Anno: 2013

Tell al Zaater, agosto 1976: 3000 morti palestinesi per mano siriana

3000 cadaveri…un migliaio in più di quelli di Sabra e Chatila: il paese è lo stesso, il Libano, ed anche il sangue è lo stesso, sangue palestinese, sangue di profughi palestinesi. La mano non è la stessa però: mentre a Sabra e Chatila i quasi duemila morti vengono fatti sotto ordine israeliano ( a gestire […]

Tell al Zaater, agosto 1976: 3000 morti palestinesi per mano siriana

3000 cadaveri…un migliaio in più di quelli di Sabra e Chatila: il paese è lo stesso, il Libano, ed anche il sangue è lo stesso, sangue palestinese, sangue di profughi palestinesi. La mano non è la stessa però: mentre a Sabra e Chatila i quasi duemila morti vengono fatti sotto ordine israeliano ( a gestire […]

Tell al Zaater, agosto 1976: 3000 morti palestinesi per mano siriana

3000 cadaveri…un migliaio in più di quelli di Sabra e Chatila: il paese è lo stesso, il Libano, ed anche il sangue è lo stesso, sangue palestinese, sangue di profughi palestinesi. La mano non è la stessa però: mentre a Sabra e Chatila i quasi duemila morti vengono fatti sotto ordine israeliano ( a gestire […]

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

Sviluppo e difficoltà dei processi rivoluzionari nel mondo arabo. Intervista a Gilbert Achcar

Una conversazione con Gilbert Achcar, marxista rivoluzionario di origine libanese, docente alla School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra.

Il processo rivoluzionario nella regione araba non smette di sorprendere i media. Come analizzi i recenti avvenimenti in Egitto e Tunisia?

 

Ci sono certo stati dei cambiamenti qualitativi ma il fatto stesso che ci siano state nuove turbolenze nonpotrebbe sorprendere se si è compreso che quel che si è messo in moto dalla fine del 2010 – inizio del 2011 è un processo rivoluzionario di lunga durata. L’idea che i successi elettorali delle forze provenienti dall’integralismo islamico in Tunisia e in Egitto potessero chiudere i processi si è rivelata del tutto erronea.  Queste forze erano destinate al fallimento nella misura in cui, come i regimi che avevano sostituito, non avevano risposte ai gravissimi problemi sociali ed economici che sono all’origine delle sollevazioni. Esse si collocano nella continuità delle ricette neoliberiste e non saprebbero risolvere quei problemi, che non fanno altro che aggravarsi. Il processo rivoluzionario può assunere forme sorprendenti, ma si continuerà a passare a lungo da uno sconvolgimento a un altro su scala regionale, prima di una stabilizzazione della situazione, che presupporrebbe in un’ipotesi positiva un cambiamento profondo della natura sociale dei governi, in direzione di politiche centrate sugli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

Come vedi lo scontro attualmente in corso in Egitto?

 

In Egitto oggi bisogna distinguere tra i due livelli: le manovre e i conflitti intorno al potere, e l’onda profonda del movimento popolare. Questa conosce una seconda esplosione dopo quella del 2011, ma che sbocca, come le precedente, in un intervento dell’esercito. Mubaraq nel febbraio 2011 era già stato scartato dai militari, che avevano preso direttamente il potere: il Consiglio superiore delle Forze Armate si era impadronito del vertice dell’esecutivo.

 

Questa volta si sono guardati bene dal ripetere la stessa operazione, dato che si erano scottati le dita tentando di governare direttamente il paese in una tale situazione di sconvolgimenti da provocare un’usura rapidissima di un qualsiasi governo che si limitasse a riproporre le politiche neoliberiste. I civili nominati alla testa dell’Esecutivo non possono nascondere il fatto che sono i militari a esercitare il potere. Ma detto questo, bisogna aggiungere che l’argomento secondo il quale l’esercito questa volta sarebbe intervenuto contro un governo democraticamente eletto risente di una concezione molto destrorsa della democrazia, secondo cui gli eletti hanno carta bianca per fare quel che vogliono durante la durata del loro mandato, anche se tradiscono in modo clamoroso le attese dei loro elettori ed elettrici. Una concezione radicale della democrazia implica il diritto alla revoca degli eletti. Ed è questa la forma che il movimento ha scelto in Egitto con la petizione per la cacciata di Morsi e per nuove elezioni lanciata dai giovani del movimento “Tamarrod” (Ribellione), che hanno riunito in pochi mesi un numero impressionante di firme, molto superiore a quello dei voti che Morsi aveva ottenuto per essere eletto alla presidenza. Da questo punto di vista, la sua revoca era del tutto legittima.

Tuttavia il  grosso problema è che invece di organizzare il movimento per rovesciare Morsi con gli strumenti della lotta delle masse – lo sciopero generale, la disubbidienza civile – si è visto che i dirigenti dell’opposizione liberale e di sinistra si accordavano con i militari e applaudivano il loro colpo di Stato, la cui logica finale era di captare il potenziale di mobilitazione popolare indirizzandolo a favore di un ritorno a un ordine autoritario, come è stato confermato dai comportamenti dei militari. Questo è molto grave, e a questo livello c’è una forte carenza della sinistra egiziana nelle sue componenti maggioritarie. Essa ha ridato smalto al blasone dell’esercito, e ha incensato il suo comandante in capo. Costui è il vero uomo forte del nuovo-antico regime. Quantunque sia ministro della Difesa, si è permesso di convocare la popolazione a manifestare a sostegno dell’esercito, ignorando totalmente il nuovo governo.

Oggi anche i giovani di Tanarrod cominciano a preoccuparsi, ma un po’ tardi, dell’ingranaggio in cui sono finiti loro stessi. Il colpo di Stato permette ai Fratelli Musulmani di rifarsi una verginità politica presentandosi come martiri e vittime di un putsch militare. Hanno riconsolidato la loro base sociale, certo minoritaria – attualmente è chiaro – ma pur sempre importante. L’azione dei militari ridà lustro alle loro insegne.

 

Dunque c’è stata una rapida usura dei movimenti islamici che avevano occupato il posto degli antichi regimi in Tunisia e in Egitto, ma anche la debolezza della sinistra oggi pone seri problemi?

 

Al di fuori della sinistra rivoluzionaria, che resta marginale in Egitto, la maggior parte della sinistra si è impegnata nel Fronte di Salvezza Nazionale. Le correnti provenienti dal movimento comunista tradizionale e quella nasseriana, che resta la più importante a livello di influenza popolare, hanno partecipato alla campagna di mistificazione sul ruolo dell’esercito. È tanto più deplorevole che queste forze erano state in piazza contro l’esercito nei mesi che avevano preceduto l’elezione di Morsi! Quando Sabahi, il leader nasseriano, spiegava qualche giorno prima del 30 giugno che era un errore aver gridato un anno prima “Abbasso il governo dei militari”, ricavava una pessima lezione dalla storia. Quello che è un errore è pentirsene e pensare che bisogna di nuovo applaudire l’esercito.

Cosa pensi dei mezzi a cui ricorrono i tunisini per mettere fine al regime di En-Nahda?

 

Disgraziatamente si rischia di avere in Tunisia uno scenario analogo a quello egiziano: una sinistra che non ha la lucidità politica di battersi sulla base di un programma di sinistra, e che si appresta a stringere alleanze perfino con i resti dell’antico regime presenti in Nidaa Tounès.

Questo tipo di impostazione va a beneficio delle forze islamiste  che hanno il gioco facile a denunciare la compromissione della sinistra con i resti del vecchio regime. Questo permette ai Fratelli musulmani o a En-Nahdha di presentarsi come difensori della legittimità e della continuità della rivoluzione.

 

C’è dunque un problema di rappresentanza politica degli strati popolari nella rivoluzione?

 
Si, il problema è che invece di cercare di conquistare l’egemonia nel movimento di massa impegnandosi soprattutto sulla questione sociale, anche a rischio di veder coalizzarsi contro di essa tutti i sostenitori del neoliberismo – che vanno dagli integralisti agli uomini del vecchio regime, passando per i liberali – la sinistra si inserisce in alleanze dall’ottica angusta con settori del vecchio regime.

In un paese come la Tunisia, a mio avviso, la centrale sindacale UGTT è una forza socialmente egemonica, e che può facilmente divenire tale anche a livello politico. Ma attualmente una muraglia è stata eretta tra il sindacale e il politico. La sinistra tunisina, oggi alla testa dell’UGTT, piuttosto che lanciare la centrale sindacale nella battaglia politica con all’orizzonte un governo dei lavoratori, sembra orientarsi verso alleanze contro natura tra i suoi raggruppamenti politici organizzati nel Fronte Popolare, da una parte, e i liberali e i residui del vecchio regime dall’altra.

Nonostante queste difficoltà negli sbocchi, le rivolte continuano in numerosi paesi, e si vedono apparire dei movimenti “Tamarrod” in Libia, nel Bahreïn…

Nei sei paesi che sono stati più profondamente toccati dalle rivolte del 2011, i movimenti di massa continuano. In Libia è un’ebollizione permanente. I media non ne parlano, ma ci sono costantemente mobilitazioni popolari, soprattutto contro gli integralisti; le istituzioni elette sono sottoposte a pressioni diverse della base popolare. Nello Yemen il movimento continua anche se indebolito dal compromesso in cui si sono impantanate parte delle forze di opposizione. Alcune forze radicali, in particolare giovani e di sinistra, continuano a battersi contro questo simulacro di cambiamento.

Nel Bahreïn il movimento popolare continua contro la monarchia. E in Siria, la guerra civile è in un punto culminante, ha raggiunto un livello altamente tragico che vede oggi una controffensiva feroce del regime, sostenuto da Russia, Iran e Hezbollah libanese. La Siria è un caso flagrante di cinismo delle grandi potenze, che lasciano massacrare un popolo che non ispira loro altro che sfiducia.

Dunque, due anni e mezzo dopo l’inizio del processo, questo continua alla grande?

 

Una dinamica rivoluzionaria si è innescata nel 2011, un processo di lunga durata che conoscerà alti e bassi, episodi di reazione, di controrivoluzione, e anche di rilanci rivoluzionari. Ma per uno sbocco positivo a questo processo, occorre che emergano forze portatrici di risposte progressiste ai problemi posti sul piano sociale ed economico.

In mancanza di esse, sono possibili altri scenari, di regressione, di reazione, di alleanze repressive contro le popolazioni tra quelli che oggi sembrano contrapposti, militari ed integralisti. Non c’è nessuna fatalità in un senso o nell’altro, è una situazione aperta, in piena ebollizione. La sinistra deve urgentemente affermare una terza via indipendente, contro gli antichi regimi e contro gli integralisti, per la soddisfazione delle rivendicazioni sociali di tutte e tutti coloro che hanno partecipato a queste sollevazioni.

 

Intervista raccolta il 29 luglio da Jacques Babel. Traduzione mia. (a.m. 3/8/13).

http://www.npa2009.org/

http://www.vientosur.info/

Traduzione di Antonio Moscato
http://www.antoniomoscato.altervista.org

paologonzaga 2013-08-01 07:27:55

Questa foto è diventata virale nei giorni precedenti. L’ex-Presidente Nasser stringe la mano ad un presunto giovane El Sissi Dallo schermo alla piazza, la distanza è breve. Prima di arrivare nelle strade egiziane, la polarizzazione tra islamisti e loro oppositori si è vista sugli schermi delle emittenti televisive. Da settimane infatti i canali privati che […]

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Un pò di umorismo

Dopo un periodo che non usavo il mio blog, ritorno a postare. Per riprendere inizierei con delle vignette della famosa Do’a El ‘Adl, disegnatrice rivoluzionaria perseguitata dai governi che si sono successi dopo la rivoluzione, prima lo SCAF, il Consiglio Supremo delle Forze Armate e poi il governo Mursi. E’ stata denunciata per insulti al […]

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“L’Egitto vittima delle parole” di Marco Alloni

Pubblico integralmente questo importante articolo del giornalista Marco Alloni, residente al Cairo. Al Cairo, non in Italia. (Link qui: http://www.nazioneindiana.com/2013/07/30/legitto-vittima-delle-parole/): Quanto si ricava dai media occidentali sull’Egitto è un’immagine che sembra non presentare alcun elemento di ambiguità. La versione dei … Continue reading

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Collage per chi non c’è dentro

Il Generale El-Sisi, com’é ormai noto, ha invitato il popolo egiziano, in un discorso pubblico ad Alessandria, mandato in diretta TV, a mostrare il suo sostegno all’esercito per fugare ogni dubbio, domani (venerdì 26 luglio), e comprovare ancora una volta … Continue reading

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Dopo Choukri Belaid, assassinato in Tunisia Mohamed Brahmi!

Avevamo pianto la morte, l’assassinio, di Choukri Belaid, leader del Fronte Popolare tunisino solo il 6 febbraio di quest’anno. Era una morte annunciata dopo le numerose minacce ricevute dai gruppi islamisti più radicali, ed è stato un assassinio eseguito con 4 colpi di pistola alla testa, mentre usciva di casa alle 8 di mattina. Un […]

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Cosa fanno i droni in Pakistan

Una vittima su cinque è un civile, una su dieci è un bambino. Questo è il risultato di maggior “effetto mediatico” di un’inchiesta interna del governo pakistano (venuta alla luce grazie ai giornalisti di The bureau of investigative journalism) che…

Jean Genet, scrittore degli ultimi della terra.

Nella stessa aula di tribunale furono emesse due sentenze incrociate, entrambe senza possibilità di appello. La prima la emise un giudice che si pronunciava su un reato, mentre la seconda uno scrittore sul genio creativo di colui che commise il reato. Benvenuti a Parigi, è il 14 Luglio 1945. Il ladro affrontava la sua dodicesima … Continua a leggere

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Nella stessa aula di tribunale furono emesse due sentenze incrociate, entrambe senza possibilità di appello. La prima la emise un giudice che si pronunciava su un reato, mentre la seconda uno scrittore sul genio creativo di colui che commise il reato. Benvenuti a Parigi, è il 14 Luglio 1945. Il ladro affrontava la sua dodicesima … Continua a leggere

Jean Genet, scrittore degli ultimi della terra.

Nella stessa aula di tribunale furono emesse due sentenze incrociate, entrambe senza possibilità di appello. La prima la emise un giudice che si pronunciava su un reato, mentre la seconda uno scrittore sul genio creativo di colui che commise il reato. Benvenuti a Parigi, è il 14 Luglio 1945. Il ladro affrontava la sua dodicesima … Continua a leggere

Jean Genet, scrittore degli ultimi della terra.

