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La fotografia di una folla infinita che si accalca per ricevere gli aiuti alimentari forniti dalla UNRWA nel campo dei profughi palestinesi di Yarmuk ha fatto il giro del mondo.Il campo è lì, a pochi chilometri dal centro di Damasco, dal …
La fotografia di una folla infinita che si accalca per ricevere gli aiuti alimentari forniti dalla UNRWA nel campo dei profughi palestinesi di Yarmuk ha fatto il giro del mondo.Il campo è lì, a pochi chilometri dal centro di Damasco, dal …
La fotografia di una folla infinita che si accalca per ricevere gli aiuti alimentari forniti dalla UNRWA nel campo dei profughi palestinesi di Yarmuk ha fatto il giro del mondo.Il campo è lì, a pochi chilometri dal centro di Damasco, dal …
La fotografia di una folla infinita che si accalca per ricevere gli aiuti alimentari forniti dalla UNRWA nel campo dei profughi palestinesi di Yarmuk ha fatto il giro del mondo.Il campo è lì, a pochi chilometri dal centro di Damasco, dal …
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L’annuncio è arrivato oggi dal Primo Ministro, Hazem Beblawy, alla tv di stato. Il governo egiziano ha presentato le dimissioni al presidente Adly Mansour. La decisione è arrivata dopo una riunione del gabinetto questa mattina durata appena 15 minuti. “Presentiamo le nostre dimissioni perché la prima fase della transizione democratica dopo la deposizione di Morsi […]
L’articolo Egitto, premier annuncia in tv le dimissioni del governo: “Missione compiuta” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’annuncio è arrivato oggi dal Primo Ministro, Hazem Beblawy, alla tv di stato. Il governo egiziano ha presentato le dimissioni al presidente Adly Mansour. La decisione è arrivata dopo una riunione del gabinetto questa mattina durata appena 15 minuti. “Presentiamo le nostre dimissioni perché la prima fase della transizione democratica dopo la deposizione di Morsi […]
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Nella foto, scattata in Libia e reperita su Facebook, un “tuareg” mostra di “riconoscersi” in una Volkswagen Touareg.Siamo al centro di un incontro di immaginari di cui a molti sfuggirà il contorno.Una casa automobilistica tedesca intitola una s…
Nella foto, scattata in Libia e reperita su Facebook, un “tuareg” mostra di “riconoscersi” in una Volkswagen Touareg.Siamo al centro di un incontro di immaginari di cui a molti sfuggirà il contorno.Una casa automobilistica tedesca intitola una s…
Nella foto, scattata in Libia e reperita su Facebook, un “tuareg” mostra di “riconoscersi” in una Volkswagen Touareg.Siamo al centro di un incontro di immaginari di cui a molti sfuggirà il contorno.Una casa automobilistica tedesca intitola una s…
Nella foto, scattata in Libia e reperita su Facebook, un “tuareg” mostra di “riconoscersi” in una Volkswagen Touareg.Siamo al centro di un incontro di immaginari di cui a molti sfuggirà il contorno.Una casa automobilistica tedesca intitola una s…
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Nella foto, scattata in Libia e reperita su Facebook, un “tuareg” mostra di “riconoscersi” in una Volkswagen Touareg.Siamo al centro di un incontro di immaginari di cui a molti sfuggirà il contorno.Una casa automobilistica tedesca intitola una s…
Nella foto, scattata in Libia e reperita su Facebook, un “tuareg” mostra di “riconoscersi” in una Volkswagen Touareg.Siamo al centro di un incontro di immaginari di cui a molti sfuggirà il contorno.Una casa automobilistica tedesca intitola una s…
I nostri corsi prevedono ora un livello in più! Il corso di arabo avanzato è strutturato sulle esigenze dei singoli partecipanti. Gli interessati possono avere un colloquio gratuito con l’insegnante per valutare insieme le diverse conoscenze: alla fine sarà elaborato un programma che tiene conto della preparazione di ogni singolo studente, senza tralasciare nulla: grammatica, […]
I nostri corsi prevedono ora un livello in più! Il corso di arabo avanzato è strutturato sulle esigenze dei singoli partecipanti. Gli interessati possono avere un colloquio gratuito con l’insegnante per valutare insieme le diverse conoscenze: alla fine sarà elaborato un programma che tiene conto della preparazione di ogni singolo studente, senza tralasciare nulla: grammatica, […]
I nostri corsi prevedono ora un livello in più! Il corso di arabo avanzato è strutturato sulle esigenze dei singoli partecipanti. Gli interessati possono avere un colloquio gratuito con l’insegnante per valutare insieme le diverse conoscenze: alla fine sarà elaborato un programma che tiene conto della preparazione di ogni singolo studente, senza tralasciare nulla: grammatica, […]
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Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
Come per ogni […]
Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
Come per ogni […]
Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
Come per ogni […]
Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
Come per ogni […]
Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
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Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
Come per ogni […]
Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
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Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
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Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
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Tutto si può dire degli italiani tranne che non abbiano una chiara propensione alla teologia. Dopo un ineffabile “unto del Signore” siamo oggi alla “matteologia”. Non che le affinità attengano al solo aspetto teologale, ma questo la dice lunga su quanto l’attesa messianica sia ancora e sempre un passo avanti alla politica.
Come per ogni […]
Jacopo Granci, per OsservatorioIraq ha realizzato un reportage sulle vie dello zafferano in Marocco.
Nel sud del paese, incastonati sui fianchi del monte Sirwa, i contadini si dedicano da tempo immemore alla coltivazione dello zafferano. Spezia pregiata, oggi ambita sui mercati europei, difficilmente assicura – però – una vita decorosa a chi continua a tramandare una tradizione ancestrale. Reportage.
