Giorno: 3 gennaio 2016

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

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Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

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Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

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Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

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Ciò che “Star Wars” può insegnarci sul mondo islamico

Di Babak Rahimi. Huffington Post (31/12/2015). Traduzione e sintesi di Ismahan Hassen. La saga di “Star Wars” presenta il cosiddetto scontro di civiltà, rappresentato come un conflitto duraturo tra due ordini culturali, due mondi indipendenti e con un insieme fisso di valori e di ideali concorrenti. Come qualunque mito, “Star Wars” evoca potenti immaginari di eroi […]

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La prossima crisi di rifugiati

Di Santiago Roncagliolo. El País (31/12/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo. Sono più di cinque milioni i palestinesi che vivono in campi profughi in Siria. Una nuova esplosione di violenza li obbligherebbe a fuggire e la cifra di coloro diretti in Europa raddoppierebbe. È quindi urgente trovare una soluzione politica al conflitto palestinese. La maggior parte […]

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Iran: Khamenei parla di “vendetta divina”

All’uccisione in Arabia Saudita del leader sciita Nimr al-Nimr, accusato di terrorismo insieme ad altre 46 persone, l’Iran risponde altrettanto violentemente. A Teheran è stata presa d’assalto l’ambasciata saudita. Contro l’edificio sono state lanciate bottiglie molotov, poi i manifestanti hanno fatto irruzione e devastato gli interni. Riguardo l’esecuzione, la guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, dichiara […]

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Siria: il governo condanna le esecuzioni in Arabia Saudita

(Agenzie). Il ministro dell’Informazione siriano Omran al Zoubi, ha condannato sabato l’esecuzione in Arabia Saudita di 47 persone, tra cui l’esponente religioso sciita Nimr al-Nimr, denunciando il fatto come “un crimine commesso da uno Stato contro il proprio popolo.” Secondo al Zoubi, le istituzioni internazionali dovrebbero chiedere spiegazioni all’Arabia Saudita riguardo le esecuzioni. Il regime del presidente […]

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Marocco: CIA mette in guardia contro le bombe radioattive dello Stato Islamico

Nella sua edizione del 1° gennaio 2016, il giornale Assabah ha segnalato che gruppi libici affiliati a Daesh hanno fabbricato dispositivi contenenti materiali radioattivi e si preparano a “testarli” nei paesi del Maghreb. La CIA avrebbe inviato un avviso al Marocco per mettere il regno in guardia contro possibili attacchi terroristici. Secondo il quotidiano Assabah, i servizi segreti […]

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Il 2016 sarà un altro anno di guerre?

Di Hisham Melhem. An-Nahar (31/12/2015). Traduzione e sintesi di Alessandro Mannara. Tutti i principali indicatori politici mostrano che il 2016 sarà lo specchio del 2015. Ciò significa che nel nuovo anno continueremo ad assistere al crollo del fragile sistema politico arabo in Siria, Iraq, Yemen e Libia nonostante si parli di proposte politiche e di […]

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Attentato al dialogo tra India e Pakistan (aggiornato)

Pathankot, venti chilometri dal confine pachistano, venti dal confine col Kashmir. E’ qui che si trova una base aerea che ospita i caccia indiani che controllano le due aree per Delhi più sensibili nel subcontinente indiano. Ed è qui che ieri all’alba, verso le 3.30 ora locale, cinque guerriglieri travestiti da soldati, forse del gruppo estremista pachistano Jaish-e-Mohammad, hanno messo a rischio il neonato dialogo tra India e Pakistan assaltando la base dell’Indian Air Force. Aver ragione di loro non è stato facile e ha richiesto più di mezza giornata. Poi, alle 7.45 di ieri sera, il ministro dell’Interno Rajnath Singh ha confermato che tutti e cinque gli assalitori erano stati uccisi. Con loro tre soldati (quattro ieri secondo la stampa pachistana che confermava anche tre vittime civili.  Stamane il bilancio sarebbe salito a sette militari indiani uccisi). Operazione conclusa (in realtà per niente: il 4 la crisi entrava nel suo terzo giorno).

