Anno: 2017

Pakistan contabilità del terrore

Jinnah, il fondatore del Pakistan.
 Musulmano ma non integralista

Il bilancio dell’ultimo attacco terroristico in Pakistan è ancora incerto: cinque le vittime secondo alcune fonti, sette secondo altre. Quel che è certo è che i tre attentatori della Jamaat-ul-Ahraar (JuA) – una fazione che si è scissa nel 2014 dal fronte dei talebani pachistani del Tehreek-e-Taleban (Ttp) – volevano compiere una strage e ci sono riusciti solo in parte.

L’obiettivo, come già in passato, è un tribunale di Charsadda, una cittadina capoluogo di distretto a una trentina di chilometri da Peshawar, capitale della provincia del Khyber Pakhtunkhwa, e vicina al confine con l’Afghanistan. Secondo le prime ricostruzioni, i tre attentatori si sono avvicinati come normali cittadini al tribunale ma appena il primo militante è stato fermato dagli agenti, ha lanciato una granata. E’ stato ucciso subito dopo. Stressa fine per il secondo, freddato sull’ingresso mentre il terzo è riuscito a farsi esplodere. In totale i kamikaze hanno potuto comunque lanciare sei granate ma senza riuscire però a mettere a segno la strage che dovevano avere in animo se fossero entrati nella corte di giustizia, affollata di avvocati e civili.

Bacha Khan con Gandhi. Pacifisti
Sotto: arte del gandhara

Charsadda non è nuova ad attacchi terroristici: un’altra corte di giustizia era entrata nel mirino nel marzo scorso quando un suicida – sempre di Jamaat-ul-Ahraar – era riuscito a farsi esplodere dentro il tribunale. Nel gennaio 2016 invece, l’Università Bacha Khan di Charsadda era stata l’obiettivo dell’attacco di un commando che aveva gettato nel panico i duecento studenti dell’ateneo dedicato a una nobile figura del pacifismo pashtun (Bacha Khan, appunto, noto anche come “Il Gandhi della Frontiera”). Allora i morti furono 22 e l’attacco venne rivendicato dalla Tariq Geedar Afridi, una fazione del Ttp, il cui vertice aveva però poi smentito di aver dato luce verde alla strage.

Charsadda è uno dei tanti luoghi simbolo di un Paese con una storia complessa e antica alle spalle: non solo Charsadda ha dedicato una scuola a un pacifista che usava il Corano come strumento di pace ma è anche il luogo che ospita le rovine dell’antico sito di Pushkalavati – la Città del loto – capitale del regno del Gandhara dal sesto secolo Ac al secondo Dc. Secondo il Ramayana, testo sacro hindu, il nome deriva dal fondatore Pushkala, figlio di Bharat e nipote di Rama. Fu una città zoroastriana, animista e in seguito buddista. E’ una delle culle – con l’Afghanistan – della civiltà greco-buddista e cioè dell’antichissimo legame tra Oriente e Occidente. Ha dunque tutti i requisiti per essere in odio all’islamismo più radicale che, per non farsi mancare nulla, ha aggiunto la supposta apostasia di Bacha Khan, un uomo che forse solo i soldati britannici avevano odiato di più (era contrario tra l’altro alla spartizione del Raj tra India e Pakistan).

Tutto farebbe pensare a un’azione dello Stato islamico cui la JuA (Assemblea della fede) aveva inizialmente garantito il suo sostegno nell’agosto del 2014 salvo poi nel marzo 2015 – ma è difficile seguire le geometrie variabili della galassia jihadista – tornare sotto il cappello del Ttp. E’ invece da imputarsi allo Stato islamico – che l’ha rivendicata – la strage di giovedi scorso al tempio sufi di Lal Shahbaz Qalander, a Sehwan, nel Sindh, con un bilancio che potrebbe arrivare a contare 90 morti e che ha fatto reagire con veemenza gli alti comandi dell’esercito, ora sotto la guida del generale Qamar Javed Bajwa che, tanto per cambiare, ha accusato l’Afghanistan di essere il retrovia per le operazioni del Califfo. La reazione si è risolta anche nella chiusura della frontiera afgano pachistana con l’ordine di “sparare a vista” e in un momento di altissima tensione tra i due Paesi, dal momento che Islamabad sta espellendo un milione di afgani “indocumentati” (ma in molti casi con lo status di rifugiati) e ne ha già mandati in Afghanistan 600mila. Quanto al quadro interno, la cronaca racconta di oltre cento morti nel solo giro di dieci giorni: il 13 febbraio un kamikaze del Ttp uccide a Lahore 13 persone. Lo stesso giorno due sminatori vengono uccisi a Quetta. Il 15 JuA firma un attentato kamikaze nell’agenzia tribale di Mohmand uccidendo cinque persone mentre a Peshawar il Ttp cerca di uccidere un giudice ma fredda il suo autista. Il 16 febbraio, govedi, è la volta del tempio sufi di Lal Shahbaz Qalandar, nel Sud del Paese mentre un Ied (bomba sporca) uccide nel Belucistan tre agenti della sicurezza. Ieri Charsadda.