Nella stessa aula di tribunale furono emesse due sentenze incrociate, entrambe senza possibilità di appello. La prima la emise un giudice che si pronunciava su un reato, mentre la seconda uno scrittore sul genio creativo di colui che commise il reato. Benvenuti a Parigi, è il 14 Luglio 1945. Il ladro affrontava la sua dodicesima … Continua a leggere

Jean Genet, scrittore degli ultimi della terra.

Nella stessa aula di tribunale furono emesse due sentenze incrociate, entrambe senza possibilità di appello. La prima la emise un giudice che si pronunciava su un reato, mentre la seconda uno scrittore sul genio creativo di colui che commise il reato. Benvenuti a Parigi, è il 14 Luglio 1945. Il ladro affrontava la sua dodicesima … Continua a leggere

Jean Genet, scrittore degli ultimi della terra.

Nella stessa aula di tribunale furono emesse due sentenze incrociate, entrambe senza possibilità di appello. La prima la emise un giudice che si pronunciava su un reato, mentre la seconda uno scrittore sul genio creativo di colui che commise il reato. Benvenuti a Parigi, è il 14 Luglio 1945. Il ladro affrontava la sua dodicesima … Continua a leggere

Jean Genet, scrittore degli ultimi della terra.

Nella stessa aula di tribunale furono emesse due sentenze incrociate, entrambe senza possibilità di appello. La prima la emise un giudice che si pronunciava su un reato, mentre la seconda uno scrittore sul genio creativo di colui che commise il reato. Benvenuti a Parigi, è il 14 Luglio 1945. Il ladro affrontava la sua dodicesima … Continua a leggere

Siria. Chi bombarda cosa

(ANSA) – BEIRUT, 12 LUG – L’aviazione siriana fedele al presidente Bashar al Assad ha bombardato oggi il Krak dei Cavalieri, nella Siria centrale, una delle più note fortezze crociate di tutto il Medioriente e inserito nella lista dei siti…

Egitto. Da che parte stanno gli amerikani

In piazza Tahrir i manifestanti anti-Morsi sbandieravano il loro disappunto nei confronti di Obama. Lo accusavano di “finanziare i terroristi” o, con meno recisione, di non essere quel “campione della democrazia” che vuol far credere di essere. Oggi un noto…

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

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Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

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Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, basta parlare di golpe!

Anche Mussolini e Hitler furono “democraticamente eletti”. Nessuno si è però mai sognato di qualificare come “golpisti” i partigiani che se ne liberarono dopo 20 anni di soprusi. Certo, gli americani che sbarcano in Sicilia per destituire Mussolini e i russi che bombardano Berlino per deporre Hitler sono legittimati all’uso della forza perché l’Occidente ha […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
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MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
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Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
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MARCO ALLONI – Egitto, tra intransigenza militare e jihadismo

Abbastanza facile quantificare le vittime. Più difficile individuare le responsabilità. La giornata di ieri è stata infatti contraddistinta dalle prime ore dell’alba da scontri le cui conseguenze tracciano un bilancio piuttosto chiaro – 51 morti fra le falangi pro-Morsi, 2 militari uccisi e circa 450 feriti in totale – ma passibile di diverse interpretazioni.
Nel […]

Egitto, chi spara a chi

Ho fatto un giro dei video che Repubblica pubblica sulle violenze di questi giorni. Ve ne sono diversi, ma tutti riguardano le violenze dell’esercito contro i seguaci dei Fratelli Musulmani. C’è da tenere a mente, invece, che anche (alcuni) seguaci…

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

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Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

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Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

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Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

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Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

MARCO ALLONI – Fuga da piazza Tahrir

Quando, come ogni venerdì sera, sto per raggiungere l’edificio Maspero, lo stabile della Televisione di Stato, lo scenario si rivela immediatamente minaccioso. Il traffico dalla fermata della metropolitana Gamal Abdel Nasser alla piazza adiacente a Tahrir, Midan Abdel Moneim Riad, cominciava a farsi caotico, scomposto. Non il solito imbottigliamento ma qualcosa di sinistro, di lugubre. […]

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

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I danni di Morsi

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Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

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Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

I danni di Morsi

Dal 25 gennaio 2011 a oggi l’Egitto ha perso almeno 1,100 vite, 1,100 martiri, le cui famiglie devono ancora vedersi compiuta una giustizia e realizzati i valori per cui queste persone hanno fatto dono di se stesse senza riserve. Non … Continue reading

Le “mummie” nell’armadio

Come nelle fasi più mature della Prima Rivoluzione (25 gennaio 2011), anche in questi giorni, per chi vive in Egitto e si informa tramite i mass media indipendenti locali, oltre che Twitter e i gruppi egiziani di Facebook, ci si … Continue reading

Le “mummie” nell’armadio

Come nelle fasi più mature della Prima Rivoluzione (25 gennaio 2011), anche in questi giorni, per chi vive in Egitto e si informa tramite i mass media indipendenti locali, oltre che Twitter e i gruppi egiziani di Facebook, ci si … Continue reading

Le “mummie” nell’armadio

Come nelle fasi più mature della Prima Rivoluzione (25 gennaio 2011), anche in questi giorni, per chi vive in Egitto e si informa tramite i mass media indipendenti locali, oltre che Twitter e i gruppi egiziani di Facebook, ci si … Continue reading

Le “mummie” nell’armadio

Come nelle fasi più mature della Prima Rivoluzione (25 gennaio 2011), anche in questi giorni, per chi vive in Egitto e si informa tramite i mass media indipendenti locali, oltre che Twitter e i gruppi egiziani di Facebook, ci si … Continue reading

Le “mummie” nell’armadio

Come nelle fasi più mature della Prima Rivoluzione (25 gennaio 2011), anche in questi giorni, per chi vive in Egitto e si informa tramite i mass media indipendenti locali, oltre che Twitter e i gruppi egiziani di Facebook, ci si … Continue reading

Le “mummie” nell’armadio

Come nelle fasi più mature della Prima Rivoluzione (25 gennaio 2011), anche in questi giorni, per chi vive in Egitto e si informa tramite i mass media indipendenti locali, oltre che Twitter e i gruppi egiziani di Facebook, ci si … Continue reading

Ciò che l’Egitto a questo punto non sarà

Questo post non riflette sulla morte prematura della democrazia egiziana. La sensazione, anzi, è che vi sia un cammino egiziano verso una democrazia. I più ottimisti – o anche i più struzzi, fate vobis – pensavano che con le pseudo-elezioni…

La borsa tifa Morsi, alla fin fine

E’ la prima volta che vedo collegare il nostro spread all’Egitto in fiamme. Repubblica dice che: “L’Egitto e l’Europa spaventano le Borse. Euro in calo, lo spread vola a quota 290”. Non so come prenderla, ‘sta cosa. Ma mi sa…

MARCO ALLONI – Egitto, avvisaglie di una seconda rivoluzione

Le cifre parlano chiaro. Due milioni di manifestanti tra il Cairo e altri 26 governatorati. 22 milioni di firme per sfiduciare il presidente (9 in più rispetto ai voti ottenuti da Morsi alle ultime presidenziali). Ben 8 marce dispiegate nella capitale dal movimento Tamarrud (Ribelli) per chiedere la destituzione del raìs. E, fino alla tarda […]

MARCO ALLONI – Egitto, avvisaglie di una seconda rivoluzione

Le cifre parlano chiaro. Due milioni di manifestanti tra il Cairo e altri 26 governatorati. 22 milioni di firme per sfiduciare il presidente (9 in più rispetto ai voti ottenuti da Morsi alle ultime presidenziali). Ben 8 marce dispiegate nella capitale dal movimento Tamarrud (Ribelli) per chiedere la destituzione del raìs. E, fino alla tarda […]

MARCO ALLONI – Egitto, avvisaglie di una seconda rivoluzione

Le cifre parlano chiaro. Due milioni di manifestanti tra il Cairo e altri 26 governatorati. 22 milioni di firme per sfiduciare il presidente (9 in più rispetto ai voti ottenuti da Morsi alle ultime presidenziali). Ben 8 marce dispiegate nella capitale dal movimento Tamarrud (Ribelli) per chiedere la destituzione del raìs. E, fino alla tarda […]

MARCO ALLONI – Egitto, avvisaglie di una seconda rivoluzione

Le cifre parlano chiaro. Due milioni di manifestanti tra il Cairo e altri 26 governatorati. 22 milioni di firme per sfiduciare il presidente (9 in più rispetto ai voti ottenuti da Morsi alle ultime presidenziali). Ben 8 marce dispiegate nella capitale dal movimento Tamarrud (Ribelli) per chiedere la destituzione del raìs. E, fino alla tarda […]

MARCO ALLONI – Egitto, avvisaglie di una seconda rivoluzione

Le cifre parlano chiaro. Due milioni di manifestanti tra il Cairo e altri 26 governatorati. 22 milioni di firme per sfiduciare il presidente (9 in più rispetto ai voti ottenuti da Morsi alle ultime presidenziali). Ben 8 marce dispiegate nella capitale dal movimento Tamarrud (Ribelli) per chiedere la destituzione del raìs. E, fino alla tarda […]

MARCO ALLONI – Egitto, avvisaglie di una seconda rivoluzione

Le cifre parlano chiaro. Due milioni di manifestanti tra il Cairo e altri 26 governatorati. 22 milioni di firme per sfiduciare il presidente (9 in più rispetto ai voti ottenuti da Morsi alle ultime presidenziali). Ben 8 marce dispiegate nella capitale dal movimento Tamarrud (Ribelli) per chiedere la destituzione del raìs. E, fino alla tarda […]

“la madre di Cecilia” e il suo perpetuo dolore

Sono le poche righe di quel mattone dei “Promessi Sposi” che ho nel cuore da quando avevo l’età di Cecilia, che uccisa dalla peste veniva trasportata da sua madre, “col petto appoggiato al petto”. Chissà perché, poco più di una bambina, mi son fatta scavar dentro da queste righe, con l’empatia di madre, più che […]

“la madre di Cecilia” e il suo perpetuo dolore

Sono le poche righe di quel mattone dei “Promessi Sposi” che ho nel cuore da quando avevo l’età di Cecilia, che uccisa dalla peste veniva trasportata da sua madre, “col petto appoggiato al petto”. Chissà perché, poco più di una bambina, mi son fatta scavar dentro da queste righe, con l’empatia di madre, più che […]

“la madre di Cecilia” e il suo perpetuo dolore

Sono le poche righe di quel mattone dei “Promessi Sposi” che ho nel cuore da quando avevo l’età di Cecilia, che uccisa dalla peste veniva trasportata da sua madre, “col petto appoggiato al petto”. Chissà perché, poco più di una bambina, mi son fatta scavar dentro da queste righe, con l’empatia di madre, più che […]

“la madre di Cecilia” e il suo perpetuo dolore

Sono le poche righe di quel mattone dei “Promessi Sposi” che ho nel cuore da quando avevo l’età di Cecilia, che uccisa dalla peste veniva trasportata da sua madre, “col petto appoggiato al petto”. Chissà perché, poco più di una bambina, mi son fatta scavar dentro da queste righe, con l’empatia di madre, più che […]

Scuba-turismo per la salvaguardia dell’ambiente

Scuba-turismo  per la salvaguardia dell’ambiente

Lo sviluppo del turismo sul Mar Rosso è strettamente legato all’esplorazione degli abissi. Per realizzare concretamente le politiche di salvaguardia ambientale è necessaria la partecipazione dei donatori internazionali e degli imprenditori.

Il Golfo di Aqaba, tra la penisola del Sinai e la penisola araba, è un ambiente unico al mondo per la sua varietà floreale e animale. Questo patrimonio ecologico si trova sommerso, sulla barriera corallina del Mar Rosso, che ospita il 30% della biodiversità marina mondiale conosciuta. Le barriere del Golfo di Aqaba, del parco nazionale di Ras Mohamed e della costa del Mar Rosso sono infatti la meta privilegiata dei sub a livello mondiale. Dopo i trattati dell’81 e la stabilità nel Sinai, il Governo egiziano ha avviato una politica di sviluppo del turismo costiero. La rapida crescita di grandi centri urbani attrezzati per accogliere oltre il 35% del turismo egiziano – stimato 12milioni di turisti annui prima della rivoluzione – non ha però tenuto conto dei costi in termini ambientali dell’improvvisa richiesta di risorse. Il passaggio da 560 a oltre 48mila stanze d’albergo nel golfo di Aqaba dal 1989 ad oggi ha causato la perdita, in alcune zone, di oltre il 55% dei coralli e la conseguente scomparsa di specie marine. Calcolando il valore del reef secondo i criteri della Banca Mondiale, la perdita ecologica arriva a 1800 milioni di dollari e di oltre 1400 tonnellate di pescato perso annualmente.

Sono i centri urbani minori, come la tradizionale Nweiba e la crescente Dahab, ad offrire un turismo di qualità, mantenendo legami con le tradizioni locali e nel pieno rispetto del mondo sottomarino.

 

Scuba: turismo responsabile

Quasi la totalità dei centri scuba nel Sinai ha sottoscritto un codice etico ISO per la salvaguarda ambientale, promuovendo iniziative per lo studio e la conservazione del patrimonio della barriera corallina. L’iniziativa Scuba Tourism for the Environment (STE), promossa dal Marine Science Group dell’università Alma Mater di Bologna è ad esempio un esperimento di studio e ricerca scientifica in collaborazione con migliaia di sub “scienziati per un giorno”, che volontariamente aiutano nella raccolta delle informazioni. La richiesta dei turisti in questa zona è strettamente legata alla conservazione della barriera corallina e gli operatori interessati operano già in questa direzione.

 

Programmi di salvaguardia ambientale

L’Egitto è consapevole del fatto che una corretta gestione del turismo sia fondamentale per la sua sopravvivenza economica. L’Autorità per lo Sviluppo Turistico sta ora lavorando su concetti di eco-turismo e di eco-lodge, in conformità con il regolamento regionale PERSGA, avviato a Gedda in Arabia Saudita per la salvaguardia della biodiversità nel Golfo di Aden e nel Sinai. Le iniziative a livello locale sono state supportate fino al 2010 dal programma europeo South Sinai Regional Development Program (SSRDP) che ha stanziato fondi per 54 milioni di euro per progetti di sviluppo economico legati al rispetto delle culture e del patrimonio biomarino locale. 

