Giorno: 24 luglio 2014

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.