E così, è scoppiato il caso politico-diplomatico del Giro d’Italia. Tenuto volutamente basso sino ad ora, il caso della più importante gara ciclistica italiana che nel 2018 partirà da Gerusalemme è arrivato infine sulle prime pagine dei giornali…
Mese: novembre 2017
invisiblearabs 2017-11-30 14:37:46
Ecco i 3 video contro Isis e immigrati islamici condivisi da Trump
Il presidente americano, Donald Trump, ha rilanciato su Twitter tre video anti-musulmani postati da Jayda Fransen, esponente dell’estrema destra britannica, suscitando rabbia e polemiche. In un filmato si vede un gruppo di uomini con barba lunga e band…
L’azzardo di Erdoğan: riabilitare Asad e fidarsi di Putin per salvare la Turchia
Il vertice Turchia-Russia-Iran di Soči è stato in realtà un incontro a quattro. Al Sanatorium Rus c’era anche il fantasma di Bashar al-Asad. Due giorni prima, sempre a Soči, il presidente siriano aveva incontrato il leader russo Vladimir Putin a due an…
Dissenso e repressione in Bahrein
Manama sempre meno propensa al dialogo con le opposizioni Al-Manama (Russia Today in arabo). Shaykh Ali Salman, il leader dell’associazione al-Wifaq, il principale partito di opposizione sciita messo al bando in Bahrein, si è rifiutato di comparire in …
Pakistan, la vittoria degli islamisti
Il corpo senza vita di un poliziotto, probabilmente sequestrato dagli islamisti radicali durante l’assedio di Faizabad, è stato ritrovato con segni di tortura. E’ solo l’ultimo degli episodi di un blocco stradale durato oltre venti giorni che si è conc…
La parola rohingya
Il papa e la Nobel in una foto tratta dal sitodellaa Radio Vaticana. Il Consiglio cittadinodella città di Oxford ha appena ritirato a Suu Kyi un riconoscimentoRohingya. Alla fine la parola proibita Francesco Bergoglio non la pronuncia. O perlomeno non …
Violenza sulle donne: gli arabi non cambiano?
L’hashtag #MeToo contro la violenza sulle donne, condiviso da milioni di donne e uomini, ha portato alla luce una questione che coinvolge istituzioni politiche, magistratura e arte interrogandosi in maniera creativa ed efficace sui problemi profondi della società
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Vite mediterranee: racconti dal Mare Nostrum
Vite Mediterranee è una raccolta di racconti che ha coinvolto autori italiani, francesi e arabi. I protagonisti sono giovani tra i 18 e i 30 anni, che abbiano, o abbiano avuto, una qualche relazione con il Mar Mediterraneo.
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La parola rohingya
Il papa e la Nobel in una foto tratta dal sitodellaa Radio Vaticana. Il Consiglio cittadinodella città di Oxford ha appena ritirato a Suu Kyi un riconoscimentoRohingya. Alla fine la parola proibita Francesco Bergoglio non la pronuncia. O perl…
Pakistan, la vittoria degli islamisti
Il corpo senza vita di un poliziotto, probabilmente sequestrato dagli islamisti radicali durante l’assedio di Faizabad, è stato ritrovato con segni di tortura. E’ solo l’ultimo degli episodi di un blocco stradale durato oltre venti giorni che si è concluso con l’arresa dello Stato, dell’esercito e di tutte le istituzioni (con l’esclusione della magistratura) del Pakistan. Un fatto senza precedenti e di estrema gravità, quanto il fatto che la sua eco sia stata (non parliamone in Italia) del tutto secondaria. Gli islamisti, qualche centinaio, chiedevano la testa di un ministro è molte altre richieste e hanno ottenuto tutto anche se si trattava di tre minuscole organizzazioni radicali e violente. Quando, dopo uno stallo di tre settimane, la polizia è intervenuta, alcune migliaia di dimostranti sono scesi in strada in appoggio al blocco stradale e hanno iniziato una fitta sassaiola. Anziché rispondere, la polizia è arretrata. Alla fine, dal governo all’esercito, tutti hanno ceduto alle richieste di un gruppetto di radicali. Una delle pagine più buie della storia del Paese.
Emigrazione, traffico di esseri umani e schiavitù nel mondo arabo
Il nuovo mercato degli “schiavi” associato agli immigrati clandestini in Libia dimostra che la cultura della schiavitù e delle sue pratiche è sempre diffusa e ancorata al passato.
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Giulio Regeni, 250 accademici firmano una lettera di supporto alla sua tutor: “L’articolo di Repubblica è fuorviante”
“Giulio voleva fare ricerca sui sindacati indipendenti da anni, cioè da prima del colpo di Stato del 2013, e questo argomento non era assolutamente pericoloso”. Gilbert Achcar è professore alla Soas, la School of Oriental and African Studies, di Londra e ha conosciuto Giulio Regeni diversi anni fa, quando il giovane italiano si recò nel […]
L’articolo Giulio Regeni, 250 accademici firmano una lettera di supporto alla sua tutor: “L’articolo di Repubblica è fuorviante” proviene da Il Fatto Quotidiano.
W.A.R. sbarca ad Algeri
C’è la storia di un giovane egiziano che scopre “El Houma, caposaldo della controcultura algerina”, reportage su uno spazio di condivisione e produzione collaborativa dei rapper di Algeri. E decide di partire, con un clic, verso Roma, Tunisi, Beirut, Casablanca… per ammirare i lavori degli street artist, assistere a una performance o visitare uno di questi spazi creativi dove gli artisti connotano di un nuovo segno la cultura urbana.
Egitto – Lettera di Mahienour dal carcere di al-Qanater
Fonte: الحرية لماهينور – Free Mahienour Vi scrivo dalla mia nuova cella, la numero 12 dal carcere di Al-Qanater. So quanto può essere faticoso per la mia famiglia, i miei amici e amiche e tutte le persone che amo che questo … Continue reading →
Accordo sui rohingya
La firma del protocollo in una foto del DailyStar di Dacca |
Bangladesh e Myanmar firmano un protocollo per il rientro della minoranza. Ma senza una data. Il controesodo dovrebbe iniziare entro la fine di gennaio
C’è un accordo tra Bangladesh e Myanmar per il rientro dei rohingya scacciati dal Paese delle mille pagode e dell’infinita compassione. C’è un accordo che per ora è un pezzo di carta e che non ha nemmeno una data certa entro la quale dovrebbe ricomporsi l’esodo più massiccio della Storia recente da un Paese non in conflitto.
Il confine col Bangladesh sul fiume Naf e gli incendi rilevati dal satellite nel Rakhine |
L’accordo è stato firmato ieri mattina nell’ufficio della Nobel Aung San Suu Kyi, sotto pressione da mesi: da quando a fine agosto è iniziato l’esodo forzato che ha catapultato in Bangladesh oltre 600mila rohingya, la minoranza musulmana senza diritti che in Myanmar non ha nemmeno quello di chiamarsi così. I “senza nome”, ammassati in campi che sono in condizioni spaventose – come finalmente si comincia a documentare con una certa costanza – dovrebbero cominciare a rientrare -prevede il protocollo siglato dalla Nobel e dal ministro degli Esteri di Dacca Mahmood Ali – entro due mesi. Per il Bangladesh è una vittoria e ieri la premier Sheikh Hasina ha rinnovato il suo invito a Naypyidaw a far si che i rohingya tornino a casa. Ai 625 mila arrivati da agosto ne vanno infatti aggiunti forse un altro mezzo milione che, nei decenni, hanno scelto la via che passa dal fiume Naf e che porta in Bangladesh.
La decisione del governo birmano, di cui Suu Kyi è il personaggio di spicco, si deve alle pur blande pressioni della comunità internazionale. E quando anche gli Stati Uniti – per bocca del segretario di Stato Rex Tillerson – hanno minacciato sanzioni e utilizzato la parola “pulizia etnica” qualcosa, per altro già nell’aria, dev’essersi mosso (l’ambasciata Usa nel Paese ha anche cancellato i voli ufficiali
nello Stato del Rakhine)
Tillerson ha preso posizione: è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? |
La Nobel aveva annunciato diverso tempo fa la costituzione di una sorta di agenzia ad hoc ed era sempre stata lei a chiamare Kofi Annan mesi prima chiedendogli un rapporto sulla situazione nel Rakhine, l’area dove vivono i rohingya, anche se gli aveva esplicitamente chiesto di non riferirsi a “loro” con quel nome. Ma in tutto ciò l’esodo non ha fatto che ingigantirsi e governo e militari hanno sposato la tesi del terrorismo islamico, accusando l’Arsa – l’organizzazione autonomista islamica responsabile degli attacchi di agosto contro posti di polizia – di essere un gruppo jihadista che vorrebbe fare del Rakhine uno Stato islamico. Poi però le pressioni internazionali, ma soprattutto le reiterate denunce di gruppi della società civile, hanno fatto emergere in tutta la loro violenza la responsabilità sia dei militari sia del governo. Ad appoggiare incondizionatamente Naypyidaw ci sono comunque i potenti vicini – India e Cina – e l’amico lontano, la Russia, che ieri ha criticato le parole di Tillerson. Anche Thailandia e Giappone han lasciato correre mentre Malaysia e Indonesia si sono spesi in diversi modi: la Malaysia ospita 150mila rohingya (anche se non possono aspirare a cariche pubbliche e i loro bambini non hanno accesso che a “scuole speciali”) e ospita una delle sedi di corrispondenza di Rohingya Vision, una tv con sede in Arabia Saudita. La Cina in particolare, assetata di energia e che vuole il Myanmar nella sua nuova Via della seta, è l’amico più fedele: soprattutto dei militari. Propri in questi giorni, è a Pechino in visita ufficiale il generale Min Aung Hlaing, l’uomo forte che controlla da vicino l’operato della Nobel e che invece, da un mese a questa parte, si è visto interdire i suoi viaggi in Europa.
Se l’accordo bangla-birmano funzionerà si saprà dunque a gennaio. Ma la domanda è anche un’altra. Ammesso e non concesso che un rohingya voglia tornare nel suo villaggio magari dato alle fiamme, che situazione troverà ad accoglierlo? Proprio due giorni fa, Amnesty International ha spiegato, dopo un’inchiesta durata due anni, che i rohingya in Myanmar vivono intrappolati «in un sistema vizioso di discriminazione istituzionalizzata sponsorizzata dallo Stato che equivale all’apartheid». I contadini rohingya rischiano dunque di tornare in uno Stato che non solo non li vuole e li considera “immigrati bangladesi”, ma che non gli riconosce cittadinanza, documenti né quindi titoli di proprietà su una terra magari lavorata nella consuetudine di secoli. Forse nel Myanmar c’è chi spera che questo basti a tenerli lontani.
Il romanzo e la rivelazione del pensiero terrorista
Forse il romanzo può avere un ruolo nel denudare il pensiero terrorista, svelando l’ipocrisia della società che contribuisce a coprire i veri crimini commessi da diversi suoi figli
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Il viaggio difficile di Francesco Bergoglio
Non è un viaggio facile per papa Francesco Bergoglio quello che inizia lunedi in Myanmar per proseguire poi in Bangladesh. Il papa, che incontrerà il presidente birmano Htin Kyaw e la sua premier “de facto” Aung San Suu Kyi, prevede anche un incontro…
Viaggio all’Eden al Premio Volponi di Fermo
Peppino Buondonno e Angelo Ferracuti,coordinatori del Premio in una foto del Corriere AdriaticoAlle ore 18 alla Sala Castellani di Porto San Giorgiocon Peppino BuondonnoViaggio all’EdenIl programma del Festival qui
Da Riad a Sochi: la geografia schiaccia la politica?