 

Project AWARE

Project AWARE (Aquatic World Awareness Responsibility, and Education) è un’organizzazione non-profit mondiale dedicata ad “ambienti sommersi, alla conservazione attraverso l’educazione, il patrocinio e l’azione.” L’organizzazione è stata fondata nel 1989 dalla Associazione Professionale di Istruttori Subacquei (PADI), in risposta alle crescenti preoccupazioni da parte di alcuni subacquei sui potenziali danni inflitti alle barriere coralline dalle attività acquatiche ricreative e commerciali. Attività umane e disastri naturali hanno portato ad una riduzione del nostro sistema di barriera naturale

Project AWARE ha promosso molti eventi, come la pulizia di spiagge e barriere, il controllo e la prevenzione. Essi continuano a monitorare e riferire sullo stato dell’ambiente marino ai governi che ospitano importanti reef marini per una maggiore azione sulla conservazione e gli sforzi di conservazione.

  • Egitto
  • Turismo
  • Ambiente

    Scuba-turismo per la salvaguardia dell’ambiente

    Scuba-turismo  per la salvaguardia dell’ambiente

    Lo sviluppo del turismo sul Mar Rosso è strettamente legato all’esplorazione degli abissi. Per realizzare concretamente le politiche di salvaguardia ambientale è necessaria la partecipazione dei donatori internazionali e degli imprenditori.

    Il Golfo di Aqaba, tra la penisola del Sinai e la penisola araba, è un ambiente unico al mondo per la sua varietà floreale e animale. Questo patrimonio ecologico si trova sommerso, sulla barriera corallina del Mar Rosso, che ospita il 30% della biodiversità marina mondiale conosciuta. Le barriere del Golfo di Aqaba, del parco nazionale di Ras Mohamed e della costa del Mar Rosso sono infatti la meta privilegiata dei sub a livello mondiale. Dopo i trattati dell’81 e la stabilità nel Sinai, il Governo egiziano ha avviato una politica di sviluppo del turismo costiero. La rapida crescita di grandi centri urbani attrezzati per accogliere oltre il 35% del turismo egiziano – stimato 12milioni di turisti annui prima della rivoluzione – non ha però tenuto conto dei costi in termini ambientali dell’improvvisa richiesta di risorse. Il passaggio da 560 a oltre 48mila stanze d’albergo nel golfo di Aqaba dal 1989 ad oggi ha causato la perdita, in alcune zone, di oltre il 55% dei coralli e la conseguente scomparsa di specie marine. Calcolando il valore del reef secondo i criteri della Banca Mondiale, la perdita ecologica arriva a 1800 milioni di dollari e di oltre 1400 tonnellate di pescato perso annualmente.

    Sono i centri urbani minori, come la tradizionale Nweiba e la crescente Dahab, ad offrire un turismo di qualità, mantenendo legami con le tradizioni locali e nel pieno rispetto del mondo sottomarino.

     

    Scuba: turismo responsabile

    Quasi la totalità dei centri scuba nel Sinai ha sottoscritto un codice etico ISO per la salvaguarda ambientale, promuovendo iniziative per lo studio e la conservazione del patrimonio della barriera corallina. L’iniziativa Scuba Tourism for the Environment (STE), promossa dal Marine Science Group dell’università Alma Mater di Bologna è ad esempio un esperimento di studio e ricerca scientifica in collaborazione con migliaia di sub “scienziati per un giorno”, che volontariamente aiutano nella raccolta delle informazioni. La richiesta dei turisti in questa zona è strettamente legata alla conservazione della barriera corallina e gli operatori interessati operano già in questa direzione.

     

    Programmi di salvaguardia ambientale

    L’Egitto è consapevole del fatto che una corretta gestione del turismo sia fondamentale per la sua sopravvivenza economica. L’Autorità per lo Sviluppo Turistico sta ora lavorando su concetti di eco-turismo e di eco-lodge, in conformità con il regolamento regionale PERSGA, avviato a Gedda in Arabia Saudita per la salvaguardia della biodiversità nel Golfo di Aden e nel Sinai. Le iniziative a livello locale sono state supportate fino al 2010 dal programma europeo South Sinai Regional Development Program (SSRDP) che ha stanziato fondi per 54 milioni di euro per progetti di sviluppo economico legati al rispetto delle culture e del patrimonio biomarino locale. 

     

    Project AWARE

    Project AWARE (Aquatic World Awareness Responsibility, and Education) è un’organizzazione non-profit mondiale dedicata ad “ambienti sommersi, alla conservazione attraverso l’educazione, il patrocinio e l’azione.” L’organizzazione è stata fondata nel 1989 dalla Associazione Professionale di Istruttori Subacquei (PADI), in risposta alle crescenti preoccupazioni da parte di alcuni subacquei sui potenziali danni inflitti alle barriere coralline dalle attività acquatiche ricreative e commerciali. Attività umane e disastri naturali hanno portato ad una riduzione del nostro sistema di barriera naturale

    Project AWARE ha promosso molti eventi, come la pulizia di spiagge e barriere, il controllo e la prevenzione. Essi continuano a monitorare e riferire sullo stato dell’ambiente marino ai governi che ospitano importanti reef marini per una maggiore azione sulla conservazione e gli sforzi di conservazione.

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    • Turismo
    • Ambiente

      Scuba-turismo per la salvaguardia dell’ambiente

      Scuba-turismo  per la salvaguardia dell’ambiente

      Lo sviluppo del turismo sul Mar Rosso è strettamente legato all’esplorazione degli abissi. Per realizzare concretamente le politiche di salvaguardia ambientale è necessaria la partecipazione dei donatori internazionali e degli imprenditori.

      Il Golfo di Aqaba, tra la penisola del Sinai e la penisola araba, è un ambiente unico al mondo per la sua varietà floreale e animale. Questo patrimonio ecologico si trova sommerso, sulla barriera corallina del Mar Rosso, che ospita il 30% della biodiversità marina mondiale conosciuta. Le barriere del Golfo di Aqaba, del parco nazionale di Ras Mohamed e della costa del Mar Rosso sono infatti la meta privilegiata dei sub a livello mondiale. Dopo i trattati dell’81 e la stabilità nel Sinai, il Governo egiziano ha avviato una politica di sviluppo del turismo costiero. La rapida crescita di grandi centri urbani attrezzati per accogliere oltre il 35% del turismo egiziano – stimato 12milioni di turisti annui prima della rivoluzione – non ha però tenuto conto dei costi in termini ambientali dell’improvvisa richiesta di risorse. Il passaggio da 560 a oltre 48mila stanze d’albergo nel golfo di Aqaba dal 1989 ad oggi ha causato la perdita, in alcune zone, di oltre il 55% dei coralli e la conseguente scomparsa di specie marine. Calcolando il valore del reef secondo i criteri della Banca Mondiale, la perdita ecologica arriva a 1800 milioni di dollari e di oltre 1400 tonnellate di pescato perso annualmente.

      Sono i centri urbani minori, come la tradizionale Nweiba e la crescente Dahab, ad offrire un turismo di qualità, mantenendo legami con le tradizioni locali e nel pieno rispetto del mondo sottomarino.

       

      Scuba: turismo responsabile

      Quasi la totalità dei centri scuba nel Sinai ha sottoscritto un codice etico ISO per la salvaguarda ambientale, promuovendo iniziative per lo studio e la conservazione del patrimonio della barriera corallina. L’iniziativa Scuba Tourism for the Environment (STE), promossa dal Marine Science Group dell’università Alma Mater di Bologna è ad esempio un esperimento di studio e ricerca scientifica in collaborazione con migliaia di sub “scienziati per un giorno”, che volontariamente aiutano nella raccolta delle informazioni. La richiesta dei turisti in questa zona è strettamente legata alla conservazione della barriera corallina e gli operatori interessati operano già in questa direzione.

       

      Programmi di salvaguardia ambientale

      L’Egitto è consapevole del fatto che una corretta gestione del turismo sia fondamentale per la sua sopravvivenza economica. L’Autorità per lo Sviluppo Turistico sta ora lavorando su concetti di eco-turismo e di eco-lodge, in conformità con il regolamento regionale PERSGA, avviato a Gedda in Arabia Saudita per la salvaguardia della biodiversità nel Golfo di Aden e nel Sinai. Le iniziative a livello locale sono state supportate fino al 2010 dal programma europeo South Sinai Regional Development Program (SSRDP) che ha stanziato fondi per 54 milioni di euro per progetti di sviluppo economico legati al rispetto delle culture e del patrimonio biomarino locale. 

       

      Project AWARE

      Project AWARE (Aquatic World Awareness Responsibility, and Education) è un’organizzazione non-profit mondiale dedicata ad “ambienti sommersi, alla conservazione attraverso l’educazione, il patrocinio e l’azione.” L’organizzazione è stata fondata nel 1989 dalla Associazione Professionale di Istruttori Subacquei (PADI), in risposta alle crescenti preoccupazioni da parte di alcuni subacquei sui potenziali danni inflitti alle barriere coralline dalle attività acquatiche ricreative e commerciali. Attività umane e disastri naturali hanno portato ad una riduzione del nostro sistema di barriera naturale

      Project AWARE ha promosso molti eventi, come la pulizia di spiagge e barriere, il controllo e la prevenzione. Essi continuano a monitorare e riferire sullo stato dell’ambiente marino ai governi che ospitano importanti reef marini per una maggiore azione sulla conservazione e gli sforzi di conservazione.

      • Egitto
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        Scuba-turismo per la salvaguardia dell’ambiente

        Scuba-turismo  per la salvaguardia dell’ambiente

        Lo sviluppo del turismo sul Mar Rosso è strettamente legato all’esplorazione degli abissi. Per realizzare concretamente le politiche di salvaguardia ambientale è necessaria la partecipazione dei donatori internazionali e degli imprenditori.

        Il Golfo di Aqaba, tra la penisola del Sinai e la penisola araba, è un ambiente unico al mondo per la sua varietà floreale e animale. Questo patrimonio ecologico si trova sommerso, sulla barriera corallina del Mar Rosso, che ospita il 30% della biodiversità marina mondiale conosciuta. Le barriere del Golfo di Aqaba, del parco nazionale di Ras Mohamed e della costa del Mar Rosso sono infatti la meta privilegiata dei sub a livello mondiale. Dopo i trattati dell’81 e la stabilità nel Sinai, il Governo egiziano ha avviato una politica di sviluppo del turismo costiero. La rapida crescita di grandi centri urbani attrezzati per accogliere oltre il 35% del turismo egiziano – stimato 12milioni di turisti annui prima della rivoluzione – non ha però tenuto conto dei costi in termini ambientali dell’improvvisa richiesta di risorse. Il passaggio da 560 a oltre 48mila stanze d’albergo nel golfo di Aqaba dal 1989 ad oggi ha causato la perdita, in alcune zone, di oltre il 55% dei coralli e la conseguente scomparsa di specie marine. Calcolando il valore del reef secondo i criteri della Banca Mondiale, la perdita ecologica arriva a 1800 milioni di dollari e di oltre 1400 tonnellate di pescato perso annualmente.

        Sono i centri urbani minori, come la tradizionale Nweiba e la crescente Dahab, ad offrire un turismo di qualità, mantenendo legami con le tradizioni locali e nel pieno rispetto del mondo sottomarino.

         

        Scuba: turismo responsabile

        Quasi la totalità dei centri scuba nel Sinai ha sottoscritto un codice etico ISO per la salvaguarda ambientale, promuovendo iniziative per lo studio e la conservazione del patrimonio della barriera corallina. L’iniziativa Scuba Tourism for the Environment (STE), promossa dal Marine Science Group dell’università Alma Mater di Bologna è ad esempio un esperimento di studio e ricerca scientifica in collaborazione con migliaia di sub “scienziati per un giorno”, che volontariamente aiutano nella raccolta delle informazioni. La richiesta dei turisti in questa zona è strettamente legata alla conservazione della barriera corallina e gli operatori interessati operano già in questa direzione.

         

        Programmi di salvaguardia ambientale

        L’Egitto è consapevole del fatto che una corretta gestione del turismo sia fondamentale per la sua sopravvivenza economica. L’Autorità per lo Sviluppo Turistico sta ora lavorando su concetti di eco-turismo e di eco-lodge, in conformità con il regolamento regionale PERSGA, avviato a Gedda in Arabia Saudita per la salvaguardia della biodiversità nel Golfo di Aden e nel Sinai. Le iniziative a livello locale sono state supportate fino al 2010 dal programma europeo South Sinai Regional Development Program (SSRDP) che ha stanziato fondi per 54 milioni di euro per progetti di sviluppo economico legati al rispetto delle culture e del patrimonio biomarino locale. 

         

        Project AWARE

        Project AWARE (Aquatic World Awareness Responsibility, and Education) è un’organizzazione non-profit mondiale dedicata ad “ambienti sommersi, alla conservazione attraverso l’educazione, il patrocinio e l’azione.” L’organizzazione è stata fondata nel 1989 dalla Associazione Professionale di Istruttori Subacquei (PADI), in risposta alle crescenti preoccupazioni da parte di alcuni subacquei sui potenziali danni inflitti alle barriere coralline dalle attività acquatiche ricreative e commerciali. Attività umane e disastri naturali hanno portato ad una riduzione del nostro sistema di barriera naturale

        Project AWARE ha promosso molti eventi, come la pulizia di spiagge e barriere, il controllo e la prevenzione. Essi continuano a monitorare e riferire sullo stato dell’ambiente marino ai governi che ospitano importanti reef marini per una maggiore azione sulla conservazione e gli sforzi di conservazione.

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        • Ambiente

          MARCO ALLONI – Yemen, altri intellettuali minacciati di morte

          È ormai trascorso un mese da quando lo scrittore egiziano Ibrahim Farghali e il professore Elham Manea dell’università di Zurigo hanno lanciato una petizione in difesa di Ali Al-Muqri e Ahmad Al-Aramy. Eppure sembra che la questione non abbia ancora trovato eco in Occidente. Val quindi ribadire che o la campagna in difesa della libertà […]

          MARCO ALLONI – Yemen, altri intellettuali minacciati di morte

          È ormai trascorso un mese da quando lo scrittore egiziano Ibrahim Farghali e il professore Elham Manea dell’università di Zurigo hanno lanciato una petizione in difesa di Ali Al-Muqri e Ahmad Al-Aramy. Eppure sembra che la questione non abbia ancora trovato eco in Occidente. Val quindi ribadire che o la campagna in difesa della libertà […]

          MARCO ALLONI – Yemen, altri intellettuali minacciati di morte

          È ormai trascorso un mese da quando lo scrittore egiziano Ibrahim Farghali e il professore Elham Manea dell’università di Zurigo hanno lanciato una petizione in difesa di Ali Al-Muqri e Ahmad Al-Aramy. Eppure sembra che la questione non abbia ancora trovato eco in Occidente. Val quindi ribadire che o la campagna in difesa della libertà […]

          MARCO ALLONI – Yemen, altri intellettuali minacciati di morte

          È ormai trascorso un mese da quando lo scrittore egiziano Ibrahim Farghali e il professore Elham Manea dell’università di Zurigo hanno lanciato una petizione in difesa di Ali Al-Muqri e Ahmad Al-Aramy. Eppure sembra che la questione non abbia ancora trovato eco in Occidente. Val quindi ribadire che o la campagna in difesa della libertà […]

          Co-sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

          Co-sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

          Si è conclusa martedì 25 giugno 2013 la due giorni di lavori della conferenza internazionale “MEDEA: MEDiterraneo, Expo e Agroalimentare” che ha visto riuniti a Milano i più autorevoli rappresentanti delle Istituzioni italiane e marocchine impegnati nello sviluppo socio economico dei due Paesi, coinvolgendo in tutto oltre 150 tra imprenditori, associazioni, istituzioni italiane milanesi e marocchine.

