelli Barrile Immigrazione: il modello israeliano di rimpatri e reinsediamenti produce solo disperazione “” È ad esempio la storia, raccontata da Al-Jazeera, di Musgun Gebar: quattro anni fa è partito dall’Eritrea ed ha attraversato, a piedi, il deserto del Sahara e l’altopiano del Sinai, prima di arrivare in Israele. […]
Tunisia: investire nella democrazia
Investimento economico alla base di una crescita democratica del paese: solo mediante condivisione i tunisini potranno superare la fase di transizione.
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My trip to sicily with #overthefortress
Il mio viaggio in Sicilia con #overthefortress
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Che direzione sta prendendo la pace in Yemen?
Il piano di pace proposto dal Segretario di Stato John Kerry sembra aprire la strada a nuovi scontri
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Ho un’ape (marocchina) per la testa
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La città marocchina dalle montagne sotto il video del progetto Coobeeration |
Chefchaouen è una città del Marocco famosa per la sua medina – la città vecchia – motivo per il quale è diventata nel 2010 un patrimonio dell’umanità. La cosa è stata possibile attraverso un passaggio singolare ossia la presenza di questa città, che ha un sindaco abile quanto attivo e simpatico, nel percorso della Dieta mediterranea della quale questo villaggione marocchino
rappresenta uno dei fulcri meridionali. Ma da qualche giorno la città si è impegnata – nella persona del suo sindaco, Mohammed Sefiani – a essere la prima città marocchina “amica delle api”. Non solo: si è anche impegnata a coinvolgere due associazioni tra città marocchine di cui ha la presidenza, sia a livello provinciale sia a livello nazionale, perché ancor più municipalità del regno diventino “amiche delle api”. L’occasione è stato il Forum degli apicultori del Mediterraneo, organizzato in Marocco dall’Associazione ApiMed, a pochi giorni dalle conclusioni di COOP22. Al Forum hanno partecipato 200 delegati che rappresentano i diversi Paesi aderenti all’associazione transnazionale (Marocco, Italia, Francia, Egitto, Palestina, Giordania, Iraq, Algeria, Libano, Tunisia) con università e centri di ricerca, enti locali, organizzazioni internazionali (Undp) e attori di cooperazione oltre a moltissimi apicoltori soprattutto marocchini.
Dal Forum è uscito anche molto altro: una vera sorpresa per chi, come me, mangia volentieri il miele ma ne sa davvero poco.
Intanto un concorso internazionale tra tutti gli apicoltori del Mediterraneo che selezioni il miglior miele prodotto sulle rive del mare che abbracci Europa, Africa e Medio Oriente. E poi una giornata di sensibilizzazione su apicoltura, biodiversità e sicurezza alimentare in tutte le città aderenti all’iniziativa “Comuni amici delle api”. “L’idea – mi spiega Vincenzo Panettieri Presidente di ApiMed – parte dal rilancio della Carta dei mieli del Mediterraneo approvata l’anno scorso a Tunisi. Il concorso infatti vuole mettere alla prova la qualità e gli standerd degli apicoltori mediterranei, varcando i confini nazionali ed entrando in contatto con una realtà produttiva più ampia”. Tuti collaboreranno per determinare il vincitore. Dai laboratori tunisini alle università italiane, ai centri di ricerca di Grecia o Marocco. Lucia Maddoli, di FELCOS (il fondo dei comuni umbri per la cooperazione) e coordinatrice del progetto Mediterranean CooBEEration, aggiunge che però “è anche importante creare per la prossima primavera una giornata internazionale di informazione ai cittadini per spiegare il valore dell’apicoltura come bene comune e perché l’ape è un alleato fondamentale per la difesa della biodiversità”.
In effetti sul reale valore delle api come attori primari della biodiversità sappiamo poco. Eppure si stima che l’impollinazione delle specie vegetali – di cui l’ape garantisce la continuità nella riproduzione – equivalga, in termini alimentari, a un terzo di quanto arriva sulle nostre tavole. ApiMed rappresenta 24 organizzazioni apistiche in 12 Paesi del Mediterraneo e decine di migliaia di apicoltori che producono un miele che rispetta standard definiti in difesa del consumatore e dell’ecosistema di cui le api sono inestimabili guardiani. Ma non c’è solo un obiettivo “produttivo”. Qualcuno al Forum ha fatto notare che le api che hanno le loro arnie a Gerusalemme o nei Territori occupati di Palestina, si fanno un baffo del muro. Fanno il loro lavoro in nome del miele e, senza saperlo, di un mondo senza confini.
Ho un’ape (marocchina) per la testa
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La città marocchina dalle montagne sotto il video del progetto Coobeeration |
Chefchaouen è una città del Marocco famosa per la sua medina – la città vecchia – motivo per il quale è diventata nel 2010 un patrimonio dell’umanità. La cosa è stata possibile attraverso un passaggio singolare ossia la presenza di questa città, che ha un sindaco abile quanto attivo e simpatico, nel percorso della Dieta mediterranea della quale questo villaggione marocchino
rappresenta uno dei fulcri meridionali. Ma da qualche giorno la città si è impegnata – nella persona del suo sindaco, Mohammed Sefiani – a essere la prima città marocchina “amica delle api”. Non solo: si è anche impegnata a coinvolgere due associazioni tra città marocchine di cui ha la presidenza, sia a livello provinciale sia a livello nazionale, perché ancor più municipalità del regno diventino “amiche delle api”. L’occasione è stato il Forum degli apicultori del Mediterraneo, organizzato in Marocco dall’Associazione ApiMed, a pochi giorni dalle conclusioni di COOP22. Al Forum hanno partecipato 200 delegati che rappresentano i diversi Paesi aderenti all’associazione transnazionale (Marocco, Italia, Francia, Egitto, Palestina, Giordania, Iraq, Algeria, Libano, Tunisia) con università e centri di ricerca, enti locali, organizzazioni internazionali (Undp) e attori di cooperazione oltre a moltissimi apicoltori soprattutto marocchini.
Dal Forum è uscito anche molto altro: una vera sorpresa per chi, come me, mangia volentieri il miele ma ne sa davvero poco.
Intanto un concorso internazionale tra tutti gli apicoltori del Mediterraneo che selezioni il miglior miele prodotto sulle rive del mare che abbracci Europa, Africa e Medio Oriente. E poi una giornata di sensibilizzazione su apicoltura, biodiversità e sicurezza alimentare in tutte le città aderenti all’iniziativa “Comuni amici delle api”. “L’idea – mi spiega Vincenzo Panettieri Presidente di ApiMed – parte dal rilancio della Carta dei mieli del Mediterraneo approvata l’anno scorso a Tunisi. Il concorso infatti vuole mettere alla prova la qualità e gli standerd degli apicoltori mediterranei, varcando i confini nazionali ed entrando in contatto con una realtà produttiva più ampia”. Tuti collaboreranno per determinare il vincitore. Dai laboratori tunisini alle università italiane, ai centri di ricerca di Grecia o Marocco. Lucia Maddoli, di FELCOS (il fondo dei comuni umbri per la cooperazione) e coordinatrice del progetto Mediterranean CooBEEration, aggiunge che però “è anche importante creare per la prossima primavera una giornata internazionale di informazione ai cittadini per spiegare il valore dell’apicoltura come bene comune e perché l’ape è un alleato fondamentale per la difesa della biodiversità”.
In effetti sul reale valore delle api come attori primari della biodiversità sappiamo poco. Eppure si stima che l’impollinazione delle specie vegetali – di cui l’ape garantisce la continuità nella riproduzione – equivalga, in termini alimentari, a un terzo di quanto arriva sulle nostre tavole. ApiMed rappresenta 24 organizzazioni apistiche in 12 Paesi del Mediterraneo e decine di migliaia di apicoltori che producono un miele che rispetta standard definiti in difesa del consumatore e dell’ecosistema di cui le api sono inestimabili guardiani. Ma non c’è solo un obiettivo “produttivo”. Qualcuno al Forum ha fatto notare che le api che hanno le loro arnie a Gerusalemme o nei Territori occupati di Palestina, si fanno un baffo del muro. Fanno il loro lavoro in nome del miele e, senza saperlo, di un mondo senza confini.
Ho un’ape (marocchina) per la testa
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La città marocchina dalle montagne sotto il video del progetto Coobeeration |
Chefchaouen è una città del Marocco famosa per la sua medina – la città vecchia – motivo per il quale è diventata nel 2010 un patrimonio dell’umanità. La cosa è stata possibile attraverso un passaggio singolare ossia la presenza di questa città, che ha un sindaco abile quanto attivo e simpatico, nel percorso della Dieta mediterranea della quale questo villaggione marocchino
rappresenta uno dei fulcri meridionali. Ma da qualche giorno la città si è impegnata – nella persona del suo sindaco, Mohammed Sefiani – a essere la prima città marocchina “amica delle api”. Non solo: si è anche impegnata a coinvolgere due associazioni tra città marocchine di cui ha la presidenza, sia a livello provinciale sia a livello nazionale, perché ancor più municipalità del regno diventino “amiche delle api”. L’occasione è stato il Forum degli apicultori del Mediterraneo, organizzato in Marocco dall’Associazione ApiMed, a pochi giorni dalle conclusioni di COOP22. Al Forum hanno partecipato 200 delegati che rappresentano i diversi Paesi aderenti all’associazione transnazionale (Marocco, Italia, Francia, Egitto, Palestina, Giordania, Iraq, Algeria, Libano, Tunisia) con università e centri di ricerca, enti locali, organizzazioni internazionali (Undp) e attori di cooperazione oltre a moltissimi apicoltori soprattutto marocchini.
Dal Forum è uscito anche molto altro: una vera sorpresa per chi, come me, mangia volentieri il miele ma ne sa davvero poco.
Intanto un concorso internazionale tra tutti gli apicoltori del Mediterraneo che selezioni il miglior miele prodotto sulle rive del mare che abbracci Europa, Africa e Medio Oriente. E poi una giornata di sensibilizzazione su apicoltura, biodiversità e sicurezza alimentare in tutte le città aderenti all’iniziativa “Comuni amici delle api”. “L’idea – mi spiega Vincenzo Panettieri Presidente di ApiMed – parte dal rilancio della Carta dei mieli del Mediterraneo approvata l’anno scorso a Tunisi. Il concorso infatti vuole mettere alla prova la qualità e gli standerd degli apicoltori mediterranei, varcando i confini nazionali ed entrando in contatto con una realtà produttiva più ampia”. Tuti collaboreranno per determinare il vincitore. Dai laboratori tunisini alle università italiane, ai centri di ricerca di Grecia o Marocco. Lucia Maddoli, di FELCOS (il fondo dei comuni umbri per la cooperazione) e coordinatrice del progetto Mediterranean CooBEEration, aggiunge che però “è anche importante creare per la prossima primavera una giornata internazionale di informazione ai cittadini per spiegare il valore dell’apicoltura come bene comune e perché l’ape è un alleato fondamentale per la difesa della biodiversità”.
In effetti sul reale valore delle api come attori primari della biodiversità sappiamo poco. Eppure si stima che l’impollinazione delle specie vegetali – di cui l’ape garantisce la continuità nella riproduzione – equivalga, in termini alimentari, a un terzo di quanto arriva sulle nostre tavole. ApiMed rappresenta 24 organizzazioni apistiche in 12 Paesi del Mediterraneo e decine di migliaia di apicoltori che producono un miele che rispetta standard definiti in difesa del consumatore e dell’ecosistema di cui le api sono inestimabili guardiani. Ma non c’è solo un obiettivo “produttivo”. Qualcuno al Forum ha fatto notare che le api che hanno le loro arnie a Gerusalemme o nei Territori occupati di Palestina, si fanno un baffo del muro. Fanno il loro lavoro in nome del miele e, senza saperlo, di un mondo senza confini.
Ho un’ape (marocchina) per la testa
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La città marocchina dalle montagne sotto il video del progetto Coobeeration |
Chefchaouen è una città del Marocco famosa per la sua medina – la città vecchia – motivo per il quale è diventata nel 2010 un patrimonio dell’umanità. La cosa è stata possibile attraverso un passaggio singolare ossia la presenza di questa città, che ha un sindaco abile quanto attivo e simpatico, nel percorso della Dieta mediterranea della quale questo villaggione marocchino
rappresenta uno dei fulcri meridionali. Ma da qualche giorno la città si è impegnata – nella persona del suo sindaco, Mohammed Sefiani – a essere la prima città marocchina “amica delle api”. Non solo: si è anche impegnata a coinvolgere due associazioni tra città marocchine di cui ha la presidenza, sia a livello provinciale sia a livello nazionale, perché ancor più municipalità del regno diventino “amiche delle api”. L’occasione è stato il Forum degli apicultori del Mediterraneo, organizzato in Marocco dall’Associazione ApiMed, a pochi giorni dalle conclusioni di COOP22. Al Forum hanno partecipato 200 delegati che rappresentano i diversi Paesi aderenti all’associazione transnazionale (Marocco, Italia, Francia, Egitto, Palestina, Giordania, Iraq, Algeria, Libano, Tunisia) con università e centri di ricerca, enti locali, organizzazioni internazionali (Undp) e attori di cooperazione oltre a moltissimi apicoltori soprattutto marocchini.
Dal Forum è uscito anche molto altro: una vera sorpresa per chi, come me, mangia volentieri il miele ma ne sa davvero poco.
Intanto un concorso internazionale tra tutti gli apicoltori del Mediterraneo che selezioni il miglior miele prodotto sulle rive del mare che abbracci Europa, Africa e Medio Oriente. E poi una giornata di sensibilizzazione su apicoltura, biodiversità e sicurezza alimentare in tutte le città aderenti all’iniziativa “Comuni amici delle api”. “L’idea – mi spiega Vincenzo Panettieri Presidente di ApiMed – parte dal rilancio della Carta dei mieli del Mediterraneo approvata l’anno scorso a Tunisi. Il concorso infatti vuole mettere alla prova la qualità e gli standerd degli apicoltori mediterranei, varcando i confini nazionali ed entrando in contatto con una realtà produttiva più ampia”. Tuti collaboreranno per determinare il vincitore. Dai laboratori tunisini alle università italiane, ai centri di ricerca di Grecia o Marocco. Lucia Maddoli, di FELCOS (il fondo dei comuni umbri per la cooperazione) e coordinatrice del progetto Mediterranean CooBEEration, aggiunge che però “è anche importante creare per la prossima primavera una giornata internazionale di informazione ai cittadini per spiegare il valore dell’apicoltura come bene comune e perché l’ape è un alleato fondamentale per la difesa della biodiversità”.
In effetti sul reale valore delle api come attori primari della biodiversità sappiamo poco. Eppure si stima che l’impollinazione delle specie vegetali – di cui l’ape garantisce la continuità nella riproduzione – equivalga, in termini alimentari, a un terzo di quanto arriva sulle nostre tavole. ApiMed rappresenta 24 organizzazioni apistiche in 12 Paesi del Mediterraneo e decine di migliaia di apicoltori che producono un miele che rispetta standard definiti in difesa del consumatore e dell’ecosistema di cui le api sono inestimabili guardiani. Ma non c’è solo un obiettivo “produttivo”. Qualcuno al Forum ha fatto notare che le api che hanno le loro arnie a Gerusalemme o nei Territori occupati di Palestina, si fanno un baffo del muro. Fanno il loro lavoro in nome del miele e, senza saperlo, di un mondo senza confini.
Ho un’ape (marocchina) per la testa
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La città marocchina dalle montagne sotto il video del progetto Coobeeration |
Chefchaouen è una città del Marocco famosa per la sua medina – la città vecchia – motivo per il quale è diventata nel 2010 un patrimonio dell’umanità. La cosa è stata possibile attraverso un passaggio singolare ossia la presenza di questa città, che ha un sindaco abile quanto attivo e simpatico, nel percorso della Dieta mediterranea della quale questo villaggione marocchino
rappresenta uno dei fulcri meridionali. Ma da qualche giorno la città si è impegnata – nella persona del suo sindaco, Mohammed Sefiani – a essere la prima città marocchina “amica delle api”. Non solo: si è anche impegnata a coinvolgere due associazioni tra città marocchine di cui ha la presidenza, sia a livello provinciale sia a livello nazionale, perché ancor più municipalità del regno diventino “amiche delle api”. L’occasione è stato il Forum degli apicultori del Mediterraneo, organizzato in Marocco dall’Associazione ApiMed, a pochi giorni dalle conclusioni di COOP22. Al Forum hanno partecipato 200 delegati che rappresentano i diversi Paesi aderenti all’associazione transnazionale (Marocco, Italia, Francia, Egitto, Palestina, Giordania, Iraq, Algeria, Libano, Tunisia) con università e centri di ricerca, enti locali, organizzazioni internazionali (Undp) e attori di cooperazione oltre a moltissimi apicoltori soprattutto marocchini.
Dal Forum è uscito anche molto altro: una vera sorpresa per chi, come me, mangia volentieri il miele ma ne sa davvero poco.
Intanto un concorso internazionale tra tutti gli apicoltori del Mediterraneo che selezioni il miglior miele prodotto sulle rive del mare che abbracci Europa, Africa e Medio Oriente. E poi una giornata di sensibilizzazione su apicoltura, biodiversità e sicurezza alimentare in tutte le città aderenti all’iniziativa “Comuni amici delle api”. “L’idea – mi spiega Vincenzo Panettieri Presidente di ApiMed – parte dal rilancio della Carta dei mieli del Mediterraneo approvata l’anno scorso a Tunisi. Il concorso infatti vuole mettere alla prova la qualità e gli standerd degli apicoltori mediterranei, varcando i confini nazionali ed entrando in contatto con una realtà produttiva più ampia”. Tuti collaboreranno per determinare il vincitore. Dai laboratori tunisini alle università italiane, ai centri di ricerca di Grecia o Marocco. Lucia Maddoli, di FELCOS (il fondo dei comuni umbri per la cooperazione) e coordinatrice del progetto Mediterranean CooBEEration, aggiunge che però “è anche importante creare per la prossima primavera una giornata internazionale di informazione ai cittadini per spiegare il valore dell’apicoltura come bene comune e perché l’ape è un alleato fondamentale per la difesa della biodiversità”.
In effetti sul reale valore delle api come attori primari della biodiversità sappiamo poco. Eppure si stima che l’impollinazione delle specie vegetali – di cui l’ape garantisce la continuità nella riproduzione – equivalga, in termini alimentari, a un terzo di quanto arriva sulle nostre tavole. ApiMed rappresenta 24 organizzazioni apistiche in 12 Paesi del Mediterraneo e decine di migliaia di apicoltori che producono un miele che rispetta standard definiti in difesa del consumatore e dell’ecosistema di cui le api sono inestimabili guardiani. Ma non c’è solo un obiettivo “produttivo”. Qualcuno al Forum ha fatto notare che le api che hanno le loro arnie a Gerusalemme o nei Territori occupati di Palestina, si fanno un baffo del muro. Fanno il loro lavoro in nome del miele e, senza saperlo, di un mondo senza confini.
L’Islam attraverso il diritto
L’Islam attraverso il diritto. La storia del diritto islamico dalle origini ai giorni nostri, in quattro Lezioni a Uomini e Profeti, Radio 3, novembre 2016.
L’Islam attraverso il diritto
L’Islam attraverso il diritto. La storia del diritto islamico dalle origini ai giorni nostri, in quattro Lezioni a Uomini e Profeti, Radio 3, novembre 2016.
L’Islam attraverso il diritto
L’Islam attraverso il diritto. La storia del diritto islamico dalle origini ai giorni nostri, in quattro Lezioni a Uomini e Profeti, Radio 3, novembre 2016.
Palestina: istigazione alla piromania
Negli ultimi giorni si è assistito ad un improvviso aumento degli incendi in varie località israeliane, il primo ministro Netanyahu punta il dito contro la comunità palestinese
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Storie speciali per gente normale: Sutera Villa S. Giovanni e Riace
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Da «sticazzi…» a «mecojoni!»: lo spoof del complottismo e il ghost in the machine
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Anatole. So che ci eravamo ripromessi di parlare del tema forse nodale attorno al quale ruotano i ragionamenti sul consenso nell’epoca della postverità veicolata dai social media, ma non so resistere al richiamo complottistico della storia di questo account twitter intestato a una certa Beatrice di Maio, denunciata per diffamazione da Luca Lotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, scopertosi appartenere a Tommasa Giovannoni Ottaviani, detta Titti, moglie dell’ex ministro di Forza Italia Renato Brunetta.…
Da «sticazzi…» a «mecojoni!»: lo spoof del complottismo e il ghost in the machine è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
Da «sticazzi…» a «mecojoni!»: lo spoof del complottismo e il ghost in the machine
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Anatole. So che ci eravamo ripromessi di parlare del tema forse nodale attorno al quale ruotano i ragionamenti sul consenso nell’epoca della postverità veicolata dai social media, ma non so resistere al richiamo complottistico della storia di questo account twitter intestato a una certa Beatrice di Maio, denunciata per diffamazione da Luca Lotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, scopertosi appartenere a Tommasa Giovannoni Ottaviani, detta Titti, moglie dell’ex ministro di Forza Italia Renato Brunetta.…
Da «sticazzi…» a «mecojoni!»: lo spoof del complottismo e il ghost in the machine è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
Da «sticazzi…» a «mecojoni!»: lo spoof del complottismo e il ghost in the machine
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Anatole. So che ci eravamo ripromessi di parlare del tema forse nodale attorno al quale ruotano i ragionamenti sul consenso nell’epoca della postverità veicolata dai social media, ma non so resistere al richiamo complottistico della storia di questo account twitter intestato a una certa Beatrice di Maio, denunciata per diffamazione da Luca Lotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, scopertosi appartenere a Tommasa Giovannoni Ottaviani, detta Titti, moglie dell’ex ministro di Forza Italia Renato Brunetta.…
Da «sticazzi…» a «mecojoni!»: lo spoof del complottismo e il ghost in the machine è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
I rapporti tra Turchia e Occidente sono in uno dei momenti peggiori
L’ingresso della Turchia nell’Unione Europea si allontana e le pressioni dagli Usa aumentano
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Azar Nafisi-Leggere Lolita a Teheran
Azar Nafisi è una scrittrice di origine iraniana, ha insegnato in vari atenei della capitale iraniana e nel 1997 ha deciso di trasferirsi negli stati Uniti d’America. Oggi, insegna letteratura inglese alla John Hopkins University. Il romanzo “Leggere lolita a… Continue Reading →
Siria: J. K. Rowling invia libri “Harry Potter” a una bimba di Aleppo Est
(Step Feed). Bana Alabed, una bimba siriana di 7 anni, legge per “dimenticare la guerra” ad Aleppo Est. Tramite il suo account Twitter, lanciato qualche mese fa con l’aiuto della mamma e della sua maestra, Bana parla ogni torno della situazione del suo paese per sensibilizzare il mondo di fronte le atrocità che la popolazione […]
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Cucina emiratina: lgeimat, pasta fritta in sciroppo speziato
Reso unico da uno sciroppo al sapore di zafferano, cardamomo e cannella, questo dolce è uno dei preferiti dalle famiglie emiratine durante il Ramadan. Scopriamo come preparare il lgeimat! Ingredienti: Per la pasta: 250g di farina 1 cucchiaio di zucchero 1 cucchiaio di lievito 1 cucchiaino di bicarbonato 1 uovo 150g di yogurt greco intero 125ml […]
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La settimana di Arabpress in podcast – IX puntata
Le notizie e gli approfondimenti più importanti della settimana in 5 minuti! A cura di Giusy Regina
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Conflitti ideologici tra le varie entità dell’opposizione siriana
La lotta tra i diversi gruppi settari in Siria rischia di distorcere il significato della rivoluzione agli occhi del mondo e di compromettere definitivamente l’unità del Paese
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DOSSIER: QUESTIONI DI GENERE
È possibile indagare le relazioni di genere tra una riva e l’altra del Mediterraneo, cogliendone qui e là le diverse declinazioni, pur senza alcuna pretesa di esaustività? È quanto cerca di fare questo dossier, i cui contenuti sono stati realizzati da 9 media digitali indipendenti: Arablog, Babelmed, Enab Baladi, Frame, Inkyfada, MadaMasr, Mashallah News, Radio M, Tunisie Bondy Blog. Si parla di lavoro con due inchieste di autogestione in altrettante fabbriche in Turchia e in Tunisia, di esperienze professionali con il ritratto di due donne che fanno ‘mestieri da uomini’: una macellaia in Algeria e una minatrice in Sardegna. Si parla di discriminazioni e violenza contro le donne con i reportage sul femminicidio in Italia, le molestie sessuali nei media in Egitto, il divorzio in Tunisia, le lotte delle donne di Raqqa in Siria. A chiudere questo mosaico, le testimonianze di uomini che vogliono uscire dalla gabbia degli stereotipi di genere. Il dossier è stato realizzato nell’ambito del progetto Ebticar e con la collaborazione della rivista italiana Leggendaria.