Nawaz Sharif: condanna immediata

Attacchi della guerriglia prokashmira non sono inusuali in India (il JeM è un gruppo nato proprio per riunificare sotto la bandiera di Islamabad il Kashmir ora diviso tra le due nazioni) e nel luglio scorso sette uomini erano stati uccisi in un attacco simile in una stazione di polizia del vicino distretto di Gurdaspur. Ma questa volta in ballo c’era una posta ben più grossa che non una semplice azione di disturbo e non solo per l’importanza strategico militare della base. Solo qualche giorno fa, il 25 dicembre, il premier indiano Narendra Modi ha fatto una visita “a sorpresa” in Pakistan, atterrando a Lahore dopo un viaggio in Russia e in Afghanistan. Non una visita qualunque ma la prima di un premier indiano in oltre dieci anni. E Nawaz Sharif l’ha ricevuto col tappeto rosso. La visita “a sorpresa” era evidentemente preparata da tempo ma in discreto silenzio benché ci fossero stati alcuni segnali (Nawaz Sharif era stato in India per l’insediamento di Modi e recentemente è stato siglato un accordo importante che regola questioni logistiche tra i due Paesi). Ma è anche vero che, oltre alla mai risolta questione del Kashmir, i pachistani sono infastiditi dall’influenza che Delhi ha guadagnato a Kabul e da accordi con gli Stati Uniti che permettono all’India vantaggi sul piano del nucleare; gli indiani accusano il Pakistan di terrorismo di Stato e, negli ultimi tre anni, sono ricominciati gli incidenti alla frontiera: meno noti degli attentati terroristici o delle dispute sulla Loc (la linea di controllo in Kashmir tra India e Pakistan) hanno continuato a ripetersi con vittime dalle due parti, anche tra i civili. Dunque la visita ha acquistato una rilevanza quasi impensabile e forse la “sorpresa” era per evitare che i falchi dalle due parti della frontiera potessero intralciare l’ennesimo tentativo di riavvicinamento (purtroppo non il primo e al netto di almeno quattro conflitti maggiori e diversi incidenti minori tra i due Paesi che hanno spesso tirato l’acqua al mulino di una nuova guerra).

Questa volta però le reazioni immediate di Islamabad e Delhi fanno ben sperare. Nel pomeriggio di ieri – e in perfetta sintonia temporale – il Bjp, il partito di Modi, ha fatto sapere che il dialogo appena avviato non può certo essere messo in crisi da un attentato e ha anzi accusato chi nel Congresso intende politicizzare l’incidente di Pathankot. Contemporaneamente arrivava un comunicato ufficiale di Islamabad, che univa alle condoglianze per le vittime una dura condanna dell’accaduto. La preoccupazione è dunque dalle due parti ed è condivisa da chi guarda con attenzione ai rapporti tra i due colossi nucleari. Come il vice segretario di Stato americano Antony Blinken che ha confidato a The Indian Express i timori di un possibile conflitto non intenzionale ma innescato da incidenti come quello di Pathankot. La corda resta tesa ma non si è spezzata.

aggiornato alle 11 del 3/1

Attentato al dialogo tra India e Pakistan (aggiornato)

Pathankot, venti chilometri dal confine pachistano, venti dal confine col Kashmir. E’ qui che si trova una base aerea che ospita i caccia indiani che controllano le due aree per Delhi più sensibili nel subcontinente indiano. Ed è qui che ieri all’alba, verso le 3.30 ora locale, cinque guerriglieri travestiti da soldati, forse del gruppo estremista pachistano Jaish-e-Mohammad, hanno messo a rischio il neonato dialogo tra India e Pakistan assaltando la base dell’Indian Air Force. Aver ragione di loro non è stato facile e ha richiesto più di mezza giornata. Poi, alle 7.45 di ieri sera, il ministro dell’Interno Rajnath Singh ha confermato che tutti e cinque gli assalitori erano stati uccisi. Con loro tre soldati (quattro ieri secondo la stampa pachistana che confermava anche tre vittime civili.  Stamane il bilancio sarebbe salito a sette militari indiani uccisi). Operazione conclusa (in realtà per niente: il 4 la crisi entrava nel suo terzo giorno).