La statale n. 10 è un serpente sinuoso che si lascia alle spalle le spiagge affollate di Agadir per addentrarsi nella piana rurale del Souss. Oltrepassate le serre e le distese di agrumeti che circondano Taroudant, un tempo capitale spirituale della regione ed ora opaca cornice ai magnati dell’agrobusiness, la lingua d’asfalto piega verso nord-est, quasi ad appoggiarsi sulle aspre pendici dell’Alto Atlante che restringono progressivamente la vallata.
A dominare il paesaggio ormai brullo, tra posti di blocco della polizia e camion stracarichi che sfrecciano ben oltre la velocità consentita, sono gli arbusti nodosi di argan e i greggi di capre ammassati ai lati della strada. Tronchi bassi, rami spinosi, che con il loro cappello verde assomigliano a creature di una galassia lontana.
L’argan in effetti è un albero “magico” nella mitologia berbera, presente nelle saghe popolari e venerato da alcuni culti preislamici per la sua capacità di resistere alla siccità. La sua presenza continua ad essere preziosa, oggi, grazie all’uso alimentare e cosmetico che viene fatto dei suoi frutti, sempre più richiesto nei mercati europei.
Dopo le dighe di Aoulouz e il guado su quel che resta del fiume Souss, fertile emissario ridotto ad un letto arido e sassoso, lo scenario cambia. Il serpente prende quota, si inerpica e abbandona la lunga pianura. L’argan, affiancato da mandorli, eucalipti e sporadici fichi d’india, accompagna il sentiero fino all’oasi pedemontana di Taliouine.
Poi si ferma.
I resti dell’imponente agadir (silos) in pietra che sovrasta il villaggio sembrano tracciare un confine immaginario e invalicabile. A Taliouine, infatti, si cambia terroir. Qui inizia il regno dello zafferano.
Spezia pregiata, conosciuta fin dall’antichità in tutto il bacino del Mediterraneo e in terra indo-persiana, lozaʻfrān (termine che nella lingua locale richiama la parola “giallo”, come il colore sprigionato dai carpelli del suo fiore) ha scelto questo luogo impervio e di difficile accesso per prosperare e legarsi alle tradizioni di una popolazione che da secoli lo coltiva e ne trae benefici. O almeno così dovrebbe.
QUALCOSA CHE STONA
Il Marocco è uno dei maggiori produttori mondiali assieme all’Iran, l’India, la Grecia e la Spagna. Si narra che proprio le truppe arabo-berbere, con la conquista dell’Andalusia, abbiano esportato questa coltura sul suolo iberico. Leggende posticce aggiungono che perfino alcune stanze dell’Alhambra sarebbero state decorate con una tintura ricavata dai pistilli vermiglio originari del sud del Marocco.
Epopee a parte, con le sue 3 tonnellate annue il regno maghrebino rimane lontano dalla performance iraniana – che da sola copre circa l’80% del mercato internazionale – ma può fare affidamento sull’ottima qualità del prodotto, certificata da istanze indipendenti (tra cui Slow Food Italia) che non esitano a compararlo al tanto stimato zafferano del Kashmir.
L’aumento della produzione e una più accurata strategia di marketing, come il rilascio di marchi registrati, sono tra le priorità dichiarate dal governo di Rabat per lo sviluppo del settore, votato essenzialmente all’esportazione (98%). Anche l’allestimento di un Festival in loco dedicato “all’oro rosso” rientra tra gli impulsi statali alla visibilità del terroir.
Siamo ad inizio novembre e a Taliouine è il momento della raccolta degli stimmi. Dopo il periodo estivo di stasi vegetativa, i bulbi hanno ormai ripreso l’attività e per alcune settimane offrono i loro delicati fiori violetti, prima di rientrare nel letargo invernale e poi passare alla fase riproduttiva, in primavera.
E’ anche il momento tanto atteso del Festival dello zaʻfrān e il paese è montato a festa tra bandiere nazionali, tendoni espositivi, turisti curiosi e visite delle autorità. Ma nel corredo da parata c’è qualcosa che stona. Dello zafferano, all’interno della fiera, quasi non c’è traccia e ancor meno dei contadini che lo producono.
Perché? Dove sono? “Più su, oltre Taliouine. Le coltivazioni iniziano sopra i mille metri d’altitudine. Sui fianchi del monte Sirwa ci sono i fellah e le piantagioni”, riferisce un funzionario comunale. Dietro la vetrina luccicante si profila una realtà meno idilliaca.
LO ZAFFERANO NON BASTA
I primi sprazzi di luce fendono il terreno rossastro mentre una brezza rigida, dal sapore notturno, spazza l’altopiano. Tre ragazze – dorsi chini, corpi piegati a compasso – si muovono con fare esperto tra i solchi, ancora umidi di rugiada, dove spuntano i germogli color malva.
“Bisogna cogliere i boccioli all’alba, prima che si schiudano e che i raggi del sole corrompano le proprietà degli stimmi” spiega Lahcen – il padre – mostrando i fiori già raccolti nella sua sacca di juta. Per ottenere 1 kg di spezia pura, considerando la mondatura e l’essiccamento dei pistilli, ne servono circa 230 mila. La metà del suo raccolto stagionale.
Un ettaro di terreno, in condizioni di buona irrigazione, può arrivare ad offrire quasi 8 kg di zafferano. Ma le dimensioni medie degli appezzamenti sono abbondantemente inferiori. Spesso le terre sono di proprietà collettiva e vengono ripartite tra le famiglie della comunità.
Lahcen si ritiene abbastanza fortunato: ha una parcella di mezzo ettaro, una parte riservata ai bulbi e l’altra coltivata a cereali. “In ogni caso lo zafferano – da solo – non basta per sopravvivere. Qui i prezzi non sono come in Europa.. Tutti cercano di portare avanti altre attività: sempre in ambito agricolo, se la pioggia ci assiste, oppure piccoli allevamenti”.