          Ospite dell’Unione degli Artigiani di Milano Monza e Brianza un partenariato composto da MEDInaTERRANEA, COSV, Ministero dei Marocchini Residenti all’Estero, Fondazione Creazione di Impresa, Centro Regionale per gli Investimenti della regione Tadla-Azilal, Halal Italia, il Consolato marocchino a Milano, l’Università Statale di Milano, ISMU, Société Général du Maroc, Extrabanca, all’interno di un programma co-finanziato da Comune di Milano, ha proposto un intenso programma di lavoro.   

          Con quattro panel tematici, incontri B2B, una tavola rotonda e una conferenza internazionale dal titolo “Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future” i promotori si sono concentrati sulla necessità di rafforzare politiche di sviluppo condivise tra i due paesi, di adeguare le esigenze del profit alle politiche di sviluppo regionale e sui vantaggi di un coordinamento con il no profit.   

          E’ emerso in modo chiaro ed evidente che è possibile, volendolo, avviare dei percorsi di co-sviluppo per una reciproca crescita economica in una cooperazione non più diretta dal nord verso il sud ma considerata uno scambio di conoscenze e di politiche condivise a vantaggio di tutti gli attori coinvolti. Le imprese e le associazioni stanno in prima persona creando consorzi, reti formali e partnership, per offrire agli aderenti servizi di mediazione e offrendo opportunità di sviluppo d’impresa. Da parte loro, le istituzioni sono interessate a lavorare con questi gruppi di lavoro.

          L’internazionalizzazione verso il Marocco rappresenta una importante possibilità per le imprese, che oggi questa deve tenere conto del peso delle relazioni instaurate grazie alle comunità marocchine in Italia se vuole mantenere dei legami duraturi.

          Il co-sviluppo, inteso come rafforzamento e continuità delle relazioni tra imprenditori e associazioni italiane e marocchine, rappresenta un’opportunità di crescita per entrambi i paesi, nel rispetto di regole condivise in termini di politiche di sviluppo sostenibile.

          “Nell’attuale contesto dobbiamo far emergere gli effetti positivi della crisi: questa ci dà una opportunità straordinaria per riflettere insieme a instaurare nuove relazioni nel bacino del Mediterraneo”, ha affermato il Console Mohammad Benali, evidenziando che “queste giornate rappresentano una occasione per individuare le opportunità di cooperazione interregionale tra Lombardia e Marocco, definire il quadro giuridico come documento di riferimento e individuare le principali aree della cooperazione precisando i temi prioritari, come il supporto al microcredito, lo sviluppo sostenibile, l’uso dell’acqua, i sistemi di irrigazione e promozione dei partenariati”.   

           

          Tutti i documenti e gli interventi dei relatori verranno pubblicati su questa pagina nei prossimi giorni

           

           

           

          • Lombardia
          • Marocco

            Co-sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

            Co-sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

            Si è conclusa martedì 25 giugno 2013 la due giorni di lavori della conferenza internazionale “MEDEA: MEDiterraneo, Expo e Agroalimentare” che ha visto riuniti a Milano i più autorevoli rappresentanti delle Istituzioni italiane e marocchine impegnati nello sviluppo socio economico dei due Paesi, coinvolgendo in tutto oltre 150 tra imprenditori, associazioni, istituzioni italiane milanesi e marocchine.

            Ospite dell’Unione degli Artigiani di Milano Monza e Brianza un partenariato composto da MEDInaTERRANEA, COSV, Ministero dei Marocchini Residenti all’Estero, Fondazione Creazione di Impresa, Centro Regionale per gli Investimenti della regione Tadla-Azilal, Halal Italia, il Consolato marocchino a Milano, l’Università Statale di Milano, ISMU, Société Général du Maroc, Extrabanca, all’interno di un programma co-finanziato da Comune di Milano, ha proposto un intenso programma di lavoro.   

            Con quattro panel tematici, incontri B2B, una tavola rotonda e una conferenza internazionale dal titolo “Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future” i promotori si sono concentrati sulla necessità di rafforzare politiche di sviluppo condivise tra i due paesi, di adeguare le esigenze del profit alle politiche di sviluppo regionale e sui vantaggi di un coordinamento con il no profit.   

            E’ emerso in modo chiaro ed evidente che è possibile, volendolo, avviare dei percorsi di co-sviluppo per una reciproca crescita economica in una cooperazione non più diretta dal nord verso il sud ma considerata uno scambio di conoscenze e di politiche condivise a vantaggio di tutti gli attori coinvolti. Le imprese e le associazioni stanno in prima persona creando consorzi, reti formali e partnership, per offrire agli aderenti servizi di mediazione e offrendo opportunità di sviluppo d’impresa. Da parte loro, le istituzioni sono interessate a lavorare con questi gruppi di lavoro.

            L’internazionalizzazione verso il Marocco rappresenta una importante possibilità per le imprese, che oggi questa deve tenere conto del peso delle relazioni instaurate grazie alle comunità marocchine in Italia se vuole mantenere dei legami duraturi.

            Il co-sviluppo, inteso come rafforzamento e continuità delle relazioni tra imprenditori e associazioni italiane e marocchine, rappresenta un’opportunità di crescita per entrambi i paesi, nel rispetto di regole condivise in termini di politiche di sviluppo sostenibile.

            “Nell’attuale contesto dobbiamo far emergere gli effetti positivi della crisi: questa ci dà una opportunità straordinaria per riflettere insieme a instaurare nuove relazioni nel bacino del Mediterraneo”, ha affermato il Console Mohammad Benali, evidenziando che “queste giornate rappresentano una occasione per individuare le opportunità di cooperazione interregionale tra Lombardia e Marocco, definire il quadro giuridico come documento di riferimento e individuare le principali aree della cooperazione precisando i temi prioritari, come il supporto al microcredito, lo sviluppo sostenibile, l’uso dell’acqua, i sistemi di irrigazione e promozione dei partenariati”.   

             

            Tutti i documenti e gli interventi dei relatori verranno pubblicati su questa pagina nei prossimi giorni

             

             

             

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              Co-sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

              Co-sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

              Si è conclusa martedì 25 giugno 2013 la due giorni di lavori della conferenza internazionale “MEDEA: MEDiterraneo, Expo e Agroalimentare” che ha visto riuniti a Milano i più autorevoli rappresentanti delle Istituzioni italiane e marocchine impegnati nello sviluppo socio economico dei due Paesi, coinvolgendo in tutto oltre 150 tra imprenditori, associazioni, istituzioni italiane milanesi e marocchine.

              Ospite dell’Unione degli Artigiani di Milano Monza e Brianza un partenariato composto da MEDInaTERRANEA, COSV, Ministero dei Marocchini Residenti all’Estero, Fondazione Creazione di Impresa, Centro Regionale per gli Investimenti della regione Tadla-Azilal, Halal Italia, il Consolato marocchino a Milano, l’Università Statale di Milano, ISMU, Société Général du Maroc, Extrabanca, all’interno di un programma co-finanziato da Comune di Milano, ha proposto un intenso programma di lavoro.   

              Con quattro panel tematici, incontri B2B, una tavola rotonda e una conferenza internazionale dal titolo “Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future” i promotori si sono concentrati sulla necessità di rafforzare politiche di sviluppo condivise tra i due paesi, di adeguare le esigenze del profit alle politiche di sviluppo regionale e sui vantaggi di un coordinamento con il no profit.   

              E’ emerso in modo chiaro ed evidente che è possibile, volendolo, avviare dei percorsi di co-sviluppo per una reciproca crescita economica in una cooperazione non più diretta dal nord verso il sud ma considerata uno scambio di conoscenze e di politiche condivise a vantaggio di tutti gli attori coinvolti. Le imprese e le associazioni stanno in prima persona creando consorzi, reti formali e partnership, per offrire agli aderenti servizi di mediazione e offrendo opportunità di sviluppo d’impresa. Da parte loro, le istituzioni sono interessate a lavorare con questi gruppi di lavoro.

              L’internazionalizzazione verso il Marocco rappresenta una importante possibilità per le imprese, che oggi questa deve tenere conto del peso delle relazioni instaurate grazie alle comunità marocchine in Italia se vuole mantenere dei legami duraturi.

              Il co-sviluppo, inteso come rafforzamento e continuità delle relazioni tra imprenditori e associazioni italiane e marocchine, rappresenta un’opportunità di crescita per entrambi i paesi, nel rispetto di regole condivise in termini di politiche di sviluppo sostenibile.

              “Nell’attuale contesto dobbiamo far emergere gli effetti positivi della crisi: questa ci dà una opportunità straordinaria per riflettere insieme a instaurare nuove relazioni nel bacino del Mediterraneo”, ha affermato il Console Mohammad Benali, evidenziando che “queste giornate rappresentano una occasione per individuare le opportunità di cooperazione interregionale tra Lombardia e Marocco, definire il quadro giuridico come documento di riferimento e individuare le principali aree della cooperazione precisando i temi prioritari, come il supporto al microcredito, lo sviluppo sostenibile, l’uso dell’acqua, i sistemi di irrigazione e promozione dei partenariati”.   

               

              Tutti i documenti e gli interventi dei relatori verranno pubblicati su questa pagina nei prossimi giorni

               

               

               

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                Co-sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

                Co-sviluppo: un percorso possibile nel Mediterraneo

                Si è conclusa martedì 25 giugno 2013 la due giorni di lavori della conferenza internazionale “MEDEA: MEDiterraneo, Expo e Agroalimentare” che ha visto riuniti a Milano i più autorevoli rappresentanti delle Istituzioni italiane e marocchine impegnati nello sviluppo socio economico dei due Paesi, coinvolgendo in tutto oltre 150 tra imprenditori, associazioni, istituzioni italiane milanesi e marocchine.

                Ospite dell’Unione degli Artigiani di Milano Monza e Brianza un partenariato composto da MEDInaTERRANEA, COSV, Ministero dei Marocchini Residenti all’Estero, Fondazione Creazione di Impresa, Centro Regionale per gli Investimenti della regione Tadla-Azilal, Halal Italia, il Consolato marocchino a Milano, l’Università Statale di Milano, ISMU, Société Général du Maroc, Extrabanca, all’interno di un programma co-finanziato da Comune di Milano, ha proposto un intenso programma di lavoro.   

                Con quattro panel tematici, incontri B2B, una tavola rotonda e una conferenza internazionale dal titolo “Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future” i promotori si sono concentrati sulla necessità di rafforzare politiche di sviluppo condivise tra i due paesi, di adeguare le esigenze del profit alle politiche di sviluppo regionale e sui vantaggi di un coordinamento con il no profit.   

                E’ emerso in modo chiaro ed evidente che è possibile, volendolo, avviare dei percorsi di co-sviluppo per una reciproca crescita economica in una cooperazione non più diretta dal nord verso il sud ma considerata uno scambio di conoscenze e di politiche condivise a vantaggio di tutti gli attori coinvolti. Le imprese e le associazioni stanno in prima persona creando consorzi, reti formali e partnership, per offrire agli aderenti servizi di mediazione e offrendo opportunità di sviluppo d’impresa. Da parte loro, le istituzioni sono interessate a lavorare con questi gruppi di lavoro.

                L’internazionalizzazione verso il Marocco rappresenta una importante possibilità per le imprese, che oggi questa deve tenere conto del peso delle relazioni instaurate grazie alle comunità marocchine in Italia se vuole mantenere dei legami duraturi.

                Il co-sviluppo, inteso come rafforzamento e continuità delle relazioni tra imprenditori e associazioni italiane e marocchine, rappresenta un’opportunità di crescita per entrambi i paesi, nel rispetto di regole condivise in termini di politiche di sviluppo sostenibile.

                “Nell’attuale contesto dobbiamo far emergere gli effetti positivi della crisi: questa ci dà una opportunità straordinaria per riflettere insieme a instaurare nuove relazioni nel bacino del Mediterraneo”, ha affermato il Console Mohammad Benali, evidenziando che “queste giornate rappresentano una occasione per individuare le opportunità di cooperazione interregionale tra Lombardia e Marocco, definire il quadro giuridico come documento di riferimento e individuare le principali aree della cooperazione precisando i temi prioritari, come il supporto al microcredito, lo sviluppo sostenibile, l’uso dell’acqua, i sistemi di irrigazione e promozione dei partenariati”.   

                 

                Tutti i documenti e gli interventi dei relatori verranno pubblicati su questa pagina nei prossimi giorni

                 

                 

                 

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                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  Rosario Crocetta e i fantasmi del ventennio Ben Ali

                  Zine Abidine Ben Ali. Ex dittatore tunisino

                  La ” rivoluzione siciliana” targata Rosario Crocetta ha resuscitato e schierato nella propria scacchiera regionale nemici di un altra rivoluzione: quella tunisina. Ebbene si , pare che il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta ha affidato un incarico regionale al quanto delicato ad un ex uomo del RCD ( raggruppamento costituzionale democratico) partito del dittatore deposto Zine Abidine Ben Ali. Anziano generale tunisino salito al potere grazie ad un colpo di stato ” medico ” ai danni dell’anziano Habib Bourguiba,allora presidente della repubblica e padre dell’indipendenza tunisina. A quel colpo di stato seguirono 23 anni di regime poliziesco che azzerò, con l’ausilio della tortura e della galera,qualsiasi critica e dissenso che provenisse da fuori i corridoi della sede del partito di regime Rcd (raggruppamento costituzionale democratico) sito a piazza Mohamed V a Tunisi. Ricordiamo che tra gli efferati crimini commessi dal dittatore nonchè allievo agente della C.I.A americana  spunta la feroce repressione poliziesca contro i moti del bacino della regione di Gafsa del 2008.Quando un concorso indetto da una grossa fabbrica locale,a cui vi parteciparono una buona parte dei giovani disoccupati della regione,risultò essere truccata .Fatto che ha spinto la popolazione locale,esasperata dall’ennesimo caso di corruzione e clientelismo, a scendere in strada sfidando la brutalità della polizia di Ben Ali. Movimenti di protesta che hanno scosso il regime  per ben otto mesi costringendo la polizia ad usare il pugno di ferro reprimendo nel sangue le pacifiche manifestazioni capeggiate dal carismatico sindacalista tunisino Adnane Haji.  ( per maggiori informazioni visitate il blog di Gabriele del Grande – Fortress Europe).