Per Russia, Siria e Iran, la geografia costituisce uno degli elementi più importanti da considerare per l’enorme influenza che questa esercita sui rapporti tra le parti in conflitto.
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Egitto, nel mirino finiscono i sufi. Dietro l’attentato il fallimento della politica di Al-Sisi nel Sinai
L’attentato contro la moschea di Bir al-Adb, oltre ad essere il più grave degli ultimi anni contro la popolazione civile in Egitto, segna un nuovo colpo contro la politica securitaria del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Nonostante ad ora non ci sia alcuna rivendicazione, gli analisti puntano il dito sullo Stato Islamico, il cui nucleo più […]
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Egitto – Libertà per Mahienour e Moatassem! Libertà per tutti e tutte!
Il 18 novembre scorso un giudice di Alessandria ha ordinato la custodia cautelare della compagna Mahienour el-Masry e di un altro imputato, Moatassem Medhat, accusati di aver partecipato a una protesta pacifica del giugno 2017. I due avvocat* per i … Continue reading →
Besieged Syrians eating trash, fainting from hunger: UN survey
Language
Undefined
At least four people have died from starvation, including child in Douma who took his own life because of hunger, report says
Refugees in Libya Are Being Sold at Slave Auctions
After Italy signed a memorandum with the UN and U.S.-backed government of Libya, known as the Government of National Accord (GNA), in Tripoli to reduce sea migration in February 2017, migrant crossings to Italy from the North African coastline decreased by 87 percent. This seemingly positive result, however, has obscured the fact that refugees intercepted by […]
Israel’s Complicity in Myanmar’s Crimes Against Rohingya Muslims
Israel is directly assisting the violent persecution of Myanmar’s Rohingya Muslim population, by providing arms and training to the country’s military. The latest military crackdown against the Rohingya – a stateless minority population that remains officially unrecognized by the government of Myanmar – was launched in 2016. Since then, violence against the group has only […]
Arbitrary Charges and Arrests Continue in Egypt, Even Towards Pop Singers
This past week, a number of high-profile charges and arrests took place against long-time human rights activists, as well as a widely admired pop singer in Egypt. In a stunning and puzzling move, beloved Egyptian pop singer Sherine Abdel Wahab was charged, with “insulting the Egyptian state,” and is set to stand trial at the court […]
Bangladesh and Myanmar sign deal to start repatriating Rohingya refugees
Bangladesh and Myanmar will start repatriating refugees in two months, Dhaka said Thursday, as global pressure mounts over a crisis that has forced more than 600,000 Rohingya to flee across the border.
The United Nations says 620,000 Rohingya have arrived in Bangladesh since August to form the world’s largest refugee camp after a military crackdown in Myanmar that Washington has said clearly constitutes “ethnic cleansing.”
Related: Bangladesh says China will help resolve the Rohingya crisis
The statement from Secretary of State Rex Tillerson is the strongest US condemnation yet of the crackdown, accusing Myanmar’s security forces of perpetrating “horrendous atrocities” against the group.
Following talks between Myanmar’s civilian leader Aung San Suu Kyi and Bangladeshi Foreign Minister A.H. Mahmood Ali, held after weeks of tussling over the terms of repatriation, the two sides inked a deal in Myanmar’s capital, Naypyidaw, on Thursday.
A Rohingya refugee man holding children walks towards the shore as they arrive on a makeshift boat after crossing the Bangladesh-Myanmar border, at Shah Porir Dwip near Cox’s Bazar, Bangladesh, Nov. 9, 2017.
Credit:
Navesh Chitrakar/Reuters
In a brief statement, Bangladesh said it had agreed to start returning the refugees to mainly Buddhist Myanmar in two months.
It said that a working group would be set up within three weeks to agree to the arrangements for the repatriation.
“This is a primary step. [They] will take back [Rohingya]. Now we have to start working,” Ali told reporters in Naypyidaw.
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Impoverished and overcrowded, Bangladesh won international praise for allowing the refugees into the country, but has imposed restrictions on their movements and said it does not want them to stay.
Suu Kyi’s office called Thursday’s agreement a “win-win situation for both countries,” saying the issue should be “resolved amicably through bilateral negotiations.”
However, it remains unclear how many Rohingya will be allowed back and how long the process will take.
Life in Bangladesh
Shelley Thakral, a UN World Food Program spokesperson is based in the port town of Cox’s Bazar, Bangladesh, where a mega-camp of hundreds of thousands of Rohingya refugees has sprung up.
“Five weeks ago, six weeks ago, this was a forest, a forest that’s now become peoples’ homes, sheet by sheet of corrugated iron, of bamboo walls,” Thakral says. “Families live side by side, some families are five, but some families are up to eight and more.”
Tourists once flocked to Cox’s Bazar to relax on what some consider the world’s longest beach. But an hour’s drive from the coast, the refugees squeeze together in densely packed settlements. More desperate Rohingya, sometimes dozens, sometimes hundreds, arrive every day.
“Families make this treacherous journey by foot from Myanmar, escaping the persecution there,” Thakral says. “Some tell us that they’ve walked for six days, they’ve walked for 10 days with just the possessions that they have.”
Aid groups say it’s a struggle just to provide basic essentials in the mega-camp. One in four children there suffer from malnutrition, according to the WFP. It offers as many families as possible shelter and hot meals.
“We’re trying to make sure whatever trauma that they’ve encountered that they have something to settle into that’s dignified, that that makes them feel welcome and makes them feel that they are being looked after,” Thakral says.
Return to Myanmar
Rights groups have raised concerns about the process, including where the refugees will be resettled after hundreds of their villages were razed, and how their safety will be ensured in a country where anti-Muslim sentiment is surging.
“The most important thing that would have to be addressed is that those returning would have to have some ability to move within [Myanmar’s] Rakhine State and they would need to have their basic needs met,” said Carolyn Miles, president and CEO of Save the Children, one of several aid organizations working with Rohingya refugees in Bangladesh
But Miles says she’s skeptical the agreement will address those challenges.
“I don’t know that this agreement is actually gviing them either the rights of movement or that the conditions are going to be much better than what they fled,” Miles said. “I think it’s unlikely you’ll have a lot of people — given what they went through when they were in Myanmar — choosing … to return.”
‘Won’t go back’
Credit:
Adnan Abidi/Reuters
The stateless Rohingya have been the target of communal violence and vicious anti-Muslim sentiment in mainly Buddhist Myanmar for years.
They have also been systematically oppressed by the government, which stripped them of their citizenship and severely restricted their movement, as well as their access to basic services.
Tensions erupted into bouts of bloodshed in 2012 that pushed more than 100,000 Rohingya into grim displacement camps.
Related: Myanmar’s critics call Rohingya-only enclaves ’21st-century concentration camps’
Despite the squalid conditions in the overcrowded camps in Bangladesh, many of the refugees say they are reluctant to return to Myanmar unless they are granted full citizenship.
“With full rights like any other Myanmar nationals,” said Abdur Rahim, 52, who was a teacher at a government-run school in Buthidaung in Rakhine state before fleeing across the border.
Credit:
Mohammad Ponir Hossain/Reuters
“We won’t return to any refugee camps in Rakhine,” he told AFP in Bangladesh.
The signing of the deal came ahead of a highly-anticipated visit to both nations from Pope Francis, who has been outspoken about his sympathy for the plight of the Rohingya.
The latest unrest occurred after Rohingya rebels attacked police posts on Aug. 25.
The army backlash rained violence across northern Rakhine, with refugees recounting nightmarish scenes of soldiers and Buddhist mobs slaughtering villagers and burning down entire communities.
The military denies all allegations but has restricted access to the conflict zone.
Suu Kyi’s government has blocked visas for a UN-fact finding mission tasked with probing accusations of military abuse.
Agence France-Presse contributed to this report.
IsDB and AfDB partner to boost agriculture and fight drought in Africa
By WAM
JEDDAH, Nov 23 2017 (WAM)
A joint initiative of the Islamic Development Bank (IsDB) and African Development Bank (AfDB) will boost agriculture value chains and enhance drought resilience in Nigeria, Somalia and Uganda.
The initiative is part of a broad coalition to boost collaboration between the two institutions in agriculture, water and sanitation. The combined active portfolio of both institutions in these sectors in Nigeria, Somalia and Uganda is worth US$1 billion, with several projects in the pipelines to expand their support.
“It is good to see this strong partnership between the African Development Bank and the Islamic Development Bank further evolving, in terms of depth, breath, resource commitments, leverage and speed of delivery”
Khaled Sherif, AfDB Vice-President for Regional Development, Integration and Business Delivery
Stronger ties between AfDB and IsDB will help ramp up agricultural production along important crop and livestock value chains while preventing and mitigating climate change induced droughts will help achieve the objectives of “Say No To Famine/Alliance to End Famine in Africa.”
“It is good to see this strong partnership between the African Development Bank and the Islamic Development Bank further evolving, in terms of depth, breath, resource commitments, leverage and speed of delivery” said AfDB Vice-President for Regional Development, Integration and Business Delivery, Khaled Sherif.
Sherif said the presidents of the two institutions had signed a Memorandum of Understanding that clearly outlines the way forward to strengthen the partnership.
IsDB Vice President, Mansur Muhtar, stated: “Indeed, there is much to gain from the collaboration between our organizations. It is here that we can utilize our respective competitive advantages best and maximize the utilization of available resources.”
“This can be achieved in particular by avoiding duplication and concentrating the stipulated initiatives in support of our member countries in the identified sectors and areas that promise to be most impactful for local populations. We will also expand this partnership throughout the operationalization of upcoming initiatives by bringing in additional partners, especially the private sector,” he added.
[Image credit: Islamic Development Bank (IsDB) Twitter: @isdb_group]
WAM/Tariq alfaham
The post IsDB and AfDB partner to boost agriculture and fight drought in Africa appeared first on Inter Press Service.