Già, a quale prezzo i contadini marocchini vendono il loro “oro rosso”? “Dipende dai periodi, generalmente tra i 15 e i 18 dirham al grammo [1,4 – 1,7 euro]” risponde il fellah. Un decimo del costo nel mercato italiano.
Sono le 6 e mezza e a Tassousfi, villaggio di qualche centinaia di anime cresciuto attorno ad un anticomarabut (santuario), il bagliore del giorno comincia ad accendere i colori del paesaggio. Un acquarello. Sotto l’azzurro del cielo, le vette aguzze e nere dell’Alto Atlante intersecano i rilievi più dolci e giallastri dell’Anti Atlante. Punto di incontro tra le due catene è il massiccio vulcanico del Sirwa, la vera patria dello zafferano e dei suoi custodi, la tribù berbera dei Souktana, di cui Lahcen rivendica con fierezza l’appartenenza.
Le sue figlie, intanto, hanno terminato la prima parte del lavoro e radunano i fiori in attesa di estrarne gli stimmi. È arrivato il momento del the, insaporito – come da tradizione – con la spezia locale. “Il vero zaʻfrānha un retrogusto amaro – commenta il contadino con aria disillusa – come la vita che si fa da queste parti. In molti hanno deciso di partire. Anche mio figlio. Ora è in Belgio, ha un impiego fisso e di tanto in tanto ci manda dei soldi”.
IL GOVERNO FA PROMESSE..
Non è un caso che la regione di Taliouine abbia conosciuto nei decenni scorsi un esodo rurale massiccio, tra i più elevati del regno. Se il tasso di crescita nazionale si è attestato attorno al 4%, stando almeno alle cifre diffuse dall’Ocp (l’Istat locale), nel territorio di Souktana difficilmente ha sfiorato l’1%. Un dato che trova conferma nell’indice di povertà, bloccato al 34%, ossia il triplo della media del paese. Anche le infrastrutture di base, ad esempio acqua potabile ed elettricità, sono arrivate solo di recente, spesso grazie a progetti di cooperazione.
In alcuni dei douar più remoti della zona la popolazione è ancora oggi composta quasi esclusivamente da donne, che rivestono il ruolo di capofamiglia e rappresentano la principale forza-lavoro. La raccolta dello zafferano non fa eccezione.
Ad Ait Issa, qualche chilometro dopo Tassousfi, i campi che circondano il caseggiato sono presi a carico da una neo-nata associazione femminile. “Il governo fa promesse ma non ci aiuta. A parte la fornitura gratuita dei bulbi non abbiamo visto niente” assicura Malika, autoproclamatasi portavoce del gruppo.
“Il piano ministeriale per lo sviluppo della filiera prevede la presa a carico dell’approvvigionamento idrico, ma qui hanno mandato dei privati per scavare il pozzo che ora si rifanno sulle utenze” rincalza Hassan, il marito di Malika. “L’acqua la paghiamo 30 dirham l’ora, perché abbiamo la terra vicino alle pompe, altrimenti il prezzo è più alto e le prospettive di guadagno si riducono”.
Allineate una a fianco all’altra, con i loro cestini e le mani basse a sfiorare il terreno, le donne avanzano in sincronia intonando canti propiziatori. A circondarle, un manto color ruggine punteggiato di gemme violacee.
Nonostante la fatica e le incertezze della situazione, il tempo del raccolto è vissuto come un periodo lieto, una celebrazione collettiva che ancora riesce ad unire le comunità e i villaggi arroccati sul monte Sirwa. I vestiti delle contadine sono curati, i foulard rifiniti e in armonia con le tonalità dell’ambiente.
“In passato il pigmento di zaʻfrān era sempre presente nel nostro quotidiano. Veniva utilizzato per decorare gli abiti, ornava il volto e il corpo delle spose per proteggerle dai jnoun [gli spiriti malvagi] e ci si coloravano perfino i tappeti intrecciati a mano”, racconta Malika. “Ora non possiamo più permettercelo, le quotazioni sul mercato sono alte e la spezia non può essere sprecata, anche se a noi viene pagata una miseria”.
Arrivate all’ultimo solco le donne interrompono la sinfonia, radunano i fiori e si spostano vociando verso un appezzamento poco distante. “Andiamo a dare una mano ai vicini” butta lì la contadina mentre si affretta per raggiungere le altre. La solidarietà, almeno quella, non è ancora diventata un valore di mercato.
GLI INTERMEDIARI
L’ascesa del Sirwa continua e, tornante dopo tornante, le perplessità faticano a trovare una spiegazione. Lo zafferano di Taliouine se ne va quasi tutto all’estero, dove il suo prezzo è almeno dieci se non venti volte maggiore di quello percepito dai fellah. Chi approfitta di questo rincaro?
“Gli intermediari, i grossisti delle grandi città che inviano qui i loro emissari. Si tratta di un’entità grigia di cui si fatica a tracciare i contorni”, risponde sicuro Haj Khemiss, ex funzionario riconvertito all’economia solidale. “Il problema più grande è la carenza di canali di vendita ufficiali, che possano assicurare un prezzo equo ai produttori. Alcune organizzazioni di fair trade si stanno interessando alla nostra regione, ma le quantità che trattano sono irrisorie come pure i proventi che arrivano dai circuiti del turismo sostenibile”.
E lo Stato in tutto questo? “Si sta muovendo, senza particolare successo. Le certificazioni di qualità sono costose e facilmente raggirabili finché il prodotto continua a passare nelle mani dei mediatori”.