                  Sami Ben Abdelaali ( il primo a partire da destra)

                   L’attuale vice capo di Gabinetto dell’assessorato Agricoltura Sami Ben abdelaali,ai tempi della storica caduta del regime dispotico di Ben Ali,avvenuta il 14 Gennaio 2011, era il numero 348 della lunghissima lista del comitato centrale del Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico) nonché funzionario del consolato tunisino di Palermo. La sua cacciata dal consolato tunisino avvenne dopo la salita al potere del partito islamista ” Ennahda” e sopratutto dopo le visite in Sicilia,nei primi mesi del 2012, di Houcine el Jaziri prima e Touhami Abdouli dopo,rispettivamente segretari di stato presso il ministero dell’emigrazione tunisina e ministero degli esteri. Per tutto il 2012 e buona parte del 2013 dell’ex pedina siciliana di Ben Ali si perserò completamente le tracce sino al giorno in cui un articolo del settimanale ”l’Espresso” denunciò la strana presenza dell’uomo d’affari tunisino all’interno degli uffici della regione siciliana.

                  A conferma del passato rcdista dell’ex funzionario tunisino,propongo un articolo redatto nel Maggio 2010 in occasione dell’incontro tra l’ex console tunisino di stanza in Sicilia , AbdRahman Ben Mansour e le comunità tunisine della Sicilia :

                  A Scoglitti la Comunità tunisina incontra il Console Generale

                  RISPETTO DEI DIRITTI UMANI ED APERTURA ALLE REALTA’ LOCALI

                  E intanto il settimanale ” L’Espresso ” si pone il seguente 

                  quesito : 

                  Come ha fatto ad ottenere quel posto da componente esterno in quella struttura amministrativa? 

                  Per Dario Cartabellotta, assessore all’Agricoltura in Sicilia che ha firmato il suo contratto, la nomina del dirigente tunisino è stata «una scelta collegiale del governo siciliano».  

                  La mappa concettuale della Siria civile

                  Concentràti sull’escalation del conflitto e sul processo, sempre più preoccupante, di radicalizzazione in atto, ci siamo dimenticati di come è nata la protesta in Siria e, soprattutto, di chi l’ha fatta nascere e portata avanti: una nascente società civile la…

                  Cosa lega Gezi Parki, Goldman Sachs e le sanzioni all’Iran?

                  Assolutamente niente. Tuttavia Vincenzo Maddaloni, “giornalista dalla lunga esperienza d’inviato all’estero” pensa che qualche legame vi sia. Se avete cinque minuti leggete come questi, presso una delle riviste più illegibili del panorama editoriale della nostra galassia, espone la tesi del…

                  MARCO ALLONI – Egitto, prove generali di un massacro

                  Poteva essere altrimenti? La gamaa islamiya, il gruppo radicale che negli anni novanta perpetrò alcuni fra i più efferati crimini in Egitto, ha minacciato di morte i cristiani che parteciperanno alla manifestazione anti-Morsi del 30 giugno. Il leader del gruppo Assem Abdel Maged, coordinatore del movimento “Tagarrud” in sostegno a Morsi, ha qualificato come “estremisti […]

                  MARCO ALLONI – Egitto, prove generali di un massacro

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                  Roma scende in piazza con Taksim: il 20 giugno ore 17.30

                  SOLIDALI CON I/LE RIBELLI IN TURCHIA! Sono giorni di rivolta in Turchia, un popolo schiacciato dalle politiche repressive di Erdogan di sta riprendendo le strade e le piazze, e sta resistendo alla brutalità poliziesca. Questa rivolta nasce dalla difesa di una Piazza e di alcuni alberi ma guarda più lontano, così come guardano lontano le primavere arabe e […]

                  Roma scende in piazza con Taksim: il 20 giugno ore 17.30

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                  Roma scende in piazza con Taksim: il 20 giugno ore 17.30

                  SOLIDALI CON I/LE RIBELLI IN TURCHIA! Sono giorni di rivolta in Turchia, un popolo schiacciato dalle politiche repressive di Erdogan di sta riprendendo le strade e le piazze, e sta resistendo alla brutalità poliziesca. Questa rivolta nasce dalla difesa di una Piazza e di alcuni alberi ma guarda più lontano, così come guardano lontano le primavere arabe e […]

                  Roma scende in piazza con Taksim: il 20 giugno ore 17.30

                  SOLIDALI CON I/LE RIBELLI IN TURCHIA! Sono giorni di rivolta in Turchia, un popolo schiacciato dalle politiche repressive di Erdogan di sta riprendendo le strade e le piazze, e sta resistendo alla brutalità poliziesca. Questa rivolta nasce dalla difesa di una Piazza e di alcuni alberi ma guarda più lontano, così come guardano lontano le primavere arabe e […]

                  Se Sartori non è un buffone

                  Chi di spada ferisce di spada perisce. Due volte. Eccolo lì, dopo circa tre anni, a dare lezioni di storia alla mia Ministra per l’Integrazione. Eccolo lì, citare il sultanato di Delhi e l’impero Moghul dopo che, tre anni fa,…

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Weld el 15 ” I poliziotti sono dei cani” .

                  In prigione il rapper tunisino ” Weld el 15”,all’anagrafe Alaa Yacoub,arrestato il marzo scorso per il contenuto troppo ”esplicito” del suo ultimo testo rap ” boulicia kleb” ( i poliziotti sono dei cani) . Il cantante adesso dovrà scontare due anni di carcere.

                  Weld el 15

                  Il testo rap,scritto qualche settimana dopo la scarcerazione del giovane rapper accusato di detenzione e spaccio di droga,attacca in maniera abbastanza esplicita e diretta la brutalità e la corruzione della polizia tunisina,colpevole,secondo”Weld el 15”,di spacciare droga alla gioventù tunisina per poi  divertirsi a trarla in arresto.

                    
                  Traduzione del testo ” Boulicia kleb ” 
                  ”I poliziotti sono dei cani

                     
                  Mi hanno arrestato per aver consumato della marijuana.

                  Hanno fatto piangere mia madre arrestandomi con una falsa accusa.

                  Per un loro errore sono stato imprigionato in un buco.

                  Alla Tunisia dono una rosa e al governo  una ” katla ” ( gesto dell’ombrello).

                  Fammi fare una tirata.

                  Non avrei preso un anno di galera se fossi stato figlio di qualcuno.

                  Volevo cambiare
                  ho tolto la droga dalle tasche.

                  Non avrei mai visto la prigione se fossi stato figlio di Slim Chiboub ( genero di Ben Ali).

                  Presidente,avvocato e agente
                  come voi avete fatto piangere mio padre io darò fuoco al vostro.

                  Qui è il quartiere ” Kandahar”
                  il bicchiere è troppo pieno
                  nella mia sinistra ho il diavolo e nella destra Abu Ayadh.

                  Mi hanno lavorato per bene
                  mi hanno condotto al cimitero
                  ieri dormivo a casa e oggi a ” Zuzana ( nome di una prigione).

                  Mamma non piangere
                  non mi hanno indebolito
                  alla madre del poliziotto che mi ha arrestato gli farò mangiare l’erba.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO) .

                  Agente ricarica le tue armi e spara
                  siamo degi zombie e non sentiamo alcun dolore.

                  Vuoi la mia carta d’identità ma io non te la darò.

                  Nella Aid ( festa islamica) vorrei sgozzare un poliziotto al posto di un montone.

                  Ci hanno rincorso per i quartieri senza mai prenderci
                  di sera infestano i quartieri come dei serpenti
                  se cerchi della roba su di me non troverai nulla
                  intere generazioni hanno interrotto gli studi ma mai lo spaccio di droga
                  poliziotto e’ cosi che viviamo non abbiamo nulla da nascondere.

                  Ci avete fatto odiare la civiltà,solo Dio sa come stiamo.

                  Vuoi arrestarmi e mettermi le manette, toglimi dalla tua testa e non rompere il cazzo.

                  Questo è il nostro quartiere e tu vuoi impaurirci con la prigione
                   vuoi apparire un duro ma in testa hai solo un paio di mutande .

                  In testa ho troppi demoni e roba sporca,avvicina il tuo orecchio ti dirò di che si tratta :
                  come prima mi avevi sodomizzato, adesso io sodomizzero te.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI ED IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO).

                  Da Bouchoucha (prigione) alla doccia
                  abbiamo cuori di pietra.
                  Fotti quei serpenti, dammi una pistola che li uccido.

                  Mi arresti o non mi arresti a me non cambia nulla.
                  Sono sempre fuso e sotto l’effetto dell’erba
                  prova a farmi qualcosa !

                  I poliziotti sono dei cani
                  è cosa già nota. Il più ” pulito ”del ministero ( dell’interno) è uno stronzo corrotto.

                  Lo vedi sull’attenti di fronte ad un ufficiale, che segaiolo.

                  Una generazione drogata
                  una generazione peccatrice.
                  Cocaina,marijuana e la chetamina, da dove credete sia arrivata ?
                  Non siete voi che la importate?
                  Da dove credete che venga la droga ?

                  Siete voi che la spacciate siete voi i criminali, Ci avete distrutto fin dall’infanzia.

                  Non voglio più dilungarmi
                  ti racconterò di quello che mi frulla per la testa :

                  Credevo che il paese ha subito una rivoluzione ma invece è stata solo una fregatura.
                  Danza Governo visto che siamo noi quelli fottuti.

                  Una dedica ai ragazzi del quartiere e alla gioventù calpestata.

                  I POLIZIOTTI SONO DEI CANI E IO CHE MI CHIEDEVO DA DOVE VENISSERO I LATRATI (RITORNELLO)

                  ABBAIA CANE ABBAIA ( RITORNELLO)

                  Abu Ayadh *
                  capo carismatico dei salafiti in Tunisia

                  Slim Chiboub *
                  Genero del presidente deposto Zine Abidine Ben Ali.

                  Aid el idha ( abbreviato Aid) *
                  Festa musulmana dove vengono sacrificate ( quindi sgozzate) pecore e montoni.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Follia Erdogan

                  E’ tutta colpa di Erdogan. Soprattutto noi, che abbiamo seguito con simpatia “il miracolo turco” sentiamo il dovere di esprimere orrore, ripulsa, sdegno.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Disastro a Istanbul

                  Il referendum che avrebbe potuto fare di una crisi una vittoria per tutti e’ sparito nel sangue. Un disastro che avrà gravissime conseguenze. eppure il compromesso c’era.

                  Quella inaspettata primavera di Istanbul che ci ha scombussolato i conti


                  Quella inaspettata primavera di Istanbul che ci ha scombussolato i conti

                  Da quando è iniziata la protesta Occupy Taksim e Occupy Gesi, a Istanbul, tutto il modo in cui si è fatto informazione sul vicino oriente negli ultimi 3 anni è entrato in profonda crisi.

                  Finora era tutto semplice. Per la maggioranza dei media, schierati dalla parte che chiamerei gli “Export”, perché predicano l’esportazione della democrazia a colpi di bombe e altre dolcezze di questo tipo, nei paesi del mondo musulmano vigono due tipi di dittatori, quelli buoni e quelli cattivi. La differenza? Se le forze dell’ordine di un dittatore buono sparano sulla folla, si chiama “gestione di una situazione delicata”. Se lo fanno le forze di uno cattivo è subito crimine contro l’umanità. Se i ragazzi di un paese amico si alzano, sono piccoli disordini, ma la maggioranza della popolazione resta attaccata al suo leader benamato. Se sono quelli dei paesi non amici che si alzano allora è tutta la popolazione che si solleva contro la tirannia. E se qualcuno esce in sostegno del regime in posto è per forza un poliziotto, una spia, un collaborazionista pagato dal regime. Se un dittatore “amico” è ormai irrecuperabile e sta per cadere, allora come per un colpo di magia tutti cambiano discorso e tifano rivolta. Il tempo di trovare nelle opposizioni di prima o ultima ora qualche nuovo amico da sostenere.

                  Dall’altra parte ci sono gli “Antimp”, cioè tutto un pezzo di contro-informazione che si vuole “anti-imperialista” che considera tutto quello che succede in quelle zone farina del sacco della Cia & Co. I dittatori dei paesi sotto attacco (quelli che per gli altri sono cattivi), per loro sono gli ultimi baluardi dell’anti-imperialismo, ultimi eroi solitari che difendono la vedova e l’orfano contro la voracità delle multinazionali. Che asseriscono che Tizio è stato ucciso perché voleva unificare l’Africa, mentre Caio è sotto attacco semplicemente perché è l’ultimo leader socialista ancora in piedi. Semplice, no?

                  Che Tizio si sia specializzato per decenni nella schiavizzazione e il massacro dei suoi fratelli africani o che Caio sia il maggiore capitalista del suo paese ancora ufficialmente socialista conta poco.

                  In fin dei conti, alla gente piace la semplicità. Due squadre, due bandiere, due campi, uno di fronte all’altro. Gli “Export” e gli “Antimp” sono due gruppi di ultras opposti.

                  Una volta almeno gli “Export erano grassamente pagati. Oggi invece sono per lo più un esercito di poverissimi aspiranti giornalisti pagati a cottimo, poco meno dei braccianti di Rosarno, ma tenuti in riga con la carota del “Forse un giorno, se fai il bravo…”

                  Dalla parte degli “Antimp” ci sono alcune star che si fanno pagare e anche bene da qualche “stato Canaglia”, ma sono pochissimi. La maggior parte invece lo fa per passione e a spese proprie. Tifosi di una volta che vanno con la propria squadra fino in inferno se ci vuole.