Qualche breve osservazione sul dramma di Essaouira in Marocco
Il 19 novembre a Essaouira 15 donne sono state uccise in una calca durante una distribuzione di generi di aiuto alimentari
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“Donne palestinesi in guerra: da madri della nazione a shahidat” di Maria Antonietta Crapsi
Dal blog Con altre parole d Beatrice Tauro
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Accordo sui rohingya
La firma del protocollo in una foto del DailyStar di DaccaBangladesh e Myanmar firmano un protocollo per il rientro della minoranza. Ma senza una data. Il controesodo dovrebbe iniziare entro la fine di gennaioC’è un accordo tra Bangladesh e Myanmar per…
La poetica dell’Etna tra suoni e immagini di Yuval Avital
Fiumi di lava, nuvole di vapore, centinaia di voci, volti, antiche declamazioni dialettali e foreste umane – tutto questo e molto di più in un immenso quadro allegorico che attraversa un territorio unico nel suo genere. Si chiama…
Viaggio all’Eden e Califfo a Mendrisio sabato 25 novembre
America spleen
Apartheid, un nuovo termine per i rohingya
Si chiama “In gabbia senza un tetto” l’ultimo rapporto di Amnesty International sui Rohingya, la minoranza musulmana cacciata dal Myanmar nell’esodo forzato più recente della Storia da un Paese non in conflitto. E aggiunge una nuova parola a un vocabolario dove si è letto di stupri, eccidi, violenze, incendi, disastri umanitari, genocidio e pulizia etnica: apartheid. Questa volta Amnesty, che lavorava al caso da due anni, documenta infatti la condizione interna dei rohingya in Myanmar, dove fino a qualche mese fa viveva poco più di un milione di questa minoranza ora ridotta drasticamente a meno della metà (oltre centomila vivono in campi profughi nel Paese mentre 600mila sono stati espulsi). Chi vive in Myanmar era ed è intrappolato «in un sistema vizioso di discriminazione istituzionalizzata sponsorizzata dallo Stato che equivale all’apartheid». Il rapporto (in italiano sul sitowww.amnesty.it) disegna il contesto della recente ondata di violenze, quando le forze di sicurezza hanno incendiato interi villaggi e hanno costretto centinaia di migliaia di rohingya a fuggire verso il Bangladesh. Molti, non si sa quanti, sono stati uccisi o sono morti cercando di attraversare la frontiera.
Fa un salto in avanti la condanna che per ora ha visto soprattutto la società civile impegnata in un’operazione di denuncia (Amnesty, Human Rights Watch, il Tribunale permanente dei popoli e diverse Ong come Msf ad esempio) con le Nazioni Unite (molte le prese di posizione e le denunce) ma, per il momento, non si sono viste forti pressioni internazionali anche se, nel suo recente viaggio in Myanmar, l’Alto commissario Federica Mogherini non è stata tenera con Aung San Suu Kyi. Nondimeno per ora, l’Unione europea si è limitata a confermare il divieto alla vendita di armi e ha riattivato il meccanismo (soppresso quando i militari hanno ceduto il potere) che vieta agli alti gradi dell’esercito birmano di venire nel Vecchio Continente. Poco o nulla ha invece fatto il Consiglio di sicurezza, come se la questione riguardasse semplicemente i rapporti tra Myanmar e Bangladesh.
La foto è tratta dal sito di Amnesty Italia |
Il rapporto di Amnesty dice chiaramente che il Myanmar ha confinato i rohingya in un’esistenza ghettizzata dove è difficilissimo avere accesso a istruzione e cure mediche in un quadro di esodo forzato dalle proprie case. Questa situazione – secondo Ai – corrisponde da ogni punto di vista alla definizione giuridica di apartheid, «un crimine contro l’umanità». «Questo sistema appare destinato a rendere la vita dei rohingya umiliante e priva di speranza – dice in una nota Anna Neistat, direttrice di Amnesty per le ricerche – e la brutale campagna di pulizia etnica portata avanti dalle forze di sicurezza del Myanmar negli ultimi tre mesi è l’ennesima, estrema dimostrazione di questo atteggiamento agghiacciante. Le cause di fondo della crisi in corso devono essere affrontate per rendere possibile il ritorno dei rohingya a una situazione in cui i loro diritti e la loro dignità siano rispettati». Difficile, anche perché, dice il rapporto, i rohingya vivono esclusi da qualsiasi contatto col mondo esterno.
Sebbene i rohingya subiscano da decenni una sistematica discriminazione promossa dal governo, la ricerca rivela come la repressione sia aumentata drammaticamente dal 2012, quando la violenza tra la comunità musulmana e quella buddista ha sconvolto lo stato di Rakhine. Queste limitazioni sono contenute in una serie di leggi nazionali, “ordinanze locali” e politiche attuate da funzionari statali che mostrano un’evidente attitudine razzista. Un regolamento in vigore nello stato di Rakhine dice chiaramente che gli “stranieri” e le “razze bengalesi” (un’espressione dispregiativa usata per indicare i rohingya) hanno bisogno di un permesso speciale per spostarsi da un luogo a un altro.
Durante la violenza del 2012, decine di migliaia di rohingya vennero espulsi dalle zone urbane dello stato di Rakhine, in particolare dalla capitale Sittwe. Attualmente 4000 di loro restano – dice ancora Ai – in città, in una sorta di ghetto isolato, circondato dal filo spinato e sorvegliato da posti di blocco, e rischiano costantemente di essere arrestati o aggrediti dalle comunità che li circondano.
“Fuori da Gaza”, fuori da tutto, fuori da qui
C’è che di libri ambientati a Gaza e che parlano di Gaza in italiano ne sono usciti pochissimi. Forse due, negli ultimi cinque anni, ma vado a memoria e potrei sbagliarmi. C’è che il secondo, dei due, è un libro rabbiosissimo e tenero che è stato eletto Guardian Book of The Year nel 2012. L’autrice […]
The roof is gone: esplosioni ed evasioni letterarie
Roberta Mazzanti* |
Pubblico qui il contributo di Roberta Mazzanti, una cara e vecchia amica, al Convegno “Abitare, corpi, spazi, scritture” che si è tenuto a Roma a metà Novembre organizzato dalla Società italiana delle letterate. In cui si parla anche di Viaggio all’Eden
Grace Slick |
Immagini dalla mostra italiana Mogador in corso ad Essaouira
“Mogador: mostra italiana ad Essaouira (Marocco) di Veronica Gaido e Vito Tongiani
L’articolo Immagini dalla mostra italiana Mogador in corso ad Essaouira sembra essere il primo su Arabpress.
Chi sta distruggendo la cultura in Libia
Sulla scena libica ci sono tanti personaggi venuti fuori dal nulla. Sono diventati eroi nella Libia postbellica, arrivando a occupare cariche pubbliche. E qualcuno di loro ha deciso di mettere la parola fine alla libertà di espressione. Leggi
La marcia dei migranti contro il sistema di accoglienza in Veneto
Si protesta da giorni nell’ex base militare di Conetta: i richiedenti asilo denunciano le terribili condizioni di vita in uno dei centri più grandi della regione. Leggi
L’assenza di Bashar al-Assad dallo scenario libanese
L’incapacità del leader siriano Assad di influenzare le ultime vicende politiche in Libano indicano la perdita di influenza del regime anche all’interno della Siria nonché l’approssimarsi della sua fine.
L’articolo L’assenza di Bashar al-Assad dallo scenario libanese sembra essere il primo su Arabpress.
Se l’islamista sequestra la capitale
Lo svincolo della discordia: unisce Islamabad a Pindi |
Lo svincolo di Faizabad è la porta principale tra le due città pachistane di Islamabad, la capitale
amministrativa del Pakistan col suo milione di abitanti, e Rawalpindi, uno snodo commerciale importante del Punjab con oltre tre milioni di residenti. Bloccarlo con un sit-in, come ormai avviene da tre settimane, vuol dire creare un caos che divide le due città gemelle su un’importante arteria che collega la capitale all’aeroporto. A sequestrare lo svincolo è un manipolo di qualche centinaio di radicali che chiedono la testa del ministro Zahid Hamid, considerato dagli zeloti di alcune formazioni islamiste alla stregua di un apostata. Il caso, innescato dalla protesta degli islamisti, è un emendamento apportato alla legge che regola le candidature in vista delle prossime elezioni generali che si terranno in Pakistan l’anno prossimo.
L’emendamento, che riguarda l’atteggiamento del candidato verso il messaggio del Profeta Maometto, ha sostituito con la locuzione “I belief” (credo) la precedente “I solemnly swear” (giuro solennemente). La nuova viene considerata assai meno forte e rispettosa dell’originaria e una porta aperta a credenti troppo tiepidi. Nel formulario per candidarsi, secondo gli ulema radicali, chi si dichiara musulmano (se non lo è viene aggiunto in una lista apposita) lo deve fare in una forma solenne e non con una semplice professione di fede. Cavilli da dottori della legge e, secondo alcuni, un modo per preparare la campagna elettorale. Ma sufficienti a scatenare una bufera.
Zeloti: un momento del raduno che va avanti da un mese pubblicato da Pakistan Today A destra sotto un’immagine del posto |
La legge è stata rapidamente emendata dall’emendamento ed è tornata alla formula originaria, un cedimento che laici e progressisti non hanno visto di buon occhio. Ma gli ulema non mollano e continuano a chiedere che il ministro si dimetta altrimenti il blocco continuerà. Quel che è peggio è che, in un Paese dove le manifestazioni politiche o di rivendicazione sindacale vengono messe sotto schiaffo dalla polizia per molto meno, nessuno ha osato sgomberare manifestanti noti per le loro dichiarazioni al vetriolo. All’Alta corte di Islamabad però non l’hanno digerita e hanno chiamato il ministro dell’Interno a rendere conto dello stallo. Così, il ministro Ahsan Iqbal, d’accordo con i magistrati, ha reso nota l’ultima data utile per lo sgombero: giovedi 23 novembre, ma senza che si capisca cosa accadrà se gli islamisti delle tre formazioni (Tehreek-i-Khatm-i-Nabuwwat, Tehreek-i-Labaik Ya Rasool Allah, Sunni Tehreek Pakistan) insisteranno.
La bufera sull’emendamento religioso si è accompagnata a un’altra polemica su un altro
emendamento che cancellava l’ipotesi che un uomo condannato all’interdizione dai pubblici uffici potesse capeggiare un partito politico: un modo per riaprire la porta a Nawaz Sharif, l’ex premier costretto a lasciare in luglio su ordine della Corte suprema per via dello scandalo che lo vede implicato in transazioni poco ortodosse (Panama Papers). Ma sulle prime pagine campeggiano gli zeloti e ora ci si chiede cosa potrà accadere il 23 novembre se gli islamisti non molleranno.
Lo scrittore iracheno Ali Bader al festival salentino “La città del Libro”
Il prossimo 26 novembre, lo scrittore iracheno Ali Bader sarà ospite della manifestazione culturale salentina “La città del Libro”, il festival letterario internazionale di Campi Salentina, che quest’anno è dedicato alla figura di Abramo. Bader dialogherà con Monica Ruocco, docente di Letteratura araba dell’Università L’Orientale di Napoli che ha appena tradotto il suo romanzo Il […]
Impegno, passione e tecnica nell’attività creativa e culturale di Giuseppe Montanucci
L’iniziativa ha come significativo obiettivo di presentare al pubblico, attraverso l’opera creativa e culturale dell’artista grafico, alcuni aspetti dell’evoluzione della comunicazione grafica e dell’arte visiva in Italia dal Secondo Dopoguerra fino agli anni Ottanta.
L’avvicinamento tra Israele e l’Arabia Saudita assegnerà all’Iran un ruolo maggiore nel mondo islamico?
L’inaspettato riallacciarsi delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita potrebbe rafforzare la posizione dell’Iran nell’area, consentendogli di affermarsi come guida di tutto il mondo musulmano contro Israele e la coalizione occidentale.
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Una campagna per avere Abiti Puliti
Sostieni la Campagna Abiti Puliti e aiutala a realizzare un video informativo da diffondere tra i giovani e nelle scuole per raccontare la situazione dei lavoratori e delle lavoratrici del mondo tessile e calzaturiero in Italia e nel mondo.
Perché?
Perché
In alcune fabbriche che producono per grandi marchi le operaie sono arrivate a dover indossare gli assorbenti per non assentarsi neppure per andare in bagno.
