Giorno: 5 gennaio 2016

Iran: svelata una nuova base sotterranea di missili

(Agenzie). In un momento di alta tensione nella regione, l’Iran ha deciso di svelare una nuova base missilistica sotterranea tramite immagini trasmesse dalla televisione di Stato Irib. La base contiene missili con una portata di 1700 chilometri. Nelle immagini, si vede il presidente del Parlamento Ali Larijani mentre visita la base in cui sono depositati vari tipi di attrezzi, […]

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Afghanistan: ucciso soldato Usa

(Agenzie).  Un soldato statunitense ucciso e due feriti a Marjah, nella provincia di Helmand, Afghanistan. Secondo la network americana Nbc, fonti ufficiali hanno confermato che delle forze speciali erano impegnate in operazioni antiterrorismo e sono finite in un’imboscata. I talebani hanno recentemente guadagnato posizioni in quest’area a sud del Paese. Nella mattina di martedì un ordigno è esploso a Jalalabad, […]

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Iran: Khamenei fa appello a “unità dei gruppi etnici” in Afghanistan

(Agenzie). La Guida suprema iraniana, Ayatollah Ali Khamenei, ha incontrato nella mattina di martedì il CEO afghano Abdullah Abdullah. Il leader ha dichiarato nell’incontro che l’Iran vede “nella sicurezza, nella pace e nel progresso dell’Afghanistan anche la propria sicurezza e progresso”. Khamenei ha fatto appello all’ “unità dei gruppi etnici” in Afghanistan come soluzione ai problemi del Paese, […]

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Ripristino delle relazioni tra Turchia e Arabia Saudita

Di Mustafa al-Libad. As-Safir (04/01/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio. La visita della scorsa settimana del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, nel regno saudita ha annunciato l’istituzione di un “Consiglio di Cooperazione Strategica” tra i due Paesi al fine di ampliare la cooperazione militare, di investimenti ed economica tra la Turchia e l’Arabia Saudita. Essa […]

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L’Iran e la rivoluzione (islamica)

Per ricordare a tutti che la retorica della rivoluzione islamica è uno dei pilastri della propaganda iraniana consustanziale alla nascita dell’Iran contemporaneo. Nei primi giorni della rivolta in Tunisia, nel […]

Arabia Saudita-Iran: Teheran sospende il pellegrinaggio alla Mecca

(Agenzie). Le autorità iraniane hanno deciso di sospendere l’Umra’, il pellegrinaggio minore , finché Riyadh non garantirà migliori condizioni di sicurezza rispetto a quanto avvenuto lo scorso settembre alla Mecca. Lo ha annunciato martedì il portavoce del governo Mohammad Bagher Nobakht.

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Arabia Saudita-Iran: Kuwait richiama ambasciatore a Teheran

(Agenzie). Dopo gli Emirati, anche il Kuwait ha annunciato di aver richiamato il suo ambasciatore in Iran, schierandosi così a favore dell’Arabia Saudita. In risposta all’esecuzione dello sceicco sciita Nimr al-Nimr e altri 46 presunti terroristi, a Teheran sabato è stata saccheggiata e data alle fiamme l’Ambasciata saudita. L’Arabia Saudita ha interrotto i rapporti diplomatici con l’Iran […]

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Leggere il Corano in ebraico

Di Jacky Hugi. Al-Monitor (29/12/2015). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello. Una nuova versione del Corano in ebraico, il cui titolo è “Il Corano in altre parole”, è stata appena aggiunta alla librerie israeliane, portando il numero totale di traduzioni in ebraico a cinque. A differenza delle precedenti quattro traduzioni, a cui avevano lavorato degli […]

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Marocco: almeno 3 subsahariani morti al confine con Ceuta

(Agenzie). Un gruppo di oltre 200 migranti africani ha cercato di scavalcare il confine verso il territorio europeo lunedì all’alba. Sembra che nessuno di loro sia riuscito ad oltrepassare la recinzione ultra-sicura della città autonoma spagnola di Ceuta, un’enclave che si trova in Marocco. Almeno 3 di loro sono morti nell’assalto, secondo i dati provvisori dell’ONG spagnola Caminando Fronteras. Si […]