                  Ma su una cosa i due campi sono d’accordo: o tifi per uno o per l’altro. Non puoi scegliere di stare in mezzo a guardare, perché va a finire che prendi botte da una parte e dall’altra. E trovata questa specie di Equilibrio, per un certo momento si è creata una specie di armonia. Sapevi cosa avrebbe detto il tg o il giornale. E poi sui blog potevi indovinare il contrattacco dei siti alternativi. Fino a quando…

                  A un certo punto, ecco che qualche ragazzo sfaccendato di Istanbul si mette in testa di mettersi contro i piani del premier Erdogan e del suo potente partito di mercanti neo-ottomani. Come ovunque tutto inizia come una piccola protesta su una cosa piccola. La gente scende per proteggere una piazza e un parco pubblico dalla cementificazione. Una cosa che succede in molti paesi del mondo. Ma quella che poteva essere gestita con un processo di logoramento lento fu aggredita subito dalle forze dell’ordine turche. Quello di cui i giovani volevano impedire la realizzazione non erano due opere semplici ma due simboli forti. Due templi alle due divinità protettrici dell’impero passato e di quello futuro. Il bazar (nella sua forma moderna di centro commerciale) e la caserma. Il denaro e la guerra. Ed ecco che il nostro caro Erdogan non ci vede più e comincia a usare la forza come uno dei suoi colleghi dell’altra parte del Bosforo.

                  Ed è qui che le cose si complicano. Il campo degli “Export” è rimasto un po’ spiazzato e ha cercato di minimizzare le cose presentandole come una “occupy-qualcosa” qualunque per proteggere due alberi chiamati comunque a morire a causa dello smog. Il campo degli “Antimp” invece non ha detto niente, aspettando (o forse sperando che passasse in fretta la burrasca). Invece la burrasca non passa. E si continua a non capire nulla.

                  Dico proprio nulla, perché per il campo degli “Export” Erdogan era finora il campione dei campioni. Il barbaro addomesticato che poi va a insegnare agli altri le buone maniere. Che poi lo faccia armando orde di sgozzatori fanatici e irsuti questo tiene del fatto che, si sa, in politica, il fine ha sempre giustificato il mezzo. Invece per gli “Antimp”, Erdogan era il luogotenente del grande Satana, il Lucifero della politica internazionale, addetto ai lavori sporchi dei signori della Nato e delle multinazionali.

                  Gli amici delle “grandi nazioni” del mondo fanno finta di alzare un po’ la voce. «No non si fa così. Il diritto alla manifestazione del dissenso va comunque garantito.»” Forse per ricordare all’amico e alleato che la licenza a massacrare in tutta impunità riguardava solo i montanari Kurdi, puzzolenti, testardi e per di più filocomunisti, e non è applicabile ai ragazzi della capitale che come ogni cucciolo di popolo civilizzato portano i jeans a vita bassa e i tatuaggi “etnici” poco sopra le chiappe.

                  Nelle redazioni “open-space” di mezzo mondo, lo sguardo dei giornalisti si rivolge carico di interrogazioni verso i capiredattori degli “esteri”, e qualcuno osa persino chiedere: «Non è che adesso ci toccherà raccontare che è un tiranno, dopo che l’abbiamo per anni descritto come l’esempio da seguire nel mondo musulmano?» Domanda alla quale il capo redattore, più anziano e più “blasé”, risponde tranquillo: «E allora? É quello che abbiamo fatto con Mubarak e Benali e non è mica cascato il mondo.»

                  Nello stesso momento, negli scantinati della contro-informazione, il compagno più anziano e più agguerrito lancia: «Pronti ragazzi. Appena la stampa di regime lo comincia a descrivere come tiranno noi cominciamo a dire che è tutto un complotto contro la Turchia, che con il suo attivismo nella regione ha portato ombra sugli interessi delle vecchie potenze coloniali.»

                  Quella inaspettata primavera di Istanbul che ci ha scombussolato i conti


                  Quella inaspettata primavera di Istanbul che ci ha scombussolato i conti

                  Da quando è iniziata la protesta Occupy Taksim e Occupy Gesi, a Istanbul, tutto il modo in cui si è fatto informazione sul vicino oriente negli ultimi 3 anni è entrato in profonda crisi.

                  Finora era tutto semplice. Per la maggioranza dei media, schierati dalla parte che chiamerei gli “Export”, perché predicano l’esportazione della democrazia a colpi di bombe e altre dolcezze di questo tipo, nei paesi del mondo musulmano vigono due tipi di dittatori, quelli buoni e quelli cattivi. La differenza? Se le forze dell’ordine di un dittatore buono sparano sulla folla, si chiama “gestione di una situazione delicata”. Se lo fanno le forze di uno cattivo è subito crimine contro l’umanità. Se i ragazzi di un paese amico si alzano, sono piccoli disordini, ma la maggioranza della popolazione resta attaccata al suo leader benamato. Se sono quelli dei paesi non amici che si alzano allora è tutta la popolazione che si solleva contro la tirannia. E se qualcuno esce in sostegno del regime in posto è per forza un poliziotto, una spia, un collaborazionista pagato dal regime. Se un dittatore “amico” è ormai irrecuperabile e sta per cadere, allora come per un colpo di magia tutti cambiano discorso e tifano rivolta. Il tempo di trovare nelle opposizioni di prima o ultima ora qualche nuovo amico da sostenere.

                  Dall’altra parte ci sono gli “Antimp”, cioè tutto un pezzo di contro-informazione che si vuole “anti-imperialista” che considera tutto quello che succede in quelle zone farina del sacco della Cia & Co. I dittatori dei paesi sotto attacco (quelli che per gli altri sono cattivi), per loro sono gli ultimi baluardi dell’anti-imperialismo, ultimi eroi solitari che difendono la vedova e l’orfano contro la voracità delle multinazionali. Che asseriscono che Tizio è stato ucciso perché voleva unificare l’Africa, mentre Caio è sotto attacco semplicemente perché è l’ultimo leader socialista ancora in piedi. Semplice, no?

                  Che Tizio si sia specializzato per decenni nella schiavizzazione e il massacro dei suoi fratelli africani o che Caio sia il maggiore capitalista del suo paese ancora ufficialmente socialista conta poco.

                  In fin dei conti, alla gente piace la semplicità. Due squadre, due bandiere, due campi, uno di fronte all’altro. Gli “Export” e gli “Antimp” sono due gruppi di ultras opposti.

                  Una volta almeno gli “Export erano grassamente pagati. Oggi invece sono per lo più un esercito di poverissimi aspiranti giornalisti pagati a cottimo, poco meno dei braccianti di Rosarno, ma tenuti in riga con la carota del “Forse un giorno, se fai il bravo…”

                  Dalla parte degli “Antimp” ci sono alcune star che si fanno pagare e anche bene da qualche “stato Canaglia”, ma sono pochissimi. La maggior parte invece lo fa per passione e a spese proprie. Tifosi di una volta che vanno con la propria squadra fino in inferno se ci vuole.

                  Ma su una cosa i due campi sono d’accordo: o tifi per uno o per l’altro. Non puoi scegliere di stare in mezzo a guardare, perché va a finire che prendi botte da una parte e dall’altra. E trovata questa specie di Equilibrio, per un certo momento si è creata una specie di armonia. Sapevi cosa avrebbe detto il tg o il giornale. E poi sui blog potevi indovinare il contrattacco dei siti alternativi. Fino a quando…

                  A un certo punto, ecco che qualche ragazzo sfaccendato di Istanbul si mette in testa di mettersi contro i piani del premier Erdogan e del suo potente partito di mercanti neo-ottomani. Come ovunque tutto inizia come una piccola protesta su una cosa piccola. La gente scende per proteggere una piazza e un parco pubblico dalla cementificazione. Una cosa che succede in molti paesi del mondo. Ma quella che poteva essere gestita con un processo di logoramento lento fu aggredita subito dalle forze dell’ordine turche. Quello di cui i giovani volevano impedire la realizzazione non erano due opere semplici ma due simboli forti. Due templi alle due divinità protettrici dell’impero passato e di quello futuro. Il bazar (nella sua forma moderna di centro commerciale) e la caserma. Il denaro e la guerra. Ed ecco che il nostro caro Erdogan non ci vede più e comincia a usare la forza come uno dei suoi colleghi dell’altra parte del Bosforo.

                  Ed è qui che le cose si complicano. Il campo degli “Export” è rimasto un po’ spiazzato e ha cercato di minimizzare le cose presentandole come una “occupy-qualcosa” qualunque per proteggere due alberi chiamati comunque a morire a causa dello smog. Il campo degli “Antimp” invece non ha detto niente, aspettando (o forse sperando che passasse in fretta la burrasca). Invece la burrasca non passa. E si continua a non capire nulla.

                  Dico proprio nulla, perché per il campo degli “Export” Erdogan era finora il campione dei campioni. Il barbaro addomesticato che poi va a insegnare agli altri le buone maniere. Che poi lo faccia armando orde di sgozzatori fanatici e irsuti questo tiene del fatto che, si sa, in politica, il fine ha sempre giustificato il mezzo. Invece per gli “Antimp”, Erdogan era il luogotenente del grande Satana, il Lucifero della politica internazionale, addetto ai lavori sporchi dei signori della Nato e delle multinazionali.

                  Gli amici delle “grandi nazioni” del mondo fanno finta di alzare un po’ la voce. «No non si fa così. Il diritto alla manifestazione del dissenso va comunque garantito.»” Forse per ricordare all’amico e alleato che la licenza a massacrare in tutta impunità riguardava solo i montanari Kurdi, puzzolenti, testardi e per di più filocomunisti, e non è applicabile ai ragazzi della capitale che come ogni cucciolo di popolo civilizzato portano i jeans a vita bassa e i tatuaggi “etnici” poco sopra le chiappe.

                  Nelle redazioni “open-space” di mezzo mondo, lo sguardo dei giornalisti si rivolge carico di interrogazioni verso i capiredattori degli “esteri”, e qualcuno osa persino chiedere: «Non è che adesso ci toccherà raccontare che è un tiranno, dopo che l’abbiamo per anni descritto come l’esempio da seguire nel mondo musulmano?» Domanda alla quale il capo redattore, più anziano e più “blasé”, risponde tranquillo: «E allora? É quello che abbiamo fatto con Mubarak e Benali e non è mica cascato il mondo.»

                  Nello stesso momento, negli scantinati della contro-informazione, il compagno più anziano e più agguerrito lancia: «Pronti ragazzi. Appena la stampa di regime lo comincia a descrivere come tiranno noi cominciamo a dire che è tutto un complotto contro la Turchia, che con il suo attivismo nella regione ha portato ombra sugli interessi delle vecchie potenze coloniali.»

                  Turchia: referendum sul parco

                  Dopo l’incontro con una delegazione della “società civile” che occupa il parco di Gezi, Erdogan propone un referendum, per i soli cittadini di Istanbul. Ma…

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                  Turchia: referendum sul parco

                  Dopo l’incontro con una delegazione della “società civile” che occupa il parco di Gezi, Erdogan propone un referendum, per i soli cittadini di Istanbul. Ma…

                  Turchia: referendum sul parco

                  Dopo l’incontro con una delegazione della “società civile” che occupa il parco di Gezi, Erdogan propone un referendum, per i soli cittadini di Istanbul. Ma…

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                  Turchia: referendum sul parco

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                  Dopo l’incontro con una delegazione della “società civile” che occupa il parco di Gezi, Erdogan propone un referendum, per i soli cittadini di Istanbul. Ma…

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                  Il cedro del Libano

                  Il cedro del Libano

                  Il Cedro del Libano: un legame profondo e ancestrale con il Popolo libanese e una storia diventata leggenda. Scriveva Alphonse de Lamartine “I cedri del Libano sono reliquie di secoli e natura, sono i monumenti naturali più celebri dell’universo. Raccontano la storia della terra, più che lo storia stessa”.

                  In passato i monti della Penisola Anatolica, della Siria e del Libano erano ricoperti da un’unica immensa antichissima foresta di rami orizzontali, il legname profumato gli regalano un aspetto solenne e maestoso che, insieme alla sua longevità, lo resero per le tre principali religioni monoteiste albero preziosissimo, degno di onorare gli Dei.

                  Per i libanesi rappresenta ancora oggi speranza, libertà e memoria. “Un cedro sempre verde è come un popolo sempre giovane a dispetto del suo passato crudele. E’ il simbolo della mobilitazione di un Paese occupato ma mai conquistato” proclama l’atto di costituzione del Gran Liban, l’antico Libano. Elevato a vessillo nazionale, la sua presenza entro i confini del Paese è diminuita drasticamente nei secoli a causa della deforestazione e dei cambiamenti climatici: dei 500.000 ettari di boschi che si trovavano nel solo Libano, ora ne rimangono 2.000. Per la tutela di tali maestosi alberi, divenuti nel 1998 Patrimonio UNESCO dell’Umanità, il Governo libanese ha istituito delle aree naturali protette: la Riserva dei Cedri dello Shuf, laRiserva di Horsh Edene laRiserva delle foreste di Tannourine.

                  Situata nella zona montagnosa tra Baruk e Niha, nella parte meridionale dei Monti Libano ad un’altitudine tra i 1200 a i 1980 metri, la Riserva dei Cedri dello Shuf è la più estesa riserva naturale libanese e copre il 5% del territorio nazionale. Comprende sei foreste di cedri, con alberi di più di 2.000 anni: oltre a quelli, la Riserva ospita oggi una grande varietà di piante e alberi, più di 200 specie uccelli e 26 specie di mammiferi selvatici.

                  Come arrivarci

                  La Riserva si trova a sud est di Beirut e si estende parallelamente alla costa. Si può raggiungere sia dalla strada che da Beiteddine porta a Sofar, sia dalla statale Beirut-Bekaa. Il parco ha tre ingressi vicini ai villaggi di Baruk, ‘Ayn Zhalta e da Ma‘aser al-Shuf: qui si trova un piccolo centro visitatori con vendita di prodotti locali. I villaggi sono raggiungibili con un mezzo proprio o con un taxi collettivo dalla città di Beiteddine, a 10 kilometri. Si consiglia di contattare la Riserva per avere informazioni e verificare l’agibilità dei percorsi:

                  http://www.shoufcedar.org/

                  e-mail [email protected] [email protected]

                  telefono  +961 5 350250/150

                  • Mediterraneo
                  • Ambiente
                  • Turismo
                  • Libano

                    Il cedro del Libano

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                    Il Cedro del Libano: un legame profondo e ancestrale con il Popolo libanese e una storia diventata leggenda. Scriveva Alphonse de Lamartine “I cedri del Libano sono reliquie di secoli e natura, sono i monumenti naturali più celebri dell’universo. Raccontano la storia della terra, più che lo storia stessa”.