Più di 500 operaie sono svenute in un anno in alcune fabbriche Cambogiane che producono per notissimi marchi della moda e dello sport. Esauste e malnutrite l avoravano con almeno 37 gradi , senza neppure un ventilatore.
Le fabbriche del Bangladesh dove vengono cuciti i tuoi jeans, sono palazzi di molti piani con centinaia di operaie e dove le uscite di sicurezza sono spesso assenti o bloccate.
Un’operaia albanese deve lavorare un’ora intera per poter comprare un litro di latte , mentre a un’operaia inglese bastano 4 minuti di lavoro…
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Il Bangladesh alle porte di casa
L’Europa dello sfruttamento: l‘ultimo rapporto della Campagna Abiti puliti |
Il Made in Europe della moda anche italiana investe e delocalizza in Europa Orientale. Ma il conto lo paga chi lavora
In Serbia, alle porte di casa nostra, la “soglia di povertà” per una famiglia di quattro persone viene calcolata a 256 euro. Ma il salario medio netto di un lavoratore dell’industria del cuoio e delle calzature arriva a 227 e a soli 218 nell’industria dell’abbigliamento. Se poi viene applicato il salario minimo legale netto, siamo a 189 euro. E’ la politica di incentivi che Belgrado ha deciso di applicare a diversi settori industriali per rilanciare l’economia e attirare investimenti. Regali alle aziende straniere, tra cui molte italiane, formalmente pagati dallo Stato ma di fatto dai lavoratori. Qualche nome? Armani, Burberry, Calzedonia, Decathlon, Dolce & Gabbana, Ermenegildo Zegna, Golden Lady, Gucci, H&M, Inditex/Zara, Louis Vuitton/LVMH, Next, Mango, Max Mara, Marks & Spender, Prada, s’Oliver, Schiesser, Schöffel, Top Shop, Tesco, Tommy Hilfiger/PVH, Versace. E ancora Benetton, Esprit, Geox e Vero Moda. Solo questione di soldi?
Nel luglio scorso la stampa locale riferiva di lavoratrici costrette a indossare gli assorbenti per evitare di interrompere il lavoro per andare in bagno. L’episodio era riferito alla fabbrica Technic Development Ltd di Vranje, società controllata di Geox, marchio italiano di abbigliamento per uomo, donna e bambino, noto per le scarpe “traspiranti”. La denuncia è costata il lavoro a Gordana Krstic, eppure quella storia non ha trovato eco sulla stampa italiana, un po’ distratta sulle questioni del lavoro delocalizzato. Ma non siamo in Bangladesh o in Cambogia e la fabbrica in questione occupa 1400 operai. Con salari netti medi (compresi straordinari e indennità) di 248 euro, meno della soglia di povertà. Straordinari che arrivano anche a 32 ore settimanali contro le 8 ammesse dalla legge. Sono i conti della moda.
Se sappiamo queste cose è perché un gruppo di attivisti della Clean Clothes Campaign (in Italia Abiti puliti) ha appena pubblicato un rapporto sui salari e le dure condizioni di lavoro nell’industria tessile e calzaturiera dell’Est e Sud-Est Europa. Non solo Serbia: in Ucraina, nonostante gli straordinari, alcuni lavoratori guadagnano appena 89 euro al mese in un Paese in cui il salario dignitoso dovrebbe essere di oltre 400. E anche se in in Slovacchia si arriva a 374 euro siamo sempre sulla soglia del salario minimo legale, quello – per intendersi – che non serve a mantenere una famiglia e forse nemmeno una persona. Anche tra i clienti di queste fabbriche ci sono marchi globali come Benetton, Esprit, Geox, Triumph e Vera Moda.
Più di 1,7 milioni di persone lavorano nell’industria dell’abbigliamento/calzature in Europa centrale, orientale e sud-orientale e spesso la differenza tra i salari reali e il costo della vita è drammatica in una situazione in cui – dice il rapporto L’Europa dello sfruttamento – l’attuazione della legislazione sul lavoro è “fallimentare”, con un impatto negativo sulla vita di chi, più o meno direttamente, cuce i nostri vestiti e le nostre scarpe. Per questi marchi, dice il rapporto, i Paesi dell’Europa Orientale sono paradisi per i bassi salari. E anche se molte firme della moda enfatizzano l’appartenenza al Made in Europe, cioè con condizioni di lavoro eque, molti lavoratori “vivono in povertà, affrontano condizioni di lavoro pericolose, straordinari forzati, indebitamento”. I salari minimi legali in questi Paesi sono attualmente al di sotto delle loro rispettive soglie di povertà e dei livelli di sussistenza. Le conseguenze, dice la Campagna, “sono terribili. I salari bastano appena per pagare le bollette elettriche, dell’acqua e del riscaldamento in Paesi dove ai marchi che investono vengono praticati grossi sconti proprio sulle utenze. Per loro le pagan gli operai.
Libye: le président de l’Union africaine s’insurge face à la situation des réfugiés
Alpha Condé, président de la Guinée et président en exercice de l’Union africaine, se dit indigné face à la vente d’esclaves en Libye. Il condamne ce qu’il qualifie de « commerce abject » et de « pratique d’un autre âge ». L’Union africaine usera, dit-il, tous les moyens à sa disposition pour mettre un terme à cette « ignominie ».
Libya ‘slave market’ probe called for by African Union
Language
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CNN footage of live auction in Libya where black youths are sold off for as little as $400 prompted outcry
Migrant crisis: Europe should stop using Libya as a dumping ground
With no central government and its own crises, Libya is ill-equipped to deal with an influx of returned migrants requiring shelter
Le Premier ministre du Liban Saad Hariri et sa famille à Paris
Le chef du gouvernement libanais Saad Hariri a atterri ce 18 novembre à Paris, en provenance de Riyad. Il doit rencontrer le président Emmanuel Macron à l’Elysée à la mi-journée. Ce dernier a affirmé qu’il le recevrait bien en sa qualité de Premier ministre du Liban, deux semaines après sa démission surprise en Arabie saoudite. Il sera rejoint par des membres de sa famille à la table du chef de l’Etat français. Au Liban, on oscille entre soulagement et interrogations.
Alleanza del Golfo: un nuovo approccio per il CCG
The Second Edition of “The Islamophobia Industry” Is Updated for the Age of Trump
The second edition of the Islamophobia Industry: How the Right Manufactures Hatred of Muslims, first published in 2012, is not simply a re-release of the original, but has been significantly updated by author Nathan Lean to reflect the deep connections between President Donald Trump and the major drivers of Islamophobic propaganda and “research” in the United States, as well as the surge of anti-Muslim hate […]
Barcellona, documento di quartiere per migranti irregolari
Lo darà il Comune Barcellona agli stranieri irregolari residenti
Siria: all’Onu nuovo veto Russia su armi chimiche, ira Usa
Ambasciatrice Haley minaccia uso forza in caso di altri attacchi
I contractors italiani accusati di combattere per Haftar in Libia
Benghazi (Shabakat Akhbar al-Maarek – BNN) Il capitano Ahmad al-Aquri, identificato come un disertore dell’esercito libico comandato dal generale Khalifa Haftar nella Cirenaica, ha pubblicato sulla propria pagina Facebook le foto di un gruppo di presunti contractors italiani arruolati dal figlio del generale, Saddam Khalifa Haftar, nella battaglia in corso a Bengasi contro alcune formazioni jihadiste (il cosiddetto […]
Petition for Maha Abderrahman (November, 2017)
Cambridge, 10th November 2017 We, the undersigned, categorically reject the malicious and totally unfounded allegations made against Dr Maha Abdelrahman in the Italian newspaper La Repubblica on 2 November 2017. Dr Abdelrahman, an internationally highly-regarded scholar at Cambridge University, was the supervisor of Giulio Regeni, an Italian PhD student, who was conducting research on Egyptian […]
Il Califfo a BookCity
Autori Vari (Lettera22)
A cura di E. Giordana
“A oriente del Califfo. A est di Raqqa: il progetto dello Stato Islamico per la conquista dei
musulmani non arabi”
– Rosenberg & Sellier 2017
Sabato ore 15 Ispi Via Clerici 5
Emanuele Giordana con Massimo Campanini
Non è un libro solo sullo Stato Islamico.
Il progetto di al-Baghdadi è infatti anche quello di estendere i
confini di un neo-Califfato all’intera comunità sunnita oltre il
mondo arabo e le conflittuali aree asiatiche appaiono un terreno
ideale. Il caso afgano, la guerra sempre sotto traccia tra India e
Pakistan, il revivalismo islamico presente in Caucaso e in Asia
centrale, come nelle province meridionali della Thailandia o nel
Sud filippino segnato dal contrasto tra governo e comunità
musulmane; nell’arcipelago indonesiano, che è la realtà
musulmana più popolosa del pianeta, come nel dramma dei
rohingya, cacciati dal Myanmar in Bangladesh. Al di là del
progetto del Califfo, ci si chiede perché e con quali strumenti il
messaggio ha potuto funzionare, qual è il contesto e quale
l’entità del contrasto con al-Qaeda per il primato del jihad.
Un libro che si chiede cosa potrà restare del messaggio di al-
Baghdadi, anche dopo la caduta di Raqqa, in paesi così distanti
dalla cultura mediorientale; cosa ha spinto un giovane di
Giacarta, di Dacca o del Xinjang a scegliere la spada del Califfo?
Emanuele Giordana cofondatore di Lettera22, collaboratore de “il manifesto” e voce di “Radio3mondo”. Con altri redattori di Lettera22, ha scritto La scommessa indonesiana,
Diversi ma uguali, A Oriente del Profeta, Il Dio della guerra, Geopolitica dello tsunami e Tibet. Lotta e compassione sul tetto del mondo. Già docente di cultura indonesiana all’IsMEO, insegna alla
Scuola di giornalismo della Fondazione Basso e all’Ispi. È presidente dell’associazione Afgana.
Lettera22 è un’associazione tra freelance specializzata da 25 anni in politica internazionale. Alcuni dei suoi membri fanno anche parte dell’agenzia China Files.
Teheran e le scadenze dell’inverno decisivo
Sarà questo l’inverno decisivo per l’Iran? Alla luce dei tanti segnali lanciati dal Paese nei confronti degli abitanti della regione e a livello internazionale, sembrerebbe di sì.
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Viaggio all’Eden a BookCity
Il grande viaggio da Milano a Kathmandu ripercorso da un giornalista a distanza di 40 anni
Con Emanuele Giordana e Guido Corradi. A cura di Centro di Cultura Italia-Asia
Un viaggiatore di lungo corso, per passione e per lavoro, ritorna sulla rotta degli anni Settanta per Kathmandu: il “grande viaggio” in India fatto da ragazzo e ripercorso poi come giornalista a otto lustri di distanza. Un sogno che portò migliaia di giovani a Kabul, Benares, Goa, fino ai templi della valle di Kathmandu.