DOSSIER: QUESTIONI DI GENERE
È possibile indagare le relazioni di genere tra una riva e l’altra del Mediterraneo, cogliendone qui e là le diverse declinazioni, pur senza alcuna pretesa di esaustività? È quanto cerca di fare questo dossier, i cui contenuti sono stati realizzati da 9 media digitali indipendenti: Arablog, Babelmed, Enab Baladi, Frame, Inkyfada, MadaMasr, Mashallah News, Radio M, Tunisie Bondy Blog. Si parla di lavoro con due inchieste di autogestione in altrettante fabbriche in Turchia e in Tunisia, di esperienze professionali con il ritratto di due donne che fanno ‘mestieri da uomini’: una macellaia in Algeria e una minatrice in Sardegna. Si parla di discriminazioni e violenza contro le donne con i reportage sul femminicidio in Italia, le molestie sessuali nei media in Egitto, il divorzio in Tunisia, le lotte delle donne di Raqqa in Siria. A chiudere questo mosaico, le testimonianze di uomini che vogliono uscire dalla gabbia degli stereotipi di genere. Il dossier è stato realizzato nell’ambito del progetto Ebticar e con la collaborazione della rivista italiana Leggendaria.
DOSSIER GENERE
È possibile indagare le relazioni di genere tra una riva e l’altra del Mediterraneo, cogliendone qui e là le diverse declinazioni, pur senza alcuna pretesa di esaustività? È quanto cerca di fare questo dossier, i cui contenuti sono stati realizzati da 9 media digitali indipendenti: Arablog, Babelmed, Enab Baladi, Frame, Inkyfada, MadaMasr, Mashallah News, Radio M, Tunisie Bondy Blog. Si parla di lavoro con due inchieste di autogestione in altrettante fabbriche in Turchia e in Tunisia, di esperienze professionali con il ritratto di due donne che fanno ‘mestieri da uomini’: una macellaia in Algeria e una minatrice in Sardegna. Si parla di discriminazioni e violenza contro le donne con i reportage sul femminicidio in Italia, le molestie sessuali nei media in Egitto, il divorzio in Tunisia, le lotte delle donne di Raqqa in Siria. A chiudere questo mosaico, le testimonianze di uomini che vogliono uscire dalla gabbia degli stereotipi di genere. Il dossier è stato realizzato nell’ambito del progetto Ebticar e con la collaborazione della rivista italiana Leggendaria.
Prima parliamo dell’amore
«Non partiamo mai dalla violenza con le donne che vengono a chiedere aiuto. Hanno vissuto all’interno di una relazione violenta ma hanno costruito con quell’uomo una storia, un progetto di vita, lo hanno amato, sono state amate. Il percorso con loro parte da lì». Intervista di Silvia Neonato a due operatrici di Be Free. Articolo pubblicato nel n.120/2016 di leggendaria dedicato alla violenza sulle donne. Leggendaria n.120/2016
Prima parliamo dell’amore
«Non partiamo mai dalla violenza con le donne che vengono a chiedere aiuto. Hanno vissuto all’interno di una relazione violenta ma hanno costruito con quell’uomo una storia, un progetto di vita, lo hanno amato, sono state amate. Il percorso con loro parte da lì». Intervista di Silvia Neonato a due operatrici di Be Free. Articolo pubblicato nel n.120/2016 di leggendaria dedicato alla violenza sulle donne. Leggendaria n.120/2016
Prima parliamo dell’amore
«Non partiamo mai dalla violenza con le donne che vengono a chiedere aiuto. Hanno vissuto all’interno di una relazione violenta ma hanno costruito con quell’uomo una storia, un progetto di vita, lo hanno amato, sono state amate. Il percorso con loro parte da lì». Intervista di Silvia Neonato a due operatrici di Be Free. Articolo pubblicato nel n.120/2016 di leggendaria dedicato alla violenza sulle donne. Leggendaria n.120/2016
Ora Basta !
Una grande manifestazione nazionale contro la violenza il 26 novembre a Roma: perché i femminicidi non si fermano. Le donne denunciano e lavorano sul tema da oltre 30 anni in tutto il mondo, ma le istituzioni nazionali e internazionali sono in ritardo e spesso poco efficaci. I centri italiani e la voce delle operatrici, i limiti del piano governativo, la violenza taciuta dei maschi sui maschi … A leggere in Leggendaria n. 120/2016 dedicato al Femminicidio.
Ora Basta !
Una grande manifestazione nazionale contro la violenza il 26 novembre a Roma: perché i femminicidi non si fermano. Le donne denunciano e lavorano sul tema da oltre 30 anni in tutto il mondo, ma le istituzioni nazionali e internazionali sono in ritardo e spesso poco efficaci. I centri italiani e la voce delle operatrici, i limiti del piano governativo, la violenza taciuta dei maschi sui maschi … A leggere in Leggendaria n. 120/2016 dedicato al Femminicidio.
Ora Basta !
Una grande manifestazione nazionale contro la violenza il 26 novembre a Roma: perché i femminicidi non si fermano. Le donne denunciano e lavorano sul tema da oltre 30 anni in tutto il mondo, ma le istituzioni nazionali e internazionali sono in ritardo e spesso poco efficaci. I centri italiani e la voce delle operatrici, i limiti del piano governativo, la violenza taciuta dei maschi sui maschi … A leggere in Leggendaria n. 120/2016 dedicato al Femminicidio.
I minori non accompagnati e la crisi dei migranti
I materiali vengono pubblicati sotto Licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale CC BY-NC
Vrije Universiteit di Amsterdam…
Caporalato libanese
Beirut — Sono arrivato a Beirut solo da una settimana, quanto basta per farsi inghiottire e trascinare dal suo meraviglioso quanto…
Egitto. Cosa resta di via Mohamed Mahmoud?
Un tempo via Mohamed Mahmoud al Cairo è stata il simbolo della rivoluzione di piazza Tahrir. Ma cosa resta oggi di quella strada e della street art tra repressione e gentrificazione?
Egitto. Cosa resta di via Mohamed Mahmoud?
Un tempo via Mohamed Mahmoud al Cairo è stata il simbolo della rivoluzione di piazza Tahrir. Ma cosa resta oggi di quella strada e della street art tra repressione e gentrificazione?
Egitto. Cosa resta di via Mohamed Mahmoud?
Un tempo via Mohamed Mahmoud al Cairo è stata il simbolo della rivoluzione di piazza Tahrir. Ma cosa resta oggi di quella strada e della street art tra repressione e gentrificazione?
Non chiamiamo fatalità le morti dei migranti in transito
In pochi giorni tre giovani vite sono state spezzate dagli effetti dell’inasprimento dei controlli alle frontiere interne dell’Unione…
Erdogan blocca una legge mentre l’EU blocca i negoziati
La Nuova Turchia di Erdogan: guidata dal buon senso e dalle proteste interne o dalle contropartite politiche ed economiche europee?
L’articolo Erdogan blocca una legge mentre l’EU blocca i negoziati sembra essere il primo su Arabpress.
Passaggi: “Sensi” di Adania Shibli
Dal blog Mille e una pagina di Claudia Negrini
L’articolo Passaggi: “Sensi” di Adania Shibli sembra essere il primo su Arabpress.
Appunti siciliani: no all’approccio hotspot né qui né altrove
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
L’umorismo degli afgani ovvero quel che nemmeno la guerra riesce a uccidere
Per promuovere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) tra la gioventù afgana,
l’Undp di Kabul ha pensato di indire un festival di aquiloni. La cosa divertente, visto che per errore la mail è stata mandata in copia visibile a tutti, è che qualcuno ha commentato con ironia. E non sembra che l’inizio. Ecco la suggestione della prima risposta all’invito, cui già ne son seguite altre:
Hi UNDP with 50 years of experience in development,
Could you please explain the relations between Sustainable Development Goals and kite running and that how you made such an excellent scientific developmental discovery to promote sustainable development goals among the young generation through kite running?! Kite running festival becomes so cliche in Afghanistan. I recommend you guys to hold a festival of “ tushla” in Afghanistan. Tushla is more nostalgic for us and we love it more than kite running. I promise to come to your Tushla bazi festival.
Direi che la traduzione non serve ma bisogna dire cos’è un torneo di Tushla Bazi, cosa che faccio fare a un fotografo afgano, Nasim Fekrat. A voi lascio la risata dopo aver aperto il link e ripescato nella vostra memoria anche un’italica usanza….
L’umorismo degli afgani ovvero quel che nemmeno la guerra riesce a uccidere
Per promuovere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) tra la gioventù afgana,
l’Undp di Kabul ha pensato di indire un festival di aquiloni. La cosa divertente, visto che per errore la mail è stata mandata in copia visibile a tutti, è che qualcuno ha commentato con ironia. E non sembra che l’inizio. Ecco la suggestione della prima risposta all’invito, cui già ne son seguite altre:
Hi UNDP with 50 years of experience in development,
Could you please explain the relations between Sustainable Development Goals and kite running and that how you made such an excellent scientific developmental discovery to promote sustainable development goals among the young generation through kite running?! Kite running festival becomes so cliche in Afghanistan. I recommend you guys to hold a festival of “ tushla” in Afghanistan. Tushla is more nostalgic for us and we love it more than kite running. I promise to come to your Tushla bazi festival.
Direi che la traduzione non serve ma bisogna dire cos’è un torneo di Tushla Bazi, cosa che faccio fare a un fotografo afgano, Nasim Fekrat. A voi lascio la risata dopo aver aperto il link e ripescato nella vostra memoria anche un’italica usanza….
L’umorismo degli afgani ovvero quel che nemmeno la guerra riesce a uccidere
Per promuovere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) tra la gioventù afgana,
l’Undp di Kabul ha pensato di indire un festival di aquiloni. La cosa divertente, visto che per errore la mail è stata mandata in copia visibile a tutti, è che qualcuno ha commentato con ironia. E non sembra che l’inizio. Ecco la suggestione della prima risposta all’invito, cui già ne son seguite altre:
Hi UNDP with 50 years of experience in development,
Could you please explain the relations between Sustainable Development Goals and kite running and that how you made such an excellent scientific developmental discovery to promote sustainable development goals among the young generation through kite running?! Kite running festival becomes so cliche in Afghanistan. I recommend you guys to hold a festival of “ tushla” in Afghanistan. Tushla is more nostalgic for us and we love it more than kite running. I promise to come to your Tushla bazi festival.
Direi che la traduzione non serve ma bisogna dire cos’è un torneo di Tushla Bazi, cosa che faccio fare a un fotografo afgano, Nasim Fekrat. A voi lascio la risata dopo aver aperto il link e ripescato nella vostra memoria anche un’italica usanza….
L’umorismo degli afgani ovvero quel che nemmeno la guerra riesce a uccidere
Per promuovere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) tra la gioventù afgana,
l’Undp di Kabul ha pensato di indire un festival di aquiloni. La cosa divertente, visto che per errore la mail è stata mandata in copia visibile a tutti, è che qualcuno ha commentato con ironia. E non sembra che l’inizio. Ecco la suggestione della prima risposta all’invito, cui già ne son seguite altre:
Hi UNDP with 50 years of experience in development,
Could you please explain the relations between Sustainable Development Goals and kite running and that how you made such an excellent scientific developmental discovery to promote sustainable development goals among the young generation through kite running?! Kite running festival becomes so cliche in Afghanistan. I recommend you guys to hold a festival of “ tushla” in Afghanistan. Tushla is more nostalgic for us and we love it more than kite running. I promise to come to your Tushla bazi festival.
Direi che la traduzione non serve ma bisogna dire cos’è un torneo di Tushla Bazi, cosa che faccio fare a un fotografo afgano, Nasim Fekrat. A voi lascio la risata dopo aver aperto il link e ripescato nella vostra memoria anche un’italica usanza….
L’umorismo degli afgani ovvero quel che nemmeno la guerra riesce a uccidere
Per promuovere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) tra la gioventù afgana,
l’Undp di Kabul ha pensato di indire un festival di aquiloni. La cosa divertente, visto che per errore la mail è stata mandata in copia visibile a tutti, è che qualcuno ha commentato con ironia. E non sembra che l’inizio. Ecco la suggestione della prima risposta all’invito, cui già ne son seguite altre:
Hi UNDP with 50 years of experience in development,
Could you please explain the relations between Sustainable Development Goals and kite running and that how you made such an excellent scientific developmental discovery to promote sustainable development goals among the young generation through kite running?! Kite running festival becomes so cliche in Afghanistan. I recommend you guys to hold a festival of “ tushla” in Afghanistan. Tushla is more nostalgic for us and we love it more than kite running. I promise to come to your Tushla bazi festival.
Direi che la traduzione non serve ma bisogna dire cos’è un torneo di Tushla Bazi, cosa che faccio fare a un fotografo afgano, Nasim Fekrat. A voi lascio la risata dopo aver aperto il link e ripescato nella vostra memoria anche un’italica usanza….
Nigeria. Protezione umaniataria motivata dal buon percorso di integrazione.
Si ringrazia l’Avv. Enrico Genovese per la segnalazione.
La morte del ragazzo eritreo è una morte annunciata
Bozen Accoglie chiede l’apertura immediata di Centri di prima accoglienza per donne e minori anche a Bolzano e promuove un’iniziativa di…
Il destino incerto dell’energia egiziana
Dal blog Egitto in movimento di Ludovica Brignola
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Fonti, strumenti e metodologie per la ricerca di campo in Nord Africa. Trasformazioni sociali, linguistiche e nuovi linguaggi multimediali
Sin dall’antichità la ricerca sul campo ha sempre rappresentato uno degli strumenti principali per la ricerca sociologica, lo scopo principale di tale strumento è sicuramente quello di poter confrontare le ricerche teoriche con quelle pratiche ed offrire la possibilità il… Continue Reading →
Il futuro di al-Fatah: movimento di liberazione o partito di potere?
I giochi di potere che allontanano al-Fatah dalla questione palestinese
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Cosa ha ricavato il Marocco dalla COP22?
Il Marocco ha promosso le sue start-up e il suo impegno ecologico, nonostante il rinvio dei negoziati agricoli africani fino alla prossima COP.
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Memoria e verità. Il futuro della Tunisia (II parte)
Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al via le udienze pubbliche dell’Istanza Verità e Giustizia per fare chiarezza sulle vittime di dittature e abusi nel paese.
Memoria e verità. Il futuro della Tunisia (II parte)
Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al via le udienze pubbliche dell’Istanza Verità e Giustizia per fare chiarezza sulle vittime di dittature e abusi nel paese.
Memoria e verità. Il futuro della Tunisia (II parte)
Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al via le udienze pubbliche dell’Istanza Verità e Giustizia per fare chiarezza sulle vittime di dittature e abusi nel paese.
Aleppo: obbiettivo 275.000 sfollati
Sullo scacchiere delle parti in conflitto, sono i civili a pagare le conseguenze più care, e non è un caso
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Tunisia: giustizia di transizione e dittatura
Santiago Alba Rico Nel bel mezzo del caos regionale e dello sgomento generale, la piccola e dimenticata Tunisia continua ad offrirci buone notizie. La settimana scorsa gli stessi tunisini si sono ritrovati sorpresi -scossi, colpiti, commossi- dalle testimonianze di torture e sparizioni rese a voce alta dalle vittime delle due dittature (quella di Bourguiba fino al 1987 e quella […]
Tunisia: giustizia di transizione e dittatura
Santiago Alba Rico Nel bel mezzo del caos regionale e dello sgomento generale, la piccola e dimenticata Tunisia continua ad offrirci buone notizie. La settimana scorsa gli stessi tunisini si sono ritrovati sorpresi -scossi, colpiti, commossi- dalle testimonianze di torture e sparizioni rese a voce alta dalle vittime delle due dittature (quella di Bourguiba fino al 1987 e quella […]
Tunisia: giustizia di transizione e dittatura
Santiago Alba Rico Nel bel mezzo del caos regionale e dello sgomento generale, la piccola e dimenticata Tunisia continua ad offrirci buone notizie. La settimana scorsa gli stessi tunisini si sono ritrovati sorpresi -scossi, colpiti, commossi- dalle testimonianze di torture e sparizioni rese a voce alta dalle vittime delle due dittature (quella di Bourguiba fino al 1987 e quella […]
Tunisia: giustizia di transizione e dittatura
Santiago Alba Rico Nel bel mezzo del caos regionale e dello sgomento generale, la piccola e dimenticata Tunisia continua ad offrirci buone notizie. La settimana scorsa gli stessi tunisini si sono ritrovati sorpresi -scossi, colpiti, commossi- dalle testimonianze di torture e sparizioni rese a voce alta dalle vittime delle due dittature (quella di Bourguiba fino al 1987 e quella […]
Tunisia: giustizia di transizione e dittatura
Santiago Alba Rico Nel bel mezzo del caos regionale e dello sgomento generale, la piccola e dimenticata Tunisia continua ad offrirci buone notizie. La settimana scorsa gli stessi tunisini si sono ritrovati sorpresi -scossi, colpiti, commossi- dalle testimonianze di torture e sparizioni rese a voce alta dalle vittime delle due dittature (quella di Bourguiba fino al 1987 e quella […]
Tunisia: giustizia di transizione e dittatura
Santiago Alba Rico Nel bel mezzo del caos regionale e dello sgomento generale, la piccola e dimenticata Tunisia continua ad offrirci buone notizie. La settimana scorsa gli stessi tunisini si sono ritrovati sorpresi -scossi, colpiti, commossi- dalle testimonianze di torture e sparizioni rese a voce alta dalle vittime delle due dittature (quella di Bourguiba fino al 1987 e quella […]
Si ringrazia l’Avv. Stefano Maiorano per la segnalazione. Il commento è della redazione.
Con questa ordinanza, il Tribunale di Lecce riconosce la protezione umanitaria ad un cittadino del Ghana a seguito dei trattamenti inumani…
Nigeria. Anche nel sud del paese vi è una situazione di diffusa insicurezza
Si ringrazia l’Avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione.
Bresso: la protesta dei migranti e dei solidali arriva in Prefettura
Dopo il video pubblicato da Il Fatto Quotidiano e la manifestazione del 12 novembre davanti ai cancelli del centro polifunzionale della…
Apriti Bresso! Un’accoglienza dignitosa per tutti
Riceviamo e pubblichiamo.
Giovedì 24 novembre 2016
Piazza Fontana, ore 17 — corteo rifugiati e solidali
Prefettura di Milano, ore 18 …
Pressione internazionale sul Marocco per permettere agli omosessuali di uscire allo scoperto
La comunità internazionale si schiera a favore con i LGBT dopo i recenti casi di discriminazione nel paese arabo
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Egitto – Il regime contro ogni dissidenza: aggiornamenti sulla repressione
Nessuno degli altri despoti che hanno governato l’Egitto dal 1952 aveva osato condannare al carcere il capo del sindacato dei giornalisti, Yehia Qalash, il suo vice, Gamal Abd el Reheem, e il capo della “commissione delle libertà”, Khaled al-Balshy. La … Continue reading →
Memoria e verità. Il futuro della Tunisia (I parte)
Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al via le udienze pubbliche dell’Istanza Verità e Giustizia per fare chiarezza sulle vittime di dittature e abusi nel paese.
Memoria e verità. Il futuro della Tunisia (I parte)
Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al via le udienze pubbliche dell’Istanza Verità e Giustizia per fare chiarezza sulle vittime di dittature e abusi nel paese.
Memoria e verità. Il futuro della Tunisia (I parte)
Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al via le udienze pubbliche dell’Istanza Verità e Giustizia per fare chiarezza sulle vittime di dittature e abusi nel paese.
Laccueil des mineurs isolés étrangers à Paris
OLIVIER FAVIER publié dans BASTAMAG Bastamag è un giornale on-line francese edito dal 2008 dall’associazione Alter-médias.
“Le rose e il chador” di Barbara Nepitelli e Cesarina Trillini
Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro
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Da Abu Bakr al-Baghdadi a Donald Trump
Attraverso lo scontro fra civiltà, l’Islam è divenuto un nuovo nemico ma il razzismo contro i musulmani si è mutato in un razzismo interno che non colpisce soltanto i musulmani ma tutte le minoranze non bianche
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Le donne di Raqqa “combattono” le leggi dello stato islamico e continuano a lavorare
“Forse sono riusciti a nasconderci dietro queste tende nere, a imprigionarci dentro le case, ma non sono riusciti ad abbattere il nostro morale e a impadronirsi della nostra forza di volontà. Noi amiamo ancora la vita e il lavoro“. Enab Baladi
Le donne di Raqqa “combattono” le leggi dello stato islamico e continuano a lavorare
“Forse sono riusciti a nasconderci dietro queste tende nere, a imprigionarci dentro le case, ma non sono riusciti ad abbattere il nostro morale e a impadronirsi della nostra forza di volontà. Noi amiamo ancora la vita e il lavoro“. Enab Baladi
La postverità e il pallone sbagliato dalle veline dell’ISIS ai tronisti della «loi travail»
Anatole. Forse si può riprendere la questione del complottone per elaborare qualche idea su come funzioni la verità del discorso corrente, cioè per ragionare su cosa significa oggi dire una cosa vera. Disponendo sull’asse delle ordinate un gradiente di menzogna/verità e su quello delle ascisse populismo e democrazia, il complottismo si situa al punto di intersezione.…
La postverità e il pallone sbagliato dalle veline dell’ISIS ai tronisti della «loi travail» è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
La postverità e il pallone sbagliato dalle veline dell’ISIS ai tronisti della «loi travail»
Anatole. Forse si può riprendere la questione del complottone per elaborare qualche idea su come funzioni la verità del discorso corrente, cioè per ragionare su cosa significa oggi dire una cosa vera. Disponendo sull’asse delle ordinate un gradiente di menzogna/verità e su quello delle ascisse populismo e democrazia, il complottismo si situa al punto di intersezione.…
La postverità e il pallone sbagliato dalle veline dell’ISIS ai tronisti della «loi travail» è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
La postverità e il pallone sbagliato dalle veline dell’ISIS ai tronisti della «loi travail»
Anatole. Forse si può riprendere la questione del complottone per elaborare qualche idea su come funzioni la verità del discorso corrente, cioè per ragionare su cosa significa oggi dire una cosa vera. Disponendo sull’asse delle ordinate un gradiente di menzogna/verità e su quello delle ascisse populismo e democrazia, il complottismo si situa al punto di intersezione.…
La postverità e il pallone sbagliato dalle veline dell’ISIS ai tronisti della «loi travail» è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
“A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri
A inizio novembre a Barcellona si è svolta la premiazione del concorso letterario euro-mediterraneo A Sea of Words, promosso dall’Istituto Europeo per il Mediterrano (IEMed) e la Fondazione Anna Lindh (ALF), giunto alla sua nona edizione. Il concorso è aperto alla partecipazione di giovani autori tra 18 e 30 anni provenienti dai 44 paesi dell’area … Continua a leggere “A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri →
“A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri
A inizio novembre a Barcellona si è svolta la premiazione del concorso letterario euro-mediterraneo A Sea of Words, promosso dall’Istituto Europeo per il Mediterrano (IEMed) e la Fondazione Anna Lindh (ALF), giunto alla sua nona edizione. Il concorso è aperto alla partecipazione di giovani autori tra 18 e 30 anni provenienti dai 44 paesi dell’area … Continua a leggere “A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri →
“A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri
A inizio novembre a Barcellona si è svolta la premiazione del concorso letterario euro-mediterraneo A Sea of Words, promosso dall’Istituto Europeo per il Mediterrano (IEMed) e la Fondazione Anna Lindh (ALF), giunto alla sua nona edizione. Il concorso è aperto alla partecipazione di giovani autori tra 18 e 30 anni provenienti dai 44 paesi dell’area … Continua a leggere “A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri →
“A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri
A inizio novembre a Barcellona si è svolta la premiazione del concorso letterario euro-mediterraneo A Sea of Words, promosso dall’Istituto Europeo per il Mediterrano (IEMed) e la Fondazione Anna Lindh (ALF), giunto alla sua nona edizione. Il concorso è aperto alla partecipazione di giovani autori tra 18 e 30 anni provenienti dai 44 paesi dell’area … Continua a leggere “A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri →
“A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri
A inizio novembre a Barcellona si è svolta la premiazione del concorso letterario euro-mediterraneo A Sea of Words, promosso dall’Istituto Europeo per il Mediterrano (IEMed) e la Fondazione Anna Lindh (ALF), giunto alla sua nona edizione. Il concorso è aperto alla partecipazione di giovani autori tra 18 e 30 anni provenienti dai 44 paesi dell’area … Continua a leggere “A Sea of Words” premia la siriana Noor Hariri →
Refugee Hospitality and Humanitarian Action in Northern Lebanon: between Social Order and Transborder History
English Version: http://urd.org/Refugee-Hospitality-and This short essay will discuss the social spaces which, in times of crisis, turn into host environments for refugees and displaced people, and where humanitarian programmes are implemented. It argues that the “hosting spaces” that populate the media and NGO reports which tackle refugee influxes are constructed with direct and indirect purposes. […]
Refugee Hospitality and Humanitarian Action in Northern Lebanon: between Social Order and Transborder History
English Version: http://urd.org/Refugee-Hospitality-and This short essay will discuss the social spaces which, in times of crisis, turn into host environments for refugees and displaced people, and where humanitarian programmes are implemented. It argues that the “hosting spaces” that populate the media and NGO reports which tackle refugee influxes are constructed with direct and indirect purposes. […]
Refugee Hospitality and Humanitarian Action in Northern Lebanon: between Social Order and Transborder History
English Version: http://urd.org/Refugee-Hospitality-and This short essay will discuss the social spaces which, in times of crisis, turn into host environments for refugees and displaced people, and where humanitarian programmes are implemented. It argues that the “hosting spaces” that populate the media and NGO reports which tackle refugee influxes are constructed with direct and indirect purposes. […]
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English Version: http://urd.org/Refugee-Hospitality-and This short essay will discuss the social spaces which, in times of crisis, turn into host environments for refugees and displaced people, and where humanitarian programmes are implemented. It argues that the “hosting spaces” that populate the media and NGO reports which tackle refugee influxes are constructed with direct and indirect purposes. […]
Refugee Hospitality and Humanitarian Action in Northern Lebanon: between Social Order and Transborder History
English Version: http://urd.org/Refugee-Hospitality-and This short essay will discuss the social spaces which, in times of crisis, turn into host environments for refugees and displaced people, and where humanitarian programmes are implemented. It argues that the “hosting spaces” that populate the media and NGO reports which tackle refugee influxes are constructed with direct and indirect purposes. […]
I desaparecidos del Mediterraneo non parliamo di naufragi perché questa è eliminazione
Questi i dati del dossier “Un Cimitero chiamato Mediterraneo”, di Emilio Drudi, Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi desaparecidos.