Nawaz Sharif: condanna immediata

Attacchi della guerriglia prokashmira non sono inusuali in India (il JeM è un gruppo nato proprio per riunificare sotto la bandiera di Islamabad il Kashmir ora diviso tra le due nazioni) e nel luglio scorso sette uomini erano stati uccisi in un attacco simile in una stazione di polizia del vicino distretto di Gurdaspur. Ma questa volta in ballo c’era una posta ben più grossa che non una semplice azione di disturbo e non solo per l’importanza strategico militare della base. Solo qualche giorno fa, il 25 dicembre, il premier indiano Narendra Modi ha fatto una visita “a sorpresa” in Pakistan, atterrando a Lahore dopo un viaggio in Russia e in Afghanistan. Non una visita qualunque ma la prima di un premier indiano in oltre dieci anni. E Nawaz Sharif l’ha ricevuto col tappeto rosso. La visita “a sorpresa” era evidentemente preparata da tempo ma in discreto silenzio benché ci fossero stati alcuni segnali (Nawaz Sharif era stato in India per l’insediamento di Modi e recentemente è stato siglato un accordo importante che regola questioni logistiche tra i due Paesi). Ma è anche vero che, oltre alla mai risolta questione del Kashmir, i pachistani sono infastiditi dall’influenza che Delhi ha guadagnato a Kabul e da accordi con gli Stati Uniti che permettono all’India vantaggi sul piano del nucleare; gli indiani accusano il Pakistan di terrorismo di Stato e, negli ultimi tre anni, sono ricominciati gli incidenti alla frontiera: meno noti degli attentati terroristici o delle dispute sulla Loc (la linea di controllo in Kashmir tra India e Pakistan) hanno continuato a ripetersi con vittime dalle due parti, anche tra i civili. Dunque la visita ha acquistato una rilevanza quasi impensabile e forse la “sorpresa” era per evitare che i falchi dalle due parti della frontiera potessero intralciare l’ennesimo tentativo di riavvicinamento (purtroppo non il primo e al netto di almeno quattro conflitti maggiori e diversi incidenti minori tra i due Paesi che hanno spesso tirato l’acqua al mulino di una nuova guerra).

Questa volta però le reazioni immediate di Islamabad e Delhi fanno ben sperare. Nel pomeriggio di ieri – e in perfetta sintonia temporale – il Bjp, il partito di Modi, ha fatto sapere che il dialogo appena avviato non può certo essere messo in crisi da un attentato e ha anzi accusato chi nel Congresso intende politicizzare l’incidente di Pathankot. Contemporaneamente arrivava un comunicato ufficiale di Islamabad, che univa alle condoglianze per le vittime una dura condanna dell’accaduto. La preoccupazione è dunque dalle due parti ed è condivisa da chi guarda con attenzione ai rapporti tra i due colossi nucleari. Come il vice segretario di Stato americano Antony Blinken che ha confidato a The Indian Express i timori di un possibile conflitto non intenzionale ma innescato da incidenti come quello di Pathankot. La corda resta tesa ma non si è spezzata.

aggiornato alle 11 del 3/1

Attentato al dialogo tra India e Pakistan (aggiornato)