DATA:
Venerdì, 17. Novembre 2017 – 15:00
SEDE:
MUDEC – Museo delle Culture Spazio delle Culture – via Tortona 56, Milano
RELATORI:
Emanuele Giordana
Guido Corradi
Illustrazione di Maurizio Sacchi |
Il Califfo e Viaggio all’Eden a BookCity
Emanuele Giordana
“Viaggio all’Eden. Da Milano a Kathmandu” – Laterza
con Guido Corradi
MUDEC Venerdi ore 15
Autori Vari (Lettera22)
“A oriente del Califfo. A est di Raqqa: il progetto dello Stato Islamico per la conquista dei
musulmani non arabi”
– Rosenberg & Sellier
Sabato ore 15 Ispi Via Clerici 5
Emanuele Giordana con Massimo Campanini
SDF spokesman ‘defects’ to Turkish-backed rebels in Syria
Language
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Turkish-aligned Syrian opposition reportedly suggests Talal Silo was concerned about Kurdish dominance of Syrian Democratic Forces
La lezione saudita
L’Arabia Saudita sente di poter manipolare Hariri e la politica sunnita in Libano; tuttavia, l’influenza dell’Iran si è affermata attraverso la formazione di un governo libanese in cui Hezbollah detiene il potere politico e militare
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Piccola pubblicità: perchè sostengo DINAMOpress
DINAMOpress è un progetto editoriale di informazione indipendente nato l’11 novembre 2012 dalla
cooperazione tra diversi spazi sociali di Roma, giornalisti professionisti, ricercatori universitari, video maker e attivisti. “Racconta e approfondisce – spiegano i suoi promotori – le questioni principali che riguardano il presente: politica locale e internazionale, precarietà e sfruttamento, femminismi, emergenze razziste e fasciste, forme di vita giovanili, produzioni culturali cinematografiche e musicali, migrazioni internazionali, problematiche ecologiche, cortei e mobilitazioni, beni comuni…”
Quello che viene presentato in questi giorni è il progetto di finanziamento alla luce del sole di un’iniziativa editoriale che ha lo scopo di allargare l’informazione su ciò che avviene. Può piacervi e anche non piacervi ma credo che vada sostenuta. Date un’occhiata al sito e poi se credete andate alla pagina dov’è spiegato il progetto e dove è possibile fare una donazione. Se posso aggiungere un pensiero, riguarda il fatto che oggi siamo bombardati da informazioni ma molto spesso di bassa qualità. Lasciamo stare le fake news, le bufale evidenti e le coglionate (al mondo c’è posto per tutti) ma quel che è da temere è la disinformazione: ben cucinata, professionalmente perfetta e apparentemente asettica. DinamoPress asettica non è. Professionale si. E’ una lampadina (o una dinamo se preferite) accesa nel buio dell’informazione mainstream. Anche 5 euro possono fare la differenza.
L’incontro in Vietnam non metterà fine alla crisi siriana
Il presidente americano e russo si sono accordati in Vietnam su una soluzione pacifica per la fine della guerra in Siria. Ma quali saranno le conseguenze per un Paese diviso tra varie influenze regionali e internazionali?
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Gli iracheni chiedono al governo di aiutare un orfanotrofio che cura i bambini con l’arte
“Il governo dovrebbe aiutare Hisham al-Dhahabi a costruire una fondazione, perché questi bambini sono il futuro dell’Iraq e hanno il diritto di sentirsi al sicuro”.
Syrian government guilty of crimes against humanity: Amnesty
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Amnesty appeals to international community to refer Syria to ICC and demand unhindered access for those investigating abuses
Rifugiati siriani in Armenia: non c’è ritorno
Sono 17.000 i siriani della comunità armena ad aver cercato rifugio in Armenia. Molti di loro non hanno intenzione di tornare nel paese d’origine. Un reportage
Egitto – Intervista dal carcere ad Alaa Abdel Fattah
Alaa Abdel Fattah è uno delle e degli attivisti egiziani che il regime di Sisi ha condannato a 5 anni di carcere per manifestazione non autorizzata. Si trattava di una manifestazione contro i processi militari ai civili (NoMilTrials) che si … Continue reading →
La prossima guerra
Il perpetuarsi e l’acutizzarsi del conflitto settario nello scenario mediorientale sembra avvicinare una nuova guerra
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Cosa succede ai ‘foreign fighter’ montenegrini che rientrano in patria?
Il documentario “The Road of No Return?” punta l’obiettivo sul problema dei Montenegrini che rientrano in patria dopo aver combattuto in Siria e Ucraina,
La proposta per carcerare i gay in Egitto e altre notizie che non leggerete sui giornali
In Egitto una proposta di legge per criminalizzare omosessualità
il Cairo – Un parlamentare egiziano ha intenzione di presentare una proposta di legge che propone la carcerazione di chiunque promuova o sia impegnato in una relazione con persone dello stesso sesso. Questo provvedimento prevederebbe l’introduzione di pene detentive fino a 10 anni di reclusione per le persone impegnate in una relazione omosessuale, secondo l’agenzia di stampa Reuters, venuta in possesso della bozza di tale disegno di legge.
Amnesty International ha definito questa proposta “un altro ‘chiodo nella bara’ per i diritti delle persone omosessuali in Egitto”. “Se dovesse passare, questa legge rafforzerebbe ulteriormente lo stigma sociale e gli abusi contro le persone, basati sul loro orientamento sessuale”, ha detto a Reuters, Najia Bounaim, direttrice delle campagne per il nord Africa di Amnesty International. “Le autorità egiziane devono immediatamente rigettare questo progetto di legge e porre fine a questa allarmante ondata di persecuzioni omofobiche”, ha aggiunto Bounaim.
In Egitto l’omosessualità non è esplicitamente vietata, ma questo non ferma la repressione della polizia. L’articolo 9 della legge numero 10 del 1961, che punisce la prostituzione e “gli atti contro la decenza e la morale pubblica”, è spesso usato per reprimere la comunità LGBT.
La Nigeria apre un’inchiesta sulle 26 donne trovate morte a Salerno
di Bosun Odedina da Lagos, Nigeria
Lagos – L’Assemblea Nazionale nigeriana ha lanciato oggi un’inchiesta per appurare la cause della morte delle 26 donne trovate senza vita a bordo di una nave spagnola nel porto di Salerno. Le risultanze dell’indagine dovranno essere presentate entro quattro settimane. I membri della commissione d’inchiesta sentiranno le autorità libiche per appurare le circostanze della tragedia.
Marocco: violenze contro gli insegnanti, indetto uno sciopero nazionale
Rabat – In Marocco gli insegnanti hanno indetto uno sciopero di due giorni per protestare contro casi di violenza che hanno colpito in docenti, chiedendo maggiore protezione al governo. Lo sciopero nazionale di due giorni è stato indetto da diversi sindacati degli insegnanti e ha registrato adesioni tra il 70% e l’80% secondo quanto dichiarato da uno dei sindacati. Secondo quanto riporta l’Associated Press, il ministero dell’Educazione non ha ancora rilasciato dati ufficiali sulla partecipazione alla protesta.
Togo: continuano violenti le proteste dell’opposizione
Lomé – In Togo continuano le proteste dell’opposizione contro il presidente Faure Gnassingbe, in carica da 12 anni. Giovedì 9 novembre l’opposizione ha manifestato contro il governo per la terza volta in una settimana, promettendo di continuare fino alle dimissioni del presidente. Gli Stati Uniti hanno emesso un avviso per i propri cittadini in viaggio per il Togo, evidenziando la violenza delle proteste, soprattutto nella città settentrionale di Sokodé. Il padre dell’attuale presidente del Togo, ha governato il Paese dal 1967 al 2005 e da allora Faure Gnassngbe ha ereditato la posizione, consolidando un potere che da 50 anni rimane nella stessa famiglia.
George Weah chiede nuove elezioni in Liberia
Monrovia – In Liberia il partito del candidato alle elezioni George Weah ha chiesto che il processo elettorale sia ripristinato in maniera “tempestiva”, dichiarando che rispetterà la decisione della corte suprema di rimandare il ballottaggio. La Liberia sta affrontando con difficoltà il primo passaggio pacifico di potere da oltre 70 anni. Lunedì 6 novembre la corte suprema ha sospeso il secondo turno delle elezioni presidenziali previste per il giorno successivo, per consentire lo svolgimento di indagine su accuse di frode elettorale.
Uno dei candidati del primo turno, Charles Brumskine, aveva chiesto al tribunale di rimandare il voto per permettere di indagare possibili frodi avvenute durante il voto del 10 ottobre. Al primo turno Brumskine, candidato del Liberty Party era arrivato terzo. Al ballottaggio, rimandato a data da destinarsi, si sarebbero dovuti affrontare l’ex calciatore George Weah e il vicepresidente in carica Joseph Boakai. I candidati si sfidano per succedere a Ellen Johnson Sirleaf, premio Nobel per la pace nel 2011.
La Turchia ricostruirà 26mila case distrutte durante la guerra al Pkk
di Giuseppe di Donna da Ankara, Turchia
Ankara – Il governo turco ricostruirà 26 mila abitazioni distrutte durante gli ultimi anni del conflitto tra le forze di sicurezza turche e l’organizzazione terroristica separatista del Pkk. L’annuncio è stato dato dal ministro dell’Urbanistica turco Mehmet Ozhaseki, che ha rivelato che, dalla ripresa del conflitto nel luglio 2015 ad oggi circa 70 mila abitazioni hanno subito danni, in molti casi talmente gravi da imporre una ricostruzione ex novo. “Non è giusto che tanta gente soffra dei danni del terrorismo, per questo costruiremo 26 mila nuove abitazioni in sei mesi – ha dichiarato Ozhaseki – i compound militari saranno rimossi dalle città e dai centri abitati“.
Secondo il ministro è precisa responsabilità dello stato risarcire i propri concittadini dopo il duro intervento delle forze di sicurezza turche nel sud est del Paese, caratterizzato da mesi di coprifuoco tra la fine del 2015 e la prima metà del 2016. “Da un lato c’è il pugno dello stato, che deve far sentire la propria forza e colpire i terroristi. Dall’altro c’è la mano dello stato che con compassione ripara le ferite di chi è stato vittima del conflitto”, ha dichiarato Ozhaseki.
Nigeria: “I leader africani riciclano 50 miliardi di dollari ogni anno”
di Bosun Odedina da Lagos, Nigeria
L’ex presidente della Nigeria, Olusegun Obasanjo ha dichiarato che leader politici e esponenti sia del settore pubblico che del privato in Africa, riciclano illegalmente ogni anno una somma monstre pari a 50 miliardi di dollari. L’ex presidente ha spiegato che l’aumento di queste cifre, destinate alla crescita socio-economica e lo sviluppo del continente africano, danno grandi preoccupazioni a tutti i leader, del presente e del passato. Ha aggiunto che tutti devono contribuire a lottare questo trend preoccupante.
Turchia: Il Paese ricorda Ataturk a 79 anni dalla morte
di Giuseppe di Donna da Ankara, Turchia
Ankara – Il 10 novembre è un giorno in cui la Turchia svela il proprio volto e la propria identità: ricorre infatti in questa data l’anniversario della morte di Mustafa Kemal, “Ataturk“, il padre della Repubblica, guida nella difficile transizione del Paese dal collasso dell’impero ottomano allo Stato che voleva repubblicano, laico, moderno. L’uomo che insegnò ai turchi che, per affrontare le sfide di un mondo in cambiamento, bisognava guardare ai modelli occidentali: aderire a uno stile di vita europeo abbandonando influenze orientali, a partire da alfabeto arabo, calendario islamico e abbigliamento che potesse connotare la fede islamica.