Anche le cooperative, a cui sono destinati gli incentivi (bulbi, imballaggi..), hanno poca presa sul mercato e i contadini che ne fanno parte – stando alle testimonianze ricevute – sono comunque costretti ad affidare la gran parte del raccolto all’economia informale, che specula sul loro isolamento. “Per uscire da questo far west ci vorrebbe una politica di sostegno pubblico sul prezzo della materia grezza – commenta Haj Khemiss – Solo pochi dirham al grammo, centesimi di euro, quassù farebbero la differenza”.
L’EMARGINAZIONE AUMENTA L’IMPOTENZA
Il sole ha compiuto la sua volta e va ad infilarsi lentamente dietro al costone di roccia su cui si intravedono terrazzamenti e piccole porte ben sistemate, quasi a proteggere l’accesso all’intimità della montagna. Sono le grotte che danno riparo ai pastori in transumanza.
Immersi nel silenzio, alcuni scoiattoli di Berberia – sopravvissuti al bracconaggio che ne ha falcidiato la popolazione – sembrano rincorrere gli ultimi riflessi di luce e con essi il tepore della giornata che se ne sta andando. Poco distante una costruzione secolare, cesellata sulla pietra della parete, osserva prudente la borgata spenta che sorge ai suoi piedi.
A prima vista si direbbe un castello, il rimando è fiabesco. In realtà si tratta di un ighrem, un deposito fortificato con cui gli abitanti del posto proteggevano i loro beni – bestiame e vettovaglie – in caso di pericolo. Il villaggio sottostante, invece, si chiama Ifri, parola che in berbero significa appunto “roccia”. E la sua quotidianità, per quanto autentica e sotto certi aspetti eroica, ha ben poco della favola incantata.
A questa altitudine infatti le porzioni di superficie coltivabile si riducono a minuscoli fazzoletti, intervallati da qualche albero da frutto. I bambini, numerosi, hanno interrotto la scuola e aiutano i genitori nei campi e nelle incombenze domestiche.
Sono loro, ciabatte ai piedi e mani sporche di terra, a fare il quadro della situazione. Ogni famiglia, alla fine della stagione, ricava dallo zafferano al massimo 3 mila dirham (meno di 300 euro), a cui vanno sottratte le spese ordinarie: irrigazione, trasporto e la decima per la moschea e l’imam.
Anche qui le pompe per il pozzo ce le hanno portate i privati, mentre l’acqua potabile non è ancora arrivata. Gli stimmi vengono raccolti tutti assieme e poi venduti al suk settimanale di Taliouine, a 12 dh il grammo. E’ il prezzo più basso. Il riscontro, inequivocabile: più cresce il livello di emarginazione, più aumenta l’impotenza nella contrattazione. E la voglia di lasciar perdere, di tentare altre strade.
Eppure gli abitanti di Ifri, come le altre diecimila anime che compongono i resti della tribù Souktana, sono legati dal doppio filo della storia alla coltivazione del tubero e all’utilizzo dei suoi pistilli. Amuleto contro il malocchio, ma anche infuso dalle apprezzabili proprietà curative.
Un’anziana donna racconta che lo zaʻfrān veniva correntemente impiegato per lenire i dolori dell’influenza, del parto e dello sviluppo della dentatura. “Era anche applicato sulle cicatrici dei neo-circoncisi e poteva servire da antidoto a certi veleni animali. Ancora oggi lascio da parte qualche fiore, per ogni evenienza. L’ospedale più vicino è a più di cento chilometri e da queste parti i dispensari dei villaggi non abbondano certo di medicine”.
L’oscurità ha ormai avvolto completamente il paesello. Più a valle le luci della sera restano dei puntini sbiaditi, lontani. Non ci sono musiche né danze a disturbare la quiete di Ifri. Il festival, quassù, non è arrivato e la gente non ha nessuna intenzione di scendere a Taliouine.
“Servono i soldi per lo spostamento, se considero tutta la famiglia è quasi una giornata di lavoro”, ammette sconsolato Ahmed, che precisa: “se penso poi alle migliaia di dirham spese per organizzare l’evento, che porta al massimo qualche decina di turisti, mi sale la rabbia. Il festival non è per noi, ma per tutti quelli che continuano a sfruttare le nostre risorse”. Non ha tutti i torti, Ahmed. Dire che i contadini del Sirwa non traggono i benefici sperati dell’oro rosso che da tempo immemore maneggiano con esperienza è uno stridente eufemismo.
Il nostro viaggio sulle tracce dello zafferano marocchino prosegue… clicca qui per vedere la fotogallery.
14 Febbraio 2014
di:
Jacopo Granci (testo e foto) da Rabat
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L’opinione degli analisti sulla bomba esplosa in un autobus di turisti questo pomeriggio a Taba sembra unanime: si tratta di un punto di svolta per le azioni terroristiche che stanno colpendo l’Egitto dalla deposizione del presidente islamista Mohammed Morsi, avvenuta lo scorso 3 luglio. Infatti, dall’inizio della repressione da parte dei militari contro i Fratelli […]
L’articolo Egitto, torna violenza contro i turisti stranieri. Ma i tour operator sono ottimisti proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’opinione degli analisti sulla bomba esplosa in un autobus di turisti questo pomeriggio a Taba sembra unanime: si tratta di un punto di svolta per le azioni terroristiche che stanno colpendo l’Egitto dalla deposizione del presidente islamista Mohammed Morsi, avvenuta lo scorso 3 luglio. Infatti, dall’inizio della repressione da parte dei militari contro i Fratelli […]
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Il 13 marzo in 11 città italiane si svolgerà un reading collettivo delle poesie del poeta palestinese Mahmoud Darwish per sensibilizzare il pubblico italiano sulla “scomparsa” dei libri di poesie di Darwish dagli scaffali delle librerie italiane (ma per fortuna non da quelli delle biblioteche) da quando la principale casa editrice che li pubblicava, la […]
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
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Mehdi Joma’a, primo ministro tunisino |
In seguito alle dimissioni del premier islamista Ali Laryaedh, il presidente della repubblica tunisina Moncef Marzouki incarica l’ex ministro dell’industria Mehdi Joma’a di formare un governo tecnico non eletto dal popolo. E mentre le emittenti tunisine festeggiano la nuova costituzione tunisina e il nuovo governo tecnico, il governatore della banca centrale della Tunisia, Chadli Ayari, annuncia che il Fondo monetario internazionale ha appena sbloccato 506 milioni di dollari di prestiti al paese magrebino attraversato da una grave crisi politico-finanziaria. Ma vediamo qual’è stato il ruolo del Fondo Monetario Internazionale nella politica economica del piccolo paese nordafricano. Vi riportiamo un articolo dell’economista canadese Michel Chossudovsky.