Giovani vite spezzate dal regime dei confini
Sono morti tra l’odore del ferro delle rotaie calde, in una frenata improvvisa ma inutile, nel buio pesto tra cime bianche di neve e il…
Ala al-Aswani-Cairo Automobile Club
“Cairo Automobile Club” è il titolo italiano del romanzo Nadi as-sayarāt di Ala al-Aswani, edito da Feltrinelli nel 2014 e tradotto da Elisabetta Bartuli e Cristina Dozio. L’autore di quest’opera è considerato oggi uno dei maggiori scrittori egiziani viventi, nonché… Continue Reading →
Scrittori arabi in Germania: il fermento della letteratura
Di Marcia Lynx Qualey. Your Middle East (20/11/2016). Traduzione e sintesi di Giusy Regina La letteratura arabo-tedesca ha origine prevalentemente negli anni ’70-’80 del secolo scorso. Nella Repubblica Federale Tedesca in particolare, tre autori hanno cominciato ad attirare l’attenzione nel 1980, con una letteratura che allora si chiamava “Gastarbeiterliteratur”; essi sono Jusuf Naoum, Suleman Taufiq e il più noto […]
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Memoria e verità, il futuro della Tunisia (seconda parte)
Patrizia Mancini “Da Sidi Bou Zid a Sidi Bou Said” potremmo, anche troppo facilmente, sotto intitolare quanto sta avvenendo nel lussuoso locale Elyssa in cui il 18 novembre 2016 riprendono le testimonianze delle vittime. Uno dei simboli del potere mafioso e criminale del clan di Ben Alì e della moglie Leila Trabelsi, oramai occupato da militanti, giornalisti e invitati disposti […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (seconda parte)
Patrizia Mancini “Da Sidi Bou Zid a Sidi Bou Said” potremmo, anche troppo facilmente, sotto intitolare quanto sta avvenendo nel lussuoso locale Elyssa in cui il 18 novembre 2016 riprendono le testimonianze delle vittime. Uno dei simboli del potere mafioso e criminale del clan di Ben Alì e della moglie Leila Trabelsi, oramai occupato da militanti, giornalisti e invitati disposti […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (seconda parte)
Patrizia Mancini “Da Sidi Bou Zid a Sidi Bou Said” potremmo, anche troppo facilmente, sotto intitolare quanto sta avvenendo nel lussuoso locale Elyssa in cui il 18 novembre 2016 riprendono le testimonianze delle vittime. Uno dei simboli del potere mafioso e criminale del clan di Ben Alì e della moglie Leila Trabelsi, oramai occupato da militanti, giornalisti e invitati disposti […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (seconda parte)
Patrizia Mancini “Da Sidi Bou Zid a Sidi Bou Said” potremmo, anche troppo facilmente, sotto intitolare quanto sta avvenendo nel lussuoso locale Elyssa in cui il 18 novembre 2016 riprendono le testimonianze delle vittime. Uno dei simboli del potere mafioso e criminale del clan di Ben Alì e della moglie Leila Trabelsi, oramai occupato da militanti, giornalisti e invitati disposti […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (seconda parte)
Patrizia Mancini “Da Sidi Bou Zid a Sidi Bou Said” potremmo, anche troppo facilmente, sotto intitolare quanto sta avvenendo nel lussuoso locale Elyssa in cui il 18 novembre 2016 riprendono le testimonianze delle vittime. Uno dei simboli del potere mafioso e criminale del clan di Ben Alì e della moglie Leila Trabelsi, oramai occupato da militanti, giornalisti e invitati disposti […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (seconda parte)
Patrizia Mancini “Da Sidi Bou Zid a Sidi Bou Said” potremmo, anche troppo facilmente, sotto intitolare quanto sta avvenendo nel lussuoso locale Elyssa in cui il 18 novembre 2016 riprendono le testimonianze delle vittime. Uno dei simboli del potere mafioso e criminale del clan di Ben Alì e della moglie Leila Trabelsi, oramai occupato da militanti, giornalisti e invitati disposti […]
Rivoluzione americana: è simile alla Primavera Araba?
Si può parlare di rivoluzione anche per le recenti elezioni americane? Secondo Khalid al-Dakhil si, basta ridefinire il concetto stesso di rivoluzione e accettare che possa avvenire in maniera pacifica
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Il Direttore Sanitario di Aleppo est annuncia che tutti gli ospedali sono fuori servizio
Mentre il regime siriano e il governo russo continuano l’assalto ad Aleppo est, il Dipartimento della Salute annuncia che tutti gli ospedali sono fuori servizio.
Il Direttore Sanitario di Aleppo est annuncia che tutti gli ospedali sono fuori servizio
Mentre il regime siriano e il governo russo continuano l’assalto ad Aleppo est, il Dipartimento della Salute annuncia che tutti gli ospedali sono fuori servizio.
Il Direttore Sanitario di Aleppo est annuncia che tutti gli ospedali sono fuori servizio
Mentre il regime siriano e il governo russo continuano l’assalto ad Aleppo est, il Dipartimento della Salute annuncia che tutti gli ospedali sono fuori servizio.
La fastidiosa questione della Palestina dal punto di vista delle sue cineaste
L’utilizzo di storie individuali per parlare di questioni comuni è ricorrente in molti documentari, ma la peculiarità dei film proposti quest’anno da Shashat è che nel farlo hanno raggiunto la perfezione.
Mendicino (CS) luci e ombre dell’accoglienza ai migranti nei CAS
Campagna LasciateCIEntrare — 01 ottobre — 12 novembre 2016
Delegazione costituita da: Emilia Corea (Ass.
Il marocchino Rebel Moon invade il web con il video del suo primo singolo
(Al Huffington Post Maghreb). Con già più di 50.000 visualizzazioni su Facebook in soli tre giorni, questo remake della famosa canzone “Lmaricane” del cantante marocchino Houcine Slaoui, morto nel 1951, è già virale. Il remake è a opera di Rebel Moon, nome d’arte di Badr Jennaoui, cantante compositore e musicista marocchino che vive in Canada dal 2010 e che […]
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Donald Trump e il Maghreb, fra incognite e attese
Ora che l’incubo di alcuni e il desiderio di altri si è realizzato. Ora che Donald Trump, che è stato presentato da quasi la totalità dei mainstream come un uomo pericoloso e disturbato, è diventato il 45° presidente del Paese più potente al mondo. Ora che il dado è tratto, il mondo deve fare i […]
L’articolo Donald Trump e il Maghreb, fra incognite e attese sembra essere il primo su MaroccOggi.
Donald Trump e il Maghreb, fra incognite e attese
Ora che l’incubo di alcuni e il desiderio di altri si è realizzato. Ora che Donald Trump, che è stato presentato da quasi la totalità dei mainstream come un uomo pericoloso e disturbato, è diventato il 45° presidente del Paese più potente al mondo. Ora che il dado è tratto, il mondo deve fare i […]
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Donald Trump e il Maghreb, fra incognite e attese
Ora che l’incubo di alcuni e il desiderio di altri si è realizzato. Ora che Donald Trump, che è stato presentato da quasi la totalità dei mainstream come un uomo pericoloso e disturbato, è diventato il 45° presidente del Paese più potente al mondo. Ora che il dado è tratto, il mondo deve fare i […]
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Donald Trump e il Maghreb, fra incognita e attese.
Ora che l’incubo di alcuni e il desiderio di altri si è realizzato. Ora che Donald Trump, che è stato presentato da quasi la totalità dei mainstream come un uomo pericoloso e disturbato, è diventato il 45° presidente del Paese più potente al mondo. Ora che il dado è tratto, il mondo deve fare i […]
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Qualunque sia la nostra opinione riguardo ai migranti nessun bambino dovrebbe annegare
Nessun bambino dovrebbe annegare — di certo non affondando in un giubbotto di salvataggio falso rifilatogli da opportunisti senza scrupoli…
Cuánto cuesta esta emergencia?
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Campaña #overthefortress: un viaje de dos meses de Sicilia a Roma dentro y más all…
Decreto Legislativo 29 ottobre 2016 N. 203
Entrata in vigore del provvedimento: 24/11/2016
Leggi il Decreto Legislativo 29 ottobre 2016 N.
Combien ça coûte cette émergence ?
5 € per 10 km : sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Approfondimento a cura dell’Avv.
IL 24 NOVEMBRE ENTRANO IN VIGORE LE NUOVE NORME IN MATERIA DI LAVORO STAGIONALE
Crisi dei migranti: attaccato campo sull’isola di Chios in Grecia
Aggressori non identificati hanno lanciato bottiglie molotov, petardi e pietre a tende di migranti in Souda, sull’isola greca di Chios…
I non-luoghi della prima accoglienza a Messina
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
La politica è un discorso unidirezionale
L’evoluzione del discorso politico nel mondo arabo: dal colonialismo ai nostri giorni
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Accordo di Muscat: le stranezze di John Kerry nella crisi in Yemen
Alcune considerazioni sul recente accordo in Oman alla ricerca di una soluzione per la guerra in Yemen
L’articolo Accordo di Muscat: le stranezze di John Kerry nella crisi in Yemen sembra essere il primo su Arabpress.
Turchia: continuano gli arresti dei politici curdi e il blocco di internet
“Ciò che è stato fatto oggi è non solo un colpo di stato, ma è di fatto un’operazione mirata a separare il paese!”
Turchia: continuano gli arresti dei politici curdi e il blocco di internet
“Ciò che è stato fatto oggi è non solo un colpo di stato, ma è di fatto un’operazione mirata a separare il paese!”
Turchia: continuano gli arresti dei politici curdi e il blocco di internet
“Ciò che è stato fatto oggi è non solo un colpo di stato, ma è di fatto un’operazione mirata a separare il paese!”
Egitto, liberati 82 detenuti politici: la crisi morde e Al Sisi diventa magnanimo
Giovedì il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha concesso l’amnistia a 82 detenuti, la maggior parte di loro in carcere per reati politici e la cui liberazione sarebbe avvenuta in tempi brevi. Tra di loro ci sono il presentatore Islam al Beheiry, il fotogiornalista Mohammed Ali Salah e l’attivista dei Fratelli Musulmani Yousra Khatib, la […]
L’articolo Egitto, liberati 82 detenuti politici: la crisi morde e Al Sisi diventa magnanimo proviene da Il Fatto Quotidiano.
Egitto, liberati 82 detenuti politici: la crisi morde e Al Sisi diventa magnanimo
Giovedì il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha concesso l’amnistia a 82 detenuti, la maggior parte di loro in carcere per reati politici e la cui liberazione sarebbe avvenuta in tempi brevi. Tra di loro ci sono il presentatore Islam al Beheiry, il fotogiornalista Mohammed Ali Salah e l’attivista dei Fratelli Musulmani Yousra Khatib, la […]
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Egitto, liberati 82 detenuti politici: la crisi morde e Al Sisi diventa magnanimo
Giovedì il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha concesso l’amnistia a 82 detenuti, la maggior parte di loro in carcere per reati politici e la cui liberazione sarebbe avvenuta in tempi brevi. Tra di loro ci sono il presentatore Islam al Beheiry, il fotogiornalista Mohammed Ali Salah e l’attivista dei Fratelli Musulmani Yousra Khatib, la […]
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Egitto, liberati 82 detenuti politici: la crisi morde e Al Sisi diventa magnanimo
Giovedì il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha concesso l’amnistia a 82 detenuti, la maggior parte di loro in carcere per reati politici e la cui liberazione sarebbe avvenuta in tempi brevi. Tra di loro ci sono il presentatore Islam al Beheiry, il fotogiornalista Mohammed Ali Salah e l’attivista dei Fratelli Musulmani Yousra Khatib, la […]
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Egitto, liberati 82 detenuti politici: la crisi morde e Al Sisi diventa magnanimo
Giovedì il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha concesso l’amnistia a 82 detenuti, la maggior parte di loro in carcere per reati politici e la cui liberazione sarebbe avvenuta in tempi brevi. Tra di loro ci sono il presentatore Islam al Beheiry, il fotogiornalista Mohammed Ali Salah e l’attivista dei Fratelli Musulmani Yousra Khatib, la […]
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Sette anni dopo
L’aereo si trova sopra il nord del Canada. Mi sta portando in California per un po’ di ferie. Ed è lì, in mezzo alle mail che mi sono inviato con i link agli articoli da leggere, che inizio a pensare a Falafel Cafè. Ai suoi sette anni, il 12 novembre scorso. Agli esordi durante il […]
Sette anni dopo
L’aereo si trova sopra il nord del Canada. Mi sta portando in California per un po’ di ferie. Ed è lì, in mezzo alle mail che mi sono inviato con i link agli articoli da leggere, che inizio a pensare a Falafel Cafè. Ai suoi sette anni, il 12 novembre scorso. Agli esordi durante il […]
Sette anni dopo
L’aereo si trova sopra il nord del Canada. Mi sta portando in California per un po’ di ferie. Ed è lì, in mezzo alle mail che mi sono inviato con i link agli articoli da leggere, che inizio a pensare a Falafel Cafè. Ai suoi sette anni, il 12 novembre scorso. Agli esordi durante il […]
Sette anni dopo
L’aereo si trova sopra il nord del Canada. Mi sta portando in California per un po’ di ferie. Ed è lì, in mezzo alle mail che mi sono inviato con i link agli articoli da leggere, che inizio a pensare a Falafel Cafè. Ai suoi sette anni, il 12 novembre scorso. Agli esordi durante il […]
Arabia Saudita: caso di divorzio via Snapchat
(Al Youm 24). Un tribunale di Gedda, in Arabia Saudita, ha registrato il primo caso di divorzio attraverso l’applicazione di messaggeria istantanea Snapchat. Secondo le fonti, una donna saudita ha chiesto al giudice di validare l’ennesima richiesta di divorzio (la terza) dopo aver mandato al futuro ex marito un messaggio tramite chat: “Voglio il divorzio”. Considerando […]
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Francia: condannata discriminazione verso arabi e persone di colore da parte della polizia
(El País). Per la prima volta un tribunale francese ha definito i controlli operati da alcuni agenti della polizia come “discriminatori”, in quanto per lo più basati sull’aspetto fisico degli individui “senza alcuna previa giustificazione oggettiva”. Di fatti in Francia, il paese europeo che effettua più controlli di identità, è sei volte più probabile che la polizia […]
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L’assenza di un progetto arabo di fronte a Israele
Sin dai tempi della visita di Saadat ad una Gerusalemme occupata, il mondo arabo non si è rapportato in maniera unitaria con Israele, ma ogni stato ha adottato le sue politiche
L’articolo L’assenza di un progetto arabo di fronte a Israele sembra essere il primo su Arabpress.
Nella giornata di ieri MEDU insieme ai volontari di Baobab Experience aveva allestito un presidio…
Il presidio umanitario sorgeva nella medesima area individuata quest’estate dal Comune di Roma per ospitare la tendopoli di prima…
Nella giornata di ieri MEDU insieme ai volontari di Baobab Experience aveva allestito un presidio…
Il presidio umanitario sorgeva nella medesima area individuata quest’estate dal Comune di Roma per ospitare la tendopoli di prima…
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (prima parte)
Patrizia Mancini Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al di sopra di quel brusio di fondo che, arrogante e sfacciato, si è insinuato ormai da tempo e che vorrebbe negare o minimizzare le sofferenze di tutto un popolo sotto le dittature di […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (prima parte)
Patrizia Mancini Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al di sopra di quel brusio di fondo che, arrogante e sfacciato, si è insinuato ormai da tempo e che vorrebbe negare o minimizzare le sofferenze di tutto un popolo sotto le dittature di […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (prima parte)
Patrizia Mancini Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al di sopra di quel brusio di fondo che, arrogante e sfacciato, si è insinuato ormai da tempo e che vorrebbe negare o minimizzare le sofferenze di tutto un popolo sotto le dittature di […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (prima parte)
Patrizia Mancini Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al di sopra di quel brusio di fondo che, arrogante e sfacciato, si è insinuato ormai da tempo e che vorrebbe negare o minimizzare le sofferenze di tutto un popolo sotto le dittature di […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (prima parte)
Patrizia Mancini Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al di sopra di quel brusio di fondo che, arrogante e sfacciato, si è insinuato ormai da tempo e che vorrebbe negare o minimizzare le sofferenze di tutto un popolo sotto le dittature di […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (prima parte)
Patrizia Mancini Il 17 novembre 2016 resterà impresso nella storia della Tunisia come il giorno in cui è stata restituita la voce a chi non l’aveva. Al di sopra di quel brusio di fondo che, arrogante e sfacciato, si è insinuato ormai da tempo e che vorrebbe negare o minimizzare le sofferenze di tutto un popolo sotto le dittature di […]
Memoria e verità, il futuro della Tunisia (prima parte)
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È cominciata la distruzione dell’ultima spiaggia pubblica di Beirut
Gli abitanti di Beirut erano sotto sotto shock sabato scorso, quando hanno iniziato a circolare nei social media le immagini della distruzione dell’ultima spiaggia pubblica della città.
È cominciata la distruzione dell’ultima spiaggia pubblica di Beirut
Gli abitanti di Beirut erano sotto sotto shock sabato scorso, quando hanno iniziato a circolare nei social media le immagini della distruzione dell’ultima spiaggia pubblica della città.
È cominciata la distruzione dell’ultima spiaggia pubblica di Beirut
Gli abitanti di Beirut erano sotto sotto shock sabato scorso, quando hanno iniziato a circolare nei social media le immagini della distruzione dell’ultima spiaggia pubblica della città.
Con coraggio e cuore intorno all’Isola di Lesbos
Ho parlato con lui prima della sua partenza.
“Qualsiasi persona in pericolo in mare deve essere soccorsa” sono le prime parole che ha…
Con coraggio e cuore intorno all’Isola di Lesbos
Ho parlato con lui prima della sua partenza.
“Qualsiasi persona in pericolo in mare deve essere soccorsa” sono le prime parole che ha…
Freddo e fame: è questa la risposta di Roma ai migranti della zona Tiburtina?
Amnesty International Italia chiede un incontro alla Sindaca Raggi.
Freddo e fame: è questa la risposta di Roma ai migranti della zona Tiburtina?
Amnesty International Italia chiede un incontro alla Sindaca Raggi.
La settimana di Arabpress in podcast – VIII puntata
Le notizie e gli approfondimenti più importanti della settimana in 5 minuti! A cura di Giusy Regina
L’articolo La settimana di Arabpress in podcast – VIII puntata sembra essere il primo su Arabpress.
Francia — Comunicato dei migranti ospiti del CAO di Rennes
Rennes, mercoledì 16 novembre
Siamo delle persone che hanno trascorso dai due anni ai sei mesi nella“giungla” di Calais.
Francia — Comunicato dei migranti ospiti del CAO di Rennes
Rennes, mercoledì 16 novembre
Siamo delle persone che hanno trascorso dai due anni ai sei mesi nella“giungla” di Calais.
Cucina turca: balik ekmek, sandwich con pesce grigliato
Il piatto di oggi, semplice e gustoso, è uno dei must dello street food di Istanbul, di cui vi proponiamo una versione leggermente elaborata: balik ekmek, sandwich con pesce grigliato! Ingredienti: 4 filetti di pesce a scelta (merluzzo, maccarello, asinello, etc.) 4 cucchiai di olio d’oliva 4 panini a lievitazione naturale foglie di cuori di lattuga ½ […]
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L’arte moderna ponte tra mondo arabo e Iran
Un’inusuale mostra al Museo di Arte Contemporanea di Tehran mette insieme arte moderna araba ed iraniana in un’opportunità unica per la diplomazia culturale
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La lotta di una madre per suo figlio rivela il sessismo delle istituzioni libanesi
L’arresto di Fatima Ali Hamze, per non essersi arresa riguardo la custodia del figlio, sta creando un nuovo movimento libanese per i diritti delle donne.
La lotta di una madre per suo figlio rivela il sessismo delle istituzioni libanesi
L’arresto di Fatima Ali Hamze, per non essersi arresa riguardo la custodia del figlio, sta creando un nuovo movimento libanese per i diritti delle donne.
La lotta di una madre per suo figlio rivela il sessismo delle istituzioni libanesi
L’arresto di Fatima Ali Hamze, per non essersi arresa riguardo la custodia del figlio, sta creando un nuovo movimento libanese per i diritti delle donne.
La Palermo dei diritti e della solidarietà
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
La Palermo dei diritti e della solidarietà
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Si ringrazia l’Avv. Francesco Tartini per la segnalazione e il commento.
Pronunciandosi sull’istanza di sospensiva di un’ordinanza ex art. 35 del D. Lgs. 25/2008 di diniego di protezione internazionale formulata…
Si ringrazia l’Avv. Francesco Tartini per la segnalazione e il commento.
Pronunciandosi sull’istanza di sospensiva di un’ordinanza ex art. 35 del D. Lgs. 25/2008 di diniego di protezione internazionale formulata…
Si ringrazia l’Avv. Carlo Tramonte per la segnalazione ed il commento.
Con la presente ordinanza il Tribunale di Palermo, pur considerando migliorata la situazione della Casamance a seguito dei recenti accordi…
Si ringrazia l’Avv. Carlo Tramonte per la segnalazione ed il commento.
Con la presente ordinanza il Tribunale di Palermo, pur considerando migliorata la situazione della Casamance a seguito dei recenti accordi…
Attiva la clausola di salvaguardia per l’accoglienza nello Sprar
Il presidente di Anci Antonio Decaro e il delegato all’immigrazione Matteo Biffoni scrivono ai Comuni sulla direttiva emanata dal Ministro…
Attiva la clausola di salvaguardia per l’accoglienza nello Sprar
Il presidente di Anci Antonio Decaro e il delegato all’immigrazione Matteo Biffoni scrivono ai Comuni sulla direttiva emanata dal Ministro…
Mondo arabo: cosa succederà dopo la sconfitta militare?
Le sorti della battaglia di Mosul e di Raqqa rappresentano una sfida fondamentale per il futuro di Daesh e della nazione araba
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Perché le donne tunisine divorziano sempre più spesso?
Mentre aumenta costantemente in Tunisia il numero di divorzi chiesto dalle mogli, la storia di Meriem, giovane donna obesa spinta a sposarsi con un uomo conosciuto su Facebook da cui ha poi con fatica divorziato, illumina il difficile cammino delle donne tunisine, tra leggi apparentemente molto “avanzate” e una società ancora radicata nella cultura patriarcale. Tunisie Bondy Blog
Perché le donne tunisine divorziano sempre più spesso?
Mentre aumenta costantemente in Tunisia il numero di divorzi chiesto dalle mogli, la storia di Meriem, giovane donna obesa spinta a sposarsi con un uomo conosciuto su Facebook da cui ha poi con fatica divorziato, illumina il difficile cammino delle donne tunisine, tra leggi apparentemente molto “avanzate” e una società ancora radicata nella cultura patriarcale. Tunisie Bondy Blog
Perché le donne tunisine divorziano sempre più spesso?
Mentre aumenta costantemente in Tunisia il numero di divorzi chiesto dalle mogli, la storia di Meriem, giovane donna obesa spinta a sposarsi con un uomo conosciuto su Facebook da cui ha poi con fatica divorziato, illumina il difficile cammino delle donne tunisine, tra leggi apparentemente molto “avanzate” e una società ancora radicata nella cultura patriarcale. Tunisie Bondy Blog
Katharine Jones (ricercatore senior, Centre for Trust, Peace and Social Relations, Università di…
Photo credit: Tommaso Gandini (#overthefortress) Porto di Catania. Uno sbarco dalla Bourbon Argos di MSF
Katharine Jones (ricercatore senior, Centre for Trust, Peace and Social Relations, Università di…
Photo credit: Tommaso Gandini (#overthefortress) Porto di Catania. Uno sbarco dalla Bourbon Argos di MSF
Si ringrazia l’Avv. Carlo Tramonte per la segnalazione ed il commento.
Il Tribunale di Palermo, mediante la presente ordinanza, ha ritenuto che l’avvio di un percorso d’integrazione e la vigenza di un rapporto…
Si ringrazia l’Avv. Carlo Tramonte per la segnalazione ed il commento.