Il Ghana celebra regina madre centenaria nel rispetto tradizioni
di Francesca Spinola da Accra, Turchia
Accra – Nana Yaa Anamah II porta una pezza di stoffa bianca sul capo e un numero imprecisato di pesanti collane di “beads“, grani di vetro o altre pietre dure colorate, che non sono indossate a caso, ma hanno ciascuna un significato. Lei è una regina, una “queen mother” e in Ghana è venerata e rispettata come una vera regnante. Nana Yaa Anamah sta per compiere 102 anni e ha governato la sua gente per ben 75 anni. In questi giorni la sua foto campeggia su tutti i quotidiani di questo paese dell’Africa Occidentale dove l’etnia Akhan, circa il 60% della popolazione, parla diverse lingue ed è guidata da diversi “chiefs and queens“, in base all’area in cui vivono.
Ghana: ‘Big data for good‘ per uno sviluppo sostenibile
di Francesca Spinola da Accra, Turchia
Accra – Predire cosa serve per raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile che il Ghana si è dato. Questo l’obiettivo dell’iniziativa “Big Data for Good“, promossa da Vodafone Ghana, insieme al Ghana Statistical Service e alla Vodafone Group Foundation. Iniziativa che vuole usare i cosiddetti “insights“, le informazioni che derivano dall’utilizzo della telefonia mobile, “per migliorare le previsioni legate allo sviluppo sostenibile”.
Per Joakim Reiter, capo degli affari esterni del Gruppo Vodafone, questa iniziativa “no profit” è legata al concetto ormai diffuso che usare i dati prodotti dalle reti di telefonia cellulare può aiutare a prendere decisioni in grado di migliorare la vita delle persone. Il modo è semplice, i “big data for good” servono, secondo il portavoce di Vodafone, a far prendere decisioni più mirate ai cosiddetti “decision maker“, su temi importanti come la salute e la sanità, l’agricoltura, i trasporti, solo per citarne alcuni.
Israele: tre startup raccolgono $180 milioni in un giorno
Gerusalemme – In Israele in una sola giornata tre startup hanno annunciato di aver ottenuto fondi per centinaia di milioni di dollari. Mercoledì 8 novembre Compass (compra vendita immobili online), Yotpo (gestione dei commenti dei consumatori per azinede) e Mitrassist (assistente via app per chi soffre di rigurgito mitralico) hanno annunciato di aver ottenuto finanziamenti per circa 180 milioni di dollari, mentre una startup israeliana si prepara a affrontare in tribunale la principale azienda tech al mondo per valore di mercato, Apple.
L’app nigeriana che permette di navigare gratis su internet
Abuja – Sliide Airtime è una popolarissima app in Nigeria che permette a chi la scarica di navigare gratis dal proprio smartphone mostrando contenuti personalizzati sul lock screen degli utenti. È stata nominata l’app più innovativa al mondo al Global World Congress di quest’anno, la migliore app africana nel 2016 ai premi Apps Africa e Corbyn Munnik, il suo ad e cofondatore, è stato inserito da Forbes nella lista dei 30 under 30 africani da tenere d’occhio.
Saudis forced out Hariri over refusal to tackle Hezbollah in Lebanon: Sources
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Sources close to the ‘resigned’ prime minister say the Saudis had been upset at Hariri stressing the need for entente with Hezbollah
Arabie saoudite: Saad Hariri en résidence surveillée à Riyad?
L’incertitude continue de planer sur la situation du Premier ministre libanais Saad Hariri, une semaine après sa démission surprise annoncée de Riyad. On commence à avoir plus d’informations sur les circonstances de l’arrivée de Saad Hariri en Arabie saoudite. Une convocation qui ressemble à un kidnapping.
Perché i giovani egiziani sono arrabbiati?
#WeWantToTalk: la nuova battaglia via rete dei giovani egiziani
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“Sono Gesù”: entra in Chiesa e distrugge la statua di Santa Rita
on è stato un estremista musulmano a distruggere – al grido di Allah Akbar – le statue sacre di Santa Maria del Popolo, chiesa ubicata nell’omonima …
Nature Based Solutions to Big Dams Can Help the Mesopotamian Region and the World
Bonn, Germany – 11 November 2017
During a session of the COP23 on “Managing water scarcity for agriculture”, the Save the Tigris campaign posed a question to Mr. Olcay Ünver, the Deputy Director of Land and Water Division, Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO): “Don’t you think that it’s time to state clearly that there is an urgent need to review water management policies in the Mesopotamian basin, particularly in relation to the building of big dams which have been proved to cause many serious problems for rivers systems, water resource sustainability, and climate change?”
Syria’s Decision to Sign the Paris Climate Agreement Is a Cynical Political Move
Syria surprised the world on Tuesday, November 7, when it announced during UN-led climate talks in Bonn, Germany that it would sign onto and uphold the Paris Climate Agreement. Led by former U.S. President Barack Obama, the Paris Climate Agreement was inaugurated in 2015 in order to reduce and restrict harmful emissions responsible for global climate change. Endorsed […]
Tragedies on the Mediterranean Highlight Dire Situation for Refugees and Migrants
On November 6, 2017, a dinghy set sail from Libya, carrying 140 refugees and migrants fleeing to Italy. Like many of the flimsy vessels making the dangerous journey to Europe, this one capsized thirty miles from the north of the Libyan capital, Tripoli, in international waters. As the vessel struggled, a Libyan coast guard boat […]
L’Arabia Saudita, il Sudan e la guerra nello Yemen
Il ruolo dell’Arabia Saudita nella guerra in Yemen e le sue responsabilità morali e umanitarie.
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Arabie saoudite: les autorités libanaises exigent le retour de Saad Hariri
Une semaine après sa démission surprise, samedi 4 novembre dernier, alors qu’il se trouvait à Riyad, en Arabie saoudite, le Premier ministre libanais n’est toujours pas rentré à Beyrouth. Dans son pays, les voix se font de plus en plus fortes au sein de la classe politique et de l’opinion publique pour qu’il revienne.
Allarme in mare
Proprio mentre a Delhi scoppiava l’emergenza per l’inquinamento dell’aria, Greenpeace pubblicava 16 immagini di un disastro del mare cui sta dedicando attenzione da mesi: l’invasione della plastica causata dallo sversamento negli Oceani – sotto diverse forme – di 12,7 milioni di tonnellate ogni anno. Dalla la marea di rifiuti che invade le coste delle filippine agli uccelli nel cui intestino vengono trovati sacchetti e tappi che li hanno soffocati sino a tartarughe deformate da involucri di plastica che ne hanno accerchiato l’addome appena nate, i fotogrammi di Greenpeace documentano l’impatto micidiale dell’attività umana. Ma c’è di peggio e sempre in mare.
In Indonesia, ad esempio, cui Al Jazeera (vedi il video qui sotto) dedicava ieri un reportage dal villaggio di Bahagia (che significa…felice) a Sumatra, uno dei tanti minacciati dal livello dei mare, l’innalzamento degli Oceani è un serio pericolo per un un Paese eminentemente insulare dove 42 milioni di abitazioni costiere corrono rischi enormi e non solo per la violenza di uno tsunami (come avvenne in modo gravissimo proprio a Sumatra nel dicembre del 2004). La storia non è nuova. Già due anni fa, nel dicembre del 2015, lo specialista per le politiche pubbliche del ministero indonesiano per la Marina e la Pesca, Achmad Purnomo, aveva lanciato l’allarme, ripreso dall’Agenzia nazionale di notizie Antara e dalla stampa locale. E quel dato, 42 milioni di abitazioni con l’aggiunta di 2mila isole, non è dunque una congettura di stampa ma la proiezione degli esperti del ministero. Con una data: 2050 per vedere sommerse migliaia di isole e la scomparsa di interi villaggi, molti dei quali sorgono su palafitte, le tradizionali rumah panggung.
Anche in questo caso, seppur in maniera indiretta, c’entra l’uomo. Gli esperti del ministero di Giacarta puntano il dito sui cambiamenti climatici che, non è una novità, stanno sciogliendo i ghiacciaia e facendo salire il livello delle acque. Il primissimo allarme fu lanciato per le Maldive, isole coralline che sfiorano la superficie marina. Ma 42 milioni di villaggi non sono uno scherzo: se nel piccolo arcipelago turistico vive poco meno di mezzo milione di abitanti, l’Indonesia di milioni di residenti ne conta 255, sparsi in gran parte sulle coste che si estendono per 80mila chilometri su circa 17mila isole.
Al ministero sono preoccupati perché il Paese non ha le risorse sufficienti (anche dal punto di vista della formazione dei quadri) per affrontare un’emergenza che, nel giro di meno di 35 anni, vedrà innalzarsi il livello delle acqua di 90 centimetri con effetti devastanti per molti villaggi costieri e per 2mila piccole isole a rischio di essere inghiottite dall’Oceano. Oltre a ciò, dicono al ministero, altri effetti del riscaldamento globale incidono sulle attività economiche di questi stessi villaggi: le sempre più incerte le stagioni della pesca e i cambiamenti negli schemi della migrazione ittica oltre a un crescente numero di pesci che sono stati uccisi dal fenomeno dello spiaggiamento: si arenano sulle spiagge dopo aver smarrito la via.
Gli indonesiani chiamano il loro Paese, il più vasto mondo insulare del pianeta proprietà di un singolo Stato, tanah air kita, la “nostra terra d’acque”. E in effetti di acqua ce n’è parecchia perché ufficialmente l’Indonesia si estende su un milione e 900mila kmq quadrati di suolo in gran parte circondato dal mare. Il fatto è che questo suolo è formato sia da grandi isole, sia da strisce di terra sino ad atolli che misurano solo qualche centinaio di metri quadri. Molte sono abitate e altre non conoscono l’intervento umano. Quante? Secondo una stima del 1969, il più vasto arcipelago del mondo ne conterebbe 17.508 ma è una stima appunto e non tutte le isole hanno uno status giuridico riconosciuto a livello internazionale. Di queste, inoltre, solo 13.466 hanno un nome. Adesso Giacarta si sta dando da fare per fare i conti definitivi sulla base di un criterio accettato in sede internazionale e sancito dalla Un Convention on the Law of the Sea, secondo la quale un’isola è una formazione naturale di territorio circondata dal mare e che non sparisce con l’alta marea. Se non sparirà per effetto dell’innalzamento delle acque.
Appello per Ahmadreza Djalali, ricercatore universitario a Novara, condannato a morte in Iran
“Facciamo appello a tutti coloro che ci possono ascoltare e aiutare a usare tutti i mezzi a disposizione per salvare la vita ad Ahmadreza Djalali”.
I giornalisti marocchini continuano a lottare per occuparsi del movimento Hirak, nonostante le intimidazioni statali
I giornalisti che si occupano delle proteste del movimento Hirak devono fronteggiare una miriade di limitazioni.
The “Syrianisation” of the world
In his book “The Impossible Revolution – Making Sense of the Syrian Tragedy”, Syrian dissident Yassin al-Haj Saleh chronicles the Syrian revolution and explains how it was destroyed. His analysis shows all too clearly how little the West knows about Syria to this day. By Emran Feroz
Final verdict issued to uphold activist Alaa Abd El Fattah’s 5-year prison sentence
Egypt’s Court of Cassation issued a final ruling on Wednesday to uphold political activist Alaa Abd El Fattah’s five-year prison sentence on charges related to protesting. However, the court commuted the mandate that the term be carried out in a maximum security prison to assign Abd El Fattah to a general population prison.