                    In passato i monti della Penisola Anatolica, della Siria e del Libano erano ricoperti da un’unica immensa antichissima foresta di rami orizzontali, il legname profumato gli regalano un aspetto solenne e maestoso che, insieme alla sua longevità, lo resero per le tre principali religioni monoteiste albero preziosissimo, degno di onorare gli Dei.

                    Per i libanesi rappresenta ancora oggi speranza, libertà e memoria. “Un cedro sempre verde è come un popolo sempre giovane a dispetto del suo passato crudele. E’ il simbolo della mobilitazione di un Paese occupato ma mai conquistato” proclama l’atto di costituzione del Gran Liban, l’antico Libano. Elevato a vessillo nazionale, la sua presenza entro i confini del Paese è diminuita drasticamente nei secoli a causa della deforestazione e dei cambiamenti climatici: dei 500.000 ettari di boschi che si trovavano nel solo Libano, ora ne rimangono 2.000. Per la tutela di tali maestosi alberi, divenuti nel 1998 Patrimonio UNESCO dell’Umanità, il Governo libanese ha istituito delle aree naturali protette: la Riserva dei Cedri dello Shuf, laRiserva di Horsh Edene laRiserva delle foreste di Tannourine.

                    Situata nella zona montagnosa tra Baruk e Niha, nella parte meridionale dei Monti Libano ad un’altitudine tra i 1200 a i 1980 metri, la Riserva dei Cedri dello Shuf è la più estesa riserva naturale libanese e copre il 5% del territorio nazionale. Comprende sei foreste di cedri, con alberi di più di 2.000 anni: oltre a quelli, la Riserva ospita oggi una grande varietà di piante e alberi, più di 200 specie uccelli e 26 specie di mammiferi selvatici.

                    Come arrivarci

                    La Riserva si trova a sud est di Beirut e si estende parallelamente alla costa. Si può raggiungere sia dalla strada che da Beiteddine porta a Sofar, sia dalla statale Beirut-Bekaa. Il parco ha tre ingressi vicini ai villaggi di Baruk, ‘Ayn Zhalta e da Ma‘aser al-Shuf: qui si trova un piccolo centro visitatori con vendita di prodotti locali. I villaggi sono raggiungibili con un mezzo proprio o con un taxi collettivo dalla città di Beiteddine, a 10 kilometri. Si consiglia di contattare la Riserva per avere informazioni e verificare l’agibilità dei percorsi:

                    http://www.shoufcedar.org/

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                      Il Cedro del Libano: un legame profondo e ancestrale con il Popolo libanese e una storia diventata leggenda. Scriveva Alphonse de Lamartine “I cedri del Libano sono reliquie di secoli e natura, sono i monumenti naturali più celebri dell’universo. Raccontano la storia della terra, più che lo storia stessa”.

                      In passato i monti della Penisola Anatolica, della Siria e del Libano erano ricoperti da un’unica immensa antichissima foresta di rami orizzontali, il legname profumato gli regalano un aspetto solenne e maestoso che, insieme alla sua longevità, lo resero per le tre principali religioni monoteiste albero preziosissimo, degno di onorare gli Dei.

                      Per i libanesi rappresenta ancora oggi speranza, libertà e memoria. “Un cedro sempre verde è come un popolo sempre giovane a dispetto del suo passato crudele. E’ il simbolo della mobilitazione di un Paese occupato ma mai conquistato” proclama l’atto di costituzione del Gran Liban, l’antico Libano. Elevato a vessillo nazionale, la sua presenza entro i confini del Paese è diminuita drasticamente nei secoli a causa della deforestazione e dei cambiamenti climatici: dei 500.000 ettari di boschi che si trovavano nel solo Libano, ora ne rimangono 2.000. Per la tutela di tali maestosi alberi, divenuti nel 1998 Patrimonio UNESCO dell’Umanità, il Governo libanese ha istituito delle aree naturali protette: la Riserva dei Cedri dello Shuf, laRiserva di Horsh Edene laRiserva delle foreste di Tannourine.

                      Situata nella zona montagnosa tra Baruk e Niha, nella parte meridionale dei Monti Libano ad un’altitudine tra i 1200 a i 1980 metri, la Riserva dei Cedri dello Shuf è la più estesa riserva naturale libanese e copre il 5% del territorio nazionale. Comprende sei foreste di cedri, con alberi di più di 2.000 anni: oltre a quelli, la Riserva ospita oggi una grande varietà di piante e alberi, più di 200 specie uccelli e 26 specie di mammiferi selvatici.

                      Come arrivarci

                      La Riserva si trova a sud est di Beirut e si estende parallelamente alla costa. Si può raggiungere sia dalla strada che da Beiteddine porta a Sofar, sia dalla statale Beirut-Bekaa. Il parco ha tre ingressi vicini ai villaggi di Baruk, ‘Ayn Zhalta e da Ma‘aser al-Shuf: qui si trova un piccolo centro visitatori con vendita di prodotti locali. I villaggi sono raggiungibili con un mezzo proprio o con un taxi collettivo dalla città di Beiteddine, a 10 kilometri. Si consiglia di contattare la Riserva per avere informazioni e verificare l’agibilità dei percorsi:

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                        Il Cedro del Libano: un legame profondo e ancestrale con il Popolo libanese e una storia diventata leggenda. Scriveva Alphonse de Lamartine “I cedri del Libano sono reliquie di secoli e natura, sono i monumenti naturali più celebri dell’universo. Raccontano la storia della terra, più che lo storia stessa”.

                        In passato i monti della Penisola Anatolica, della Siria e del Libano erano ricoperti da un’unica immensa antichissima foresta di rami orizzontali, il legname profumato gli regalano un aspetto solenne e maestoso che, insieme alla sua longevità, lo resero per le tre principali religioni monoteiste albero preziosissimo, degno di onorare gli Dei.

                        Per i libanesi rappresenta ancora oggi speranza, libertà e memoria. “Un cedro sempre verde è come un popolo sempre giovane a dispetto del suo passato crudele. E’ il simbolo della mobilitazione di un Paese occupato ma mai conquistato” proclama l’atto di costituzione del Gran Liban, l’antico Libano. Elevato a vessillo nazionale, la sua presenza entro i confini del Paese è diminuita drasticamente nei secoli a causa della deforestazione e dei cambiamenti climatici: dei 500.000 ettari di boschi che si trovavano nel solo Libano, ora ne rimangono 2.000. Per la tutela di tali maestosi alberi, divenuti nel 1998 Patrimonio UNESCO dell’Umanità, il Governo libanese ha istituito delle aree naturali protette: la Riserva dei Cedri dello Shuf, laRiserva di Horsh Edene laRiserva delle foreste di Tannourine.

                        Situata nella zona montagnosa tra Baruk e Niha, nella parte meridionale dei Monti Libano ad un’altitudine tra i 1200 a i 1980 metri, la Riserva dei Cedri dello Shuf è la più estesa riserva naturale libanese e copre il 5% del territorio nazionale. Comprende sei foreste di cedri, con alberi di più di 2.000 anni: oltre a quelli, la Riserva ospita oggi una grande varietà di piante e alberi, più di 200 specie uccelli e 26 specie di mammiferi selvatici.

                        Come arrivarci

                        La Riserva si trova a sud est di Beirut e si estende parallelamente alla costa. Si può raggiungere sia dalla strada che da Beiteddine porta a Sofar, sia dalla statale Beirut-Bekaa. Il parco ha tre ingressi vicini ai villaggi di Baruk, ‘Ayn Zhalta e da Ma‘aser al-Shuf: qui si trova un piccolo centro visitatori con vendita di prodotti locali. I villaggi sono raggiungibili con un mezzo proprio o con un taxi collettivo dalla città di Beiteddine, a 10 kilometri. Si consiglia di contattare la Riserva per avere informazioni e verificare l’agibilità dei percorsi:

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                          “Che poi non sono altro che gli alawiti siriani”

                          Comunicazione di servizio. Gli alevi della Turchia NON sono gli alawiti della Siria. No, proprio non c’entrano una mazza. … Nonnò, davvero, davvero. La frase che cito nel titolo l’ho sentita stamani alla radio. A usarla è stato un sedicente…

                          Sostenibilità: una condizione per lo sviluppo turistico nel Mediterraneo

                          Sostenibilità: una condizione per lo sviluppo turistico nel Mediterraneo

                          Il turismo nel Mediterraneo rappresenta il 30% del segmento del mercato del turismo mondiale.

                          Una gestione attenta delle risorse necessarie per soddisfare questo mercato porterebbe certamente enormi benefici economici, sociali e ambientali a lungo termine.

                          E’ ormai un dato di fatto: il turismo sostenibile è la sola strada percorribile per soddisfare le richieste del mercato, destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni, passando da 300 a 600 milioni di spostamenti annui verso i paesi del Mediterraneo. Molte sono le iniziative private volte a favorire un tipo di turismo non invasivo, che tenga conto del fabbisogno idrico ed energetico necessario alle strutture e che valorizzi il rispetto delle culture e degli ecosistemi locali. L’iniziativa privata, però, non basta: a queste iniziative va affiancato un percorso educativo e politico affinché il turismo sostenibile non rimanga solo una mera tipologia di turismo, ma diventi la condizione necessaria per poter operare in questo ambito. Secondo il Global Footprint Network, dal 1960 ad oggi, i paesi mediterranei in cui l’impronta ecologica (differenza tra energie richieste e capacità di rigenerazione) è sotto i valori minimi, sono passati da 9 a 23 ovvero tutti tranne il Montenegro. Le politiche internazionali per quanto riguarda il turismo sono volte in particolar modo verso la promozione degli investimenti “verdi”, la creazione di meccanismi di collaborazione verso business eco-sostenibili tra pubblico e privato e agevolazioni fiscali per chi agisce in questo senso. La sostenibilità economica, sociale e ambientale del settore turistico quindi non può oggi non tenere conto dello sviluppo rurale, dell’occupazione, dello sviluppo delle MPMI e del rispetto del patrimonio artistico e naturale dell’area. The Global Partnership for Sustainable Tourism è una rete promossa da UNEP (United Nations Environment Programme) con oltre 90 membri tra Istituzioni Internazionali, aziende, ong e autorità locali e tra i paesi di nostro interesse, solo tre enti hanno per ora aderito: ministeri del turismo di Marocco e Oman e l’Università Cà Foscari di Venezia.

                          Alla luce della situazione economica instabile degli ultimi tempo, serve uno sforzo congiunto tra istituzioni e privati per mantenere il primato in questo settore, garantendo un indotto diretto e indiretto ai paesi meta di turismo per sopperire alle gravi carenze degli altri settori.

                          • Mediterraneo
                          • Turismo

                            Sostenibilità: una condizione per lo sviluppo turistico nel Mediterraneo

                            Sostenibilità: una condizione per lo sviluppo turistico nel Mediterraneo

                            Il turismo nel Mediterraneo rappresenta il 30% del segmento del mercato del turismo mondiale.

                            Una gestione attenta delle risorse necessarie per soddisfare questo mercato porterebbe certamente enormi benefici economici, sociali e ambientali a lungo termine.

                            E’ ormai un dato di fatto: il turismo sostenibile è la sola strada percorribile per soddisfare le richieste del mercato, destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni, passando da 300 a 600 milioni di spostamenti annui verso i paesi del Mediterraneo. Molte sono le iniziative private volte a favorire un tipo di turismo non invasivo, che tenga conto del fabbisogno idrico ed energetico necessario alle strutture e che valorizzi il rispetto delle culture e degli ecosistemi locali. L’iniziativa privata, però, non basta: a queste iniziative va affiancato un percorso educativo e politico affinché il turismo sostenibile non rimanga solo una mera tipologia di turismo, ma diventi la condizione necessaria per poter operare in questo ambito. Secondo il Global Footprint Network, dal 1960 ad oggi, i paesi mediterranei in cui l’impronta ecologica (differenza tra energie richieste e capacità di rigenerazione) è sotto i valori minimi, sono passati da 9 a 23 ovvero tutti tranne il Montenegro. Le politiche internazionali per quanto riguarda il turismo sono volte in particolar modo verso la promozione degli investimenti “verdi”, la creazione di meccanismi di collaborazione verso business eco-sostenibili tra pubblico e privato e agevolazioni fiscali per chi agisce in questo senso. La sostenibilità economica, sociale e ambientale del settore turistico quindi non può oggi non tenere conto dello sviluppo rurale, dell’occupazione, dello sviluppo delle MPMI e del rispetto del patrimonio artistico e naturale dell’area. The Global Partnership for Sustainable Tourism è una rete promossa da UNEP (United Nations Environment Programme) con oltre 90 membri tra Istituzioni Internazionali, aziende, ong e autorità locali e tra i paesi di nostro interesse, solo tre enti hanno per ora aderito: ministeri del turismo di Marocco e Oman e l’Università Cà Foscari di Venezia.

                            Alla luce della situazione economica instabile degli ultimi tempo, serve uno sforzo congiunto tra istituzioni e privati per mantenere il primato in questo settore, garantendo un indotto diretto e indiretto ai paesi meta di turismo per sopperire alle gravi carenze degli altri settori.

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                              Sostenibilità: una condizione per lo sviluppo turistico nel Mediterraneo

                              Il turismo nel Mediterraneo rappresenta il 30% del segmento del mercato del turismo mondiale.

                              Una gestione attenta delle risorse necessarie per soddisfare questo mercato porterebbe certamente enormi benefici economici, sociali e ambientali a lungo termine.

                              E’ ormai un dato di fatto: il turismo sostenibile è la sola strada percorribile per soddisfare le richieste del mercato, destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni, passando da 300 a 600 milioni di spostamenti annui verso i paesi del Mediterraneo. Molte sono le iniziative private volte a favorire un tipo di turismo non invasivo, che tenga conto del fabbisogno idrico ed energetico necessario alle strutture e che valorizzi il rispetto delle culture e degli ecosistemi locali. L’iniziativa privata, però, non basta: a queste iniziative va affiancato un percorso educativo e politico affinché il turismo sostenibile non rimanga solo una mera tipologia di turismo, ma diventi la condizione necessaria per poter operare in questo ambito. Secondo il Global Footprint Network, dal 1960 ad oggi, i paesi mediterranei in cui l’impronta ecologica (differenza tra energie richieste e capacità di rigenerazione) è sotto i valori minimi, sono passati da 9 a 23 ovvero tutti tranne il Montenegro. Le politiche internazionali per quanto riguarda il turismo sono volte in particolar modo verso la promozione degli investimenti “verdi”, la creazione di meccanismi di collaborazione verso business eco-sostenibili tra pubblico e privato e agevolazioni fiscali per chi agisce in questo senso. La sostenibilità economica, sociale e ambientale del settore turistico quindi non può oggi non tenere conto dello sviluppo rurale, dell’occupazione, dello sviluppo delle MPMI e del rispetto del patrimonio artistico e naturale dell’area. The Global Partnership for Sustainable Tourism è una rete promossa da UNEP (United Nations Environment Programme) con oltre 90 membri tra Istituzioni Internazionali, aziende, ong e autorità locali e tra i paesi di nostro interesse, solo tre enti hanno per ora aderito: ministeri del turismo di Marocco e Oman e l’Università Cà Foscari di Venezia.