Il Tribunale di Palermo, mediante la presente ordinanza, ha ritenuto che l’avvio di un percorso d’integrazione e la vigenza di un rapporto…
Katharine Jones (ricercatore senior, Centre for Trust, Peace and Social Relations, Università di…
Photo credit: Tommaso Gandini (#overthefortress) Porto di Catania. Uno sbarco dalla Bourbon Argos di MSF
Adonis, il grande sperimentatore
Dal blog Mille e una pagina di Claudia Negrini
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East Journal su Iran
IRAN: L’accordo sul nucleare influenzerà le prossime elezioni? Intervista a Anna Vanzan
East Journal su Iran
IRAN: L’accordo sul nucleare influenzerà le prossime elezioni? Intervista a Anna Vanzan
East Journal su Iran
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IRAN: L’accordo sul nucleare influenzerà le prossime elezioni? Intervista a Anna Vanzan
East Journal su Iran
IRAN: L’accordo sul nucleare influenzerà le prossime elezioni? Intervista a Anna Vanzan
Il settarismo e la criminalità in Libano e nel Levante
Gli arabi ricordano il Libano per il turismo, la cultura, la modernità, il pluralismo e la tolleranza settaria, ma hanno cominciato a considerarlo terreno per l’estremismo e il fanatismo
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invisiblearabs 2016-11-17 19:43:52
Ed ecco la nuova tavola che Maria Teresa De Palma ha composto dopo il piccolo sondaggio che, assieme, abbiamo sottoposto ai nostri amici di Facebook. Maria Teresa aveva proposto due tavole simili, in cui a fare la differenza erano soprattutto i colori….
Il Gambia non è un paese sicuro: protezione umanitaria ai richiedenti asilo
Si ringrazia l’Avv. Federico Vido per la segnalazione.
Il Gambia non è un paese sicuro: protezione umanitaria ai richiedenti asilo
Si ringrazia l’Avv. Federico Vido per la segnalazione.
Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per la segnalazione. La nota è della redazione.
Un’altra ordinanza del Tribunale di Genova dalla quale emerge come i richiedenti asilo provenienti dalla Nigeria siano considerati…
Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per la segnalazione. La nota è della redazione.
Un’altra ordinanza del Tribunale di Genova dalla quale emerge come i richiedenti asilo provenienti dalla Nigeria siano considerati…
Elezioni di Trump: gli effetti in Egitto
Dal blog Egitto in movimento di Ludovica Brignola
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Rispettate i nostri diritti: lettera denuncia di 120 richiedenti asilo ospiti nei CAS palermitani
Riceviamo dallo sportello legale “Sans Papiers” di Palermo una lettera scritta e sottofirmata da circa 120 richiedenti asilo ospitati in 4…
Rispettate i nostri diritti: lettera denuncia di 120 richiedenti asilo ospiti nei CAS palermitani
Riceviamo dallo sportello legale “Sans Papiers” di Palermo una lettera scritta e sottofirmata da circa 120 richiedenti asilo ospitati in 4…
Trump e la questione palestinese: cosa accadrà?
Con l’elezione di un nuovo presidente americano, cambiano le relazioni tra Israele e Stati Uniti, così come i possibili risvolti per la questione palestinese
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Impresa tessile senza capi rivoluziona le norme di genere in Turchia
Dalle ceneri di una impresa tessile fallita, dopo che il personale non era stato pagato per mesi, sta nascendo una nuova fabbrica gestita collettivamente, senza capi e dirigenti. Dopo anni di battaglie con i precedenti proprietari, e anche tra i lavoratori, la Özgür Kazova lotta per dar vita a un nuovo modello di impiego, in cui il lavoro di uomini e donne è valutato alla pari. Mashallah News
Impresa tessile senza capi rivoluziona le norme di genere in Turchia
Dalle ceneri di una impresa tessile fallita, dopo che il personale non era stato pagato per mesi, sta nascendo una nuova fabbrica gestita collettivamente, senza capi e dirigenti. Dopo anni di battaglie con i precedenti proprietari, e anche tra i lavoratori, la Özgür Kazova lotta per dar vita a un nuovo modello di impiego, in cui il lavoro di uomini e donne è valutato alla pari. Mashallah News
Impresa tessile senza capi rivoluziona le norme di genere in Turchia
Dalle ceneri di una impresa tessile fallita, dopo che il personale non era stato pagato per mesi, sta nascendo una nuova fabbrica gestita collettivamente, senza capi e dirigenti. Dopo anni di battaglie con i precedenti proprietari, e anche tra i lavoratori, la Özgür Kazova lotta per dar vita a un nuovo modello di impiego, in cui il lavoro di uomini e donne è valutato alla pari. Mashallah News
Molestie sessuali nelle redazioni egiziane: una storia ancora da raccontare
In Egitto cominciano a emergere i primi casi di molestie sessuali nelle redazioni, luoghi di lavoro in cui le donne sono sempre più numerose. Ma denunciare è ancora molto difficile, soprattutto per la condizione di disparità tra vittima e autore delle molestie. Le prime denunce non sono che la punta di un iceberg, un fenomeno assai diffuso nel settore privato, contro il quale lavorano però diverse organizzazioni. Mada Masr
Molestie sessuali nelle redazioni egiziane: una storia ancora da raccontare
In Egitto cominciano a emergere i primi casi di molestie sessuali nelle redazioni, luoghi di lavoro in cui le donne sono sempre più numerose. Ma denunciare è ancora molto difficile, soprattutto per la condizione di disparità tra vittima e autore delle molestie. Le prime denunce non sono che la punta di un iceberg, un fenomeno assai diffuso nel settore privato, contro il quale lavorano però diverse organizzazioni. Mada Masr
Molestie sessuali nelle redazioni egiziane: una storia ancora da raccontare
In Egitto cominciano a emergere i primi casi di molestie sessuali nelle redazioni, luoghi di lavoro in cui le donne sono sempre più numerose. Ma denunciare è ancora molto difficile, soprattutto per la condizione di disparità tra vittima e autore delle molestie. Le prime denunce non sono che la punta di un iceberg, un fenomeno assai diffuso nel settore privato, contro il quale lavorano però diverse organizzazioni. Mada Masr
Frontex reloaded: l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera
“Questo è un momento storico e sono molto orgoglioso di vedere Frontex diventare l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera.
Frontex reloaded: l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera
“Questo è un momento storico e sono molto orgoglioso di vedere Frontex diventare l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera.
L’Europa perde presa sulla Turchia
Prima, ci si poteva aspettare che gli avvertimenti dell’UE avessero un certo impatto sulle decisioni della Turchia, ma negli ultimi 10 anni, Bruxelles ha iniziato a perdere la sua influenza politica
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La lotta delle operaie della Mamotex: dall’autogestione alla disperazione
Nel contesto di un’industria tessile in declino e di una disoccupazione crescente, il destino delle 67 operaie della Mamotex di Chebba, fabbrica specializzata nella confezione per marche europee, sembrava segnato. Dopo vent’anni di attività, il proprietario dell’azienda a deciso di chiudere i battenti, minacciando così il posto di lavoro delle sue dipendenti, rimaste senza paga dall’inizio dell’anno. Inkyfada
La lotta delle operaie della Mamotex: dall’autogestione alla disperazione
Nel contesto di un’industria tessile in declino e di una disoccupazione crescente, il destino delle 67 operaie della Mamotex di Chebba, fabbrica specializzata nella confezione per marche europee, sembrava segnato. Dopo vent’anni di attività, il proprietario dell’azienda a deciso di chiudere i battenti, minacciando così il posto di lavoro delle sue dipendenti, rimaste senza paga dall’inizio dell’anno. Inkyfada
La lotta delle operaie della Mamotex: dall’autogestione alla disperazione
Nel contesto di un’industria tessile in declino e di una disoccupazione crescente, il destino delle 67 operaie della Mamotex di Chebba, fabbrica specializzata nella confezione per marche europee, sembrava segnato. Dopo vent’anni di attività, il proprietario dell’azienda a deciso di chiudere i battenti, minacciando così il posto di lavoro delle sue dipendenti, rimaste senza paga dall’inizio dell’anno. Inkyfada
Io, macellaia di Algeri
Bent Meziane (la figlia di Meziane), così si fa chiamare, è macellaia dal 1987. Nel suo negozietto curato della periferia di Algeri, ripercorre, tra due clienti, la sua storia e la sua visione di donna macellaia. Radio M
Io, macellaia di Algeri
Bent Meziane (la figlia di Meziane), così si fa chiamare, è macellaia dal 1987. Nel suo negozietto curato della periferia di Algeri, ripercorre, tra due clienti, la sua storia e la sua visione di donna macellaia. Radio M
Io, macellaia di Algeri
Bent Meziane (la figlia di Meziane), così si fa chiamare, è macellaia dal 1987. Nel suo negozietto curato della periferia di Algeri, ripercorre, tra due clienti, la sua storia e la sua visione di donna macellaia. Radio M
A Falerna (CZ) ordinanza di sgombero per il “Residence degli Ulivi”
Riceviamo e pubblichiamo.
Appello per i dannati di Falerna
Tre anni fa, una circolare emanata dal Ministero dell’Interno in data 18…
A Falerna (CZ) ordinanza di sgombero per il “Residence degli Ulivi”
Riceviamo e pubblichiamo.
Appello per i dannati di Falerna
Tre anni fa, una circolare emanata dal Ministero dell’Interno in data 18…
La población olvidada del milagro español
PABLO ELORDUY publicado en DIAGONAL Nato nel 2005, Diagonal è un magazine madrileno, on-line e cartaceo, e si definisce di “informazione…
La población olvidada del milagro español
PABLO ELORDUY publicado en DIAGONAL Nato nel 2005, Diagonal è un magazine madrileno, on-line e cartaceo, e si definisce di “informazione…
La rotta balcanica non si arresta — March of Hope parte terza
Il muro di Erdogan, l’accordo UE-Turchia, il filo spinato sempre più presente e polizia in antisommossa ad ogni confine.
La rotta balcanica non si arresta — March of Hope parte terza
Il muro di Erdogan, l’accordo UE-Turchia, il filo spinato sempre più presente e polizia in antisommossa ad ogni confine.
Segnaliamo questo Master in Studi Interculturali dell’Università degli Studi di Padova.
Università degli Studi di Padova
Master in Studi Interculturali
Saperi e pratiche per l’accoglienza dei richiedenti asilo
Iscrizioni aperte…
Segnaliamo questo Master in Studi Interculturali dell’Università degli Studi di Padova.
Università degli Studi di Padova
Master in Studi Interculturali
Saperi e pratiche per l’accoglienza dei richiedenti asilo
Iscrizioni aperte…
Riflessioni sui recenti eventi in Marocco dopo la morte di Mouhcine Fikri
Dopo la morte del pescivendolo l’ondata di proteste apre nuovi scenari per il Marocco
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Mosse rischiose nella mappa del conflitto in Siria
L’intervento diretto delle forze internazionali sul campo di battaglia rappresenta la strategia migliore per salvaguardare i propri interessi nel teatro siriano
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Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara
Un vecchio detto era solito dire: L’Egitto scrive, il Libano stampa e l’Iraq legge. Ma con gli sconvolgimenti politici e sociali che i paesi del Nord Africa e del Levante arabo hanno vissuto negli ultimi anni, questo detto in parte non vale più, almeno dal punto di vista editoriale. O vale solo in parte: il … Continua a leggere Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara →
Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara
Un vecchio detto era solito dire: L’Egitto scrive, il Libano stampa e l’Iraq legge. Ma con gli sconvolgimenti politici e sociali che i paesi del Nord Africa e del Levante arabo hanno vissuto negli ultimi anni, questo detto in parte non vale più, almeno dal punto di vista editoriale. O vale solo in parte: il … Continua a leggere Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara →
Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara
Un vecchio detto era solito dire: L’Egitto scrive, il Libano stampa e l’Iraq legge. Ma con gli sconvolgimenti politici e sociali che i paesi del Nord Africa e del Levante arabo hanno vissuto negli ultimi anni, questo detto in parte non vale più, almeno dal punto di vista editoriale. O vale solo in parte: il … Continua a leggere Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara →
Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara
Un vecchio detto era solito dire: L’Egitto scrive, il Libano stampa e l’Iraq legge. Ma con gli sconvolgimenti politici e sociali che i paesi del Nord Africa e del Levante arabo hanno vissuto negli ultimi anni, questo detto in parte non vale più, almeno dal punto di vista editoriale. O vale solo in parte: il … Continua a leggere Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara →
Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara
Un vecchio detto era solito dire: L’Egitto scrive, il Libano stampa e l’Iraq legge. Ma con gli sconvolgimenti politici e sociali che i paesi del Nord Africa e del Levante arabo hanno vissuto negli ultimi anni, questo detto in parte non vale più, almeno dal punto di vista editoriale. O vale solo in parte: il … Continua a leggere Premi letterari made in Golfo: IPAF vs Katara →
Una tegola per Trump dalla Corte penale internazionale (aggiornato)
Arriva dall’Aja, sede del Tribunale penale internazionale, la prima tegola sulla testa del neo presidente Donald Trump. Una tegola che si chiama Afghanistan – Paese da cui Trump ha detto di voler ritirare le truppe – e che è contenuta nel Report on Preliminary Examination Activities della Procura internazionale, ossia quel che in sostanza si intende fare nel prossimo futuro. Il documento prende in esame vari Paesi e, tra questi, individua gli Usa per i quali vi sono «ragionevoli basi» per procedere contro soldati e agenti americani che nel Paese dell’Hindukush avrebbero commesso «torture» e altri «crimini di guerra». Al momento non c’è dunque ancora un procedimento aperto ma solo le risultanze di un esame di oltre un centinaio di segnalazioni sulla guerra afgana che tirano in ballo tre protagonisti del conflitto: i talebani e la Rete Haqqani (la componente più radicale del movimento); la polizia e l’agenzia di intelligence di Kabul (National Directorate for Security), e gli americani. Il testo del rapporto dice che l’indagine per crimini di guerra riguarda «tortura e relativi maltrattamenti da parte delle forze militari degli Stati Uniti schierate in Afghanistan e in centri di detenzione segreti gestiti dalla Central Intelligence Agency, principalmente nel periodo 2003-2004, anche se presumibilmente sarebbero continuati, in alcuni casi, sino al 2014», in sostanza fino al passaggio di consegne agli afgani dei prigionieri detenuti nella base Usa di Bagram. Passaggio che, prima che Ghani si insediasse come presidente nel settembre del 2014, si era verificato non senza problemi e meline nell’ultima fase del mandato di Hamid Karzai.
Per i talebani la denuncia di crimini di guerra non è una novità. Ma per Washington, e per Kabul, è Fatou Bensouda (nella foto in alto a sinistra), una giurista del Gambia, sostiene che durante interrogatori segreti, personale militare e agenti della Cia avrebbero fatto ricorso a tecniche ascrivibili a crimini di guerra: «tortura, trattamento crudele, mortificazione della dignità personale, stupro». Nello specifico si citano i casi di 61 soldati che avrebbero praticato la tortura e altre violenze tra il maggio 2003 e il 31 dicembre 2004 e di membri della Cia che avrebbero sottoposto almeno 27 detenuti a torture, trattamenti crudeli, umiliazioni della dignità e/o violenza carnale, sia in Afghanistan sia in altri Paesi come Polonia, Romania e Lituania (quelli delle extraordinary rendition n.d.r.) tra il dicembre 2002 e il marzo 2008. Il documento chiarisce che «Questi presunti crimini non sono stati abusi di pochi individui isolati. Piuttosto, sembrano siano stati commessi nell’ambito di tecniche d’interrogatorio approvate, nel tentativo di estrarre informazioni dai detenuti… L’Ufficio ritiene che vi sia una base ragionevole per credere che questi presunti crimini siano stati commessi a sostegno di una politica o di politiche volte a ottenere informazioni attraverso l’uso di tecniche di interrogatorio che coinvolgono metodi crudeli volti a sostenere gli obiettivi degli Stati Uniti nel conflitto in Afghanistan». Quanto alla polizia e intelligence afgana, la tortura sarebbe un fatto sistematico e, al momento, si stima che tra il 35 e il 50% dei detenuti vi siano stati sottoposti.
una tegola politica non di poco conto anche se gli Usa non aderiscono alla Carta di Roma costitutiva della Corte (anzi, dopo averla inizialmente firmata Washington si è ritirata, come Sudan e Israele) mentre l’Afghanistan, che non l’aveva firmata, l’ha poi fatto ratificando l’accordo internazionale nel 2003. Il rapporto della procuratrice generale
Essendosi ritirati dalla Corte e non riconoscendone la giurisdizione, gli Stati Uniti molto probabilmente non collaboreranno né riconosceranno indagini ed eventuale verdetto tant’è che oggi hanno respinto al mittente definendo ingiustificata e inappropriata un’indagine di questo tipo sul loro operato anche perché, dicono, gli Stati Uniti hanno un apparato di giustizia “robusto”, in grado quindi di sistemare da solo le cose di casa. Sono comunque in buona compagnia: accusando la Corte di aver troppo focalizzato il suo lavoro sull’Africa, Sud Africa, Burundi e Gambia hanno fatto sapere di voler abbandonare il consesso penale (il Burundi è stato il pirmo, in ottobre). E oggi si è aggiunta pure la Russia dopo una risoluzione Onu che condanna le violazioni in Crimea. La firma sul decreto è di Vladimir Putin.
In effetti la Corte è sempre stata sotto tiro per una sorta di doppio standard – colpire i deboli e lasciar stare i potenti – questa volta le cose vanno diversamente. La fase procedurale per l’incriminazione o il proscioglimento potrebbe partire nel giro di giorni o settimane. Ma potrebbe però anche durare anni.
Una tegola per Trump dalla Corte penale internazionale (aggiornato)
Arriva dall’Aja, sede del Tribunale penale internazionale, la prima tegola sulla testa del neo presidente Donald Trump. Una tegola che si chiama Afghanistan – Paese da cui Trump ha detto di voler ritirare le truppe – e che è contenuta nel Report on Preliminary Examination Activities della Procura internazionale, ossia quel che in sostanza si intende fare nel prossimo futuro. Il documento prende in esame vari Paesi e, tra questi, individua gli Usa per i quali vi sono «ragionevoli basi» per procedere contro soldati e agenti americani che nel Paese dell’Hindukush avrebbero commesso «torture» e altri «crimini di guerra». Al momento non c’è dunque ancora un procedimento aperto ma solo le risultanze di un esame di oltre un centinaio di segnalazioni sulla guerra afgana che tirano in ballo tre protagonisti del conflitto: i talebani e la Rete Haqqani (la componente più radicale del movimento); la polizia e l’agenzia di intelligence di Kabul (National Directorate for Security), e gli americani. Il testo del rapporto dice che l’indagine per crimini di guerra riguarda «tortura e relativi maltrattamenti da parte delle forze militari degli Stati Uniti schierate in Afghanistan e in centri di detenzione segreti gestiti dalla Central Intelligence Agency, principalmente nel periodo 2003-2004, anche se presumibilmente sarebbero continuati, in alcuni casi, sino al 2014», in sostanza fino al passaggio di consegne agli afgani dei prigionieri detenuti nella base Usa di Bagram. Passaggio che, prima che Ghani si insediasse come presidente nel settembre del 2014, si era verificato non senza problemi e meline nell’ultima fase del mandato di Hamid Karzai.
Per i talebani la denuncia di crimini di guerra non è una novità. Ma per Washington, e per Kabul, è Fatou Bensouda (nella foto in alto a sinistra), una giurista del Gambia, sostiene che durante interrogatori segreti, personale militare e agenti della Cia avrebbero fatto ricorso a tecniche ascrivibili a crimini di guerra: «tortura, trattamento crudele, mortificazione della dignità personale, stupro». Nello specifico si citano i casi di 61 soldati che avrebbero praticato la tortura e altre violenze tra il maggio 2003 e il 31 dicembre 2004 e di membri della Cia che avrebbero sottoposto almeno 27 detenuti a torture, trattamenti crudeli, umiliazioni della dignità e/o violenza carnale, sia in Afghanistan sia in altri Paesi come Polonia, Romania e Lituania (quelli delle extraordinary rendition n.d.r.) tra il dicembre 2002 e il marzo 2008. Il documento chiarisce che «Questi presunti crimini non sono stati abusi di pochi individui isolati. Piuttosto, sembrano siano stati commessi nell’ambito di tecniche d’interrogatorio approvate, nel tentativo di estrarre informazioni dai detenuti… L’Ufficio ritiene che vi sia una base ragionevole per credere che questi presunti crimini siano stati commessi a sostegno di una politica o di politiche volte a ottenere informazioni attraverso l’uso di tecniche di interrogatorio che coinvolgono metodi crudeli volti a sostenere gli obiettivi degli Stati Uniti nel conflitto in Afghanistan». Quanto alla polizia e intelligence afgana, la tortura sarebbe un fatto sistematico e, al momento, si stima che tra il 35 e il 50% dei detenuti vi siano stati sottoposti.
una tegola politica non di poco conto anche se gli Usa non aderiscono alla Carta di Roma costitutiva della Corte (anzi, dopo averla inizialmente firmata Washington si è ritirata, come Sudan e Israele) mentre l’Afghanistan, che non l’aveva firmata, l’ha poi fatto ratificando l’accordo internazionale nel 2003. Il rapporto della procuratrice generale
Essendosi ritirati dalla Corte e non riconoscendone la giurisdizione, gli Stati Uniti molto probabilmente non collaboreranno né riconosceranno indagini ed eventuale verdetto tant’è che oggi hanno respinto al mittente definendo ingiustificata e inappropriata un’indagine di questo tipo sul loro operato anche perché, dicono, gli Stati Uniti hanno un apparato di giustizia “robusto”, in grado quindi di sistemare da solo le cose di casa. Sono comunque in buona compagnia: accusando la Corte di aver troppo focalizzato il suo lavoro sull’Africa, Sud Africa, Burundi e Gambia hanno fatto sapere di voler abbandonare il consesso penale (il Burundi è stato il pirmo, in ottobre). E oggi si è aggiunta pure la Russia dopo una risoluzione Onu che condanna le violazioni in Crimea. La firma sul decreto è di Vladimir Putin.
In effetti la Corte è sempre stata sotto tiro per una sorta di doppio standard – colpire i deboli e lasciar stare i potenti – questa volta le cose vanno diversamente. La fase procedurale per l’incriminazione o il proscioglimento potrebbe partire nel giro di giorni o settimane. Ma potrebbe però anche durare anni.
Una tegola per Trump dalla Corte penale internazionale (aggiornato)
Arriva dall’Aja, sede del Tribunale penale internazionale, la prima tegola sulla testa del neo presidente Donald Trump. Una tegola che si chiama Afghanistan – Paese da cui Trump ha detto di voler ritirare le truppe – e che è contenuta nel Report on Preliminary Examination Activities della Procura internazionale, ossia quel che in sostanza si intende fare nel prossimo futuro. Il documento prende in esame vari Paesi e, tra questi, individua gli Usa per i quali vi sono «ragionevoli basi» per procedere contro soldati e agenti americani che nel Paese dell’Hindukush avrebbero commesso «torture» e altri «crimini di guerra». Al momento non c’è dunque ancora un procedimento aperto ma solo le risultanze di un esame di oltre un centinaio di segnalazioni sulla guerra afgana che tirano in ballo tre protagonisti del conflitto: i talebani e la Rete Haqqani (la componente più radicale del movimento); la polizia e l’agenzia di intelligence di Kabul (National Directorate for Security), e gli americani. Il testo del rapporto dice che l’indagine per crimini di guerra riguarda «tortura e relativi maltrattamenti da parte delle forze militari degli Stati Uniti schierate in Afghanistan e in centri di detenzione segreti gestiti dalla Central Intelligence Agency, principalmente nel periodo 2003-2004, anche se presumibilmente sarebbero continuati, in alcuni casi, sino al 2014», in sostanza fino al passaggio di consegne agli afgani dei prigionieri detenuti nella base Usa di Bagram. Passaggio che, prima che Ghani si insediasse come presidente nel settembre del 2014, si era verificato non senza problemi e meline nell’ultima fase del mandato di Hamid Karzai.
Per i talebani la denuncia di crimini di guerra non è una novità. Ma per Washington, e per Kabul, è Fatou Bensouda (nella foto in alto a sinistra), una giurista del Gambia, sostiene che durante interrogatori segreti, personale militare e agenti della Cia avrebbero fatto ricorso a tecniche ascrivibili a crimini di guerra: «tortura, trattamento crudele, mortificazione della dignità personale, stupro». Nello specifico si citano i casi di 61 soldati che avrebbero praticato la tortura e altre violenze tra il maggio 2003 e il 31 dicembre 2004 e di membri della Cia che avrebbero sottoposto almeno 27 detenuti a torture, trattamenti crudeli, umiliazioni della dignità e/o violenza carnale, sia in Afghanistan sia in altri Paesi come Polonia, Romania e Lituania (quelli delle extraordinary rendition n.d.r.) tra il dicembre 2002 e il marzo 2008. Il documento chiarisce che «Questi presunti crimini non sono stati abusi di pochi individui isolati. Piuttosto, sembrano siano stati commessi nell’ambito di tecniche d’interrogatorio approvate, nel tentativo di estrarre informazioni dai detenuti… L’Ufficio ritiene che vi sia una base ragionevole per credere che questi presunti crimini siano stati commessi a sostegno di una politica o di politiche volte a ottenere informazioni attraverso l’uso di tecniche di interrogatorio che coinvolgono metodi crudeli volti a sostenere gli obiettivi degli Stati Uniti nel conflitto in Afghanistan». Quanto alla polizia e intelligence afgana, la tortura sarebbe un fatto sistematico e, al momento, si stima che tra il 35 e il 50% dei detenuti vi siano stati sottoposti.
una tegola politica non di poco conto anche se gli Usa non aderiscono alla Carta di Roma costitutiva della Corte (anzi, dopo averla inizialmente firmata Washington si è ritirata, come Sudan e Israele) mentre l’Afghanistan, che non l’aveva firmata, l’ha poi fatto ratificando l’accordo internazionale nel 2003. Il rapporto della procuratrice generale
Essendosi ritirati dalla Corte e non riconoscendone la giurisdizione, gli Stati Uniti molto probabilmente non collaboreranno né riconosceranno indagini ed eventuale verdetto tant’è che oggi hanno respinto al mittente definendo ingiustificata e inappropriata un’indagine di questo tipo sul loro operato anche perché, dicono, gli Stati Uniti hanno un apparato di giustizia “robusto”, in grado quindi di sistemare da solo le cose di casa. Sono comunque in buona compagnia: accusando la Corte di aver troppo focalizzato il suo lavoro sull’Africa, Sud Africa, Burundi e Gambia hanno fatto sapere di voler abbandonare il consesso penale (il Burundi è stato il pirmo, in ottobre). E oggi si è aggiunta pure la Russia dopo una risoluzione Onu che condanna le violazioni in Crimea. La firma sul decreto è di Vladimir Putin.