Abd El Fattah will also have to undergo five years of probation after his release, in addition to an LE100,000 fine, as was decided in the February 2015 criminal court sentence Abdel Fattah appealed.
Lawyer Mokhtar Mounir told Mada Masr that the penalty change basically means that Abd El Fattah would serve his sentence in a general population prison without the rigorous conditions of a hard-labor imprisonment.
Mounir also added that a one-year sentence in a general population prison is nine months, in comparison to 12 months in hard-labor, but added that this difference is usually disregarded in the cases of political prisoners, such as the 6 April Youth Movement’s Ahmed Maher and Mohamed Adel.
Lawyer Mahmoud Belal told Mada Masr that the penalty change will have no real implications, insisting that the ruling is tantamount to the court rejecting the appeal, as types of prisons in Egypt do not differ greatly.
Abd El Fattah’s appeal was originally set to be heard on October 19, but the judge in the Court of Cassation circuit presiding over the case recused himself, citing “discomfort,” which lawyers believe suggests an issue of impartiality.
In February 2015, Cairo Criminal Court sentenced Abd El Fattah and Ahmed Abdel Rahman to five years in prison for charges of protesting in front of the Shura Council, with an additional five years probation and a LE100,000 fine each. It also sentenced each of the remaining defendants to three years in prison, three years probation and a LE100,000 fine.
All 21 defendants in the Shura council case appealed the verdict, and were released pursuant to a presidential pardon, except Abd El Fattah.
Abd El Fattah is awaiting another verdict on December 30 for charges of insulting the judiciary, along with 24 other defendants, including former Islamist president Mohamed Morsi.
Islamophobia, 20 years later: How we can hope to defeat it
We wish for an end to the hurts and harms of Islamophobia, and to the demonising of others, writes Robin Richardson. We wish for a new us
The world-famous Louvre museum starts a lucrative new chapter in Abu Dhabi
In Abu Dhabi, it’s viewed as a status enhancer. In France, critics decry what they see as a beloved museum selling out to the highest bidder.
La battaglia navale tra le Ong e i libici
Rassegna stampa italiana ed estera del 10 novembre 2017
L’ Asia Centrale e la rivoluzione russa del 1917
La rivoluzione russa del 1917 ebbe in Asia Centrale effetti profondi, le cui conseguenze perdurano ancora oggi. Un periodo turbulento che ha sconvolto questa regione affascinante e complessa. Leggine su East Journal!
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Tunisia: il Parlamento cederà alla pressioni del sindacato di polizia?
Sadri Khiari Come è ormai consuetudine, ogni nuovo attentato diventa il pretesto per un nuovo giro di vite securitario. Lo stato d’emergenza e la legge anti-terrorismo ne costituiscono sicuramente il quadro generale. L’assassinio, il 1° novembre, di un graduato della polizia, il comandante Riadh Barrouta per mano di un presunto membro dell’Isis, ha dunque riportato all’ordine del giorno il progetto […]
“Borderlife” di Dorit Rabinyan
Dal blog Con altre parole d Beatrice Tauro
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Jerusalem Without God in NYC
Eravamo in centomila…
Eravamo in centomila, cantava Adriano Celentano nel 1967. Lui si riferiva allo stadio dove aveva visto una ragazza che gli piaceva. Ma questo è anche il bel ricordo dei generali della Nato e del Pentagono e, chissà, di Via XX Settembre. La voglia di stivali sul terreno cresce e la Nato annuncia che da 13.400 soldati passeremo a 14.400 circa. Che con i nuovi arrivi americani (3mila più 11mila già presenti) farà circa 30mila uomini. Non sono i quasi 150mila di una volta ma son pur sempre di più dei 15mila di qualche mese fa. Per fare che? La nebulosa dice che faremo assistenza tecnica ma questo termine vago preannuncia un lavoro in cui ci si sporcano le mani. Cambia la strategia però: bombe dal cielo, sempre di più, sempre più mirate (?), sempre più potenti, sempre meno segrete. Nell’indifferenza del mondo che guarda stupefatto ai deliri calcolati dei Kim, alla macelleria saudita, e all’America first di Trump – che si traduce in profitti per il comparto industrial militare – l’Afghanistan sta conoscendo una nuova escalation. In sordina. Ssssssssssssstttt. Che nessuno se ne accorga. Eravamo centomila e abbiam perso la guerra. Ci riproviamo in 30mila e poi vediamo.
Medfilm – Il festival del cinema mediterraneo
“Lo sgurado delle donne”, questo il titolo della XXIII edizione del Medfilm Festival, il primo evento in Italia dedicato alla promozione e diffusione del cinema mediterraneo. Appuntamento dal 10 al 18 novembre a Roma.
Identikit del Populismo
mcc43 -Il popolo è buono e onesto -Il popolo è stato tradito -Il leader carismatico restaurerà la sovranità popolare Fra gli intellettuali della Russia zarista nacque un movimento per riscattare il mondo contadino oppresso dalla burocrazia imperiale; da “narod”, popolo, assunse il nome di narodničestvo: populismo. La parola ha percorso una lunga strada, ha cambiato soggetti […]
Arabia Saudita: Mohamed Ben Salman cambia le regole del gioco e consolida il proprio potere nel Regno
La nomina di Al-Muqrin come capo delle milizie nazionali per rafforzare la regola tribale su cui si basa
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Chi sono i Rohingya?
Claudio Canal, un collega che collabora anche con il manifesto, ha scritto questo breve e documentato saggio che fa un po’ di chiarezza sulle origini di questa minoranza vessata. Si legge in fretta ed è chiaro e preciso. Con mappe che illustrano bene la storia di questa popolazione. Ne consiglio vivamente la lettura:
qui può essere sfogliata come un libretto
qui scorre come un pdf.
Il trono di spade in Arabia Saudita
Rassegna stampa italiana ed estera del 7 novembre 2017
Le dimissioni di Hariri e il golpe strisciante
Le dimissioni del primo ministro libanese hanno annunciato la sottomissione totale del Libano a Hezbollah, consegnando tutto il potere nelle mani del suo rivale iraniano.
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“Il libro di Dot” di Hisham Matar e altri libri per bambini di autori arabi
Lo scrittore anglo-libico Hisham Matar, Premio Pulitzer 2017, ha firmato un libro per bambini illustrato da Gianluca Buttolo: si intitola Il libro di Dot ed esce il prossimo 15 dicembre per l’editore Renoir Comics. Dot (“punto” in inglese) è un puntino che non si rassegna a fare solo il puntino: “Dot si stava chiedendo quale […]
Egitto – Scioperi della fame e morti nelle carceri egiziane
Sono centinaia i prigionieri delle diverse carceri egiziane che nel mese di ottobre hanno deciso di cominciare lo sciopero della fame a oltranza per denunciare la lunghezza dei tempi della detenzione preventiva e i diversi maltrattamenti di cui sono vittime. … Continue reading →
Libano: le dimissioni di Hariri annunciano una nuova guerra?
Dopo le dimissioni del premier libanese, Saad Hariri, si teme che il Libano possa ripresentarsi come l’arena del conflitto nella regione. E non mancano i presupposti di una nuova guerra.
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Mazen Kerbaj alla Libreria Griot di Roma
Sono lietissimissima di annunciarvi che questo giovedì, a partire dalle 18,30, la Libreria Griot (via di Santa Cecilia 1/A, Roma) ospita l’artista libanese Mazen Kerbaj, che verrà introdotto da Maria Camilla Brunetti, giornalista capo redattrice de Il Reportage, esperta di Libano e cultura libanese. Mazen Kerbaj (Beirut, 1975) è uno dei principali artisti libanesi contemporanei. […]
Save the date – Center for Middle Eastern Studies at Harvard
At the Center for Middle Eastern Studies at Harvard. Hosted by the wonderful Sara Roy From Ancient Gates to Postmodern Drawbridges: Exclusivity and Exclusion in Contemporary Jerusalem Date: Tuesday, November 7, 2017, 12:30pm to 2:30pm Location: CMES, R…
CfP BRISMES 2018: Southern-led Responses to Displacement in the MENA Region
Southern-led Responses to Displacement in the MENA Region The longstanding human displacement and forced migration flows in the Middle Eastern region have invited scholars and researchers to think in new ways about the collective and individual meanings of mobility, culture-oriented models of care, and the role of transnational and local networks in mobilising people, ideas […]
Dopo la Rivoluzione (d’ottobre)
C’era una volta la Rivoluzione d’Ottobre. E in occasione del centennale della rivoluzione russa, dal 7 al 10 novembre si terrà a Torino, nel Campus Luigi Einaudi, il convegno internazionale Dopo la Rivoluzione. Strategie di sopravvivenza in Russia dopo il 1917, organizzato dall’associazione Memorial Italia e dall’Università degli Studi di Torino
Il tema del Convegno*
La rivoluzione russa: difficile dire quando è iniziata, quando è finita, e di cosa si è trattato. Il centennale dell’ottobre 1917 diventa occasione per rileggere i fatti di allora rispettandone la complessità e per osservarli con punti di vista differenti. Crisi, rivoluzioni e controrivoluzioni, ritorno all’ordine, caos, fame e violenze si intrecciarono per un lungo periodo, quantomeno dalla prima guerra mondiale agli anni ’50. Proprio per discutere e riflettere su aspetti significativi di questo periodo storico, l’associazione Memorial, che in Russia opera per la difesa dei diritti, e l’Università degli Studi di Torino organizzano il convegno internazionale Dopo la rivoluzione. Strategie di sopravvivenza in Russia dopo il 1917 che si terrà a Torino, dal 7 al 10 novembre, nel Campus Luigi Einaudi. Non quindi una commemorazione, ma una riflessione con cent’anni di distacco dalla rivoluzione.
Il convegno è diviso in due parti. Nella prima si affrontano in modo del tutto innovativo gli eventi della rivoluzione; lo studio della guerra civile sul territorio dell’ex-Impero russo ci spiega quanto il paese fosse lontano dagli avvenimenti della rivoluzione: il partito, le discussioni rivoluzionarie, l’organizzazione politica operaia. Nelle periferie dell’Impero la rivoluzione arriva come crollo dello stato, bande armate, fame. La formazione dell’URSS poggia sulla riconquista militare del territorio, sull’imposizione di una dittatura militare-politica, sulla repressione di ogni istanza autonomista e di ogni richiesta di elezioni.
La seconda parte del convegno è dedicata alla sopravvivenza della cultura e al suo rapporto complesso con la rivoluzione. Interverranno studiosi italiani e stranieri, che esamineranno le conseguenze del 1917 da diversi punti di vista, complementari e variegati, a testimonianza della complessità e della varietà di suggestioni intellettuali e culturali del periodo.
Per approfondire questi temi e confrontarsi con studiosi italiani e stranieri appuntamento a Torino dal 7 al 10 novembre nel Campus Luigi Einaudi.