Pathankot, venti chilometri dal confine pachistano, venti dal confine col Kashmir. E’ qui che si trova una base aerea che ospita i caccia indiani che controllano le due aree per Delhi più sensibili nel subcontinente indiano. Ed è qui che ieri all’alba, verso le 3.30 ora locale, cinque guerriglieri travestiti da soldati, forse del gruppo estremista pachistano Jaish-e-Mohammad, hanno messo a rischio il neonato dialogo tra India e Pakistan assaltando la base dell’Indian Air Force. Aver ragione di loro non è stato facile e ha richiesto più di mezza giornata. Poi, alle 7.45 di ieri sera, il ministro dell’Interno Rajnath Singh ha confermato che tutti e cinque gli assalitori erano stati uccisi. Con loro tre soldati (quattro ieri secondo la stampa pachistana che confermava anche tre vittime civili.  Stamane il bilancio sarebbe salito a sette militari indiani uccisi). Operazione conclusa (in realtà per niente: il 4 la crisi entrava nel suo terzo giorno).

Nawaz Sharif: condanna immediata

Attacchi della guerriglia prokashmira non sono inusuali in India (il JeM è un gruppo nato proprio per riunificare sotto la bandiera di Islamabad il Kashmir ora diviso tra le due nazioni) e nel luglio scorso sette uomini erano stati uccisi in un attacco simile in una stazione di polizia del vicino distretto di Gurdaspur. Ma questa volta in ballo c’era una posta ben più grossa che non una semplice azione di disturbo e non solo per l’importanza strategico militare della base. Solo qualche giorno fa, il 25 dicembre, il premier indiano Narendra Modi ha fatto una visita “a sorpresa” in Pakistan, atterrando a Lahore dopo un viaggio in Russia e in Afghanistan. Non una visita qualunque ma la prima di un premier indiano in oltre dieci anni. E Nawaz Sharif l’ha ricevuto col tappeto rosso. La visita “a sorpresa” era evidentemente preparata da tempo ma in discreto silenzio benché ci fossero stati alcuni segnali (Nawaz Sharif era stato in India per l’insediamento di Modi e recentemente è stato siglato un accordo importante che regola questioni logistiche tra i due Paesi). Ma è anche vero che, oltre alla mai risolta questione del Kashmir, i pachistani sono infastiditi dall’influenza che Delhi ha guadagnato a Kabul e da accordi con gli Stati Uniti che permettono all’India vantaggi sul piano del nucleare; gli indiani accusano il Pakistan di terrorismo di Stato e, negli ultimi tre anni, sono ricominciati gli incidenti alla frontiera: meno noti degli attentati terroristici o delle dispute sulla Loc (la linea di controllo in Kashmir tra India e Pakistan) hanno continuato a ripetersi con vittime dalle due parti, anche tra i civili. Dunque la visita ha acquistato una rilevanza quasi impensabile e forse la “sorpresa” era per evitare che i falchi dalle due parti della frontiera potessero intralciare l’ennesimo tentativo di riavvicinamento (purtroppo non il primo e al netto di almeno quattro conflitti maggiori e diversi incidenti minori tra i due Paesi che hanno spesso tirato l’acqua al mulino di una nuova guerra).

Questa volta però le reazioni immediate di Islamabad e Delhi fanno ben sperare. Nel pomeriggio di ieri – e in perfetta sintonia temporale – il Bjp, il partito di Modi, ha fatto sapere che il dialogo appena avviato non può certo essere messo in crisi da un attentato e ha anzi accusato chi nel Congresso intende politicizzare l’incidente di Pathankot. Contemporaneamente arrivava un comunicato ufficiale di Islamabad, che univa alle condoglianze per le vittime una dura condanna dell’accaduto. La preoccupazione è dunque dalle due parti ed è condivisa da chi guarda con attenzione ai rapporti tra i due colossi nucleari. Come il vice segretario di Stato americano Antony Blinken che ha confidato a The Indian Express i timori di un possibile conflitto non intenzionale ma innescato da incidenti come quello di Pathankot. La corda resta tesa ma non si è spezzata.

aggiornato alle 11 del 3/1