In effetti la Corte è sempre stata sotto tiro per una sorta di doppio standard – colpire i deboli e lasciar stare i potenti – questa volta le cose vanno diversamente. La fase procedurale per l’incriminazione o il proscioglimento potrebbe partire nel giro di giorni o settimane. Ma potrebbe però anche durare anni.
Una tegola per Trump dalla Corte penale internazionale (aggiornato)
Arriva dall’Aja, sede del Tribunale penale internazionale, la prima tegola sulla testa del neo presidente Donald Trump. Una tegola che si chiama Afghanistan – Paese da cui Trump ha detto di voler ritirare le truppe – e che è contenuta nel Report on Preliminary Examination Activities della Procura internazionale, ossia quel che in sostanza si intende fare nel prossimo futuro. Il documento prende in esame vari Paesi e, tra questi, individua gli Usa per i quali vi sono «ragionevoli basi» per procedere contro soldati e agenti americani che nel Paese dell’Hindukush avrebbero commesso «torture» e altri «crimini di guerra». Al momento non c’è dunque ancora un procedimento aperto ma solo le risultanze di un esame di oltre un centinaio di segnalazioni sulla guerra afgana che tirano in ballo tre protagonisti del conflitto: i talebani e la Rete Haqqani (la componente più radicale del movimento); la polizia e l’agenzia di intelligence di Kabul (National Directorate for Security), e gli americani. Il testo del rapporto dice che l’indagine per crimini di guerra riguarda «tortura e relativi maltrattamenti da parte delle forze militari degli Stati Uniti schierate in Afghanistan e in centri di detenzione segreti gestiti dalla Central Intelligence Agency, principalmente nel periodo 2003-2004, anche se presumibilmente sarebbero continuati, in alcuni casi, sino al 2014», in sostanza fino al passaggio di consegne agli afgani dei prigionieri detenuti nella base Usa di Bagram. Passaggio che, prima che Ghani si insediasse come presidente nel settembre del 2014, si era verificato non senza problemi e meline nell’ultima fase del mandato di Hamid Karzai.
Per i talebani la denuncia di crimini di guerra non è una novità. Ma per Washington, e per Kabul, è Fatou Bensouda (nella foto in alto a sinistra), una giurista del Gambia, sostiene che durante interrogatori segreti, personale militare e agenti della Cia avrebbero fatto ricorso a tecniche ascrivibili a crimini di guerra: «tortura, trattamento crudele, mortificazione della dignità personale, stupro». Nello specifico si citano i casi di 61 soldati che avrebbero praticato la tortura e altre violenze tra il maggio 2003 e il 31 dicembre 2004 e di membri della Cia che avrebbero sottoposto almeno 27 detenuti a torture, trattamenti crudeli, umiliazioni della dignità e/o violenza carnale, sia in Afghanistan sia in altri Paesi come Polonia, Romania e Lituania (quelli delle extraordinary rendition n.d.r.) tra il dicembre 2002 e il marzo 2008. Il documento chiarisce che «Questi presunti crimini non sono stati abusi di pochi individui isolati. Piuttosto, sembrano siano stati commessi nell’ambito di tecniche d’interrogatorio approvate, nel tentativo di estrarre informazioni dai detenuti… L’Ufficio ritiene che vi sia una base ragionevole per credere che questi presunti crimini siano stati commessi a sostegno di una politica o di politiche volte a ottenere informazioni attraverso l’uso di tecniche di interrogatorio che coinvolgono metodi crudeli volti a sostenere gli obiettivi degli Stati Uniti nel conflitto in Afghanistan». Quanto alla polizia e intelligence afgana, la tortura sarebbe un fatto sistematico e, al momento, si stima che tra il 35 e il 50% dei detenuti vi siano stati sottoposti.
una tegola politica non di poco conto anche se gli Usa non aderiscono alla Carta di Roma costitutiva della Corte (anzi, dopo averla inizialmente firmata Washington si è ritirata, come Sudan e Israele) mentre l’Afghanistan, che non l’aveva firmata, l’ha poi fatto ratificando l’accordo internazionale nel 2003. Il rapporto della procuratrice generale
Essendosi ritirati dalla Corte e non riconoscendone la giurisdizione, gli Stati Uniti molto probabilmente non collaboreranno né riconosceranno indagini ed eventuale verdetto tant’è che oggi hanno respinto al mittente definendo ingiustificata e inappropriata un’indagine di questo tipo sul loro operato anche perché, dicono, gli Stati Uniti hanno un apparato di giustizia “robusto”, in grado quindi di sistemare da solo le cose di casa. Sono comunque in buona compagnia: accusando la Corte di aver troppo focalizzato il suo lavoro sull’Africa, Sud Africa, Burundi e Gambia hanno fatto sapere di voler abbandonare il consesso penale (il Burundi è stato il pirmo, in ottobre). E oggi si è aggiunta pure la Russia dopo una risoluzione Onu che condanna le violazioni in Crimea. La firma sul decreto è di Vladimir Putin.
In effetti la Corte è sempre stata sotto tiro per una sorta di doppio standard – colpire i deboli e lasciar stare i potenti – questa volta le cose vanno diversamente. La fase procedurale per l’incriminazione o il proscioglimento potrebbe partire nel giro di giorni o settimane. Ma potrebbe però anche durare anni.
Una tegola per Trump dalla Corte penale internazionale (aggiornato)
Arriva dall’Aja, sede del Tribunale penale internazionale, la prima tegola sulla testa del neo presidente Donald Trump. Una tegola che si chiama Afghanistan – Paese da cui Trump ha detto di voler ritirare le truppe – e che è contenuta nel Report on Preliminary Examination Activities della Procura internazionale, ossia quel che in sostanza si intende fare nel prossimo futuro. Il documento prende in esame vari Paesi e, tra questi, individua gli Usa per i quali vi sono «ragionevoli basi» per procedere contro soldati e agenti americani che nel Paese dell’Hindukush avrebbero commesso «torture» e altri «crimini di guerra». Al momento non c’è dunque ancora un procedimento aperto ma solo le risultanze di un esame di oltre un centinaio di segnalazioni sulla guerra afgana che tirano in ballo tre protagonisti del conflitto: i talebani e la Rete Haqqani (la componente più radicale del movimento); la polizia e l’agenzia di intelligence di Kabul (National Directorate for Security), e gli americani. Il testo del rapporto dice che l’indagine per crimini di guerra riguarda «tortura e relativi maltrattamenti da parte delle forze militari degli Stati Uniti schierate in Afghanistan e in centri di detenzione segreti gestiti dalla Central Intelligence Agency, principalmente nel periodo 2003-2004, anche se presumibilmente sarebbero continuati, in alcuni casi, sino al 2014», in sostanza fino al passaggio di consegne agli afgani dei prigionieri detenuti nella base Usa di Bagram. Passaggio che, prima che Ghani si insediasse come presidente nel settembre del 2014, si era verificato non senza problemi e meline nell’ultima fase del mandato di Hamid Karzai.
Per i talebani la denuncia di crimini di guerra non è una novità. Ma per Washington, e per Kabul, è Fatou Bensouda (nella foto in alto a sinistra), una giurista del Gambia, sostiene che durante interrogatori segreti, personale militare e agenti della Cia avrebbero fatto ricorso a tecniche ascrivibili a crimini di guerra: «tortura, trattamento crudele, mortificazione della dignità personale, stupro». Nello specifico si citano i casi di 61 soldati che avrebbero praticato la tortura e altre violenze tra il maggio 2003 e il 31 dicembre 2004 e di membri della Cia che avrebbero sottoposto almeno 27 detenuti a torture, trattamenti crudeli, umiliazioni della dignità e/o violenza carnale, sia in Afghanistan sia in altri Paesi come Polonia, Romania e Lituania (quelli delle extraordinary rendition n.d.r.) tra il dicembre 2002 e il marzo 2008. Il documento chiarisce che «Questi presunti crimini non sono stati abusi di pochi individui isolati. Piuttosto, sembrano siano stati commessi nell’ambito di tecniche d’interrogatorio approvate, nel tentativo di estrarre informazioni dai detenuti… L’Ufficio ritiene che vi sia una base ragionevole per credere che questi presunti crimini siano stati commessi a sostegno di una politica o di politiche volte a ottenere informazioni attraverso l’uso di tecniche di interrogatorio che coinvolgono metodi crudeli volti a sostenere gli obiettivi degli Stati Uniti nel conflitto in Afghanistan». Quanto alla polizia e intelligence afgana, la tortura sarebbe un fatto sistematico e, al momento, si stima che tra il 35 e il 50% dei detenuti vi siano stati sottoposti.
una tegola politica non di poco conto anche se gli Usa non aderiscono alla Carta di Roma costitutiva della Corte (anzi, dopo averla inizialmente firmata Washington si è ritirata, come Sudan e Israele) mentre l’Afghanistan, che non l’aveva firmata, l’ha poi fatto ratificando l’accordo internazionale nel 2003. Il rapporto della procuratrice generale
Essendosi ritirati dalla Corte e non riconoscendone la giurisdizione, gli Stati Uniti molto probabilmente non collaboreranno né riconosceranno indagini ed eventuale verdetto tant’è che oggi hanno respinto al mittente definendo ingiustificata e inappropriata un’indagine di questo tipo sul loro operato anche perché, dicono, gli Stati Uniti hanno un apparato di giustizia “robusto”, in grado quindi di sistemare da solo le cose di casa. Sono comunque in buona compagnia: accusando la Corte di aver troppo focalizzato il suo lavoro sull’Africa, Sud Africa, Burundi e Gambia hanno fatto sapere di voler abbandonare il consesso penale (il Burundi è stato il pirmo, in ottobre). E oggi si è aggiunta pure la Russia dopo una risoluzione Onu che condanna le violazioni in Crimea. La firma sul decreto è di Vladimir Putin.
In effetti la Corte è sempre stata sotto tiro per una sorta di doppio standard – colpire i deboli e lasciar stare i potenti – questa volta le cose vanno diversamente. La fase procedurale per l’incriminazione o il proscioglimento potrebbe partire nel giro di giorni o settimane. Ma potrebbe però anche durare anni.
L’innominabile
C’è un abisso, una faglia tra Africa ed Europa, dove migliaia di migranti stanno scomparendo ieri e oggi.
L’innominabile
C’è un abisso, una faglia tra Africa ed Europa, dove migliaia di migranti stanno scomparendo ieri e oggi.
In Egitto la prima rivista ufficiale in braille: i non vedenti potranno leggere Al Akhbar
Il primo vero esperimento egiziano di stampa nazionale in braille, “uno storico balzo in avanti nelle relazioni fra mezzi di comunicazione e comunità dei disabili”.
L’articolo In Egitto la prima rivista ufficiale in braille: i non vedenti potranno leggere Al Akhbar sembra essere il primo su Arabpress.
Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per la segnalazione. La nota è della redazione.
Con questa ordinanza il Tribunale di Genova riconosce la protezione umanitaria a cittadino bengalese.
La Commissione Territoriale aveva…
Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per la segnalazione. La nota è della redazione.
Con questa ordinanza il Tribunale di Genova riconosce la protezione umanitaria a cittadino bengalese.
La Commissione Territoriale aveva…
ILA Certificate
[Il progetto di certificazione della lingua araba ILA prosegue il suo percorso. Sono da oggi disponibili i testi per la preparazione all’esame A1 e A2 per il mercato internazionale, anche in formato ebook] ILA ARABIC CERTIFICATE TRAINING TESTS. WITH AUDIO … Continua a leggere→
ILA Certificate
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
ILA Certificate
[Il progetto di certificazione della lingua araba ILA prosegue il suo percorso. Sono da oggi disponibili i testi per la preparazione all’esame A1 e A2 per il mercato internazionale, anche in formato ebook] ILA ARABIC CERTIFICATE TRAINING TESTS. WITH AUDIO … Continua a leggere→
ILA Certificate
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
Perché Israele ha vietato il richiamo alla preghiera dei musulmani a Gerusalemme?
A Gerusalemme il richiamo alla preghiera e le campane della Chiesa si intrecciano in un promemoria armonico, come a sottolineare che la convivenza è una possibilità reale
L’articolo Perché Israele ha vietato il richiamo alla preghiera dei musulmani a Gerusalemme? sembra essere il primo su Arabpress.
Si ringrazia l’Avv. Carlo Tramonte per la segnalazione ed il commento.
Il Tribunale di Palermo, mediante la presente ordinanza, ha ritenuto che l’avvio di un percorso d’integrazione e la vigenza di un rapporto…
#MarchOfHope di fronte alle porte chiuse dell’Unione Europea
In attesa che l’Europa apra le porte
Nella tarda serata di ieri, 13 novembre, all’incirca 140 persone, la maggior parte provenienti dal…
Il problema dei rifugiati nell’EU
Nota sull’Algeria nella cultura italiana
La tradizione dell’immaginario orientalista vuole che le donne che arrivavano ad Algeri – sede della còrsa – fossero catturate e destinate a essere vendute come schiave e oggetti di piacere sessuale. [1] Eppure, diverse sono le storie che ci raccontano di donne … Continua a leggere→
Nota sull’Algeria nella cultura italiana
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
Nota sull’Algeria nella cultura italiana
La tradizione dell’immaginario orientalista vuole che le donne che arrivavano ad Algeri – sede della còrsa – fossero catturate e destinate a essere vendute come schiave e oggetti di piacere sessuale. [1] Eppure, diverse sono le storie che ci raccontano di donne … Continua a leggere→
Nota sull’Algeria nella cultura italiana
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
Israele, Gaza, la guerra e i dati – L’arte della propaganda personalizzata
Mentre una guerra infuria tra le terre di Gaza e i cieli di Israele, un’altra, totale, infiamma i social network: la guerra dell’informazione.
Israele, Gaza, la guerra e i dati – L’arte della propaganda personalizzata
Mentre una guerra infuria tra le terre di Gaza e i cieli di Israele, un’altra, totale, infiamma i social network: la guerra dell’informazione.
Israele, Gaza, la guerra e i dati – L’arte della propaganda personalizzata
Mentre una guerra infuria tra le terre di Gaza e i cieli di Israele, un’altra, totale, infiamma i social network: la guerra dell’informazione.
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Mentre una guerra infuria tra le terre di Gaza e i cieli di Israele, un’altra, totale, infiamma i social network: la guerra dell’informazione.
Quanto è CARA questa emergenza?
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Il diritto d’asilo in Europa e il superamento degli accordi di Dublino
I materiali vengono pubblicati sotto Licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale CC BY-NC
Università degli studi di Genova…
Libia: il ritorno dei lealisti di Gheddafi
In Libia, la gente sta cominciando a fare paragoni tra il passato e il presente e preferisce il passato di Gheddafi
L’articolo Libia: il ritorno dei lealisti di Gheddafi sembra essere il primo su Arabpress.
Senza asilo ma non rimpatriati. Ecco l’esercito dei migranti fantasma
Sono almeno 50 mila a vivere nel limbo amministrativo.
convegno : Autorità nei paesi musulmani,UNIMI 18 novembre
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convegno : Autorità nei paesi musulmani,UNIMI 18 novembre
Turchia, censura di Stato
La libertà di stampa è al centro della riflessione proposta da “Voci scomode”, l’appuntamento annuale organizzato dal Caffè dei giornalisti in partnership con il Dipartimento di Culture, Politiche e Società dell’Università di Torino e la Maison des Journalistes di Parigi, giunto alla terza edizione. – 29 novembre 2016
Turchia, censura di Stato
La libertà di stampa è al centro della riflessione proposta da “Voci scomode”, l’appuntamento annuale organizzato dal Caffè dei giornalisti in partnership con il Dipartimento di Culture, Politiche e Società dell’Università di Torino e la Maison des Journalistes di Parigi, giunto alla terza edizione. – 29 novembre 2016
Turchia, censura di Stato
La libertà di stampa è al centro della riflessione proposta da “Voci scomode”, l’appuntamento annuale organizzato dal Caffè dei giornalisti in partnership con il Dipartimento di Culture, Politiche e Società dell’Università di Torino e la Maison des Journalistes di Parigi, giunto alla terza edizione. – 29 novembre 2016
L’ascesa del “Trumpismo”: il mondo per quello che è realmente
Le elezioni americane tenutesi l’8 novembre scorso non hanno decretato solo il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, ma anche un nuovo fenomeno: “il Trumpismo”
L’articolo L’ascesa del “Trumpismo”: il mondo per quello che è realmente sembra essere il primo su Arabpress.
Poveri in Egitto, fra Al Sisi e il Fondo Monetario
mcc43 Il giorno 11.11 piazza Tahrir era popolata solo di blindati e poliziotti. Ci chiedevamo alla vigilia della manifestazione del Movimento dei Poveri, Haraket Ghabala, “Si tratta di una velleità? Di una trappola?” Ora la domanda è: in che modo si è arrivati al fallimento della protesta? “In 6 ore le forze di sicurezza possono essere inviate […]
Poveri in Egitto, fra Al Sisi e il Fondo Monetario
mcc43 Il giorno 11.11 piazza Tahrir era popolata solo di blindati e poliziotti. Ci chiedevamo alla vigilia della manifestazione del Movimento dei Poveri, Haraket Ghabala, “Si tratta di una velleità? Di una trappola?” Ora la domanda è: in che modo si è arrivati al fallimento della protesta? “In 6 ore le forze di sicurezza possono essere inviate […]
Poveri in Egitto, fra Al Sisi e il Fondo Monetario
mcc43 Il giorno 11.11 piazza Tahrir era popolata solo di blindati e poliziotti. Ci chiedevamo alla vigilia della manifestazione del Movimento dei Poveri, Haraket Ghabala, “Si tratta di una velleità? Di una trappola?” Ora la domanda è: in che modo si è arrivati al fallimento della protesta? “In 6 ore le forze di sicurezza possono essere inviate […]
Poveri in Egitto, fra Al Sisi e il Fondo Monetario
mcc43 Il giorno 11.11 piazza Tahrir era popolata solo di blindati e poliziotti. Ci chiedevamo alla vigilia della manifestazione del Movimento dei Poveri, Haraket Ghabala, “Si tratta di una velleità? Di una trappola?” Ora la domanda è: in che modo si è arrivati al fallimento della protesta? “In 6 ore le forze di sicurezza possono essere inviate […]
Poveri in Egitto, fra Al Sisi e il Fondo Monetario
mcc43 Il giorno 11.11 piazza Tahrir era popolata solo di blindati e poliziotti. Ci chiedevamo alla vigilia della manifestazione del Movimento dei Poveri, Haraket Ghabala, “Si tratta di una velleità? Di una trappola?” Ora la domanda è: in che modo si è arrivati al fallimento della protesta? “In 6 ore le forze di sicurezza possono essere inviate […]
Poveri in Egitto, fra Al Sisi e il Fondo Monetario
mcc43 Il giorno 11.11 piazza Tahrir era popolata solo di blindati e poliziotti. Ci chiedevamo alla vigilia della manifestazione del Movimento dei Poveri, Haraket Ghabala, “Si tratta di una velleità? Di una trappola?” Ora la domanda è: in che modo si è arrivati al fallimento della protesta? “In 6 ore le forze di sicurezza possono essere inviate […]
Poveri in Egitto, fra Al Sisi e il Fondo Monetario
mcc43 Il giorno 11.11 piazza Tahrir era popolata solo di blindati e poliziotti. Ci chiedevamo alla vigilia della manifestazione del Movimento dei Poveri, Haraket Ghabala, “Si tratta di una velleità? Di una trappola?” Ora la domanda è: in che modo si è arrivati al fallimento della protesta? “In 6 ore le forze di sicurezza possono essere inviate […]
Addio a Malek Chebel, l’antropologo dell’”islam illuminato”
(France Culture). L’antropologo delle religioni, psicoanalista e filosofo Malek Chebel è morto il 12 novembre a Parigi all’età di 63 anni. Esperto di islam, difensore della libertà politica e di pensiero, sosteneva l’idea di un “islam illuminato”. Nato in Algeria nel 1953, Chebel è stato autore di numerose opere dedicate alla questione dell’islam, di cui alcune […]
L’articolo Addio a Malek Chebel, l’antropologo dell’”islam illuminato” sembra essere il primo su Arabpress.
Geschichte der arabischen Litteratur
Carl Brockelmann, History of the Arabic Written Tradition, transl. by Joep Lameer, Brill, Leiden 2016. Ieri Brill ha annunciato la pubblicazione, nella traduzione inglese, dei primi due volumi della Storia della letteratura araba di Brockelmann, che … Continua a leggere→
Geschichte der arabischen Litteratur
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
Geschichte der arabischen Litteratur
Carl Brockelmann, History of the Arabic Written Tradition, transl. by Joep Lameer, Brill, Leiden 2016. Ieri Brill ha annunciato la pubblicazione, nella traduzione inglese, dei primi due volumi della Storia della letteratura araba di Brockelmann, che … Continua a leggere→
Geschichte der arabischen Litteratur
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
Egitto: forze di sicurezza ovunque, manifestanti non pervenuti
Il timore per nuove violente manifestazioni, annunciate nei giorni scorsi, in Egitto si è subito trasformato in una patetica messa in scena
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Qui, dove batte il cuore di Gerusalemme
Tornare a Gerusalemme significa tornare alla Porta di Damasco. Tornare a Bab al ‘Amud, là dove batte il cuore della città. La Porta di Damasco parla, a chi conosce Gerusalemme: racconta cos’è successo in questi quattro anni in cui sono stata lontana dalle pietre consumate, sporche, unte. Racconta del sangue e del dolore nei piccoliRead more
Buscando vida en caminos de muerte: parte la XII Caravana de Madres de migrantes desaparecidos
“Cerchiamo vita in un cammino di morte”, con questo intento la Caravana de Madres de Migrantes Desaparecidos partirà dal sud del Messico…
Cucina algerina: chakhchoukha di Biskra
La città di Biskra si trova nell’Algeria orientale ed è conosciuta per il suo piatto tradizionale, davvero gustoso: la chakhchouka! Ingredienti: Per la pasta: 600gr di semola fine 1 cucchiaino di sale acqua per lavorare la pasta olio d’oliva per stendere la pasta Per la salsa: 1kg di carne d’agnello o un pollo in pezzi 2 […]
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Trump presidente: le possibili conseguenze per il mondo arabo
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe implicare il concretizzarsi delle preoccupazioni di molti arabi e musulmani
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La settimana di Arabpress in podcast – VII puntata
Le notizie e gli approfondimenti più importanti della settimana in 5 minuti! A cura di Giusy Regina
L’articolo La settimana di Arabpress in podcast – VII puntata sembra essere il primo su Arabpress.
Tafsir Al-Jalalain
Esegesi del Corano. Tafsir al-Jalalayn, trad. a cura di Paolo Gonzaga, Istituto Italiano di Studi Islamici, Milano 2016. Il tafsir al-Jalalayn è opera di due Jalàl appunto: Jalàl ad-Din al-Mahalli e Jalàl … Continua a leggere→
Tafsir Al-Jalalain
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
Tafsir Al-Jalalain
Esegesi del Corano. Tafsir al-Jalalayn, trad. a cura di Paolo Gonzaga, Istituto Italiano di Studi Islamici, Milano 2016. Il tafsir al-Jalalayn è opera di due Jalàl appunto: Jalàl ad-Din al-Mahalli e Jalàl … Continua a leggere→
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letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
Superare qui ed ora l’approccio hotspot!
Abbiamo seguito con attenzione le ultime vicende legate all’hotspot di Taranto.
Vicenza — Convegno: “Stato di Guerra e Guerra ai migranti”
Vicenza, dal 14 al 18 novembre, sarà nuovamente teatro di una simulazione organizzata presso il CoESPU (Center of Excellence for Stability…
di Heaven Crawley, Franck Düvell e Nando Sigona
I politici di tutta Europa hanno parlato degli arrivi di profughi e migranti del 2015 e del 2016 come di un “avvenimento” senza precedenti…
Viaggiare domandando. Sguardi da sud su #overthefortress
La domande è tutt’altro che retorica: qual è il senso di un viaggio lungo, complesso e faticoso, che attraversa territori distanti tra loro…
Incontro con lo scrittore italo-siriano Shady Hamadi
Nel 2011 Shady Hamadipubblica il suo primo libro Voci di anime, una raccolta di racconti, ma con l’inizio delle proteste contro Bashar al Asad, si attiva per creare dall’Italia una coscienza sulla Siria: partecipa a forum, conferenze, lancia iniziative… Nel 2013 pubblica il saggio La felicità araba in cui racconta “la storia della sua famiglia e la genesi di un regime”.
