Mese: luglio 2014

“Paolo, sei vivo?”

Drammatico appello della famiglia Dall’Oglio a un anno dal sequestro: “vorremmo riabbracciarti, ma siamo pronti anche a piangerti.”

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

L’esercito d’Israele si permette di parlare di welfare a Gaza

L’ufficio stampa dell’Israel Defence Forces lavora h24. Fa un lavoro particolare, insieme ai grafici che producono il materiale da far circolare sui social network: come lavoro ci prende tutti spudoratamente per il culo. Già avevo pubblicato un’immagine da loro prodotta che spiegava con quanta precisione colpivano strutture civili (tra cui anche un parchetto giochi) perché […]

A che serve al-Baghdadi?

Nessuno ha risposte precise, ma dietro al-Baghdadi si vedono sia piani di intelligence sia i prodotti di tre anni di barbarie. E’ tardi per porvi rimedio?

A che serve al-Baghdadi?

Nessuno ha risposte precise, ma dietro al-Baghdadi si vedono sia piani di intelligence sia i prodotti di tre anni di barbarie. E’ tardi per porvi rimedio?

A che serve al-Baghdadi?

Nessuno ha risposte precise, ma dietro al-Baghdadi si vedono sia piani di intelligence sia i prodotti di tre anni di barbarie. E’ tardi per porvi rimedio?

A che serve al-Baghdadi?

Nessuno ha risposte precise, ma dietro al-Baghdadi si vedono sia piani di intelligence sia i prodotti di tre anni di barbarie. E’ tardi per porvi rimedio?

A che serve al-Baghdadi?

Nessuno ha risposte precise, ma dietro al-Baghdadi si vedono sia piani di intelligence sia i prodotti di tre anni di barbarie. E’ tardi per porvi rimedio?

A che serve al-Baghdadi?

Nessuno ha risposte precise, ma dietro al-Baghdadi si vedono sia piani di intelligence sia i prodotti di tre anni di barbarie. E’ tardi per porvi rimedio?

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Gaza: provate un secondo ad immaginare…

Immaginate di non poter più portare i vostri figli a scuola, perchè nelle aule ci dormite in centinaia, ammassati l’uno sull’altro. Immaginate di non riconoscere più il pianto di vostro figlio, perchè nei rifugi (che parola errata!) si è accatastati e il terrore si stratifica e perde i lineamenti dei visi per diventare un unico […]

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Assassinati o morti? L’importanza delle parole sotto le bombe a Gaza

Una semplice banale questione di linguaggio: che però fa bene tener presente. Leggere “morto” o “assassinato” fa la sua differenza, lo fa in spagnolo, lo fa in qualunque altra lingua. Il lessico, le parole scelte, hanno creato sempre un grande spartiacqua nel conflitto israelo-palestinese, che chiamerei più “occupazione israeliana”. Perchè già la parola conflitto la […]

Medio Oriente: scenari da incubo

Più di dieci milioni di profughi nella sola area siro-irachena. Mossul senza un cristiano, mai accaduto da 2mila anni. Si prepara così l’assurda Yalta mediorientale?

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

i 4 bimbi di Gaza e le immagini chiare della verità

La verità è una. E’ palese, è agghiacciante ed ha un colpevole. Ben visibile, ben noto. Tutto il resto son chiacchiere, vergognose chiacchiere. Ahed .. Ismael .. Mohammad e Moatasem Baker: quattro dolci vite polverizzate da un missile dell’aviazione israeliana mentre giocavano a calcio, nella spiaggia del più grande lager della storia dell’uomo. Ora non […]

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas

Le trattative tra Hamas e Israele passano ancora una volta per il Cairo. Il governo egiziano, messo da parte il silenzio dei primi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti e il categorico no all’apertura del valico di Rafah, mercoledì scorso ha deciso di tornare sui suoi passi: il valico è stato aperto, i primi feriti sono […]

L’articolo Israele, Al Sisi propone la pace sulle orme di Mubarak e sfida l’odio di Hamas proviene da Il Fatto Quotidiano.

Come rinasce l’impero persiano

Il Levante oggi ricorda l’Europa degli Unni e dei Visigoti. Ma dietro questa straziante devastazione c’e’ una sola regia: quella che riporterà in vita l’impero persiano.

Come rinasce l’impero persiano

Il Levante oggi ricorda l’Europa degli Unni e dei Visigoti. Ma dietro questa straziante devastazione c’e’ una sola regia: quella che riporterà in vita l’impero persiano.