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Arabia Saudita: continua tensione con l’Iran

(Agenzie). Alta tensione tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Dopo la rottura diplomatica tra i due paesi,  i principali alleati di Riyadh hanno risposto all’assalto all’ambasciata saudita a Teheran tagliando o riducendo le relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica. L’Arabia Saudita ha sospeso tutti i voli da e verso l’Iran, mentre il ministro degli Esteri Adel […]

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Egitto: ripristinate le relazioni diplomatiche con Israele

(Agenzie). Egitto e Israele hanno ripristinato le relazioni diplomatiche dopo tre anni di interruzione. Il ministero degli Esteri israeliano ha comunicato che Hazem Hairat, Ambasciatore d’Egitto in Israele, è tornato venerdì a Tel Aviv. “L’arrivo dell’ambasciatore egiziano aiuterà ulteriormente le relazioni tra i due paesi”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. L’amministrazione del presidente Mohammed Morsi, […]

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SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

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SIRIA: BASTA BOMBE!

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SIRIA: BASTA BOMBE!

Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, centinaia di migliaia di donne e uomini sono stati arrestati, […]

Arabia Saudita: l’imam Nimr al-Nimr non sarà l’ultima vittima

Di Nasri Al-Sayegh. As-Safir (04/01/2016). Traduzione e sintesi di Federico Seibusi. L’imam Nimr al-Nimr non è la prima vittima di un’ingiustizia e di certo non sarà l’ultima. La corte dei diritti saudita ha negato la sua innocenza e l’attuazione della pena è un atto di brutalità. Il regno saudita vive nel timore ed è prodigo […]

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Status pena di morte: mantenitori

Articolo di Silvia Di Cesare Quarantasette persone sono state decapitate lo scorso 2 gennaio in Arabia Saudita con l’accusa di aver progettato o eseguito attacchi terroristici contro i civili. Tra i 47 condannati vi era anche l’Imam sciita Nimr al-Nimr, religioso saudita che aveva appoggiato le manifestazioni anti-governative scoppiate nel 2011 e nel 2012 nella […]

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La giornata nera di Narendra Modi e Nawaz Sharif (aggiornato)

Quella di ieri è stata sicuramente la peggior giornata del 2016 per il premier indiano Narendra Modi. Un sisma nella zona orientale del Paese e, a Ovest, l’attacco a un consolato indiano a Mazar, in Afghanistan, che al calar del sole non era ancora terminato (ci sono volute 25 ore per chiudere le partita). Ma al calar del sole non era nemmeno terminato il terzo giorno di battaglia tra un manipolo di guerriglieri e una delle maggiori potenze militari del pianeta. Alle tre del mattino di sabato, dopo aver sequestrato alcune persone, almeno sei guerriglieri che fanno capo all’Ujc (il “cartello” kshmiro Consiglio unito del jihad) e a una fantomatica “Highway Squad”, di cui finora non si era avuto notizia, sono riusciti a penetrare in una base dell’aviazione indiana che sorveglia il confine pachistano – a qualche decina di chilometri in linea d’aria – e l’area del Kashmir, ferita mai rimarginatasi dopo la Partition del 1947 che ha diviso il Raj britannico tra India e Pakistan con tutte le malattie che ne sono derivate.

Sabato pomeriggio, il governo aveva annunciato una fatidica “missione compiuta” ma prima che ieri scoccassero le sei di sera, lo stesso ministro dell’Interno che aveva dato per chiusa la partita di Pathankot, dove ha sede la base, doveva ammettere di aver detto sabato una bestiata, dettata forse dalla fretta e dall’imbarazzo di aver faticato – allora – 12 ore per averla vinta. Salvo scoprire che alcuni sabotatori erano ancora all’interno della base e ancora non è chiaro se la partita sia davvero chiusa (i guerriglieri morti sono sei e oggi la cosa può dirsi definitivamente finita). Dalla vicenda afgana, che riguarda comunque un problema di sicurezza dell’apparato consolare, alla brutta storia di Pathankot, per il decisionista Modi son ore dure. E non solo per la morte di sette “jawan”, come in gergo sono chiamati i militari. Ma perché la vicenda di Pathankot è piena di buchi e soprattutto, dice qualcuno, quei buchi si devono proprio a un uomo che ha accentrato poteri e decisioni. Scelte che, in casi come questo, fan venire al pettine più di un nodo.