Incontro con lo scrittore italo-siriano Shady Hamadi
Nel 2011 Shady Hamadipubblica il suo primo libro Voci di anime, una raccolta di racconti, ma con l’inizio delle proteste contro Bashar al Asad, si attiva per creare dall’Italia una coscienza sulla Siria: partecipa a forum, conferenze, lancia iniziative… Nel 2013 pubblica il saggio La felicità araba in cui racconta “la storia della sua famiglia e la genesi di un regime”.
Incontro con lo scrittore italo-siriano Shady Hamadi
Nel 2011 Shady Hamadipubblica il suo primo libro Voci di anime, una raccolta di racconti, ma con l’inizio delle proteste contro Bashar al Asad, si attiva per creare dall’Italia una coscienza sulla Siria: partecipa a forum, conferenze, lancia iniziative… Nel 2013 pubblica il saggio La felicità araba in cui racconta “la storia della sua famiglia e la genesi di un regime”.
Egitto: violenti scontri e arresti
Violenti scontri sono scoppiati in Egitto tra i manifestanti che chiedevano la fine dell’aumento del costo della vita nel Paese. La chiamata alla protesta dell’11 novembre aveva già inondato i social media da un paio di settimane. Poco si sa circa gli organizzatori della manifestazione che ha preso il nome di “rivoluzione degli oppressi”. Si tratta di un movimento chiamato “Ghalaba”, […]
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La fine della Jungle e di Stalingrad — e ora?
Testo e fotografie di Monica Cillerai e Stefano Lorusso
Foto: Monica Cillerai e Stefano Lorusso
Viaggio a Sarcelles, dove sono ospitati…
Teatro e recitazione: una via per la pace dentro Basmeh & Zeitooneh
Il progetto è incentrato sul sostegno psicologico attraverso le arti espressive e la riproduzione della realtà attraverso il teatro e la musica ed è destinato a bambini siriani che hanno subito i traumi della guerra.
Teatro e recitazione: una via per la pace dentro Basmeh & Zeitooneh
Il progetto è incentrato sul sostegno psicologico attraverso le arti espressive e la riproduzione della realtà attraverso il teatro e la musica ed è destinato a bambini siriani che hanno subito i traumi della guerra.
Teatro e recitazione: una via per la pace dentro Basmeh & Zeitooneh
Il progetto è incentrato sul sostegno psicologico attraverso le arti espressive e la riproduzione della realtà attraverso il teatro e la musica ed è destinato a bambini siriani che hanno subito i traumi della guerra.
Donne migranti in transito attraverso il Messico
Erano le 10 del mattino in un centro di detenzione per migranti in California, quando Daniela prese il telefono per avvertire suo marito…
Bangladesh. Protezione sussidiaria motivata dalla mancanza dei diritti nel paese di origine.
Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per la segnalazione
Come testimoniato dal rapporto di amnesty international sul bangladesh, nel…
Tre battaglie per determinare il fato del Levante arabo
Le grandi potenze cercano di definire il destino delle zone arabe senza tener conto degli interessi delle popolazioni sfruttando le forze in conflitto presenti sul campo per perseguire le proprie strategie
L’articolo Tre battaglie per determinare il fato del Levante arabo sembra essere il primo su Arabpress.
La Siria delle seconde generazioni al Pisa Book Festival
L’11 novembre si apriranno le porte del Pisa Book Festival, il salone del libro dedicato alle case editrici indipendenti italiane, un appuntamento che ormai da 13 anni invade la città toscana. Quest’anno si parlerà anche di mondo arabo, in particolare di Siria vista la presenza di Shady Hamadi, che presenta il suo libro “Esilio dalla […]
L’articolo La Siria delle seconde generazioni al Pisa Book Festival sembra essere il primo su Arabpress.
Nizar Qabbanni, Le mie poesie più belle
Nizar Qabbani, Le mie poesie più belle, Jouvence, Milano 2016. Trad. dall’arabo di Silvia Moresi e Nabil Salameh Nella prefazione in lingua araba al presente volume, Qabbani suggerisce che quelle qui presentate sono solamente una … Continua a leggere→
Nizar Qabbanni, Le mie poesie più belle
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
Nizar Qabbanni, Le mie poesie più belle
Nizar Qabbani, Le mie poesie più belle, Jouvence, Milano 2016. Trad. dall’arabo di Silvia Moresi e Nabil Salameh Nella prefazione in lingua araba al presente volume, Qabbani suggerisce che quelle qui presentate sono solamente una … Continua a leggere→
Nizar Qabbanni, Le mie poesie più belle
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)
I musulmani sono spaventati, ma non saranno intimiditi da Trump
Io e i miei amici siamo spaventati dall’islamofobia che la vittoria di Trump esprime, ma dobbiamo restare negli Stati Uniti e combatterla
L’articolo I musulmani sono spaventati, ma non saranno intimiditi da Trump sembra essere il primo su Arabpress.
Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah
Si è aperta il 2 novembre e si concluderà il 12 dello stesso mese la Fiera del libro di Sharjah, capitale dell’omonimo emirato, uno dei sette che compongono gli Emirati Arabi Uniti. Vi partecipano 1.420 editori di 60 paesi che, negli 11 giorni di durata della manifestazione, esporranno oltre un milione e mezzo di libri. … Continua a leggere Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah →
Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah
Si è aperta il 2 novembre e si concluderà il 12 dello stesso mese la Fiera del libro di Sharjah, capitale dell’omonimo emirato, uno dei sette che compongono gli Emirati Arabi Uniti. Vi partecipano 1.420 editori di 60 paesi che, negli 11 giorni di durata della manifestazione, esporranno oltre un milione e mezzo di libri. … Continua a leggere Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah →
Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah
Si è aperta il 2 novembre e si concluderà il 12 dello stesso mese la Fiera del libro di Sharjah, capitale dell’omonimo emirato, uno dei sette che compongono gli Emirati Arabi Uniti. Vi partecipano 1.420 editori di 60 paesi che, negli 11 giorni di durata della manifestazione, esporranno oltre un milione e mezzo di libri. … Continua a leggere Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah →
Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah
Si è aperta il 2 novembre e si concluderà il 12 dello stesso mese la Fiera del libro di Sharjah, capitale dell’omonimo emirato, uno dei sette che compongono gli Emirati Arabi Uniti. Vi partecipano 1.420 editori di 60 paesi che, negli 11 giorni di durata della manifestazione, esporranno oltre un milione e mezzo di libri. … Continua a leggere Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah →
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Si è aperta il 2 novembre e si concluderà il 12 dello stesso mese la Fiera del libro di Sharjah, capitale dell’omonimo emirato, uno dei sette che compongono gli Emirati Arabi Uniti. Vi partecipano 1.420 editori di 60 paesi che, negli 11 giorni di durata della manifestazione, esporranno oltre un milione e mezzo di libri. … Continua a leggere Al via la 35° edizione della Fiera internazionale del libro di Sharjah →
Si ringrazia l’Avv. Dora Zappia per la segnalazione ed il commento.
Una recente giurisprudenza del Tribunale di Trieste.
Mali. Quattro ordinanze che riconoscono il permesso per motivi umanitari.
Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per la segnalazione
Quattro sentene che ribadiscono come le commissioni territoriali potrebbero…
Sfruttamento lavorativo e caporalato nelle campagne siciliane
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Amnesty: la politica dell’UE sta portando ad abusi sui migranti in Italia
Un rapporto mostra come il sistema degli hotspot abbia prosciugato le risorse degli Stati di frontiera e abbia alimentato torture e…
Lo scontro tra Marocco e Algeria nell’arena africana
Le operazioni marocchine per rientrare nell’Unione Africana viste in rapporto alle relazioni con la vicina Algeria in difficoltà
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Il Grande Complotto che dà senso al Telefonone
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Lorenzo. dopo l’uscita dell’ultimo pezzo ho dovuto fare un po’ di controcomplottistica, cioè il corrispettivo digitale della prepugilistica. Mi sono dedicato a un esercizio complesso: combattimento cinguettante. Che la forma dialettica naturale di Twitter sia la bagarre è evidente: quel social non è fatto per dialogare e articolare un ragionamento complesso in una serie di pensierini da 140 caratteri è semplicemente impossibile.…
Il Grande Complotto che dà senso al Telefonone è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.
Il Grande Complotto che dà senso al Telefonone
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Lorenzo. dopo l’uscita dell’ultimo pezzo ho dovuto fare un po’ di controcomplottistica, cioè il corrispettivo digitale della prepugilistica. Mi sono dedicato a un esercizio complesso: combattimento cinguettante. Che la forma dialettica naturale di Twitter sia la bagarre è evidente: quel social non è fatto per dialogare e articolare un ragionamento complesso in una serie di pensierini da 140 caratteri è semplicemente impossibile.…
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Il Grande Complotto che dà senso al Telefonone
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Lorenzo. dopo l’uscita dell’ultimo pezzo ho dovuto fare un po’ di controcomplottistica, cioè il corrispettivo digitale della prepugilistica. Mi sono dedicato a un esercizio complesso: combattimento cinguettante. Che la forma dialettica naturale di Twitter sia la bagarre è evidente: quel social non è fatto per dialogare e articolare un ragionamento complesso in una serie di pensierini da 140 caratteri è semplicemente impossibile.…
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Il Grande Complotto che dà senso al Telefonone
di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas
Lorenzo. dopo l’uscita dell’ultimo pezzo ho dovuto fare un po’ di controcomplottistica, cioè il corrispettivo digitale della prepugilistica. Mi sono dedicato a un esercizio complesso: combattimento cinguettante. Che la forma dialettica naturale di Twitter sia la bagarre è evidente: quel social non è fatto per dialogare e articolare un ragionamento complesso in una serie di pensierini da 140 caratteri è semplicemente impossibile.…
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Intervista a Hamza Namira: c’è speranza per l’Egitto
Dal blog Egitto in movimento di Ludovica Brignola
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Palestina prepara il settimo Congresso di FATAH
mcc43 Fatah, il partito che guida l’Autorità Palestinese, va verso il Congresso del 29 novembre, dal quale uscirà una nuova composizione del Comitato Centrale e la designazione del successore di Mahmoud Abbas. Più che in altri contesti, la scelta del leader palestinese attiene non tanto alle qualità personali quanto ai rapporti di forza fra correnti […]
Palestina prepara il settimo Congresso di FATAH
mcc43 Fatah, il partito che guida l’Autorità Palestinese, va verso il Congresso del 29 novembre, dal quale uscirà una nuova composizione del Comitato Centrale e la designazione del successore di Mahmoud Abbas. Più che in altri contesti, la scelta del leader palestinese attiene non tanto alle qualità personali quanto ai rapporti di forza fra correnti […]
Palestina prepara il settimo Congresso di FATAH
mcc43 Fatah, il partito che guida l’Autorità Palestinese, va verso il Congresso del 29 novembre, dal quale uscirà una nuova composizione del Comitato Centrale e la designazione del successore di Mahmoud Abbas. Più che in altri contesti, la scelta del leader palestinese attiene non tanto alle qualità personali quanto ai rapporti di forza fra correnti […]
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Palestina prepara il settimo Congresso di FATAH
mcc43 Fatah, il partito che guida l’Autorità Palestinese, va verso il Congresso del 29 novembre, dal quale uscirà una nuova composizione del Comitato Centrale e la designazione del successore di Mahmoud Abbas. Più che in altri contesti, la scelta del leader palestinese attiene non tanto alle qualità personali quanto ai rapporti di forza fra correnti […]
USA: il ruolo chiave del libanese Phares nell’amministrazione Trump
Walid Phares potrebbe finire per decidere il futuro del Medio Oriente.
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La mia Ventimiglia
L’assurdità delle frontiere, vista con gli occhi di un giovane solidale
via Migrano http://www.qcodemag.it/2016/11/10/la-mia-ventimiglia/
Contro il peggio
Vendevano le fragole, a Ramallah, il 25 gennaio del 2006. Aria tersa, giornata bellissima, e i carretti erano come stazioni di sosta, con le fragole sistemate perfettamente, piramidi rosse bagnate dal sole. Di giornalisti ce n’erano parecchi, me compresa. Giravamo per le cittadine della Palestina per capire come sarebbero andate le elezioni legislative. Le primeRead more
La crisi egiziana e le occasioni perdute
Le conseguenze della svalutazione della lira egiziana
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Il Salone del Libro francofono di Beirut che parla anche arabo
Il 5 novembre è stato inaugurato a Beirut il consueto Salone del libro francofono , che celebra la cultura francofona nell’ex dominio francese del Libano. Ma da un paio di anni ormai, anche il Salone di Beirut si è aperto al mercato editoriale arabo. di Ali Raffaele Matar* È stata inaugurata a Beirut la XXIIIa … Continua a leggere Il Salone del Libro francofono di Beirut che parla anche arabo →
Il Salone del Libro francofono di Beirut che parla anche arabo
Il 5 novembre è stato inaugurato a Beirut il consueto Salone del libro francofono , che celebra la cultura francofona nell’ex dominio francese del Libano. Ma da un paio di anni ormai, anche il Salone di Beirut si è aperto al mercato editoriale arabo. di Ali Raffaele Matar* È stata inaugurata a Beirut la XXIIIa … Continua a leggere Il Salone del Libro francofono di Beirut che parla anche arabo →
Il Salone del Libro francofono di Beirut che parla anche arabo
Il 5 novembre è stato inaugurato a Beirut il consueto Salone del libro francofono , che celebra la cultura francofona nell’ex dominio francese del Libano. Ma da un paio di anni ormai, anche il Salone di Beirut si è aperto al mercato editoriale arabo. di Ali Raffaele Matar* È stata inaugurata a Beirut la XXIIIa … Continua a leggere Il Salone del Libro francofono di Beirut che parla anche arabo →
Il Salone del Libro francofono di Beirut che parla anche arabo
Il 5 novembre è stato inaugurato a Beirut il consueto Salone del libro francofono , che celebra la cultura francofona nell’ex dominio francese del Libano. Ma da un paio di anni ormai, anche il Salone di Beirut si è aperto al mercato editoriale arabo. di Ali Raffaele Matar* È stata inaugurata a Beirut la XXIIIa … Continua a leggere Il Salone del Libro francofono di Beirut che parla anche arabo →
From Pozzallo to Syracuse: good practices in welcoming and solidarity
Watch the video of the press conference
5 € for 10 km: support Overthefortress’ campervan
A two-month trip from Sicily to Rome inside and…
Korinthos brucia ancora
Articolo di Davi Ruggini e Lisa Helle (Forgotten in Idomeni)
A distanza di quasi un anno dall’esplosione del flusso migratorio massivo…
I rifugiati siriani: siamo stati ingannati e deportati in Turchia
Le accuse secondo cui una giovane famiglia sarebbe stata deportata nonostante avesse presentato richiesta d’asilo in Grecia indeboliscono…
Medu — Terragiusta: report Basilicata
Il “laboratorio Basilicata” si conferma un percorso a metà.
THE RENOVATION OF THE TALIBAN MOVEMENT (OSS 2/2016)
di Claudio Bertolotti
@cbertolotti1
download the full volume "Osservatorio Strategico"
The
death of Mullah Mansour e the appointment of the new Taliban leader
On
the insurrectional front, recent dynamics have changed the internal
Taliban organization.
The
22nd
of May a U.S. drone attack in the Pakistani area of Baluchistan
killed the Taliban leader mullah Aktar Mohamad
THE RENOVATION OF THE TALIBAN MOVEMENT (OSS 2/2016)
di Claudio Bertolotti
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The
death of Mullah Mansour e the appointment of the new Taliban leader
On
the insurrectional front, recent dynamics have changed the internal
Taliban organization.
The
22nd
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killed the Taliban leader mullah Aktar Mohamad
THE RENOVATION OF THE TALIBAN MOVEMENT (OSS 2/2016)
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The
death of Mullah Mansour e the appointment of the new Taliban leader
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The
22nd
of May a U.S. drone attack in the Pakistani area of Baluchistan
killed the Taliban leader mullah Aktar Mohamad
LA TRASFORMAZIONE DEL MOVIMENTO TALEBANO (CeMiSS OSS 2/2016)
di Claudio Bertolotti
@cbertolotti1
scarica l’intero volume Osservatorio Strategico CeMiSS 2/2016
ISBN 978-88-99468-16-3
La
morte del mullah Mansour e la nomina del nuovo vertice dei talebani:
il mawlawì Haibatullah Akhundzada
S…
LA TRASFORMAZIONE DEL MOVIMENTO TALEBANO (CeMiSS OSS 2/2016)
di Claudio Bertolotti
@cbertolotti1
scarica l’intero volume Osservatorio Strategico CeMiSS 2/2016
ISBN 978-88-99468-16-3
La
morte del mullah Mansour e la nomina del nuovo vertice dei talebani:
il mawlawì Haibatullah Akhundzada
S…
LA TRASFORMAZIONE DEL MOVIMENTO TALEBANO (CeMiSS OSS 2/2016)
di Claudio Bertolotti
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La
morte del mullah Mansour e la nomina del nuovo vertice dei talebani:
il mawlawì Haibatullah Akhundzada
S…
Il sistema hotspot e la negazione dello stato di diritto in Europa
Negli stessi giorni in cui è uscito il rapporto “Hotspot Italia: come le politiche dell’Unione europea portano a violazioni dei diritti di…
Non c’è due senza quattro. A Roma si bonifica la solidarietà
Photo credit: Alessandro Annunziata
Il 7 novembre per l’ennesima volta il presidio di Baobab Experience, da qualche settimana in Piazzale…
Questione Baobab: riaprire il dialogo su accoglienza a Roma
La rete legale esprime grande preoccupazione: le dichiarazioni dell’Assessore Baldassarre confermano la non volontà di occuparsi dei…
Ce que lEtat a détruit avec la Jungle de Calais
Barnabé Binctin publié dans Reporterre Reporterre, media francese on-line, si definisce “il quotidiano dell’ecologia”.
L’arabo anonimo ne “Lo Straniero” di Camus
Dopo 75 anni, è stato identificato il vero, finora anonimo, arabo del romanzo “Lo Straniero” dello scrittore e giornalista francese Albert Camus
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Lo showroom di IKEA che riproduce una casa siriana distrutta dalla guerra
(Step Feed). Il conflitto siriano ha danneggiato milioni di case, ucciso e sfollando milioni di persone. IKEA ha voluto mettere in evidenza questo aspetto della guerra siriana attraverso la realizzazione di uno showroom che ne ritrae la realtà. Nel punto vendita di Slependen, in Norvegia, è stato infatti realizzato uno spazio di 25 metri quadri che […]
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“Il grande Iran” di Giuseppe Acconcia
Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro
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Le preoccupazioni del Medio Oriente per le elezioni americane
All’indomani delle elezioni presidenziali, quale sarà la nuova politica americana nei confronti del Medio Oriente?
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I “primi passi” in Europa: la diffusione dell’approccio Hotspot
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Condizioni di accesso alle prestazioni socio sanitarie dei cittadini stranieri: normativa e prassi
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Padova riconosce ai partecipanti 6 crediti formativi, è in corso l’accreditamento presso altri…
Gli immigrati detenuti in Ontario (Canada) fanno sciopero della fame per la terza volta quest’anno
Da otto giorni, più di una decina di immigrati detenuti nel Central East Correctional Centre di Lindsay, in Ontario, sono in sciopero della…
Il 12 novembre una grande manifestazione attraverserà le strade della città di Roma.
L’attuale regime di controllo della mobilità è un meccanismo che produce irregolarità ed esclusione, e colpisce soggetti diversi: chi…
Vicenza — Convegno: “Stato di Guerra e Guerra ai migranti”
Vicenza, dal 14 al 18 novembre, sarà nuovamente teatro di una simulazione organizzata presso il CoESPU (Center of Excellence for Stability…
Centro Oasi di Carpineto di Ascoli: un CAS all’olio di ricino
La prima cosa che viene in mente, quando si cerca di visitare un Cas, è che se fosse solo quel che afferma di essere — cioè un centro di…
“The Secret Life Of Muslims”: una nuova serie per abbattere gli stereotipi (video)
Di Antonia Blumberg. Huffington Post Religion (4/11/2016). Traduzione e sintesi di Giusy Regina L’attore Ahmed Ahmed, per metà egiziano e per metà americano, ha trascorso i primi anni della sua carriera interpretando ruoli di terroristi e “cattivi” in generale, incarnando tutti quegli stereotipi che hanno portato all’emarginazione dei musulmani e degli arabi negli ultimi decenni. Ma ad un certo punto […]
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La battaglia di Raqqa si farà senza la Turchia?
L’operazione per riprendere la capitale di Daesh in Siria ha avuto inizio
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Il brando divino terrore filippino
C’è il gruppo islamista Abu Sayyaf dietro il sequestro di un cittadino tedesco e l’uccisione della sua compagna che sono avvenuti nei giorni scorsi nel Sud delle Filippine. La zona del sequestro del settantenne tedesco e dell’omicidio della sua compagna cinquantenne, il cui corpo è stato ritrovato dai pescatori della zona, è l’area di Pegasus Reef, 40 miglia dall’isola di Taganak nelle Tawi Tawi, il cosiddetto “arcipelago delle tartarughe” composto da dieci isole (sette filippine e tre malaysiane) all’interno della più vasta area insulare delle Sulu, santuario e terreno di caccia di Abu Sayyaf. Un paradiso tropicale diventato un inferno.
Il sequestro è stato rivendicato da un portavoce del gruppo, Muammar Askali, che domenica ha chiamato il quotidiano Inquirer cui ha spiegato che la compagna di Juegen Kantner, così si chiama l’ostaggio, aveva tentato di sparare ai sequestratori e pertanto era stata uccisa. Kantner ha potuto anche lui parlare con l’Inquirer, spiegando, ma non è chiaro come, che la coppia aveva chiesto aiuto all’ambasciata tedesca a Manila. Alla vicenda mancano diverse conferme e i fatti sono ancora da determinare nei dettagli. La stessa domenica il corpo della donna ormai senza vita è stato trovato dai residenti sulla barca dei tedeschi.
Abu Sayaff è attivo ormai da oltre un decennio nelle acque dell’arcipelago di Sulu dove il gruppo, autore di sequestri estorsivi ammantati di retorica jihadista, è famoso per la sua ferocia: il 25 aprile scorso, solo per ricordare un caso, la testa di un ostaggio canadese, per cui non era stato pagato il riscatto, venne ritrovata in un sacchetto di plastica nelle strade di Jolo, la capitale delle Sulu.
Metà jihadisti, metà banditi, gli uomini di Abu Sayyaf (brando divino) terrorizzano la piccola enclave insulare da anni facendosi beffe dei tentativi dell’esercito di far piazza pulita come promesso anche dall’ultimo presidente appena eletto, il controverso Rodrigo Duterte. Qualche tempo fa Abu Sayyaf ha promesso fedeltà ad Al Bagdadi, andando a ingrossare le fila degli adepti del califfato a Est di Raqqa.
Il brando divino terrore filippino
C’è il gruppo islamista Abu Sayyaf dietro il sequestro di un cittadino tedesco e l’uccisione della sua compagna che sono avvenuti nei giorni scorsi nel Sud delle Filippine. La zona del sequestro del settantenne tedesco e dell’omicidio della sua compagna cinquantenne, il cui corpo è stato ritrovato dai pescatori della zona, è l’area di Pegasus Reef, 40 miglia dall’isola di Taganak nelle Tawi Tawi, il cosiddetto “arcipelago delle tartarughe” composto da dieci isole (sette filippine e tre malaysiane) all’interno della più vasta area insulare delle Sulu, santuario e terreno di caccia di Abu Sayyaf. Un paradiso tropicale diventato un inferno.
Il sequestro è stato rivendicato da un portavoce del gruppo, Muammar Askali, che domenica ha chiamato il quotidiano Inquirer cui ha spiegato che la compagna di Juegen Kantner, così si chiama l’ostaggio, aveva tentato di sparare ai sequestratori e pertanto era stata uccisa. Kantner ha potuto anche lui parlare con l’Inquirer, spiegando, ma non è chiaro come, che la coppia aveva chiesto aiuto all’ambasciata tedesca a Manila. Alla vicenda mancano diverse conferme e i fatti sono ancora da determinare nei dettagli. La stessa domenica il corpo della donna ormai senza vita è stato trovato dai residenti sulla barca dei tedeschi.
Abu Sayaff è attivo ormai da oltre un decennio nelle acque dell’arcipelago di Sulu dove il gruppo, autore di sequestri estorsivi ammantati di retorica jihadista, è famoso per la sua ferocia: il 25 aprile scorso, solo per ricordare un caso, la testa di un ostaggio canadese, per cui non era stato pagato il riscatto, venne ritrovata in un sacchetto di plastica nelle strade di Jolo, la capitale delle Sulu.