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Michel Chossudovsky |
Il generale Zine el Abidine Ben Ali, l’ex presidente deposto della Tunisia è definito dai media occidentali, in coro, come un dittatore.
Il movimento di protesta tunisino è descritto distrattamente come l’effetto di un regime antidemocratico e autoritario, che sfida le norme della “comunità internazionale”.
Ma Ben Ali non era un “dittatore”. I dittatori decidono e comandano. Ben Ali era un servo degli interessi economici occidentali, un fedele burattino politico che obbediva agli ordini, con il sostegno attivo della comunità internazionale.
L’ingerenza straniera negli affari interni della Tunisia non è menzionata nei report dei media. Gli aumenti dei prezzi alimentari non erano “imposti” dal governo di Ben Ali. Erano imposti da Wall Street e dal FMI.
Il ruolo del governo di Ben Ali è stato di far rispettare la micidiale ricetta economica del FMI, che in un periodo di oltre 20 anni ha portato al risultato di destabilizzare l’economia nazionale e impoverire la popolazione tunisina.
Ben Ali come capo di stato non ha deciso nulla di sostanziale. La sovranità nazionale era già perduta. Nel 1987, al culmine della crisi del debito, il governo di sinistra di Habib Bourguiba è stato sostituito da un nuovo regime, fortemente impegnato sulle riforme del “libero mercato”.La gestione macroeconomica sotto la guida del FMI era oramai nelle mani dei creditori esteri della Tunisia. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Washington Consensus”.
Ben Ali rimase al potere, perché il suo governo obbediva ed attuava in maniera efficace il diktat del FMI, al servizio sia degli USA che della Unione europea.
Questo modello è stato seguito in numerosi paesi.
La continuità delle micidiali riforme del FMI richiede una “sostituzione” del regime. L’instaurazione di un burattino politico assicura l’attuazione del programma neoliberista, creando le condizioni per l’eventuale destituzione di un governo corrotto e impopolare che venga rappresentato come causa dell’impoverimento di un’intera popolazione.
Il movimento di protesta.
Non sono Wall Street e le istituzioni finanziarie internazionali con sede a Washington, ad essere il bersaglio diretto del movimento di protesta. L’esplosione sociale si è rivolta contro il governo piuttosto che contro l’ingerenza delle potenze straniere nella conduzione della politica di governo.
Dall’inizio, le proteste non sono partite da un movimento politico organizzato contro l’imposizione delle riforme neoliberiste.
Inoltre, vi sono indicazioni che il movimento di protesta sia stato manipolato al fine di creare il caos sociale, e insieme garantire la continuità politica. Ci sono rapporti non confermati di atti di repressione e di intimidazione da parte di milizie armate nelle principali aree urbane.
La questione importante è come si evolverà la crisi? Come sarà affrontato dal popolo tunisino il più grave problema dell’ingerenza straniera?
Dal punto di vista di Washington e Bruxelles, il regime autoritario impopolare è aspramente criticato allo scopo di sostituirlo con un nuovo governo fantoccio. Le elezioni sono previste sotto la supervisione della cosiddetta comunità internazionale, con i candidati pre-selezionati.
Se questo processo di cambiamento di regime viene effettuato per conto degli interessi stranieri, il nuovo governo dovrà senza dubbio garantire la continuità della politica neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione tunisina.
Il governo ad interim guidato dal presidente incaricato Fouad Mebazza è attualmente in una situazione di stallo, con una feroce opposizione proveniente dal movimento sindacale (UGTT). Mebazza ha promesso di “rompere con il passato”, senza peraltro precisare se ciò significhi l’abrogazione delle riforme economiche neoliberiste.
Cenni storici.
I media in coro hanno presentato la crisi in Tunisia come una questione di politica interna, senza una visione storica. La presunzione è che con la rimozione del “dittatore”e la instaurazione di un governo regolarmente eletto, la crisi sociale finirà per essere risolta.
La prima “rivolta del pane” in Tunisia risale al 1984. Il movimento di protesta del gennaio 1984 è stato motivato da un aumento del 100 per cento del prezzo del pane. Questo rincaro era stato chiesto dal FMI nel quadro del programma di aggiustamento strutturale (SAP) della Tunisia. L’eliminazione dei sussidi alimentari era di fatto una condizione del contratto di prestito con il FMI.
Il Presidente Habib Bourguiba, che aveva svolto un ruolo storico nella liberazione del suo paese dal colonialismo francese, dichiarò lo stato di emergenza in risposta ai disordini:
«Mentre risuonavano gli spari, le truppe della polizia e dell’esercito in jeep e blindati occupavano la città per sedare la “rivolta del pane”. La dimostrazione di forza infine produsse una calma inquieta, ma solo dopo che più di 50 manifestanti e passanti erano stati uccisi. Poi, in una drammatica trasmissione radiotelevisiva di cinque minuti, Bourguiba annunciò che avrebbe riportato indietro l’aumento dei prezzi». (Tunisia: Bourguiba Lets Them Eat Bread – TIME, gennaio 1984)
In seguito alla ritrattazione del presidente Bourguiba, l’impennata del prezzo del pane fu invertita. Bourguiba licenziò il suo ministro degli Interni e rifiutò di rispettare le richieste del Washington Consensus.