Oltre alla bagarre interna, al problema di mettere in sicurezza una base militare molto ampia e l’apparato diplomatico all’estero, c’è poi la questione tutta politica dei rapporti col Pakistan. Pathankot e Mazar sono strettamente legati: che siano talebani in un caso (non c’è ancora una rivendicazione) e mujahedin kashmiri nell’altro, la fobia per il Pakistan non può che aumentare. E benché il comunicato dell’Ujc prenda le distanze da Islamabad sostenendo che i guerriglieri stanno agendo in autonomia per la secessione del Kashmir, tutto ciò non può che suonare alle orecchie dei falchi indiani come l’ennesima provocazione di un Pakistan percepito più come il vero grande nemico che non come il gemello con cui è bene riconciliarsi. Riconciliazione difficile e appena iniziata col viaggio di Modi in Pakistan nel dicembre scorso e ora a rischio. E’ pur vero che Islamabad ha condannato l’attacco di Pathankot e che Delhi ha fatto sapere che un attentato non basta a far deragliare il dialogo, ma è anche vero che gli attentati adesso sono due, uno dei quali ha impegnato i soldati indiani per giorni. Delhi ha intanto reso noto che, del possibile incontro dei ministri degli Esteri – passo fondamentale per dar luce verde al dialogo tra i due colossi –, se ne riparlerà a operazione veramente conclusa, quando su Pathankot (e indagini correlate) sarà scritta la parola fine.

Per Islamabad l’imbarazzo non è meno grande e in un momento difficile nei rapporti internazionali. Uno dei suoi alleati per eccellenza, la retriva e ricca monarchia dei Saud – che non ha mai mancato di dare il suo sostanziale appoggio al governo pachistano e alle varie bande jihadiste del Paese – sta scaldando i motori contro Teheran. L’ultima avventura cui Islamabad vorrebbe partecipare: il Pakistan aveva già irritato i Saud quando, all’inizio della guerra nello Yemen, aveva risposto con una certa freddezza alla chiamata di Riad, limitandosi a frasi di rito ma rifiutando di inviare soldati. Poi, quando i Saud si sono inventati la coalizione islamica anti terrorismo, il Pakistan ha addirittura fatto sapere di non essere stato consultato. Mentre cerca di evitare una guerra a oriente Riad glene propone una a occidente. Anche qui son nodi al pettine.

aggiornato alle 14 del 5 dicembre

La giornata nera di Narendra Modi e Nawaz Sharif (aggiornato)

Quella di ieri è stata sicuramente la peggior giornata del 2016 per il premier indiano Narendra Modi. Un sisma nella zona orientale del Paese e, a Ovest, l’attacco a un consolato indiano a Mazar, in Afghanistan, che al calar del sole non era ancora terminato (ci sono volute 25 ore per chiudere le partita). Ma al calar del sole non era nemmeno terminato il terzo giorno di battaglia tra un manipolo di guerriglieri e una delle maggiori potenze militari del pianeta. Alle tre del mattino di sabato, dopo aver sequestrato alcune persone, almeno sei guerriglieri che fanno capo all’Ujc (il “cartello” kshmiro Consiglio unito del jihad) e a una fantomatica “Highway Squad”, di cui finora non si era avuto notizia, sono riusciti a penetrare in una base dell’aviazione indiana che sorveglia il confine pachistano – a qualche decina di chilometri in linea d’aria – e l’area del Kashmir, ferita mai rimarginatasi dopo la Partition del 1947 che ha diviso il Raj britannico tra India e Pakistan con tutte le malattie che ne sono derivate.