Metà jihadisti, metà banditi, gli uomini di Abu Sayyaf (brando divino) terrorizzano la piccola enclave insulare da anni facendosi beffe dei tentativi dell’esercito di far piazza pulita come promesso anche dall’ultimo presidente appena eletto, il controverso Rodrigo Duterte. Qualche tempo fa Abu Sayyaf ha promesso fedeltà ad Al Bagdadi, andando a ingrossare le fila degli adepti del califfato a Est di Raqqa.
Il brando divino terrore filippino
C’è il gruppo islamista Abu Sayyaf dietro il sequestro di un cittadino tedesco e l’uccisione della sua compagna che sono avvenuti nei giorni scorsi nel Sud delle Filippine. La zona del sequestro del settantenne tedesco e dell’omicidio della sua compagna cinquantenne, il cui corpo è stato ritrovato dai pescatori della zona, è l’area di Pegasus Reef, 40 miglia dall’isola di Taganak nelle Tawi Tawi, il cosiddetto “arcipelago delle tartarughe” composto da dieci isole (sette filippine e tre malaysiane) all’interno della più vasta area insulare delle Sulu, santuario e terreno di caccia di Abu Sayyaf. Un paradiso tropicale diventato un inferno.
Il sequestro è stato rivendicato da un portavoce del gruppo, Muammar Askali, che domenica ha chiamato il quotidiano Inquirer cui ha spiegato che la compagna di Juegen Kantner, così si chiama l’ostaggio, aveva tentato di sparare ai sequestratori e pertanto era stata uccisa. Kantner ha potuto anche lui parlare con l’Inquirer, spiegando, ma non è chiaro come, che la coppia aveva chiesto aiuto all’ambasciata tedesca a Manila. Alla vicenda mancano diverse conferme e i fatti sono ancora da determinare nei dettagli. La stessa domenica il corpo della donna ormai senza vita è stato trovato dai residenti sulla barca dei tedeschi.
Abu Sayaff è attivo ormai da oltre un decennio nelle acque dell’arcipelago di Sulu dove il gruppo, autore di sequestri estorsivi ammantati di retorica jihadista, è famoso per la sua ferocia: il 25 aprile scorso, solo per ricordare un caso, la testa di un ostaggio canadese, per cui non era stato pagato il riscatto, venne ritrovata in un sacchetto di plastica nelle strade di Jolo, la capitale delle Sulu.
Metà jihadisti, metà banditi, gli uomini di Abu Sayyaf (brando divino) terrorizzano la piccola enclave insulare da anni facendosi beffe dei tentativi dell’esercito di far piazza pulita come promesso anche dall’ultimo presidente appena eletto, il controverso Rodrigo Duterte. Qualche tempo fa Abu Sayyaf ha promesso fedeltà ad Al Bagdadi, andando a ingrossare le fila degli adepti del califfato a Est di Raqqa.
Il brando divino terrore filippino
C’è il gruppo islamista Abu Sayyaf dietro il sequestro di un cittadino tedesco e l’uccisione della sua compagna che sono avvenuti nei giorni scorsi nel Sud delle Filippine. La zona del sequestro del settantenne tedesco e dell’omicidio della sua compagna cinquantenne, il cui corpo è stato ritrovato dai pescatori della zona, è l’area di Pegasus Reef, 40 miglia dall’isola di Taganak nelle Tawi Tawi, il cosiddetto “arcipelago delle tartarughe” composto da dieci isole (sette filippine e tre malaysiane) all’interno della più vasta area insulare delle Sulu, santuario e terreno di caccia di Abu Sayyaf. Un paradiso tropicale diventato un inferno.
Il sequestro è stato rivendicato da un portavoce del gruppo, Muammar Askali, che domenica ha chiamato il quotidiano Inquirer cui ha spiegato che la compagna di Juegen Kantner, così si chiama l’ostaggio, aveva tentato di sparare ai sequestratori e pertanto era stata uccisa. Kantner ha potuto anche lui parlare con l’Inquirer, spiegando, ma non è chiaro come, che la coppia aveva chiesto aiuto all’ambasciata tedesca a Manila. Alla vicenda mancano diverse conferme e i fatti sono ancora da determinare nei dettagli. La stessa domenica il corpo della donna ormai senza vita è stato trovato dai residenti sulla barca dei tedeschi.
Abu Sayaff è attivo ormai da oltre un decennio nelle acque dell’arcipelago di Sulu dove il gruppo, autore di sequestri estorsivi ammantati di retorica jihadista, è famoso per la sua ferocia: il 25 aprile scorso, solo per ricordare un caso, la testa di un ostaggio canadese, per cui non era stato pagato il riscatto, venne ritrovata in un sacchetto di plastica nelle strade di Jolo, la capitale delle Sulu.
Metà jihadisti, metà banditi, gli uomini di Abu Sayyaf (brando divino) terrorizzano la piccola enclave insulare da anni facendosi beffe dei tentativi dell’esercito di far piazza pulita come promesso anche dall’ultimo presidente appena eletto, il controverso Rodrigo Duterte. Qualche tempo fa Abu Sayyaf ha promesso fedeltà ad Al Bagdadi, andando a ingrossare le fila degli adepti del califfato a Est di Raqqa.
Il brando divino terrore filippino
C’è il gruppo islamista Abu Sayyaf dietro il sequestro di un cittadino tedesco e l’uccisione della sua compagna che sono avvenuti nei giorni scorsi nel Sud delle Filippine. La zona del sequestro del settantenne tedesco e dell’omicidio della sua compagna cinquantenne, il cui corpo è stato ritrovato dai pescatori della zona, è l’area di Pegasus Reef, 40 miglia dall’isola di Taganak nelle Tawi Tawi, il cosiddetto “arcipelago delle tartarughe” composto da dieci isole (sette filippine e tre malaysiane) all’interno della più vasta area insulare delle Sulu, santuario e terreno di caccia di Abu Sayyaf. Un paradiso tropicale diventato un inferno.
Il sequestro è stato rivendicato da un portavoce del gruppo, Muammar Askali, che domenica ha chiamato il quotidiano Inquirer cui ha spiegato che la compagna di Juegen Kantner, così si chiama l’ostaggio, aveva tentato di sparare ai sequestratori e pertanto era stata uccisa. Kantner ha potuto anche lui parlare con l’Inquirer, spiegando, ma non è chiaro come, che la coppia aveva chiesto aiuto all’ambasciata tedesca a Manila. Alla vicenda mancano diverse conferme e i fatti sono ancora da determinare nei dettagli. La stessa domenica il corpo della donna ormai senza vita è stato trovato dai residenti sulla barca dei tedeschi.
Abu Sayaff è attivo ormai da oltre un decennio nelle acque dell’arcipelago di Sulu dove il gruppo, autore di sequestri estorsivi ammantati di retorica jihadista, è famoso per la sua ferocia: il 25 aprile scorso, solo per ricordare un caso, la testa di un ostaggio canadese, per cui non era stato pagato il riscatto, venne ritrovata in un sacchetto di plastica nelle strade di Jolo, la capitale delle Sulu.
Metà jihadisti, metà banditi, gli uomini di Abu Sayyaf (brando divino) terrorizzano la piccola enclave insulare da anni facendosi beffe dei tentativi dell’esercito di far piazza pulita come promesso anche dall’ultimo presidente appena eletto, il controverso Rodrigo Duterte. Qualche tempo fa Abu Sayyaf ha promesso fedeltà ad Al Bagdadi, andando a ingrossare le fila degli adepti del califfato a Est di Raqqa.
Il brando divino terrore filippino
C’è il gruppo islamista Abu Sayyaf dietro il sequestro di un cittadino tedesco e l’uccisione della sua compagna che sono avvenuti nei giorni scorsi nel Sud delle Filippine. La zona del sequestro del settantenne tedesco e dell’omicidio della sua compagna cinquantenne, il cui corpo è stato ritrovato dai pescatori della zona, è l’area di Pegasus Reef, 40 miglia dall’isola di Taganak nelle Tawi Tawi, il cosiddetto “arcipelago delle tartarughe” composto da dieci isole (sette filippine e tre malaysiane) all’interno della più vasta area insulare delle Sulu, santuario e terreno di caccia di Abu Sayyaf. Un paradiso tropicale diventato un inferno.
Il sequestro è stato rivendicato da un portavoce del gruppo, Muammar Askali, che domenica ha chiamato il quotidiano Inquirer cui ha spiegato che la compagna di Juegen Kantner, così si chiama l’ostaggio, aveva tentato di sparare ai sequestratori e pertanto era stata uccisa. Kantner ha potuto anche lui parlare con l’Inquirer, spiegando, ma non è chiaro come, che la coppia aveva chiesto aiuto all’ambasciata tedesca a Manila. Alla vicenda mancano diverse conferme e i fatti sono ancora da determinare nei dettagli. La stessa domenica il corpo della donna ormai senza vita è stato trovato dai residenti sulla barca dei tedeschi.
Abu Sayaff è attivo ormai da oltre un decennio nelle acque dell’arcipelago di Sulu dove il gruppo, autore di sequestri estorsivi ammantati di retorica jihadista, è famoso per la sua ferocia: il 25 aprile scorso, solo per ricordare un caso, la testa di un ostaggio canadese, per cui non era stato pagato il riscatto, venne ritrovata in un sacchetto di plastica nelle strade di Jolo, la capitale delle Sulu.
Metà jihadisti, metà banditi, gli uomini di Abu Sayyaf (brando divino) terrorizzano la piccola enclave insulare da anni facendosi beffe dei tentativi dell’esercito di far piazza pulita come promesso anche dall’ultimo presidente appena eletto, il controverso Rodrigo Duterte. Qualche tempo fa Abu Sayyaf ha promesso fedeltà ad Al Bagdadi, andando a ingrossare le fila degli adepti del califfato a Est di Raqqa.
Il premio letterario Multaqa del Kuwait dedicato al racconto breve arabo
Nato in Kuwait nel 2015 dalla collaborazione tra il circolo culturale gestito dallo scrittore kuwaitiano Taleb Alrefai e la American University of Kuwait, il premio Multaqa per il racconto breve arabo è l’ultimo nato tra i premi letterari made in Golfo, dopo l’Arabic Booker di Abu Dhabi e il premio Katara del Qatar, che però … Continua a leggere Il premio letterario Multaqa del Kuwait dedicato al racconto breve arabo →
Il premio letterario Multaqa del Kuwait dedicato al racconto breve arabo
Nato in Kuwait nel 2015 dalla collaborazione tra il circolo culturale gestito dallo scrittore kuwaitiano Taleb Alrefai e la American University of Kuwait, il premio Multaqa per il racconto breve arabo è l’ultimo nato tra i premi letterari made in Golfo, dopo l’Arabic Booker di Abu Dhabi e il premio Katara del Qatar, che però … Continua a leggere Il premio letterario Multaqa del Kuwait dedicato al racconto breve arabo →
Il premio letterario Multaqa del Kuwait dedicato al racconto breve arabo
Nato in Kuwait nel 2015 dalla collaborazione tra il circolo culturale gestito dallo scrittore kuwaitiano Taleb Alrefai e la American University of Kuwait, il premio Multaqa per il racconto breve arabo è l’ultimo nato tra i premi letterari made in Golfo, dopo l’Arabic Booker di Abu Dhabi e il premio Katara del Qatar, che però … Continua a leggere Il premio letterario Multaqa del Kuwait dedicato al racconto breve arabo →
Il premio letterario Multaqa del Kuwait dedicato al racconto breve arabo
Nato in Kuwait nel 2015 dalla collaborazione tra il circolo culturale gestito dallo scrittore kuwaitiano Taleb Alrefai e la American University of Kuwait, il premio Multaqa per il racconto breve arabo è l’ultimo nato tra i premi letterari made in Golfo, dopo l’Arabic Booker di Abu Dhabi e il premio Katara del Qatar, che però … Continua a leggere Il premio letterario Multaqa del Kuwait dedicato al racconto breve arabo →
Desde Pozzallo hasta Siracusa: las buenas practicas de recibimiento y solidaridad
¡Apoya el crowdfunding de la campaña solidaria #overthefortress!
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¡Participa a las etapas del viaje junto con los activistas de la Campaña!
Ungheria: giochi di potere e il vero significato del referendum del 2 ottobre 2016
La modifica della Costituzione è un affare frequente nell’Ungheria di Viktor Orbán.
Dossier. Siria: resistenza cittadina
La Siria stremata dai bombardamenti russi, stretta fra la dittatura di Bashar Assad e gli orrori di EI, uomini e donne della società civile: artisti, comici, attivisti, scrittori, usano il loro talento e la loro generosità per continuare a tutti i costi a vivere insieme. Articoli selezionati da Enab Baladi e Siria Untold nell’ambito del programma Ebticar.
Dossier. Siria: resistenza cittadina
La Siria stremata dai bombardamenti russi, stretta fra la dittatura di Bashar Assad e gli orrori di EI, uomini e donne della società civile: artisti, comici, attivisti, scrittori, usano il loro talento e la loro generosità per continuare a tutti i costi a vivere insieme. Articoli selezionati da Enab Baladi e Siria Untold nell’ambito del programma Ebticar.
Dossier. Siria: resistenza cittadina
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‘Il ragazzo di Aleppo che ha dipinto la guerra’
Incontro con la giovanissima scrittrice britannica Sumia Sukkar al Pisa Book Festival – Il conflitto siriano raccontato da un ragazzo affetto dalla sindrome di Asperger. – Domenica 13 novembre ore 14,00 Sala Fermi – Presenta Luca Murphy.
Bloccati alla frontiera francese: il viaggio dei rifugiati non finisce dopo il salvataggio
La maggior parte dei migranti salvati nel Mediterraneo vogliono andar via dall’Italia per riunirsi con le proprie famiglie nel nord Europa.
Si ringrazia l’Avv. Giuseppe Caradonna per la segnalazione.
Con questa ordinanza il Tribunale di Palermo, in data 25 ottobre 2016, ha accolto la richiesta di protezione sussidiaria in favore di un…
Nigeria. Il paese vive una situazione socio-politica di estrema instabilità
Si ringrazia L’Avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione.
Nigeria. Il paese vive una situazione socio-politica di estrema instabilità.
Si ringrazia L’Avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione.
“Welcome” uno spettacolo di e con Beppe Casales il 25 novembre a Padova
Welcome
Uno spettacolo di e con Beppe Casales
musiche originali di Isaac de Martin
Venerdì 25 novembre 2016
Dalle ore 19.00
Genealogia della nuova Frontex
Il 6 ottobre 2016 è stata ufficialmente lanciata la nuova Guardia costiera e di frontiera europea, che continuerà ad essere comunemente…
L’arresto dei membri dell’opposizione in Turchia è un gravissimo errore
L’AKP sta portando la Turchia su una “strada pericolosa” e l’arresto di politici dell’opposizione non è un atto isolato di regressione per la democrazia
L’articolo L’arresto dei membri dell’opposizione in Turchia è un gravissimo errore sembra essere il primo su Arabpress.
Immagini, voci e qualche polemica dal Salone Internazionale del Libro di Algeri
Dal 26 ottobre al 5 novembre, la città di Algeri ha ospitato la 21° edizione del Salone Internazionale del Libro di Algeri. Ospite d’onore di questa edizione – come sapete, ogni Fiera del Libro in ogni angolo del mondo ha sempre un Paese ospite – è stato l’Egitto, mentre il focus è stato sulla terza … Continua a leggere Immagini, voci e qualche polemica dal Salone Internazionale del Libro di Algeri →
Immagini, voci e qualche polemica dal Salone Internazionale del Libro di Algeri
Dal 26 ottobre al 5 novembre, la città di Algeri ha ospitato la 21° edizione del Salone Internazionale del Libro di Algeri. Ospite d’onore di questa edizione – come sapete, ogni Fiera del Libro in ogni angolo del mondo ha sempre un Paese ospite – è stato l’Egitto, mentre il focus è stato sulla terza … Continua a leggere Immagini, voci e qualche polemica dal Salone Internazionale del Libro di Algeri →
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Dal 26 ottobre al 5 novembre, la città di Algeri ha ospitato la 21° edizione del Salone Internazionale del Libro di Algeri. Ospite d’onore di questa edizione – come sapete, ogni Fiera del Libro in ogni angolo del mondo ha sempre un Paese ospite – è stato l’Egitto, mentre il focus è stato sulla terza … Continua a leggere Immagini, voci e qualche polemica dal Salone Internazionale del Libro di Algeri →
Proteste in tutto il Marocco dopo la tragica morte di un pescivendolo ambulante
La brutale morte di un pescivendolo schiacciato in un camion dei rifiuti ha fatto scattare la scintilla innescando ampie proteste a livello nazionale in Marocco.
Proteste in tutto il Marocco dopo la tragica morte di un pescivendolo ambulante
La brutale morte di un pescivendolo schiacciato in un camion dei rifiuti ha fatto scattare la scintilla innescando ampie proteste a livello nazionale in Marocco.
Proteste in tutto il Marocco dopo la tragica morte di un pescivendolo ambulante
La brutale morte di un pescivendolo schiacciato in un camion dei rifiuti ha fatto scattare la scintilla innescando ampie proteste a livello nazionale in Marocco.
Proteste in tutto il Marocco dopo la tragica morte di un pescivendolo ambulante
La brutale morte di un pescivendolo schiacciato in un camion dei rifiuti ha fatto scattare la scintilla innescando ampie proteste a livello nazionale in Marocco.
Scrivere in arabo sul PC e nel web /2
Scrivere in arabo sul PC e nel web /2 – Yamli, motore di ricerca per i termini arabi, con traslitterazione in tempo reale.
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Rethinking Lebanese Welfare in Ageing Emergencies
“Lebanon Facing the Arab Uprisings. Constraints and Adaptation” is the newly issued volume on Lebanon edited by Dr Rosita di Peri and Dr Daniel Meier (copyrights: 2017). Here below the abstract of my book chapter “Rethinking Lebanese Welfare in Ageing Emergencies”, pp. 115-133. You can find here all contributions: http://www.palgrave.com/gp/book/9781352000047#aboutBook A cycle of internal displacement and […]
Rethinking Lebanese Welfare in Ageing Emergencies
“Lebanon Facing the Arab Uprisings. Constraints and Adaptation” is the newly issued volume on Lebanon edited by Dr Rosita di Peri and Dr Daniel Meier (copyrights: 2017). Here below the abstract of my book chapter “Rethinking Lebanese Welfare in Ageing Emergencies”, pp. 115-133. You can find here all contributions: http://www.palgrave.com/gp/book/9781352000047#aboutBook A cycle of internal displacement and […]
Rethinking Lebanese Welfare in Ageing Emergencies
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Rethinking Lebanese Welfare in Ageing Emergencies
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Gli attivisti siriani nelle zone liberate: hanno perso la loro posizione?
Thaer stava per laurearsi alla Facoltà di Psicologia, quando iniziò a scendere in piazza con migliaia di ragazzi della sua città per protestare nelle prime manifestazioni che rivendicavano libertà e dignità,… Enab Baladi / Ebticar
Il Sud globale migrando a nord
Sociologa e attivista messicana, Presidente dell’organizzazione Movimento Migtante Mesoamericano che annualmente organizza la Carovana…
La felicità di aver salvato un migrante
Come abbiamo raccontato nella cronaca del nostro collega Antonio Sempere, due giorni fa, il 31 ottobre, quasi duecento migranti sono…
3 novembre 2016
Le pressioni dell’Unione europea affinché l’Italia usi la “mano dura” nei confronti dei rifugiati e dei migranti hanno dato luogo a…
La commedia siriana.. tra “assadismo”, immoralità e high society
Per molti siriani il mese di Ramadan si identifica con le serie tv, quasi come con la liquirizia e il tamarindo, dato che nelle ultime decadi ne è divenuto elemento cardine e rituale da non perdere. Enab Baladi / Ebticar
Hotspot Italia — A fianco di Amnesty International
ADIF (Associazione Diritti e Frontiere) e la Campagna LasciateCIEntrare rivolgono l’appello che segue a tutte le associazioni, forze…
Marcia indietro per Sharbat Gula: non sarà espulsa (aggiornato)
Sharbat Gula resterà in Pakistan. La donna che doveva essere espulsa in Afghanistan settimana prossima, ha visto una marcia indietro delle autorità di Islamabad (vedi articolo precedente), dopo che il caso ha iniziato a girare. Resterà come rifugiata in Pakistan. La scelta, spiegano i media afgani, si deve anche alle pressioni interne e non solo al clamore internazionale.
Alla fine le è servito essere il viso simbolo della guerra afgana anche se la sua vita da rifugiata non sembra proprio essere un premio per quegli occhi che fecero il giro del mondo nelle immagini del fotografo McCurry.
Amici afgani mi dicono che il presidente Ghani le ha offerto casa in Afghanistan. La popolarità fotografica alla fine ha sortito un effetto…
Marcia indietro per Sharbat Gula: non sarà espulsa (aggiornato)
Sharbat Gula resterà in Pakistan. La donna che doveva essere espulsa in Afghanistan settimana prossima, ha visto una marcia indietro delle autorità di Islamabad (vedi articolo precedente), dopo che il caso ha iniziato a girare. Resterà come rifugiata in Pakistan. La scelta, spiegano i media afgani, si deve anche alle pressioni interne e non solo al clamore internazionale.
Alla fine le è servito essere il viso simbolo della guerra afgana anche se la sua vita da rifugiata non sembra proprio essere un premio per quegli occhi che fecero il giro del mondo nelle immagini del fotografo McCurry.
Amici afgani mi dicono che il presidente Ghani le ha offerto casa in Afghanistan. La popolarità fotografica alla fine ha sortito un effetto…
Marcia indietro per Sharbat Gula: non sarà espulsa (aggiornato)
Sharbat Gula resterà in Pakistan. La donna che doveva essere espulsa in Afghanistan settimana prossima, ha visto una marcia indietro delle autorità di Islamabad (vedi articolo precedente), dopo che il caso ha iniziato a girare. Resterà come rifugiata in Pakistan. La scelta, spiegano i media afgani, si deve anche alle pressioni interne e non solo al clamore internazionale.
Alla fine le è servito essere il viso simbolo della guerra afgana anche se la sua vita da rifugiata non sembra proprio essere un premio per quegli occhi che fecero il giro del mondo nelle immagini del fotografo McCurry.
Amici afgani mi dicono che il presidente Ghani le ha offerto casa in Afghanistan. La popolarità fotografica alla fine ha sortito un effetto…
Marcia indietro per Sharbat Gula: non sarà espulsa (aggiornato)
Sharbat Gula resterà in Pakistan. La donna che doveva essere espulsa in Afghanistan settimana prossima, ha visto una marcia indietro delle autorità di Islamabad (vedi articolo precedente), dopo che il caso ha iniziato a girare. Resterà come rifugiata in Pakistan. La scelta, spiegano i media afgani, si deve anche alle pressioni interne e non solo al clamore internazionale.
Alla fine le è servito essere il viso simbolo della guerra afgana anche se la sua vita da rifugiata non sembra proprio essere un premio per quegli occhi che fecero il giro del mondo nelle immagini del fotografo McCurry.
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Alla fine le è servito essere il viso simbolo della guerra afgana anche se la sua vita da rifugiata non sembra proprio essere un premio per quegli occhi che fecero il giro del mondo nelle immagini del fotografo McCurry.
Amici afgani mi dicono che il presidente Ghani le ha offerto casa in Afghanistan. La popolarità fotografica alla fine ha sortito un effetto…
Marcia indietro per Sharbat Gula: non sarà espulsa (aggiornato)
Sharbat Gula resterà in Pakistan. La donna che doveva essere espulsa in Afghanistan settimana prossima, ha visto una marcia indietro delle autorità di Islamabad (vedi articolo precedente), dopo che il caso ha iniziato a girare. Resterà come rifugiata in Pakistan. La scelta, spiegano i media afgani, si deve anche alle pressioni interne e non solo al clamore internazionale.
Alla fine le è servito essere il viso simbolo della guerra afgana anche se la sua vita da rifugiata non sembra proprio essere un premio per quegli occhi che fecero il giro del mondo nelle immagini del fotografo McCurry.
Amici afgani mi dicono che il presidente Ghani le ha offerto casa in Afghanistan. La popolarità fotografica alla fine ha sortito un effetto…
Dopo il ritorno di Aoun a palazzo, il “grande jihad”
Il nuovo presidente del Libano ha incarnato i sogni di una generazione, ma lo attendono enormi sfide
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XIII Forum Internazionale dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura
A 12 mesi dalla storica Conferenza COP21 di Parigi e a poche ore dall’apertura della COP22 di Marrakech, l’associazione Greenaccord Onlus organizza il XIII Forum internazionale dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura.
Da Pozzallo a Siracusa: le buone pratiche di accoglienza e solidarietà
5 € per 10 km: sostieni il camper di Overthefortress
Un viaggio di due mesi dalla Sicilia a Roma dentro e oltre la rotta del Mediterraneo…
Cucina yemenita: Bint al-Sahn, torta di sfoglia dolce-salata
Con la ricetta di oggi andiamo in Yemen alla scoperta di un piatto che, vista la sua lunga preparazione, è difficile trovare nei ristoranti, ma che abbonda nelle case, soprattutto in occasioni particolari: Bint al-Sahn, torta di sfoglia dolce-salata! Ingredienti: 500gr di farina di grano duro 4 uova 60ml + 60ml di acqua 170g + […]
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La settimana di Arabpress in podcast – VI puntata
Le notizie e gli approfondimenti più importanti della settimana in 5 minuti! A cura di Giusy Regina
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L’era di Daesh si è conclusa?
