UE – Ormai inevitabile per gli Stati europei ripensare alla loro sicurezza
Categoria: MENA sguardi e analisi
Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
UE – Ormai inevitabile per gli Stati europei ripensare alla loro sicurezza
Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
UE – Ormai inevitabile per gli Stati europei ripensare alla loro sicurezza
Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
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Difesa europea, esercito comune. Si può, si deve fare!
UE – Ormai inevitabile per gli Stati europei ripensare alla loro sicurezza
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
In Libia con la minaccia invisibile dell’uranio impoverito
Quali i rischi per la salute della popolazione civile e dei militari che andranno a operare in Libia? E quale il prezzo accettabile, in termini di vite umane, messo in conto dal governo italiano?
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
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Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
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Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
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Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Libia: difficile transizione, riserve per il futuro
di Claudio Bertolotti
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
@cbertolotti1
Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
@cbertolotti1
Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Rinunciare a libertà e privacy in nome della sicurezza?
di Claudio Bertolotti
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Quale il punto di giusto bilanciamento tra i diritti alla libertà e il diritto-dovere alla sicurezza?
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
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La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
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La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
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La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
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La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
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La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
Libia, Mediterraneo e interesse nazionale italiano
“Iniziativa di Difesa 5+5”
La sicurezza del Mediterraneo anche con lo strumento militare
ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
È trascorso meno di un anno dagli attacchi effettuati da una (sedicente) cellula di al-Qa’ida contro la redazione del giornale satirico francese ‘Charlie Hebdo’ a Parigi; era il 7 gennaio 2015 quando uno dei tanti simboli della libertà di espressione – condiviso o meno, più spesso criticato – veniva travolto dalla violenza di un terrorismo che si ‘auto-giustifica’ attraverso l’uso strumentale della religione. Una religione in nome della quale l’atto di uccidere diviene legittimo.
E il 13 novembre 2015
– See more at: http://www.lindro.it/isis-in-europa-quale-minaccia-diretta-per-litalia/#sthash.ZsFnsQlS.dpuf
ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
È trascorso meno di un anno dagli attacchi effettuati da una (sedicente) cellula di al-Qa’ida contro la redazione del giornale satirico francese ‘Charlie Hebdo’ a Parigi; era il 7 gennaio 2015 quando uno dei tanti simboli della libertà di espressione – condiviso o meno, più spesso criticato – veniva travolto dalla violenza di un terrorismo che si ‘auto-giustifica’ attraverso l’uso strumentale della religione. Una religione in nome della quale l’atto di uccidere diviene legittimo.
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
È trascorso meno di un anno dagli attacchi effettuati da una (sedicente) cellula di al-Qa’ida contro la redazione del giornale satirico francese ‘Charlie Hebdo’ a Parigi; era il 7 gennaio 2015 quando uno dei tanti simboli della libertà di espressione – condiviso o meno, più spesso criticato – veniva travolto dalla violenza di un terrorismo che si ‘auto-giustifica’ attraverso l’uso strumentale della religione. Una religione in nome della quale l’atto di uccidere diviene legittimo.
E il 13 novembre 2015
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
È trascorso meno di un anno dagli attacchi effettuati da una (sedicente) cellula di al-Qa’ida contro la redazione del giornale satirico francese ‘Charlie Hebdo’ a Parigi; era il 7 gennaio 2015 quando uno dei tanti simboli della libertà di espressione – condiviso o meno, più spesso criticato – veniva travolto dalla violenza di un terrorismo che si ‘auto-giustifica’ attraverso l’uso strumentale della religione. Una religione in nome della quale l’atto di uccidere diviene legittimo.
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
È trascorso meno di un anno dagli attacchi effettuati da una (sedicente) cellula di al-Qa’ida contro la redazione del giornale satirico francese ‘Charlie Hebdo’ a Parigi; era il 7 gennaio 2015 quando uno dei tanti simboli della libertà di espressione – condiviso o meno, più spesso criticato – veniva travolto dalla violenza di un terrorismo che si ‘auto-giustifica’ attraverso l’uso strumentale della religione. Una religione in nome della quale l’atto di uccidere diviene legittimo.
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
È trascorso meno di un anno dagli attacchi effettuati da una (sedicente) cellula di al-Qa’ida contro la redazione del giornale satirico francese ‘Charlie Hebdo’ a Parigi; era il 7 gennaio 2015 quando uno dei tanti simboli della libertà di espressione – condiviso o meno, più spesso criticato – veniva travolto dalla violenza di un terrorismo che si ‘auto-giustifica’ attraverso l’uso strumentale della religione. Una religione in nome della quale l’atto di uccidere diviene legittimo.