Sabato pomeriggio, il governo aveva annunciato una fatidica “missione compiuta” ma prima che ieri scoccassero le sei di sera, lo stesso ministro dell’Interno che aveva dato per chiusa la partita di Pathankot, dove ha sede la base, doveva ammettere di aver detto sabato una bestiata, dettata forse dalla fretta e dall’imbarazzo di aver faticato – allora – 12 ore per averla vinta. Salvo scoprire che alcuni sabotatori erano ancora all’interno della base e ancora non è chiaro se la partita sia davvero chiusa (i guerriglieri morti sono sei e oggi la cosa può dirsi definitivamente finita). Dalla vicenda afgana, che riguarda comunque un problema di sicurezza dell’apparato consolare, alla brutta storia di Pathankot, per il decisionista Modi son ore dure. E non solo per la morte di sette “jawan”, come in gergo sono chiamati i militari. Ma perché la vicenda di Pathankot è piena di buchi e soprattutto, dice qualcuno, quei buchi si devono proprio a un uomo che ha accentrato poteri e decisioni. Scelte che, in casi come questo, fan venire al pettine più di un nodo.

Oltre alla bagarre interna, al problema di mettere in sicurezza una base militare molto ampia e l’apparato diplomatico all’estero, c’è poi la questione tutta politica dei rapporti col Pakistan. Pathankot e Mazar sono strettamente legati: che siano talebani in un caso (non c’è ancora una rivendicazione) e mujahedin kashmiri nell’altro, la fobia per il Pakistan non può che aumentare. E benché il comunicato dell’Ujc prenda le distanze da Islamabad sostenendo che i guerriglieri stanno agendo in autonomia per la secessione del Kashmir, tutto ciò non può che suonare alle orecchie dei falchi indiani come l’ennesima provocazione di un Pakistan percepito più come il vero grande nemico che non come il gemello con cui è bene riconciliarsi. Riconciliazione difficile e appena iniziata col viaggio di Modi in Pakistan nel dicembre scorso e ora a rischio. E’ pur vero che Islamabad ha condannato l’attacco di Pathankot e che Delhi ha fatto sapere che un attentato non basta a far deragliare il dialogo, ma è anche vero che gli attentati adesso sono due, uno dei quali ha impegnato i soldati indiani per giorni. Delhi ha intanto reso noto che, del possibile incontro dei ministri degli Esteri – passo fondamentale per dar luce verde al dialogo tra i due colossi –, se ne riparlerà a operazione veramente conclusa, quando su Pathankot (e indagini correlate) sarà scritta la parola fine.

Per Islamabad l’imbarazzo non è meno grande e in un momento difficile nei rapporti internazionali. Uno dei suoi alleati per eccellenza, la retriva e ricca monarchia dei Saud – che non ha mai mancato di dare il suo sostanziale appoggio al governo pachistano e alle varie bande jihadiste del Paese – sta scaldando i motori contro Teheran. L’ultima avventura cui Islamabad vorrebbe partecipare: il Pakistan aveva già irritato i Saud quando, all’inizio della guerra nello Yemen, aveva risposto con una certa freddezza alla chiamata di Riad, limitandosi a frasi di rito ma rifiutando di inviare soldati. Poi, quando i Saud si sono inventati la coalizione islamica anti terrorismo, il Pakistan ha addirittura fatto sapere di non essere stato consultato. Mentre cerca di evitare una guerra a oriente Riad glene propone una a occidente. Anche qui son nodi al pettine.

aggiornato alle 14 del 5 dicembre

La giornata nera di Narendra Modi e Nawaz Sharif (aggiornato)

Quella di ieri è stata sicuramente la peggior giornata del 2016 per il premier indiano Narendra Modi. Un sisma nella zona orientale del Paese e, a Ovest, l’attacco a un consolato indiano a Mazar, in Afghanistan, che al calar del sole non era ancora terminato (ci sono volute 25 ore per chiudere le partita). Ma al calar del sole non era nemmeno terminato il terzo giorno di battaglia tra un manipolo di guerriglieri e una delle maggiori potenze militari del pianeta. Alle tre del mattino di sabato, dopo aver sequestrato alcune persone, almeno sei guerriglieri che fanno capo all’Ujc (il “cartello” kshmiro Consiglio unito del jihad) e a una fantomatica “Highway Squad”, di cui finora non si era avuto notizia, sono riusciti a penetrare in una base dell’aviazione indiana che sorveglia il confine pachistano – a qualche decina di chilometri in linea d’aria – e l’area del Kashmir, ferita mai rimarginatasi dopo la Partition del 1947 che ha diviso il Raj britannico tra India e Pakistan con tutte le malattie che ne sono derivate.