Come rinasce l’impero persiano

Il Levante oggi ricorda l’Europa degli Unni e dei Visigoti. Ma dietro questa straziante devastazione c’e’ una sola regia: quella che riporterà in vita l’impero persiano.

Come rinasce l’impero persiano

Il Levante oggi ricorda l’Europa degli Unni e dei Visigoti. Ma dietro questa straziante devastazione c’e’ una sola regia: quella che riporterà in vita l’impero persiano.

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Battendo le mani alle bombe su Gaza: la vergogna sionista

Questa foto parla da sola e racconta tutto quello che in questi giorni di attacco su Gaza avrei voluto scrivere, senza averne modo alcuno. Senza vergogna, con la faccia tosta di sentirsi anche sotto assedio, loro che hanno reinventato la parola assedio. Quelli che vedete son cittadini israeliani di Sderot, una delle città che dovrebbe […]

Libyan graffiti

Se le banche internazionali tolgono le tende e gli investimenti latitano è segno che il futuro del Paese è ancora più nero di quello che sembra

Libyan graffiti

Ghaddafi-Street-Art-2

Se le banche internazionali tolgono le tende e gli investimenti latitano è segno che il futuro del Paese è ancora più nero di quello che sembra

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio


Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi.

Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione di una bambina bergamasca. “La responsabilità è delle autorità di Trebbiano”, dice il governo bergamasco, senza però fornire alcuna prova. La popolazione di Trebbiano chiama il mondo ma nessuno sembra sentire le loro grida di disperazione.

La terribile situazione che vive oggi la popolazione di Trebbiano Serio è iniziata qualche mese fa. Una ragazza di 13 anni è stata rapita all’uscita di una palestra a Bergamo. Tutta la popolazione della città si è subito mobilitata per cercarla. Durante le ricerche nei comuni e frazioni della provincia varie case furono saccheggiate e incendiate, altre sono state distrutte, alcuni ragazzi, che hanno lanciato pietre contro le ruspe che distruggevano le loro case, sono stati freddamente abbattuti dai soldati che hanno preso parte alle ricerche. “Normale -ha detto il sindaco di Bergamo- noi sappiamo che quello che ha rapito la ragazza è uno di loro. Uno della campagna. E dobbiamo fare il necessario per ritrovarla.”

Qualche tempo dopo, il corpo della ragazza fu trovato senza vita in un campo. Da tutte le parti del mondo arrivarono, giustamente, le condoglianze per la morte atroce della ragazzina. Peccato che nessuno ha detto una singola parola per ricordare la decina di ragazzini, anche loro innocenti, freddati dai soldati, e nemmeno una protesta per il centinaio di altri minorenni e adulti arrestati arbitrariamente, torturati e umiliati. Nulla.

Il sindaco promise alla gente di Bergamo una vendetta terribile. “Noi abbiamo la cultura della vita e loro la cultura della morte”- gridò, poco prima di mandare l’aviazione a bombardare varie piccole località della campagna bergamasca.

Oggi la situazione è completamente degenerata. Dopo l’annuncio dell’identificazione dei colpevoli -senza dire chi sarebbero esattamente e senza fornire uno straccio di prova- lo stato si è accanito sulla località di Trebbiano Serio con bombardamenti a tappeto e uccisioni mirate di alcuni suoi responsabili. Le autorità di Trebbiano, per disperazione, hanno cominciato a sparare alcuni colpi in direzione di Bergamo, con vecchi mortai, trovati in una vecchia caserma in disuso. I colpi non sono molto precisi e la maggior parte del tempo cadono in mezzo ai campi. Ma la stampa internazionale trova più degna di notizia l’immagine delle signore di Bergamo che scappano verso i rifugi di quelle di qualche decina di cittadini di Trebbiano dilaniati dalle bombe. Bisogna fare qualcosa per fermare questo scempio.

“Falso e assurdo”, mi direte. Ebbene: falso, lo è, ma non assurdo. Per niente!

Quello che racconto qui si sta svolgendo in questo momento stesso. Solo che i nomi dei luoghi cambiano. Metti Tel Aviv al posto di Bergamo e Gaza al posto di Trebbiano Serio (che non esiste). Metti 3 ragazzi israeliani invece di una ragazza bergamasca e la storia diventa di tristissima attualità.

Perché ciò che è assurdo nel resto del mondo non lo è in Palestina/Israele. Ciò che è criminale se fatto da uno stato qualsiasi a qualsiasi popolo, non lo è se a fare è lo stato di Israele e a subire è il popolo palestinese.

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio


Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi.

Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione di una bambina bergamasca. “La responsabilità è delle autorità di Trebbiano”, dice il governo bergamasco, senza però fornire alcuna prova. La popolazione di Trebbiano chiama il mondo ma nessuno sembra sentire le loro grida di disperazione.

La terribile situazione che vive oggi la popolazione di Trebbiano Serio è iniziata qualche mese fa. Una ragazza di 13 anni è stata rapita all’uscita di una palestra a Bergamo. Tutta la popolazione della città si è subito mobilitata per cercarla. Durante le ricerche nei comuni e frazioni della provincia varie case furono saccheggiate e incendiate, altre sono state distrutte, alcuni ragazzi, che hanno lanciato pietre contro le ruspe che distruggevano le loro case, sono stati freddamente abbattuti dai soldati che hanno preso parte alle ricerche. “Normale -ha detto il sindaco di Bergamo- noi sappiamo che quello che ha rapito la ragazza è uno di loro. Uno della campagna. E dobbiamo fare il necessario per ritrovarla.”

Qualche tempo dopo, il corpo della ragazza fu trovato senza vita in un campo. Da tutte le parti del mondo arrivarono, giustamente, le condoglianze per la morte atroce della ragazzina. Peccato che nessuno ha detto una singola parola per ricordare la decina di ragazzini, anche loro innocenti, freddati dai soldati, e nemmeno una protesta per il centinaio di altri minorenni e adulti arrestati arbitrariamente, torturati e umiliati. Nulla.

Il sindaco promise alla gente di Bergamo una vendetta terribile. “Noi abbiamo la cultura della vita e loro la cultura della morte”- gridò, poco prima di mandare l’aviazione a bombardare varie piccole località della campagna bergamasca.

Oggi la situazione è completamente degenerata. Dopo l’annuncio dell’identificazione dei colpevoli -senza dire chi sarebbero esattamente e senza fornire uno straccio di prova- lo stato si è accanito sulla località di Trebbiano Serio con bombardamenti a tappeto e uccisioni mirate di alcuni suoi responsabili. Le autorità di Trebbiano, per disperazione, hanno cominciato a sparare alcuni colpi in direzione di Bergamo, con vecchi mortai, trovati in una vecchia caserma in disuso. I colpi non sono molto precisi e la maggior parte del tempo cadono in mezzo ai campi. Ma la stampa internazionale trova più degna di notizia l’immagine delle signore di Bergamo che scappano verso i rifugi di quelle di qualche decina di cittadini di Trebbiano dilaniati dalle bombe. Bisogna fare qualcosa per fermare questo scempio.

“Falso e assurdo”, mi direte. Ebbene: falso, lo è, ma non assurdo. Per niente!

Quello che racconto qui si sta svolgendo in questo momento stesso. Solo che i nomi dei luoghi cambiano. Metti Tel Aviv al posto di Bergamo e Gaza al posto di Trebbiano Serio (che non esiste). Metti 3 ragazzi israeliani invece di una ragazza bergamasca e la storia diventa di tristissima attualità.

Perché ciò che è assurdo nel resto del mondo non lo è in Palestina/Israele. Ciò che è criminale se fatto da uno stato qualsiasi a qualsiasi popolo, non lo è se a fare è lo stato di Israele e a subire è il popolo palestinese.

L’errore di Saviano

La recensione di Saviano di un libro sulla Siria indica il più grande successo del regime: l’aver reso tutti uguali, vittima e carnefice.

La crisi in Iraq

Siria e Iraq: due entità prossime alla disgregazione, preda di devastanti guerre interne fra gruppi che si fronteggiano sotto opposte bandiere religiose che in realtà rappresentano interessi politici ed economici precisi. Su tutti pare primeggiare il neonato gruppo jihadista dapprima denominatosi Stato Islamico per l’Iraq e la Siria (ISIS) ma che ora, visto il suo […]

La crisi in Iraq

Siria e Iraq: due entità prossime alla disgregazione, preda di devastanti guerre interne fra gruppi che si fronteggiano sotto opposte bandiere religiose che in realtà rappresentano interessi politici ed economici precisi. Su tutti pare primeggiare il neonato gruppo jihadista dapprima denominatosi Stato Islamico per l’Iraq e la Siria (ISIS) ma che ora, visto il suo […]

La crisi in Iraq

Siria e Iraq: due entità prossime alla disgregazione, preda di devastanti guerre interne fra gruppi che si fronteggiano sotto opposte bandiere religiose che in realtà rappresentano interessi politici ed economici precisi. Su tutti pare primeggiare il neonato gruppo jihadista dapprima denominatosi Stato Islamico per l’Iraq e la Siria (ISIS) ma che ora, visto il suo […]