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
È trascorso meno di un anno dagli attacchi effettuati da una (sedicente) cellula di al-Qa’ida contro la redazione del giornale satirico francese ‘Charlie Hebdo’ a Parigi; era il 7 gennaio 2015 quando uno dei tanti simboli della libertà di espressione – condiviso o meno, più spesso criticato – veniva travolto dalla violenza di un terrorismo che si ‘auto-giustifica’ attraverso l’uso strumentale della religione. Una religione in nome della quale l’atto di uccidere diviene legittimo.
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
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ISIS in Europa. Quale minaccia diretta per l’Italia?
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Attentati di Parigi: potrebbe intervenire la Nato? (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
@cbertolotti1
Attentati di Parigi: potrebbe intervenire la Nato? (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
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Attentati di Parigi: potrebbe intervenire la Nato? (L’INDRO)
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Attentati di Parigi: potrebbe intervenire la Nato? (L’INDRO)
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Afghanistan: Obama ci ripensa. E anche Renzi (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
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Afghanistan: Obama ci ripensa. E anche Renzi (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
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Andiamo in Libia (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
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Andiamo in Libia (L’INDRO)
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Andiamo in Libia (L’INDRO)
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Mediterraneo e Libia: quanto rende il traffico di esseri umani? (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
Mediterraneo e Libia: quanto rende il traffico di esseri umani? (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
Mediterraneo e Libia: quanto rende il traffico di esseri umani? (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
Mediterraneo e Libia: quanto rende il traffico di esseri umani? (L’INDRO)
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Mediterraneo e Libia: quanto rende il traffico di esseri umani? (L’INDRO)
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di Claudio Bertolotti
Tra immigrazione e sicurezza europea. Ovvero: tra terrorismo e common-borders (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
È necessario definire e comprendere il quadro generale in cui si inseriscono il flusso migratorio e la reazione degli attori in gioco (Stati nazionali in primo luogo), e valutare la messa in opera di una soluzione di ampio respiro che vada oltre i tatticismi politici di opportunità e l’assenza di una concreta e univoca capacità di reazione europea.
– See more at: http://www.lindro.it/tra-immigrazione-e-sicurezza-europea/#sthash.SkzmRACz.dpuf
Tra immigrazione e sicurezza europea. Ovvero: tra terrorismo e common-borders (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
È necessario definire e comprendere il quadro generale in cui si inseriscono il flusso migratorio e la reazione degli attori in gioco (Stati nazionali in primo luogo), e valutare la messa in opera di una soluzione di ampio respiro che vada oltre i tatticismi politici di opportunità e l’assenza di una concreta e univoca capacità di reazione europea.
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Tra immigrazione e sicurezza europea. Ovvero: tra terrorismo e common-borders (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
È necessario definire e comprendere il quadro generale in cui si inseriscono il flusso migratorio e la reazione degli attori in gioco (Stati nazionali in primo luogo), e valutare la messa in opera di una soluzione di ampio respiro che vada oltre i tatticismi politici di opportunità e l’assenza di una concreta e univoca capacità di reazione europea.
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Tra immigrazione e sicurezza europea. Ovvero: tra terrorismo e common-borders (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
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Libano: è colpa solo della spazzatura? (L’INDRO)
Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
Proteste che rientrano nella campagna soprannominata #YouStink (‘Tu puzzi’), e che
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di Claudio Bertolotti
You Stink, tu puzzi. Giorni di violente proteste in un Paese a rischio IS/Daesh
Agosto è stato il mese delle violente proteste di piazza di una Beirut le cui strade sono state per molti giorni inondate da immondizia: intervento della Polizia in tenuta anti-sommossa, utilizzo indiretto di armi da fuoco per disperdere la folla, centinaia i feriti, disordini preoccupanti, e il Primo Ministro Tammam Salam – tra le personalità politiche contestate con maggiore forza – minaccia le proprie dimissioni.
Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
Proteste che rientrano nella campagna soprannominata #YouStink (‘Tu puzzi’), e che
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Libano: è colpa solo della spazzatura? (L’INDRO)
Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
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You Stink, tu puzzi. Giorni di violente proteste in un Paese a rischio IS/Daesh
Agosto è stato il mese delle violente proteste di piazza di una Beirut le cui strade sono state per molti giorni inondate da immondizia: intervento della Polizia in tenuta anti-sommossa, utilizzo indiretto di armi da fuoco per disperdere la folla, centinaia i feriti, disordini preoccupanti, e il Primo Ministro Tammam Salam – tra le personalità politiche contestate con maggiore forza – minaccia le proprie dimissioni.
Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
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Libano: è colpa solo della spazzatura? (L’INDRO)
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Agosto è stato il mese delle violente proteste di piazza di una Beirut le cui strade sono state per molti giorni inondate da immondizia: intervento della Polizia in tenuta anti-sommossa, utilizzo indiretto di armi da fuoco per disperdere la folla, centinaia i feriti, disordini preoccupanti, e il Primo Ministro Tammam Salam – tra le personalità politiche contestate con maggiore forza – minaccia le proprie dimissioni.
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Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
Proteste che rientrano nella campagna soprannominata #YouStink (‘Tu puzzi’), e che
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Libano: è colpa solo della spazzatura? (L’INDRO)
Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
Proteste che rientrano nella campagna soprannominata #YouStink (‘Tu puzzi’), e che
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di Claudio Bertolotti
You Stink, tu puzzi. Giorni di violente proteste in un Paese a rischio IS/Daesh
Agosto è stato il mese delle violente proteste di piazza di una Beirut le cui strade sono state per molti giorni inondate da immondizia: intervento della Polizia in tenuta anti-sommossa, utilizzo indiretto di armi da fuoco per disperdere la folla, centinaia i feriti, disordini preoccupanti, e il Primo Ministro Tammam Salam – tra le personalità politiche contestate con maggiore forza – minaccia le proprie dimissioni.
Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
Proteste che rientrano nella campagna soprannominata #YouStink (‘Tu puzzi’), e che
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Libano: è colpa solo della spazzatura? (L’INDRO)
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di Claudio Bertolotti
You Stink, tu puzzi. Giorni di violente proteste in un Paese a rischio IS/Daesh
Agosto è stato il mese delle violente proteste di piazza di una Beirut le cui strade sono state per molti giorni inondate da immondizia: intervento della Polizia in tenuta anti-sommossa, utilizzo indiretto di armi da fuoco per disperdere la folla, centinaia i feriti, disordini preoccupanti, e il Primo Ministro Tammam Salam – tra le personalità politiche contestate con maggiore forza – minaccia le proprie dimissioni.
Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
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Libano: è colpa solo della spazzatura? (L’INDRO)
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di Claudio Bertolotti
You Stink, tu puzzi. Giorni di violente proteste in un Paese a rischio IS/Daesh
Agosto è stato il mese delle violente proteste di piazza di una Beirut le cui strade sono state per molti giorni inondate da immondizia: intervento della Polizia in tenuta anti-sommossa, utilizzo indiretto di armi da fuoco per disperdere la folla, centinaia i feriti, disordini preoccupanti, e il Primo Ministro Tammam Salam – tra le personalità politiche contestate con maggiore forza – minaccia le proprie dimissioni.
Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
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Gli scontri e le devastazioni del 22-23 agosto sono stati accompagnati dagli slogan dei giovani manifestanti inneggianti alla ‘rivoluzione’: e Beirut è stata teatro della più grave ondata di violenza degli ultimi anni, facendo temere che il Paese potesse precipitare nel caos.
Proteste che rientrano nella campagna soprannominata #YouStink (‘Tu puzzi’), e che
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Intervento militare in Libia, e poi? (L’INDRO)
di Claudio Bertolotti
Contro il Mediterraneo di Isis&CoI possibili sviluppi di un eventuale intervento militare in Libia
L’ipotesi di intervento militare non è remota né improbabile. Ma la domanda è se la Comunità internazionale, e con essa l’Europa, abbia la volontà – e la capacità – di gestire efficacemente un altro intervento militare in Libia, dopo l’infelice esperienza dell’Operation Unified Protector del 2011 che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi e al conseguente caos di cui siamo testimoni noi oggi.
Molti indicatori confermerebbero tale volontà... vai all’articolo su L’INDRO
Intervento militare in Libia, e poi?