* Riproduco qui la scheda di invito
Avviso di reato
Fatou Bensouda. Sotto, Donald Trump |
«La situazione nella Repubblica Islamica d’Afghanistan è stata assegnata a una Camera preliminare della Corte Penale Internazionale (Icc) a seguito della mia decisione di chiedere l’autorizzazione ad avviare un’inchiesta sui reati che si suppone siano stati commessi in relazione al conflitto armato». La dichiarazione della procuratrice capo del Tribunale penale internazionale Fatou Bensouda rimbalza nelle agenzie di stampa nella notte di venerdi, giorno della partenza di Trump per il suo viaggio in Asia, il più lungo – recita la velina della Casa Bianca – che un presidente americano abbia fatto nell’ultima quarto di secolo. Ma Trump non andrà in Afghanistan e del resto la tegola era attesa da circa un anno: da quando, a metà novembre 2016, la giurista del Gambia a capo della Corte dal 2012, aveva annunciato nel suo Rapporto preliminare di attività (quel che in sostanza si intendeva fare) che il dito era puntato anche contro gli Stati Uniti per i quali c’erano «ragionevoli basi» per procedere contro soldati e agenti americani che in Afghanistan avrebbero commesso «torture» e altri «crimini di guerra». Con loro, sotto la lente, polizia e 007 afgani e parte dei talebani. Ma adesso il passo è diventato formale e dunque esecutivo, con una richiesta di autorizzazione a procedere per le accuse di crimini di guerra in Afghanistan dopo l’invasione guidata dagli Usa 17 anni fa.
L’indagine, col mandato alla procura di sentire testimoni, interrogare vittime, avere accesso a informazioni riservate (almeno in teoria anche perché né gli Usa né i talebani riconoscono l’autorità dell’Icc), riguarda le attività della Rete Haqqani (la componente più radicale del movimento talebano); la polizia e l’agenzia di intelligence di Kabul (Nds); militari e agenti americane. Il testo del rapporto preliminare diceva che l’indagine per crimini di guerra riguarda «tortura e relativi maltrattamenti da parte delle forze militari degli Stati Uniti schierate in Afghanistan e in centri di detenzione segreti gestiti dalla Cia, principalmente nel periodo 2003-2004, anche se presumibilmente sarebbero continuati, in alcuni casi, sino al 2014», in sostanza fino al passaggio di consegne agli afgani dei prigionieri detenuti nella base Usa di Bagram.
Se per i talebani (nella dichiarazione non si specifica se l’indagine riguarderà altre ali del
movimento diretto da mullah Akhundzada) le accuse di crimini di guerra non sono una novità, per Washington e Kabul la questione è seria, al netto della possibile collaborazione tra le due intelligence. Bensouda sostiene che durante gli interrogatori segreti, personale militare e agenti della Cia avrebbero fatto ricorso a tecniche ascrivibili a crimini di guerra: «tortura, trattamento crudele, mortificazione della dignità personale, stupro». Nello specifico si citavano i casi di 61 soldati che avrebbero praticato la tortura e altre violenze tra il maggio 2003 e il 31 dicembre 2004 e di membri della Cia che avrebbero sottoposto almeno 27 detenuti a torture, trattamenti crudeli, umiliazioni della dignità e/o violenza carnale, sia in Afghanistan sia in altri Paesi come Polonia, Romania e Lituania .
Il Nyt di ieri: 13 civili uccisi in un raid. Non si sa se gli “effetti collaterali” siano inclusi nelle indagini |
Probabilmente, nell’anno intercorso tra il rapporto preliminare e la richiesta formale di indagine, la procura deve averne esaminati assai di più e comunque già un anno fa si chiariva che i crimini presunti «non sono stati abusi di pochi individui isolati (ma)… commessi nell’ambito di tecniche d’interrogatorio approvate, nel tentativo di estrarre informazioni dai detenuti… (con) una base ragionevole per credere che questi presunti crimini siano stati commessi a sostegno di una politica o di politiche volte a ottenere informazioni attraverso l’uso di tecniche di interrogatorio che coinvolgono metodi crudeli…». Quanto a polizia e intelligence afgani, la tortura sarebbe un fatto sistematico: tra il 35 e il 50% dei detenuti vi sarebbero stati sottoposti.
Adesso la procura deve convincere i giudici della Camera preliminare della fondatezza delle accuse. Poi toccherà ai magistrati dare l’ultimo via libera che, considerata l’ampiezza delle prove raccolte in un arco di tempo sufficiente a non correre rischi, pare scontata. Una volta terminato l’iter, toccherà allora alla procuratrice formulare le accuse e chiamare alla sbarra i responsabili. Sarà quello il momento più difficile ma sembra ormai solo questione di tempo.
La Siria e la ricostruzione di una nazione
Quale approccio per la ricostruzione del paese?
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Viaggio d’affari nel Rakhine
Il viaggio è a sorpresa. Lo annuncia il portavoce del governo mentre Aung San Suu Kyi è già a Sittwe, capitale dello stato birmano del Rakhine; da lì si muoverà verso Maungdaw e Buthiduang. Il comunicato è scarno e anche la Nobel, al comando del nuovo Myanmar democratico, non fa grandi concessioni. Le cronache dicono che parla con qualche abitante dei villaggi e probabilmente vuole tentare di rilanciare il suo piano per far rientrare quei 600mila rohingya che da agosto sono fuggiti oltre confine. Come non è chiaro e comunque nessun accenno alle responsabilità dell’esodo forzato più massiccio della storia recente da un Paese in pace. Invita la gente a “non litigare” e a rivolgersi al governo se ci sono problemi. Più che altro sfodera il blando rimedio dello sviluppo. Con lei, su un elicottero militare, scrive la Bbc, ha preso posto infatti anche uno dei più ricchi imprenditori birmani. E’ un viaggio in un cono d’ombra: la sua visita nel Rakhine avviene mentre il Tribunale Permanente dei popoli ha emesso la sua sentenza su quanto avviene nel Paese. Il documento è un pesante atto d’accusa per due gruppi a rischio: i Kachin e i Rohingya. Ma se nel caso dei Kachin, dice la sentenza dei giudici della società civile, si rileva un intento genocidario, nel caso dei Rohingya la responsabilità di atti di genocidio è chiara. Fatti, non intenti.
E’ un verdetto di colpevolezza documentato e senza appello che inchioda il Myanmar come colpevole del crimine di genocidio avvertendo che, se nulla sarà fatto, il numero delle vittime (ancora incerto) non potrà che crescere. Il genocidio si può attuare in molte forme, che vengono elencate con precisione, e mira alla distruzione dell’identità di un popolo. Un popolo senza documenti e cittadinanza e il cui nome non si può nemmeno nominare in Myanmar: è accusato di non essere altro che il frutto di una lunga immigrazione clandestina. Lunedi prossimo, la Fondazione Basso presenterà e commenterà a Roma (Palazzo Giustiniani, Via della Dogana Vecchia 29 alle ore 17) il risultato del lavoro dei giudici che, riunitisi a Kuala Lumpur in settembre, hanno vagliato documenti e testimonianze e hanno preso una posizione chiara quanto per ora solitaria, nonostante le molte dichiarazioni di principio e le condanne (una situazione di “pulizia etnica da manuale” ha detto l’Onu).
Per ora le pressioni sul governo birmano sono relativamente poche e nei luoghi dove si decide – come il Consiglio di sicurezza dell’Onu – oltre alle prese di posizione e a qualche blanda misura, non si è andati. In un quadro che vede in difficoltà anche le agenzie umanitarie che non sempre hanno accesso alle zone dove si sono verificati – documenta il tribunale – stupri, incendi, esecuzioni. Anche la via di fuga è un problema: il Bangladesh, Paese già in difficoltà, non sa come far fronte all’esodo e vorrebbe anche rispedirli a casa, ma quale casa?
Il segretario dell’Onu Guteres. Sopra Aung San Suu Kyi. Al centro un manifesto storico del Tribunale dei popoli |
Il ritorno sembra impossibile. L’incontro promosso dalla Lega per la democrazia nei giorni scorsi – una preghiera interreligiosa di pace – non ha sollevato la questione rohingya è Suu Kyi gode di un enorme consenso che la giustifica. Tutti sanno per altro che le sue responsabilità sono relative e che il vero potere è saldamente in mano ai militari che devono averle concesso il contentino del viaggio. Quanto accade sul terreno però parla chiaro e riguarda, ancora una volta, la terra. Non dunque solo l’odio razziale o l’intolleranza religiosa. Da sabato i soldati hanno iniziato a supervisionare la raccolta del riso – dice la stampa locale – su un’area di circa 300 kmq dove viveva chi è fuggito. E non si tratta solo di qualche tonnellata di cereali: il ministro per lo Sviluppo sociale, soccorso e reinsediamento, Win Myat Aye, ha detto in settembre – riportava Simon Lewis di Reuters – che «Secondo la legge, la terra bruciata diventa terra gestita dal governo». Quindi vendibile e acquistabile. Terra bruciata appunto specie se il suo proprietario è all’estero.
Giulio Regeni: chi è Maha Abdelrahman, la tutor di Cambridge che seguiva le sue ricerche in Egitto
Una lunga esperienza di ricerca sul campo nell’ambito delle scienze politiche e della sociologia, numerose consulenze con prestigiose organizzazioni internazionali quali Oxfam e Unicef e una posizione da professore associato all’American University del Cairo, poi lasciata per l’Università di Cambridge. Maha Abdelrahman è un’accademica egiziana e vanta una carriera di lungo corso. Tuttavia, per le […]
L’articolo Giulio Regeni: chi è Maha Abdelrahman, la tutor di Cambridge che seguiva le sue ricerche in Egitto proviene da Il Fatto Quotidiano.
Cento anni di Balfour, dove e come è iniziato tutto
Il 2 novembre 1917, la Gran Bretagna si impegnava con il Congresso sionista mondiale a garantire l’esistenza di un “focolare nazionale ebraico” in Palestina. La decisione venne ufficializzata con la Dichiarazione di Balfour, dal nome dal conte Arthur J. Balfour,… Continue Reading →
Russia non raccontata: Putin e le milizie del Patriarca
mcc43 Putin e l’uso dei media Putin, Kiril I e gli Ortodossi Putin e Cattolicesimo, Islam, Testimoni di Geova – Putin e l’uso dei media Sappiamo tutto di Putin e della sua politica estera, poco di quello che accade dentro la Russia. E’ l’effetto di un meccanismo creato per distrarre la nostra attenzione. Quando, […]
Perché Al-Sisi ha sostituito il suo consuocero con un amico?
Il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi ha stupito il proprio consuocero Mahmoud Hegazy, Capo di Stato Maggiore dell’esercito egiziano fino allo scorso sabato, nominando al suo posto Mohamed Farid Hegazy, uno dei suoi amici più stretti.
L’articolo Perché Al-Sisi ha sostituito il suo consuocero con un amico? sembra essere il primo su Arabpress.
Documentario: Tra le rovine dell’industria del tè della Georgia sovietica
“Non c’era nemmeno un disoccupato a Laituri. Tutti lavoravano o nelle piantagione o nella fabbrica.”
Diario americano – Segnali sonori (globali)
Suoni globali, oppure segnali sonori globali. Bisognerebbe trovare un termine per quei suoni che, ovunque nel mondo, ci parlano un linguaggio familiare, e ci fanno sentire – allo stesso tempo – parte di un unico contesto. Se Marc Augé definisce nonluoghi i luoghi della globalizzazione, come definiamo i suoni? Soprattutto i suoni meriterebbero una riflessione,Continua a leggere
Perché gli USA stanno celebrando un wrestler iraniano socialista?
“Takhti rappresentava un comportamento morale, una tradizione, un universo di valori con antiche e intense origini e in grande contraddizione con lo status quo”.