Nonostante la sua grande forza attrattiva nei confronti di molti giovani del mondo arabo-islamico, ma anche in Occidente, sembra che Daesh stia perdendo terreno dal punto di vista militare e politico
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Espulsa dal Pakistan la "ragazza copertina" della guerra afgana (e con lei 400mila meno famosi)
A Sharbat Gula è andata forse meglio che ad altri afgani che, come lei, vivono in Pakistan da anni e che adesso Islamabad ha deciso di espellere obbligandoli a far ritorno a casa dove spesso casa non hanno più. Sharbat Gula, arrestata a fine ottobre con documenti contraffatti, è stata condannata a una multa, quindici giorni di carcere e all’espulsione. Ma non è una rifugiata qualsiasi. E’ la donna che divenne l’icona della guerra afgana conquistando la copertina di National Geographic con una foto di Steve McCurry, che rese famosa lei e ancor più famoso lui che l’aveva utilizzata come modella nel 1984 quando aveva 12 anni nel campo profughi di Nasir Bagh a Peshawar, capitale della provincia di confine dove vive la maggior parte dei 2,6 milioni di afgani fuggiti dalla guerra. Nel giugno del 1985 Sharbat Gula ebbe il suo momento di gloria mediatica senza neppure saperlo. Solo sette anni dopo si seppe di chi era il volto anonimo di quella ragazzina ormai diventata donna. Ora è anche madre. Forse la sua notorietà le ha risparmiato pene maggiori.
Degli oltre 2 milioni e mezzo di afgani che vivono in Pakistan, un milione e 600 mila sono registrati ma un milione è senza documenti come nel caso di Sharbat Gula. Mettersi a posto non è semplice specie per chi vive da decenni nei campi. Nel 2009 il Pakistan ha cercato di dar via a un piano di rimpatrio ma alla fine le cose non sono andate molto avanti. L’accelerazione è recente. Negli ultimi mesi la polizia pachistana ha cominciato gli sgomberi: per chi vuole andare c’è un incentivo. Per chi non vuole c’è uno spintone. Nel giro di pochi mesi sono stati espulsi 400mila afgani ed entro dicembre Islamabad ne voleva rimpatriare altri 600mila. Poi, dopo le pressioni dell’Onu, ha rinviato a marzo. Ma pare che voglia rispettare la data. Un milione di afgani che rientrano in casa si aggiungeranno a un altro milione e duecentomila sfollati interni cui si sommeranno gli 80mila afgani che la Ue, che ha fatto firmare a Kabul un accordo capestro in tal senso, vuole espellere dalle frontiere europee. Una goccia se paragonati al milione del Pakistan ma, al netto della quantità, con modalità che ci apparentano a un Paese sempre alla berlina: chi vuole tornare sarà infatti aiutato ma chi non vuole – e l’accordo appena firmato tra Bruxelles e Kabul parla chiaro – verrà accompagnato su aerei di linea dove nei prossimi mesi ci saranno 50 posti riservati agli espulsi. Il parlamentare Giulio Marcon ha chiesto spiegazioni al nostro governo. Che per ora tace.
Il Pakistan ha una lunga storia di ospitalità: nel 2002 ha firmato un accordo con l’Alto commissariato dell’Onu (Acnur) per i rimpatri volontari e circa 3 milioni di afgani hanno fatto volontariamente ritorno ma per altri è davvero dura: molti di coloro che sono tornati non hanno più trovato le loro terre, confiscate da signori della guerra e banditi locali e per altri il ritorno è impossibile proprio perché sanno che la loro casa non c’è più, che in Afghanistan c’è ancora guerra e scarse occasioni di lavoro. Quanto al Pakistan è ormai per la linea dura: c’è chi suggerisce che i rifugiati sono un problema economico e chi aggiunge che il Pakistan ha già i suoi sfollati interni per guerra o carestie. Ma c’è anche una ripicca con Kabul che Islamabad accusa di dare asilo ai talebani pachistani oltre al fatto che l’Afghanistan manovra per escludere il Pakistan dal negoziato con la guerriglia.
Espulsa dal Pakistan la "ragazza copertina" della guerra afgana (e con lei 400mila meno famosi)
A Sharbat Gula è andata forse meglio che ad altri afgani che, come lei, vivono in Pakistan da anni e che adesso Islamabad ha deciso di espellere obbligandoli a far ritorno a casa dove spesso casa non hanno più. Sharbat Gula, arrestata a fine ottobre con documenti contraffatti, è stata condannata a una multa, quindici giorni di carcere e all’espulsione. Ma non è una rifugiata qualsiasi. E’ la donna che divenne l’icona della guerra afgana conquistando la copertina di National Geographic con una foto di Steve McCurry, che rese famosa lei e ancor più famoso lui che l’aveva utilizzata come modella nel 1984 quando aveva 12 anni nel campo profughi di Nasir Bagh a Peshawar, capitale della provincia di confine dove vive la maggior parte dei 2,6 milioni di afgani fuggiti dalla guerra. Nel giugno del 1985 Sharbat Gula ebbe il suo momento di gloria mediatica senza neppure saperlo. Solo sette anni dopo si seppe di chi era il volto anonimo di quella ragazzina ormai diventata donna. Ora è anche madre. Forse la sua notorietà le ha risparmiato pene maggiori.
Degli oltre 2 milioni e mezzo di afgani che vivono in Pakistan, un milione e 600 mila sono registrati ma un milione è senza documenti come nel caso di Sharbat Gula. Mettersi a posto non è semplice specie per chi vive da decenni nei campi. Nel 2009 il Pakistan ha cercato di dar via a un piano di rimpatrio ma alla fine le cose non sono andate molto avanti. L’accelerazione è recente. Negli ultimi mesi la polizia pachistana ha cominciato gli sgomberi: per chi vuole andare c’è un incentivo. Per chi non vuole c’è uno spintone. Nel giro di pochi mesi sono stati espulsi 400mila afgani ed entro dicembre Islamabad ne voleva rimpatriare altri 600mila. Poi, dopo le pressioni dell’Onu, ha rinviato a marzo. Ma pare che voglia rispettare la data. Un milione di afgani che rientrano in casa si aggiungeranno a un altro milione e duecentomila sfollati interni cui si sommeranno gli 80mila afgani che la Ue, che ha fatto firmare a Kabul un accordo capestro in tal senso, vuole espellere dalle frontiere europee. Una goccia se paragonati al milione del Pakistan ma, al netto della quantità, con modalità che ci apparentano a un Paese sempre alla berlina: chi vuole tornare sarà infatti aiutato ma chi non vuole – e l’accordo appena firmato tra Bruxelles e Kabul parla chiaro – verrà accompagnato su aerei di linea dove nei prossimi mesi ci saranno 50 posti riservati agli espulsi. Il parlamentare Giulio Marcon ha chiesto spiegazioni al nostro governo. Che per ora tace.
Il Pakistan ha una lunga storia di ospitalità: nel 2002 ha firmato un accordo con l’Alto commissariato dell’Onu (Acnur) per i rimpatri volontari e circa 3 milioni di afgani hanno fatto volontariamente ritorno ma per altri è davvero dura: molti di coloro che sono tornati non hanno più trovato le loro terre, confiscate da signori della guerra e banditi locali e per altri il ritorno è impossibile proprio perché sanno che la loro casa non c’è più, che in Afghanistan c’è ancora guerra e scarse occasioni di lavoro. Quanto al Pakistan è ormai per la linea dura: c’è chi suggerisce che i rifugiati sono un problema economico e chi aggiunge che il Pakistan ha già i suoi sfollati interni per guerra o carestie. Ma c’è anche una ripicca con Kabul che Islamabad accusa di dare asilo ai talebani pachistani oltre al fatto che l’Afghanistan manovra per escludere il Pakistan dal negoziato con la guerriglia.
Espulsa dal Pakistan la "ragazza copertina" della guerra afgana (e con lei 400mila meno famosi)
A Sharbat Gula è andata forse meglio che ad altri afgani che, come lei, vivono in Pakistan da anni e che adesso Islamabad ha deciso di espellere obbligandoli a far ritorno a casa dove spesso casa non hanno più. Sharbat Gula, arrestata a fine ottobre con documenti contraffatti, è stata condannata a una multa, quindici giorni di carcere e all’espulsione. Ma non è una rifugiata qualsiasi. E’ la donna che divenne l’icona della guerra afgana conquistando la copertina di National Geographic con una foto di Steve McCurry, che rese famosa lei e ancor più famoso lui che l’aveva utilizzata come modella nel 1984 quando aveva 12 anni nel campo profughi di Nasir Bagh a Peshawar, capitale della provincia di confine dove vive la maggior parte dei 2,6 milioni di afgani fuggiti dalla guerra. Nel giugno del 1985 Sharbat Gula ebbe il suo momento di gloria mediatica senza neppure saperlo. Solo sette anni dopo si seppe di chi era il volto anonimo di quella ragazzina ormai diventata donna. Ora è anche madre. Forse la sua notorietà le ha risparmiato pene maggiori.
Degli oltre 2 milioni e mezzo di afgani che vivono in Pakistan, un milione e 600 mila sono registrati ma un milione è senza documenti come nel caso di Sharbat Gula. Mettersi a posto non è semplice specie per chi vive da decenni nei campi. Nel 2009 il Pakistan ha cercato di dar via a un piano di rimpatrio ma alla fine le cose non sono andate molto avanti. L’accelerazione è recente. Negli ultimi mesi la polizia pachistana ha cominciato gli sgomberi: per chi vuole andare c’è un incentivo. Per chi non vuole c’è uno spintone. Nel giro di pochi mesi sono stati espulsi 400mila afgani ed entro dicembre Islamabad ne voleva rimpatriare altri 600mila. Poi, dopo le pressioni dell’Onu, ha rinviato a marzo. Ma pare che voglia rispettare la data. Un milione di afgani che rientrano in casa si aggiungeranno a un altro milione e duecentomila sfollati interni cui si sommeranno gli 80mila afgani che la Ue, che ha fatto firmare a Kabul un accordo capestro in tal senso, vuole espellere dalle frontiere europee. Una goccia se paragonati al milione del Pakistan ma, al netto della quantità, con modalità che ci apparentano a un Paese sempre alla berlina: chi vuole tornare sarà infatti aiutato ma chi non vuole – e l’accordo appena firmato tra Bruxelles e Kabul parla chiaro – verrà accompagnato su aerei di linea dove nei prossimi mesi ci saranno 50 posti riservati agli espulsi. Il parlamentare Giulio Marcon ha chiesto spiegazioni al nostro governo. Che per ora tace.
Il Pakistan ha una lunga storia di ospitalità: nel 2002 ha firmato un accordo con l’Alto commissariato dell’Onu (Acnur) per i rimpatri volontari e circa 3 milioni di afgani hanno fatto volontariamente ritorno ma per altri è davvero dura: molti di coloro che sono tornati non hanno più trovato le loro terre, confiscate da signori della guerra e banditi locali e per altri il ritorno è impossibile proprio perché sanno che la loro casa non c’è più, che in Afghanistan c’è ancora guerra e scarse occasioni di lavoro. Quanto al Pakistan è ormai per la linea dura: c’è chi suggerisce che i rifugiati sono un problema economico e chi aggiunge che il Pakistan ha già i suoi sfollati interni per guerra o carestie. Ma c’è anche una ripicca con Kabul che Islamabad accusa di dare asilo ai talebani pachistani oltre al fatto che l’Afghanistan manovra per escludere il Pakistan dal negoziato con la guerriglia.
Espulsa dal Pakistan la "ragazza copertina" della guerra afgana (e con lei 400mila meno famosi)
A Sharbat Gula è andata forse meglio che ad altri afgani che, come lei, vivono in Pakistan da anni e che adesso Islamabad ha deciso di espellere obbligandoli a far ritorno a casa dove spesso casa non hanno più. Sharbat Gula, arrestata a fine ottobre con documenti contraffatti, è stata condannata a una multa, quindici giorni di carcere e all’espulsione. Ma non è una rifugiata qualsiasi. E’ la donna che divenne l’icona della guerra afgana conquistando la copertina di National Geographic con una foto di Steve McCurry, che rese famosa lei e ancor più famoso lui che l’aveva utilizzata come modella nel 1984 quando aveva 12 anni nel campo profughi di Nasir Bagh a Peshawar, capitale della provincia di confine dove vive la maggior parte dei 2,6 milioni di afgani fuggiti dalla guerra. Nel giugno del 1985 Sharbat Gula ebbe il suo momento di gloria mediatica senza neppure saperlo. Solo sette anni dopo si seppe di chi era il volto anonimo di quella ragazzina ormai diventata donna. Ora è anche madre. Forse la sua notorietà le ha risparmiato pene maggiori.
Degli oltre 2 milioni e mezzo di afgani che vivono in Pakistan, un milione e 600 mila sono registrati ma un milione è senza documenti come nel caso di Sharbat Gula. Mettersi a posto non è semplice specie per chi vive da decenni nei campi. Nel 2009 il Pakistan ha cercato di dar via a un piano di rimpatrio ma alla fine le cose non sono andate molto avanti. L’accelerazione è recente. Negli ultimi mesi la polizia pachistana ha cominciato gli sgomberi: per chi vuole andare c’è un incentivo. Per chi non vuole c’è uno spintone. Nel giro di pochi mesi sono stati espulsi 400mila afgani ed entro dicembre Islamabad ne voleva rimpatriare altri 600mila. Poi, dopo le pressioni dell’Onu, ha rinviato a marzo. Ma pare che voglia rispettare la data. Un milione di afgani che rientrano in casa si aggiungeranno a un altro milione e duecentomila sfollati interni cui si sommeranno gli 80mila afgani che la Ue, che ha fatto firmare a Kabul un accordo capestro in tal senso, vuole espellere dalle frontiere europee. Una goccia se paragonati al milione del Pakistan ma, al netto della quantità, con modalità che ci apparentano a un Paese sempre alla berlina: chi vuole tornare sarà infatti aiutato ma chi non vuole – e l’accordo appena firmato tra Bruxelles e Kabul parla chiaro – verrà accompagnato su aerei di linea dove nei prossimi mesi ci saranno 50 posti riservati agli espulsi. Il parlamentare Giulio Marcon ha chiesto spiegazioni al nostro governo. Che per ora tace.
Il Pakistan ha una lunga storia di ospitalità: nel 2002 ha firmato un accordo con l’Alto commissariato dell’Onu (Acnur) per i rimpatri volontari e circa 3 milioni di afgani hanno fatto volontariamente ritorno ma per altri è davvero dura: molti di coloro che sono tornati non hanno più trovato le loro terre, confiscate da signori della guerra e banditi locali e per altri il ritorno è impossibile proprio perché sanno che la loro casa non c’è più, che in Afghanistan c’è ancora guerra e scarse occasioni di lavoro. Quanto al Pakistan è ormai per la linea dura: c’è chi suggerisce che i rifugiati sono un problema economico e chi aggiunge che il Pakistan ha già i suoi sfollati interni per guerra o carestie. Ma c’è anche una ripicca con Kabul che Islamabad accusa di dare asilo ai talebani pachistani oltre al fatto che l’Afghanistan manovra per escludere il Pakistan dal negoziato con la guerriglia.
Espulsa dal Pakistan la "ragazza copertina" della guerra afgana (e con lei 400mila meno famosi)
A Sharbat Gula è andata forse meglio che ad altri afgani che, come lei, vivono in Pakistan da anni e che adesso Islamabad ha deciso di espellere obbligandoli a far ritorno a casa dove spesso casa non hanno più. Sharbat Gula, arrestata a fine ottobre con documenti contraffatti, è stata condannata a una multa, quindici giorni di carcere e all’espulsione. Ma non è una rifugiata qualsiasi. E’ la donna che divenne l’icona della guerra afgana conquistando la copertina di National Geographic con una foto di Steve McCurry, che rese famosa lei e ancor più famoso lui che l’aveva utilizzata come modella nel 1984 quando aveva 12 anni nel campo profughi di Nasir Bagh a Peshawar, capitale della provincia di confine dove vive la maggior parte dei 2,6 milioni di afgani fuggiti dalla guerra. Nel giugno del 1985 Sharbat Gula ebbe il suo momento di gloria mediatica senza neppure saperlo. Solo sette anni dopo si seppe di chi era il volto anonimo di quella ragazzina ormai diventata donna. Ora è anche madre. Forse la sua notorietà le ha risparmiato pene maggiori.
Degli oltre 2 milioni e mezzo di afgani che vivono in Pakistan, un milione e 600 mila sono registrati ma un milione è senza documenti come nel caso di Sharbat Gula. Mettersi a posto non è semplice specie per chi vive da decenni nei campi. Nel 2009 il Pakistan ha cercato di dar via a un piano di rimpatrio ma alla fine le cose non sono andate molto avanti. L’accelerazione è recente. Negli ultimi mesi la polizia pachistana ha cominciato gli sgomberi: per chi vuole andare c’è un incentivo. Per chi non vuole c’è uno spintone. Nel giro di pochi mesi sono stati espulsi 400mila afgani ed entro dicembre Islamabad ne voleva rimpatriare altri 600mila. Poi, dopo le pressioni dell’Onu, ha rinviato a marzo. Ma pare che voglia rispettare la data. Un milione di afgani che rientrano in casa si aggiungeranno a un altro milione e duecentomila sfollati interni cui si sommeranno gli 80mila afgani che la Ue, che ha fatto firmare a Kabul un accordo capestro in tal senso, vuole espellere dalle frontiere europee. Una goccia se paragonati al milione del Pakistan ma, al netto della quantità, con modalità che ci apparentano a un Paese sempre alla berlina: chi vuole tornare sarà infatti aiutato ma chi non vuole – e l’accordo appena firmato tra Bruxelles e Kabul parla chiaro – verrà accompagnato su aerei di linea dove nei prossimi mesi ci saranno 50 posti riservati agli espulsi. Il parlamentare Giulio Marcon ha chiesto spiegazioni al nostro governo. Che per ora tace.
Il Pakistan ha una lunga storia di ospitalità: nel 2002 ha firmato un accordo con l’Alto commissariato dell’Onu (Acnur) per i rimpatri volontari e circa 3 milioni di afgani hanno fatto volontariamente ritorno ma per altri è davvero dura: molti di coloro che sono tornati non hanno più trovato le loro terre, confiscate da signori della guerra e banditi locali e per altri il ritorno è impossibile proprio perché sanno che la loro casa non c’è più, che in Afghanistan c’è ancora guerra e scarse occasioni di lavoro. Quanto al Pakistan è ormai per la linea dura: c’è chi suggerisce che i rifugiati sono un problema economico e chi aggiunge che il Pakistan ha già i suoi sfollati interni per guerra o carestie. Ma c’è anche una ripicca con Kabul che Islamabad accusa di dare asilo ai talebani pachistani oltre al fatto che l’Afghanistan manovra per escludere il Pakistan dal negoziato con la guerriglia.
Espulsa dal Pakistan la "ragazza copertina" della guerra afgana (e con lei 400mila meno famosi)
A Sharbat Gula è andata forse meglio che ad altri afgani che, come lei, vivono in Pakistan da anni e che adesso Islamabad ha deciso di espellere obbligandoli a far ritorno a casa dove spesso casa non hanno più. Sharbat Gula, arrestata a fine ottobre con documenti contraffatti, è stata condannata a una multa, quindici giorni di carcere e all’espulsione. Ma non è una rifugiata qualsiasi. E’ la donna che divenne l’icona della guerra afgana conquistando la copertina di National Geographic con una foto di Steve McCurry, che rese famosa lei e ancor più famoso lui che l’aveva utilizzata come modella nel 1984 quando aveva 12 anni nel campo profughi di Nasir Bagh a Peshawar, capitale della provincia di confine dove vive la maggior parte dei 2,6 milioni di afgani fuggiti dalla guerra. Nel giugno del 1985 Sharbat Gula ebbe il suo momento di gloria mediatica senza neppure saperlo. Solo sette anni dopo si seppe di chi era il volto anonimo di quella ragazzina ormai diventata donna. Ora è anche madre. Forse la sua notorietà le ha risparmiato pene maggiori.
Degli oltre 2 milioni e mezzo di afgani che vivono in Pakistan, un milione e 600 mila sono registrati ma un milione è senza documenti come nel caso di Sharbat Gula. Mettersi a posto non è semplice specie per chi vive da decenni nei campi. Nel 2009 il Pakistan ha cercato di dar via a un piano di rimpatrio ma alla fine le cose non sono andate molto avanti. L’accelerazione è recente. Negli ultimi mesi la polizia pachistana ha cominciato gli sgomberi: per chi vuole andare c’è un incentivo. Per chi non vuole c’è uno spintone. Nel giro di pochi mesi sono stati espulsi 400mila afgani ed entro dicembre Islamabad ne voleva rimpatriare altri 600mila. Poi, dopo le pressioni dell’Onu, ha rinviato a marzo. Ma pare che voglia rispettare la data. Un milione di afgani che rientrano in casa si aggiungeranno a un altro milione e duecentomila sfollati interni cui si sommeranno gli 80mila afgani che la Ue, che ha fatto firmare a Kabul un accordo capestro in tal senso, vuole espellere dalle frontiere europee. Una goccia se paragonati al milione del Pakistan ma, al netto della quantità, con modalità che ci apparentano a un Paese sempre alla berlina: chi vuole tornare sarà infatti aiutato ma chi non vuole – e l’accordo appena firmato tra Bruxelles e Kabul parla chiaro – verrà accompagnato su aerei di linea dove nei prossimi mesi ci saranno 50 posti riservati agli espulsi. Il parlamentare Giulio Marcon ha chiesto spiegazioni al nostro governo. Che per ora tace.
Il Pakistan ha una lunga storia di ospitalità: nel 2002 ha firmato un accordo con l’Alto commissariato dell’Onu (Acnur) per i rimpatri volontari e circa 3 milioni di afgani hanno fatto volontariamente ritorno ma per altri è davvero dura: molti di coloro che sono tornati non hanno più trovato le loro terre, confiscate da signori della guerra e banditi locali e per altri il ritorno è impossibile proprio perché sanno che la loro casa non c’è più, che in Afghanistan c’è ancora guerra e scarse occasioni di lavoro. Quanto al Pakistan è ormai per la linea dura: c’è chi suggerisce che i rifugiati sono un problema economico e chi aggiunge che il Pakistan ha già i suoi sfollati interni per guerra o carestie. Ma c’è anche una ripicca con Kabul che Islamabad accusa di dare asilo ai talebani pachistani oltre al fatto che l’Afghanistan manovra per escludere il Pakistan dal negoziato con la guerriglia.
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Call for Papers: Refugee Self-Support and Local Markets in ‘Host’ Cities
(Zaatari Refugee Camp, Northern Jordan) Call for Papers: “Beyond Crisis: Rethinking Refugee Studies” Refugee Studies Centre, Keble College Oxford, 16 and 17 March 2017 Panel abstract for the theme “Autonomy and Assistance”: Refugee Self-Support and Local Markets in ‘Host’ Cities As refugees increasingly become part of the city fabric in receiving countries, not only governments and […]
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Siria. Fiato sospeso ad Aleppo
Fiato sospeso nella città di Aleppo: alle 19 di oggi scade l’ultimatum russoper il “corridoio umanitario” promesso ai ribelli per la fuga. Gli attivisti, che abbiamo raggiunto telefonicamente, avvertono: “Sarà una carneficina”.
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Dove i migranti in Europa restano in attesa
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Leila Slimani vince il Prix Goncourt
La giuria del Prix Goncourt ha comunicato il suo verdetto assegnando il prestigioso premio letterario francese a Leila Slimani e al suo secondo romanzo “Chanson douce”, pubblicato da Gallimard. Classe 1981, la scrittrice, commediografa e giornalista per Jeune Afrique, è nata a Rabat, ma vive a Parigi dal 1999 ed è sposata con un francese. […]
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Una guerra turco-irachena all’orizzonte?
Nonostante le minacce ai propri interessi, è difficile che le alte sfere turche desiderino il confronto armato, per quanto le proprie forze siano meglio armate rispetto a Iran e Iraq
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Migranti in transito a Roma: non si sgombera una questione umanitaria
Mentre in queste ore arrivano le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti di un altro tragico naufragio con centinaia di morti nel…
La Tunisia saprà ascoltare la voce delle sue vittime?
Olfa Belhassine Dopo averla più volte rimandata, l’Instance Verité et Dignité, resa operativa ufficialmente il 9 giugno 2014, terrà finalmente la sua prima audizione pubblica delle vittime il prossimo 18 novembre. Tuttavia questo momento cruciale del percorso della giustizia di transizione può incorrere in tre rischi principali. L’evento del prossimo 18 novembre verrà trasmesso da tutte le televisioni tunisine, in lieve […]
La Tunisia saprà ascoltare la voce delle sue vittime?
Olfa Belhassine Dopo averla più volte rimandata, l’Instance Verité et Dignité, resa operativa ufficialmente il 9 giugno 2014, terrà finalmente la sua prima audizione pubblica delle vittime il prossimo 18 novembre. Tuttavia questo momento cruciale del percorso della giustizia di transizione può incorrere in tre rischi principali. L’evento del prossimo 18 novembre verrà trasmesso da tutte le televisioni tunisine, in lieve […]
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