L’agenda neoliberista comunque aveva sortito i suoi effetti, portando all’inflazione galoppante e alla disoccupazione di massa. Tre anni dopo, Bourguiba e il suo governo furono rimossi in un colpo di stato incruento “per motivi di incompetenza”, portando all’insediamento del presidente generale Zine el Abidine Ben Ali nel novembre 1987. Questo colpo di Stato non era diretto contro Bourguiba, era destinato a smantellare in modo permanente la struttura politica nazionalista inizialmente istituita a metà degli anni ’50, per poter così privatizzare i beni dello Stato.
Il colpo di stato militare, non solo segnò la fine del nazionalismo post-coloniale che era stato guidato da Bourguiba, ma contribuì anche a indebolire il ruolo della Francia. Il governo di Ben Ali era allineato a Washington piuttosto che a Parigi.
Pochi mesi dopo l’insediamento di Ben Ali’ a presidente del paese, venne firmato un accordo importante con il FMI. Fu raggiunto anche un accordo con Bruxelles sull’istituzione di un regime di libero scambio con l’UE. Un ampio programma di privatizzazioni fu messo sotto il controllo della Banca Mondiale e del FMI. Con paghe orarie dell’ordine di 0.75 euro all’ora, la Tunisia diventò inoltre una sacca di manodopera a buon mercato per l’Unione Europea.
Chi è il dittatore?
Una revisione dei documenti del FMI suggerisce che dall’instaurazione di Ben Ali nel 1987 ad oggi, il suo governo si era attenuto fedelmente alle condizioni del FMI- Banca mondiale, compreso il licenziamento dei lavoratori del settore pubblico, l’eliminazione dei controlli sui prezzi dei beni di consumo essenziali e l’attuazione di un ampio programma di privatizzazioni. La sospensione delle barriere commerciali ordinata dalla banca mondiale portò ad un’ondata di fallimenti.
A seguito di queste dislocazioni dell’economia nazionale, le rimesse degli operai tunisini dall’Unione Europea divennero una fonte sempre più importante di valuta estera. Ci sono circa 650.000 tunisini che vivono oltremare. Le rimesse totali degli emigranti nel 2010 sono state dell’ordine di 1,96 miliardi di dollari, in aumento del 57 per cento rispetto al 2003. Una grande parte di queste rimesse in valuta sono usate per servire il debito estero del paese.
L’aumento speculativo nei prezzi mondiali degli alimenti
Nel settembre 2010, è stata raggiunta un’intesa fra Tunisi ed il FMI, che raccomandava la rimozione delle ultime sovvenzioni come mezzo per realizzare l’equilibrio fiscale:
«Il rigore fiscale rimane una priorità assoluta per le autorità [tunisine], che sentono l’esigenza nel 2010 di continuare con una politica fiscale rigorosa nel contesto internazionale corrente. Gli sforzi sostenuti nell’ultima decade per abbassare il livello del debito pubblico non dovrebbero essere compromessi da una politica fiscale troppo lassista. Le autorità sono impegnate a controllare saldamente le spese correnti, comprese le sovvenzioni…»
http://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2010/cr10282.pdf
Vale la pena notare che l’insistenza del FMI sull’austerità fiscale e la rimozione delle sovvenzioni hanno coinciso cronologicamente con un nuovo aumento nei prezzi degli alimenti sui mercati di Londra, di New York e di Chicago. Questi aumenti dei prezzi sono in gran parte il risultato di operazioni speculative da parte di importanti interessi finanziari e corporativi del settore dell’agribusiness. Sono il risultato di un’autentica manipolazione (non di penuria), e hanno impoverito la gente a livello globale. La corsa nei prezzi degli alimenti costituisce una nuova fase del processo dell’impoverimento globale.
«I media hanno fuorviato l’opinione pubblica sulle cause di questi aumenti dei prezzi, fissando l’attenzione quasi esclusivamente sugli aumenti dei costi di produzione, il clima ed altri fattori che riducono l’offerta e che potrebbero contribuire ad accrescere il prezzo degli alimenti.
Anche se questi fattori possono entrare in gioco, sono di importanza limitata nella spiegazione dell’aumento impressionante e drammatico nei prezzi dei beni. Essi sono in gran parte il risultato di manipolazioni del mercato. Sono in gran parte attribuibili alle operazioni speculative sui mercati delle merci. I prezzi del grano sono stati amplificati artificialmente da speculazioni su grande scala nei mercati a termine di Chicago e di New York. …
La speculazione sul grano, il riso o il mais, si può fare senza nessuno scambio reale di merci. Le istituzioni che speculano nel mercato del grano non sono necessariamente coinvolte nella vendita o nella reale consegna del grano.
Le transazioni possono usare i fondi indicizzati sulle materie prime che sono scommesse sul movimento rialzista o ribassista dei prezzi dei beni. Una “put option” è una scommessa sul ribasso del prezzo, una “call option” è una scommessa sul rialzo. Con manipolazioni concordate, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie possono far salire il prezzo e quindi scommettere su un movimento rialzista di una materia prima in particolare.
La speculazione genera la volatilità del mercato. A sua volta, l’instabilità che ne risulta incoraggia l’ ulteriore attività speculativa.
I profitti sono realizzati quando il prezzo sale. Per contro, se lo speculatore gioca al ribasso, vendendo sull mercato, guadagnerà quando il prezzo sprofonda.