                              Alla luce della situazione economica instabile degli ultimi tempo, serve uno sforzo congiunto tra istituzioni e privati per mantenere il primato in questo settore, garantendo un indotto diretto e indiretto ai paesi meta di turismo per sopperire alle gravi carenze degli altri settori.

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                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

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                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

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                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

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                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

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                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

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                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

                                Cari turchi, noi possiamo capirvi

                                Tutti alle prese con il complottismo. Un detenuto che scrive lettere colme di senso. Gli opposti che si somigliano troppo. Vuoi vedere che Italia e Turchia sono simili?

                                Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future – Milano 25 giugno 2013

                                Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future - Milano 25 giugno 2013

                                Un’occasione unica di incontro e scambio tra i diversi attori economici e istituzionali impegnati nello sviluppo economico, sociale e culturale nel Mediterraneo. Con un focus concreto sulle Regioni Lombardia e Tadla Azilal. Martedì 25 giugno 2013 – ore 09.00 – Unione Artigiani, via Doberdò 16, Milano.

                                La relazione tra imprese di Paesi diversi e tra Profit e non Profit ha assunto, negli ultimi anni in particolare, grande rilevanza strategica, soprattutto quando la collaborazione riesce a coniugare sviluppo economico con sviluppo sociale e rispetto delle regole. 

                                La potenzialità delle relazioni tra “provenienze diverse” si estende al contributo che queste possono dare nell’affrontare l’attuale crisi economica, sia per le imprese italiane che per gli imprenditori provenienti da altri Paesi, dal Mediterraneo in particolare.
                                Elementi fondamentali per una relazione efficace e seria tra i diversi ambiti sono sicuramente la conoscenza delle opportunità offerte e dei relativi limiti, e la chiarezza dei reciproci obiettivi. 
                                Le organizzazioni del non-profit, a loro volta possono favorire percorsi di internazionalizzazione delle imprese, consapevoli che coniugare business e sviluppo sostenibile è l’obiettivo da perseguire su entrambe le sponde del Mediterraneo. 
                                In quest’ottica tutti gli attori coinvolti (imprenditori italiani, imprenditori provenienti da altri Paesi e organizzazioni non profit) possono essere alleati nel costruire regole comuni in cui si possano trovare non solo limiti, ma anche tutele e garanzie di un mercato aperto e corretto nel rispetto delle direttive internazionali in ambito di Responsabilità Sociale di Impresa. 
                                Il favorire e potenziare queste relazioni diventa, allora, non solo funzionale ad uno sviluppo sostenibile ma diventa anche un’opzione virtuosa che partecipa alle possibili soluzioni della crisi economica che riguarda i Paesi Europei. 

                                Un esempio concreto è rappresentato dal progetto “Dall’idea all’impresa” che costituisce la prosecuzione di un percorso iniziato nel 2011. Percorso che ha visto come punto di partenza indispensabile il coinvolgimento delle comunità di Marocchini residenti in Lombardia, attraverso lo sviluppo di iniziative produttrici/generatrici di reddito tra il territorio milanese e il loro Paese di origine e il consolidamento di un sistema che sappia offrire opportunità concrete di supporto alla creazione d’impresa nella Regione Tadla Azilal e di investimento in Lombardia. 

                                EXPO2015 riveste una particolare importanza, e con il suo tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” potrà essere una straordinaria opportunità per imprenditori italiani e marocchini, visto l’importante impulso che il Governo del Marocco ha avviato nella Regione Tadla Azilal proprio nel settore agroalimentare. 

                                 
                                • Italia
                                • Marocco
                                • Formazione professionale
                                • Consulenza
                                • Cooperazione
                                • Alimentare
                                • Arbitrato e conciliazione
                                • Lombardia

                                  Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future – Milano 25 giugno 2013

                                  Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future - Milano 25 giugno 2013

                                  Un’occasione unica di incontro e scambio tra i diversi attori economici e istituzionali impegnati nello sviluppo economico, sociale e culturale nel Mediterraneo. Con un focus concreto sulle Regioni Lombardia e Tadla Azilal. Martedì 25 giugno 2013 – ore 09.00 – Unione Artigiani, via Doberdò 16, Milano.

                                  La relazione tra imprese di Paesi diversi e tra Profit e non Profit ha assunto, negli ultimi anni in particolare, grande rilevanza strategica, soprattutto quando la collaborazione riesce a coniugare sviluppo economico con sviluppo sociale e rispetto delle regole. 

                                  La potenzialità delle relazioni tra “provenienze diverse” si estende al contributo che queste possono dare nell’affrontare l’attuale crisi economica, sia per le imprese italiane che per gli imprenditori provenienti da altri Paesi, dal Mediterraneo in particolare.
                                  Elementi fondamentali per una relazione efficace e seria tra i diversi ambiti sono sicuramente la conoscenza delle opportunità offerte e dei relativi limiti, e la chiarezza dei reciproci obiettivi. 
                                  Le organizzazioni del non-profit, a loro volta possono favorire percorsi di internazionalizzazione delle imprese, consapevoli che coniugare business e sviluppo sostenibile è l’obiettivo da perseguire su entrambe le sponde del Mediterraneo. 
                                  In quest’ottica tutti gli attori coinvolti (imprenditori italiani, imprenditori provenienti da altri Paesi e organizzazioni non profit) possono essere alleati nel costruire regole comuni in cui si possano trovare non solo limiti, ma anche tutele e garanzie di un mercato aperto e corretto nel rispetto delle direttive internazionali in ambito di Responsabilità Sociale di Impresa. 
                                  Il favorire e potenziare queste relazioni diventa, allora, non solo funzionale ad uno sviluppo sostenibile ma diventa anche un’opzione virtuosa che partecipa alle possibili soluzioni della crisi economica che riguarda i Paesi Europei. 

                                  Un esempio concreto è rappresentato dal progetto “Dall’idea all’impresa” che costituisce la prosecuzione di un percorso iniziato nel 2011. Percorso che ha visto come punto di partenza indispensabile il coinvolgimento delle comunità di Marocchini residenti in Lombardia, attraverso lo sviluppo di iniziative produttrici/generatrici di reddito tra il territorio milanese e il loro Paese di origine e il consolidamento di un sistema che sappia offrire opportunità concrete di supporto alla creazione d’impresa nella Regione Tadla Azilal e di investimento in Lombardia. 

                                  EXPO2015 riveste una particolare importanza, e con il suo tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” potrà essere una straordinaria opportunità per imprenditori italiani e marocchini, visto l’importante impulso che il Governo del Marocco ha avviato nella Regione Tadla Azilal proprio nel settore agroalimentare. 

                                   
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                                  • Cooperazione
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                                    Co-sviluppo tra Milano e Marocco: opportunità e prospettive future – Milano 25 giugno 2013

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                                    Un’occasione unica di incontro e scambio tra i diversi attori economici e istituzionali impegnati nello sviluppo economico, sociale e culturale nel Mediterraneo. Con un focus concreto sulle Regioni Lombardia e Tadla Azilal. Martedì 25 giugno 2013 – ore 09.00 – Unione Artigiani, via Doberdò 16, Milano.

                                    La relazione tra imprese di Paesi diversi e tra Profit e non Profit ha assunto, negli ultimi anni in particolare, grande rilevanza strategica, soprattutto quando la collaborazione riesce a coniugare sviluppo economico con sviluppo sociale e rispetto delle regole. 

                                    La potenzialità delle relazioni tra “provenienze diverse” si estende al contributo che queste possono dare nell’affrontare l’attuale crisi economica, sia per le imprese italiane che per gli imprenditori provenienti da altri Paesi, dal Mediterraneo in particolare.
                                    Elementi fondamentali per una relazione efficace e seria tra i diversi ambiti sono sicuramente la conoscenza delle opportunità offerte e dei relativi limiti, e la chiarezza dei reciproci obiettivi. 
                                    Le organizzazioni del non-profit, a loro volta possono favorire percorsi di internazionalizzazione delle imprese, consapevoli che coniugare business e sviluppo sostenibile è l’obiettivo da perseguire su entrambe le sponde del Mediterraneo. 
                                    In quest’ottica tutti gli attori coinvolti (imprenditori italiani, imprenditori provenienti da altri Paesi e organizzazioni non profit) possono essere alleati nel costruire regole comuni in cui si possano trovare non solo limiti, ma anche tutele e garanzie di un mercato aperto e corretto nel rispetto delle direttive internazionali in ambito di Responsabilità Sociale di Impresa. 
                                    Il favorire e potenziare queste relazioni diventa, allora, non solo funzionale ad uno sviluppo sostenibile ma diventa anche un’opzione virtuosa che partecipa alle possibili soluzioni della crisi economica che riguarda i Paesi Europei. 

                                    Un esempio concreto è rappresentato dal progetto “Dall’idea all’impresa” che costituisce la prosecuzione di un percorso iniziato nel 2011. Percorso che ha visto come punto di partenza indispensabile il coinvolgimento delle comunità di Marocchini residenti in Lombardia, attraverso lo sviluppo di iniziative produttrici/generatrici di reddito tra il territorio milanese e il loro Paese di origine e il consolidamento di un sistema che sappia offrire opportunità concrete di supporto alla creazione d’impresa nella Regione Tadla Azilal e di investimento in Lombardia. 

                                    EXPO2015 riveste una particolare importanza, e con il suo tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” potrà essere una straordinaria opportunità per imprenditori italiani e marocchini, visto l’importante impulso che il Governo del Marocco ha avviato nella Regione Tadla Azilal proprio nel settore agroalimentare. 

                                     
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                                    • Consulenza
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                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

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                                      Turchia: il bivio dell’AKP

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                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Turchia: il bivio dell’AKP

                                      Riprendere il cammino iniziale, quello dell’alleanza liberal-islamici moderati, o spingere i liberal verso i nazionalisti. Il bivio e’ dell’AKP, non dei liberal.

                                      Ultimo caffè a Casablanca.

                                      I Cafés in Marocco devono essere dichiarati  patrimonio dell’umanità. Sono delle istituzioni fondamentali per la società, salvano l’umanità dei marocchini e danno loro un luogo dove esistere. Quello che è il Bar in Italia, in Marocco viene chiamato قہوہ‎ , Kahwah, Café, invece il bar  è la “brasserie”, dove si consuma esclusivamente alcolici. Il fatto … Continua a leggere

                                      Ultimo caffè a Casablanca.

                                      I Cafés in Marocco devono essere dichiarati  patrimonio dell’umanità. Sono delle istituzioni fondamentali per la società, salvano l’umanità dei marocchini e danno loro un luogo dove esistere. Quello che è il Bar in Italia, in Marocco viene chiamato قہوہ‎ , Kahwah, Café, invece il bar  è la “brasserie”, dove si consuma esclusivamente alcolici. Il fatto … Continua a leggere

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                                      I Cafés in Marocco devono essere dichiarati  patrimonio dell’umanità. Sono delle istituzioni fondamentali per la società, salvano l’umanità dei marocchini e danno loro un luogo dove esistere. Quello che è il Bar in Italia, in Marocco viene chiamato قہوہ‎ , Kahwah, Café, invece il bar  è la “brasserie”, dove si consuma esclusivamente alcolici. Il fatto … Continua a leggere

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                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

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                                      Turchia: il contrattacco di Gul

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                                      Turchia: il contrattacco di Gul

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                                      Turchia: il contrattacco di Gul

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                                      Turchia: il contrattacco di Gul

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                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Turchia: il contrattacco di Gul

                                      Considerato sempre una figura di contorno, il presidente Gul esce allo scoperto e isola Erdogan. Approfittando del suo viaggio all’estero. Una mossa da non sottovalutare.

                                      Erdogan, il democratico

                                      Invocare il complotto internazionale è uno dei must di un qualsiasi tiranno. Elenchino di tiranni che hanno evocato il complotto internazionale negli ultimi tempi: Zein el-Abidin Ben Ali (Tunisia, stranieri in genere); Hosni Mubarak (Egitto, stranieri, in particolare americani); Moammar…

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

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                                      Il complesso dopo-Erdogan

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                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

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                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

                                      Il complesso dopo-Erdogan

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                                      Il complesso dopo-Erdogan

                                      In Turchia la rivolta non si ferma. Segno che la popolazione vuole una nuova centralità nella politica. Erdogan ha smontato un sistema per poi imitarlo.

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                                      Parla e muori: omaggio a Tahar Djaout

                                      Oggi 2 giugno 2013 è il ventesimo anniversario dell’uccisione dello scrittore algerino Tahar Djaout (Oulkhou, 11 gennaio 1954 – Algeri, 2 giugno 1993). Giornalista, scrittore e poeta algerino, era un intellettuale che non ha mai avuto paura di prende…

                                      Parla e muori: omaggio a Tahar Djaout

                                      Oggi 2 giugno 2013 è il ventesimo anniversario dell’uccisione dello scrittore algerino Tahar Djaout (Oulkhou, 11 gennaio 1954 – Algeri, 2 giugno 1993). Giornalista, scrittore e poeta algerino, era un intellettuale che non ha mai avuto paura di prende…

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                                      Oggi 2 giugno 2013 è il ventesimo anniversario dell’uccisione dello scrittore algerino Tahar Djaout (Oulkhou, 11 gennaio 1954 – Algeri, 2 giugno 1993). Giornalista, scrittore e poeta algerino, era un intellettuale che non ha mai avuto paura di prende…

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                                      Oggi 2 giugno 2013 è il ventesimo anniversario dell’uccisione dello scrittore algerino Tahar Djaout (Oulkhou, 11 gennaio 1954 – Algeri, 2 giugno 1993). Giornalista, scrittore e poeta algerino, era un intellettuale che non ha mai avuto paura di prende…

                                      Parla e muori: omaggio a Tahar Djaout

                                      Oggi 2 giugno 2013 è il ventesimo anniversario dell’uccisione dello scrittore algerino Tahar Djaout (Oulkhou, 11 gennaio 1954 – Algeri, 2 giugno 1993). Giornalista, scrittore e poeta algerino, era un intellettuale che non ha mai avuto paura di prende…

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