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di Claudio Bertolotti
Contro il Mediterraneo di Isis&CoI possibili sviluppi di un eventuale intervento militare in Libia
L’ipotesi di intervento militare non è remota né improbabile. Ma la domanda è se la Comunità internazionale, e con essa l’Europa, abbia la volontà – e la capacità – di gestire efficacemente un altro intervento militare in Libia, dopo l’infelice esperienza dell’Operation Unified Protector del 2011 che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi e al conseguente caos di cui siamo testimoni noi oggi.
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L’ipotesi di intervento militare non è remota né improbabile. Ma la domanda è se la Comunità internazionale, e con essa l’Europa, abbia la volontà – e la capacità – di gestire efficacemente un altro intervento militare in Libia, dopo l’infelice esperienza dell’Operation Unified Protector del 2011 che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi e al conseguente caos di cui siamo testimoni noi oggi.
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L’ipotesi di intervento militare non è remota né improbabile. Ma la domanda è se la Comunità internazionale, e con essa l’Europa, abbia la volontà – e la capacità – di gestire efficacemente un altro intervento militare in Libia, dopo l’infelice esperienza dell’Operation Unified Protector del 2011 che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi e al conseguente caos di cui siamo testimoni noi oggi.
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L’ipotesi di intervento militare non è remota né improbabile. Ma la domanda è se la Comunità internazionale, e con essa l’Europa, abbia la volontà – e la capacità – di gestire efficacemente un altro intervento militare in Libia, dopo l’infelice esperienza dell’Operation Unified Protector del 2011 che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi e al conseguente caos di cui siamo testimoni noi oggi.
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Tunisia: contro il nuovo terrorismo insurrezionale (L’INDRO)
Tunisia: contro il nuovo terrorismo insurrezionale (L’INDRO)
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Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
ruolo crescente della criminalità transnazionale nel business dei flussi migratori;
-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
-
riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
ruolo crescente della criminalità transnazionale nel business dei flussi migratori;
-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
-
riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
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-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
-
riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
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-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
-
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Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
ruolo crescente della criminalità transnazionale nel business dei flussi migratori;
-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
-
riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
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-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
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-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
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-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
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-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
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collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
ruolo crescente della criminalità transnazionale nel business dei flussi migratori;
-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
-
riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
ruolo crescente della criminalità transnazionale nel business dei flussi migratori;
-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
-
riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
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destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
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incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
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perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
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collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
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cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
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ruolo crescente della criminalità transnazionale nel business dei flussi migratori;
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rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
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Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
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-
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-
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Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
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collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
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-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
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riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
-
destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
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insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
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riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Tunisia in guerra: stato di emergenza e cambio di appproccio concettuale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
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destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
-
incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
-
perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
-
collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
-
cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
-
ruolo crescente della criminalità transnazionale nel business dei flussi migratori;
-
rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
-
insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
-
riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal risultato «tattico» raggiunto.
In secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale operativo. I risultati sono tangibili e hanno portato a ottenere, nel periodo 2011-2014, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78% dei casi.
I risultati conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
– a livello strategico gli attacchi suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel 78% dei casi mentre le azioni multiple/commando hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
– a livello operativo gli attacchi hanno causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci (73% in media).
– Infine, a livello tattico il successo è pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo del 54% e di fallimento del 30%.
Gli attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza) quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
– attrarre l’attenzione mediatica al fine di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
– concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare attraverso il «blocco funzionale»);
– creare uno stato di insicurezza generale con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il potere a livello locale.
Costi contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base delle spettacolarizzazione della violenza; una tecnica che continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di uccisi e maggiore attenzione mediatica; rimandando per un opportuno approfondimento all’articolo che verrà pubblicato sul numero 2/2015 di ‘Sicurezza, Terrorismo e Società’, possiamo valutare come altamente probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
Dalla Libia all’Afghanistan: l’ISIS esporta un modello di violenza transnazionale di successo
E dopo la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al ‘Corinthia Hotel’ di Tripoli nel mese di gennaio, l’ISIS – nonostante un’ipotesi di smentita – si sarebbe formalmente imposto in Afghanistan attraverso l’azione suicida che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e volontà offensiva: quale ruolo per gli attacchi suicidi?
Quello a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, gli attacchi suicidi si sono imposti come tecnica vincente, indipendentemente dagli effettivi risultati sul campo di battaglia.
L’aumento della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
Successo o fallimento: quali i risultati?
Gli attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente innanzitutto sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo convogliare l’att