Questo recente rialzo speculativo nei prezzi degli alimenti è stato causa di una carestia su scala mondiale senza precedenti». (Michel Chossudovsky)
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8877)
Dal 2006 al 2008, c’è stato un drammatico rialzo nei prezzi di tutte le importanti materie prime alimentari, compreso riso, grano e mais. Il prezzo del riso è triplicato nell’arco di cinque anni, da circa 600 $ la tonnellata nel 2003 a più di 1800 $ la tonnellata nel maggio 2008. (Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9191 , per ulteriori particolari, si veda Michel Chossudovsky, ( http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=20425 )
Il recente rialzo nel prezzo del grano rientra in un aumento del 32 per cento dell’ indice composito dei prezzi degli alimenti della FAO registrato nella seconda metà del 2010.
«I prezzi in ascesa dello zucchero, del grano e dei semi oleosi hanno portato a un record nei prezzi mondiali degli alimenti a dicembre, superando i livelli del 2008 quando il costo del cibo ha fatto scoppiare tumulti nel mondo e lanciare avvertimenti sui prezzi entrati in “zona pericolosa”.
Un indice mensile delle Nazioni Unite a dicembre superava il picco mensile precedente – del giugno 2008 – per raggiungere il livello più elevato dal 1990. Pubblicato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma (la FAO), l’indice riporta i prezzi di un paniere di cereali, semi oleosi, latticini, carne e zucchero, aumentato per sei mesi consecutivi». (The Guardian, 5 gennaio 2011)
Amara ironia: in un contesto di aumento dei prezzi degli alimenti, il FMI suggerisce la rimozione delle sovvenzioni allo scopo di raggiungere l’obiettivo dell’ austerità fiscale.
Manipolazione dei dati su povertà e disoccupazione
Un’atmosfera di disperazione sociale prevale, le vite della gente sono distrutte. Mentre il movimento di protesta in Tunisia è visibilmente il risultato diretto di un impoverimento totale, la banca mondiale sostiene che i livelli di povertà sono stati ridotti dalle riforme di liberalizzazione del mercato adottate dal governo del Ben Ali.
Secondo il rapporto sul paese della Banca Mondiale, il governo tunisino (con il supporto delle istituzioni di Bretton Woods) è stato fondamentale nel ridurre i livelli di povertà al 7 per cento (inferiore sostanzialmente a quello registrato negli Stati Uniti e nell’UE):
«La Tunisia ha realizzato notevoli progressi nell’equità dello sviluppo, nel combattere la povertà e nel raggiungimento di buoni indicatori sociali. Ha riportato un tasso di crescita medio del 5 per cento in questi ultimi 20 anni, con un aumento constante nel reddito pro capite e un aumento corrispondente nel benessere della popolazione che registra un livello di povertà del 7%, fra i più bassi nella regione.
L’aumento constante nel reddito pro capite è stato il motore principale per la riduzione della povertà. … Le strade nelle aree rurali sono state particolarmente importanti nell’aiutare i poveri di queste aree a collegarsi ai mercati ed ai servizi urbani. I programmi sulle abitazioni hanno migliorato il livello di vita dei poveri ed inoltre hanno reso disponibile il reddito risparmiato per la spesa in alimenti e articoli non-alimentari, con impatti positivi di attenuazione della povertà. I sussidi alimentari, destinati ai poveri, anche se non in maniera ottimale, hanno tuttavia aiutato i poveri urbani». (Banca mondiale – Tunisia – Country Brief)
Queste stime sulla povertà, senza accennare ad alcuna “analisi” economica e sociale, sono autentiche montature. Presentano il libero mercato come il motore di un’attenuazione della povertà. L’impalcatura analitica della Banca Mondiale è usata per giustificare un processo di “repressione” economica che è stato applicato universalmente in più di 150 paesi in via di sviluppo.
Con il 7 per cento della popolazione che vive nella povertà (come suggerito dalla “stima” della banca mondiale) e il 93 per cento della popolazione coi bisogni fondamentali soddisfatti in termini di alimenti, abitazione, salute e formazione, non ci sarebbe stata crisi sociale in Tunisia.
La Banca Mondiale è attivamente impegnata nella manipolazione dei dati e nella distorsione della difficile situazione sociale della popolazione tunisina.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è al 14 per cento, ma il livello reale di disoccupazione è molto più alto. La disoccupazione giovanile registrata è dell’ordine del 30 per cento. I Servizi Sociali, compreso la sanità e la formazione sono sprofondate nell’urto delle misure di austerità economica della Banca Mondiale e del FMI .
Più in generale, «la dura realtà economica e sociale che sta alla base dell’intervento del FMI consiste nei prezzi degli alimenti in ascesa, carestie a livello locale, licenziamenti massicci degli operai urbani e degli impiegati pubblici, e distruzione dei programmi sociali. Il potere di acquisto interno è sprofondato, ospedali e scuole sono stati chiusi, a centinaia di milioni di bambini è stato negato il diritto all’istruzione primaria»
Di Michel Chossudovsky
Permettere ai Fratelli musulmani di contribuire alla nascita di una grande moschea a Milano è pura scelleratezza. Ciò che la giunta Pisapia confonde con un atto libertario è infatti la negazione di quel principio di relativismo che contraddistingue la sinistra europea dal suo nascere. È sul crinale fra tolleranza e intransigenza che si fonda lo […]
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L’Istituto di ricerca sul Maghreb contemporaneo (IRMC) è un centro di ricerca di scienze sociali con sede a Tunisi. Recentemente ha pubblicato uno studio sui modelli di sviluppo e di riposizionamento delle imprese italiane in Tunisia. Seguono tre quesiti che chiariscono meglio la situazione socio-economica attuale.
Perchè la Tunisia è attraente per gli investitori italiani ?
La presenza di imprenditori italiani in Tunisia risale agli anni 1980. La legge 72 supporta l’apertura del paese verso l’investimento straniero favorendo in modo particolare le imprese off-shore che possono beneficiare di un esonero dalle imposizioni fiscali per 10 anni.