Sabato pomeriggio, il governo aveva annunciato una fatidica “missione compiuta” ma prima che ieri scoccassero le sei di sera, lo stesso ministro dell’Interno che aveva dato per chiusa la partita di Pathankot, dove ha sede la base, doveva ammettere di aver detto sabato una bestiata, dettata forse dalla fretta e dall’imbarazzo di aver faticato – allora – 12 ore per averla vinta. Salvo scoprire che alcuni sabotatori erano ancora all’interno della base e ancora non è chiaro se la partita sia davvero chiusa (i guerriglieri morti sono sei e oggi la cosa può dirsi definitivamente finita). Dalla vicenda afgana, che riguarda comunque un problema di sicurezza dell’apparato consolare, alla brutta storia di Pathankot, per il decisionista Modi son ore dure. E non solo per la morte di sette “jawan”, come in gergo sono chiamati i militari. Ma perché la vicenda di Pathankot è piena di buchi e soprattutto, dice qualcuno, quei buchi si devono proprio a un uomo che ha accentrato poteri e decisioni. Scelte che, in casi come questo, fan venire al pettine più di un nodo.

Oltre alla bagarre interna, al problema di mettere in sicurezza una base militare molto ampia e l’apparato diplomatico all’estero, c’è poi la questione tutta politica dei rapporti col Pakistan. Pathankot e Mazar sono strettamente legati: che siano talebani in un caso (non c’è ancora una rivendicazione) e mujahedin kashmiri nell’altro, la fobia per il Pakistan non può che aumentare. E benché il comunicato dell’Ujc prenda le distanze da Islamabad sostenendo che i guerriglieri stanno agendo in autonomia per la secessione del Kashmir, tutto ciò non può che suonare alle orecchie dei falchi indiani come l’ennesima provocazione di un Pakistan percepito più come il vero grande nemico che non come il gemello con cui è bene riconciliarsi. Riconciliazione difficile e appena iniziata col viaggio di Modi in Pakistan nel dicembre scorso e ora a rischio. E’ pur vero che Islamabad ha condannato l’attacco di Pathankot e che Delhi ha fatto sapere che un attentato non basta a far deragliare il dialogo, ma è anche vero che gli attentati adesso sono due, uno dei quali ha impegnato i soldati indiani per giorni. Delhi ha intanto reso noto che, del possibile incontro dei ministri degli Esteri – passo fondamentale per dar luce verde al dialogo tra i due colossi –, se ne riparlerà a operazione veramente conclusa, quando su Pathankot (e indagini correlate) sarà scritta la parola fine.

Per Islamabad l’imbarazzo non è meno grande e in un momento difficile nei rapporti internazionali. Uno dei suoi alleati per eccellenza, la retriva e ricca monarchia dei Saud – che non ha mai mancato di dare il suo sostanziale appoggio al governo pachistano e alle varie bande jihadiste del Paese – sta scaldando i motori contro Teheran. L’ultima avventura cui Islamabad vorrebbe partecipare: il Pakistan aveva già irritato i Saud quando, all’inizio della guerra nello Yemen, aveva risposto con una certa freddezza alla chiamata di Riad, limitandosi a frasi di rito ma rifiutando di inviare soldati. Poi, quando i Saud si sono inventati la coalizione islamica anti terrorismo, il Pakistan ha addirittura fatto sapere di non essere stato consultato. Mentre cerca di evitare una guerra a oriente Riad glene propone una a occidente. Anche qui son nodi al pettine.

aggiornato alle 14 del 5 dicembre