La presenza di piccole e medie imprese locali del settore tessile e dell’abbigliamento da più di 30 anni fa della Tunisia un paese attrattivo con una manodopera a basso costo.
Le imprese italiane del tessile scelgono le loro sedi secondo una logica di prossimità (logistica: hangar, aeroporto, porto, rete stradale efficiente) e la qualità della vita (cioè vivere secondo uno standard occidentale). Queste aziende sono localizzate sulla costa (Grand Tunis e Sfax) come gli impianti dell’industria tunisina con una concentrazione rilevante a Monastir, per la presenza storica di Benetton e nel Cap Bon per la presenza di un ricco tessuto di imprese del settore (Lainati, 2002).
La piattaforma produttiva è tra i sistemi i sistemi industriali il più diffuso nel settore tessile. Si tratta di una forma di organizzazione produttiva che struttura la produzione in rete. Le differenti fasi della produzione sono condivise tra più imprese esterne. Questa rete è dinamica grazie alla presenza di subappaltanti flessibili selezionati in basa a: specializzazione tecnica, il tipo di comanda, il periodo di produzione (periodo di calo e di pieno) e la fiducia stabilita nel tempo.
In cosa la rivoluzione ha influenzato la strategia imprenditoriale italiana del settore tessile-abbigliamento?
Il14 gennaio 2011 è stato un momento di rottura, ma le grandi imprese italiane restano in Tunisia perchè il paese continua ad offrire, per il momento, dei vantaggi nella produzione : manodopera a basso costo e agevolazioni fiscali. Inoltre le grandi marche del tessile possono contare su altri siti di produzione, ad esempio il Marocco dove possono orientare le comande nel caso di problemi con le imprese tunisine.
La situazione delle piccole e medie imprese è varia. Alcuni continuano la loro produzione in Tunisia, restando comunque vigilanti sulle condizioni locali e mondiali; altri sono rientrati in Italia per riorganizzare la loro attività produttiva in altri paesi come la Romania, la Serbia e la Macedonia. Altri ancora sono falliti o hanno chiuso la loro attività per beneficiare nuovamente dei 10 anni di esonero dalle imposte. Nonostante alcuni problemi iniziali la situazione si è stabilizzata qualche mese dopo la Rivoluzione.
I cambiamenti più importanti si sono rilevati a livello di relazioni di lavoro all’interno della azienda, con un aumento di rivendicazioni da parte degli operai che ha messo in crisi la posizione di potere incondizionato dell’imprenditore straniero. Ovunque si sono verificati degli scioperi, vietati prima della Rivoluzione. Queste rivendicazioni hanno portato ad un aumento dei salari, domande di titolarizzazione ed ad una accrescimento della stabilità di lavoro in azienda.
Il potere degli imprenditori verso gli operari è ugualmente diminuito per la diminuzione della manodopera. Questa penuria è dovuta all’emigrazione dei giovani all’estero o nelle grandi città. Questo implica un forte turn-over e il “furto” degli operai specializzati da parte di altri imprenditori.
A livello di relazioni tra le differenti imprese vi è anche una crescente precarietà e dei ritardi nei pagamenti. Queste difficoltà hanno indebolito le relazioni di fiducia tra imprenditori che hanno reagito diversificando la loro produzione, aprendo più filiere alla volta e accettando anche piccole comande che prima preferivano rifiutare. E’ una strategia per diminuire il rischio di insolvenza nei pagamenti. Queste reazioni hanno permesso l’ispessimento della rete locale perché la prossimità garantisce una migliore possibilità di controllo sul lavoro degli altri.
« Made in Italy » o « Made in Europe ? »
Con l’ingresso della Romania nell’UE nel 2008 e l’aumento dei costi di produzione, il flusso di produzione tessile italiano, sviluppato lungo la frontiera europea (Scroccaro, 2012), si dirige verso la riva Sud del Mediterraneo (Alaimo, Pasquato, 2008). Queste reti e il flusso tra le rive Nord e Sud del Mediterraneo fanno emergere spazi economici circolari (Tarrius, 1993 ; Peraldi, 2005).
Questi spazi circolari sono alimentati dalle reti e dai flussi transmediterranei di materie prime e di prodotti, di capitali, di tecnologie, di competenze e di risorse umane (circolazione e trasferimento di tecnici). L’emergere di queste reti trans mediterranee e dunque di spazi circolari può essere ben illustrato dall’impresa Modin che abbiamo incontrato a Cap Bon e la cui produzione è divisa tra Italia,Tunisia e Romania.
Questa “triangolazione” della produzione fa ormai emergere delle piattaforme produttive e logistiche che collegano l’ovest dell’Europa, i PECO (Paesi dell’Europa Centro-Orientale) e il Maghreb. Queste nuove reti trans mediterranee di produzione rispondono ai cambiamenti dell’economia mondiale, dei modi di produzione (dalla concezione del prodotto alla logistica) e del consumo (sempre più stagionale e “just in time”).
La produzione « made in Italy » è allora esplosa ed è stata reinventata dalla rottura del legame diretto tra prodotto e luogo di produzione, perché ormai si passerà finalmente dal « Made in Italy » al « Made in Europe », come sottolineava l’imprenditore di Modin per indicare l’importanza di produrre in uno spazio di prossimità con l’UE.
Traduzione dal francese di Valentina Arnò
Fonte: Angela Alaimo, Michele Coletto, Alessandra Scroccaro, « Modèle de développement et dynamique de redéploiement des entreprises italiennes dans la Tunisie post-Ben Ali », Le Carnet de l’IRMC, http://irmc.hypotheses.org/1368
(articolo pubblicato su Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
(articolo pubblicato su Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
(articolo pubblicato su Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)