Vale la pena di notare, al di là dei numeri, che la violenza politica (non sempre e solo attribuibile ai talebani e ai loro sodali più o meno alleati) si è ormai espansa a macchia d’olio in tutto il Paese e che la promessa del pugno di ferro con i gruppi islamisti – a lungo coccolati da governi e servizi – è tardiva. Dopo una macabra luna di miele forse definitivamente tramontata.

Questo articolo è uscito oggi su il manifesto

La sestina del Booker arabo 2017

Qualche giorno fa la giuria del Premio internazionale del romanzo arabo (IPAF/Booker arabo) ha rivelato la sestina dei romanzi finalisti (shortlist): Mohammad Hasan Alwan (Arabia Saudita): Una morte piccola (Dar al-Saqi) Najwa Binshatwan (Libia): Le capanne degli schiavi (Dar al-Saqi) Ismail Fahd Ismail (Kuwait): Al-Sabiliat (Nova) Elias Khoury (Libano): I ragazzi del ghetto. Il mio […]

Frontiere e terrore: "sparate a vista"

Dopo la strage di venerdi scorso al tempio sufi di Lal Shahbaz nel Sindh (il bilancio attuale dice che
le vittime sono già 90 con 340 feriti) le autorità pachistane hanno chiuso la frontiera con l’Afghanistan sul passo Khyber: la “Porta dell’amicizia”, per dirla tutta. Una misura comprensibile anche se un terrorista può benissimo scegliere altra strade (l’attentato è stato rivendicato dallo Stato islamico).

 Ma quel che invece non si capisce è l’ordine di “sparare a vista” che le autorità di Islamabad hanno dato alle proprio forze dell’ordine di guardia al passo. Non si capisce se non come un’ulteriore escalation nelle incomprensioni (per usare un eufemismo) tra i due Paesi. Il Pakistan fa la faccia dura mentre da quella frontiera ha già espulso 600mila afgani. Se uno cercasse di tornare indietro? “Sparate a vista”-

Cucina egiziana: la basbousa

Questa settimana ci spostiamo in Egitto per un dessert speciale: la basbousa! Ingredienti: 180g di burro 150g di zucchero 1 tazza e 1/4 di latticello (buttermilk) 280g di semolino 1 cucchiaio e 1/2 di vaniglia 1 cucchiaio di lievito 1 cucchiaio e 1/2 di bicarbonato di sodio Per lo sciroppo di zucchero: 1 tazza di zucchero […]

L’articolo Cucina egiziana: la basbousa sembra essere il primo su Arabpress.

L’Algeria tra sogni energetici e incubi climatici

Di Kieran Cooke. Middle East Eye (08/02/2017). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo. In teoria, il progetto sembra la soluzione ideale a molti problemi dell’Algeria. Si stima che il Paese possieda vaste risorse di gas e olio di scisto, talmente vaste da classificarsi terzo dopo Cina e Argentina. Negli ultimi quattro anni si è sviluppata l’idea […]

L’articolo L’Algeria tra sogni energetici e incubi climatici sembra essere il primo su Arabpress.

Elezioni in Palestina: progetto o miraggio con il governo di Al-Sinwar in Gaza?

mcc43 Il 6 febbraio l’Autorità Palestinese ha annunciato di aver indetto per il 13 maggio le elezioni municipali per Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme est. Già le elezioni di ottobre dovevano portare al voto la generalità dei Palestinesi, ma erano state “fermate” dalla Corte Suprema Palestinese a seguito delle eccezioni sollevate da Hamas contro i candidati di […]

Oltre l’ipocrisia

Finalmente il re è nudo. E quindi possiamo cominciare a ragionare di una soluzione possibile, per il conflitto Israeli-palestinese. Oltre l’ipocrisia della comunità internazionale che ha continuato a parlare di soluzione dei Due Stati, sapendo che la realtà sul terreno (le colonie israeliane, il Muro di separazione) l’aveva resa nei fatti irrealizzabile. Il mio libroContinua a leggere

A revealed old truth

So, president Donald Trump revealed to the world the truth we (the Jerusalemite inhabitants) knew since years. The old fashioned diplomatic ipochrisy left room to the rude untold truth. The Two-State-solution as envisioned by the Oslo process’ architects is not anymore a comatose patient: it is already dead and buried under the Israeli Colonies’ enterpriseContinua a leggere

Salim Halali: Il canto di un ebreo arabo

Non c’è niente da fare. Ho un vero debole per la musica arabo andalusa, quella molto vicina al flamenco. So che all’orecchio “occidentale” suona monotona e un po’ noiosa, ma per me rimane la musica dell’adolescenza, la sola a consolare le mie delusioni d’amore. Questione di gusti! In quell’epoca nasceva a Tangeri una Radio dedicata […]

L’articolo Salim Halali: Il canto di un ebreo arabo sembra essere il primo su Arabpress.

La “questione nera” in Tunisia

Sadri Khiari Il nostro Primo Ministro si è recato lunedì in Germania per una visita ufficiale. Al centro degli incontri che deve avere con Angela Merkel, la questione dell’immigrazione. Alcuni giorni fa il Presidente della Repubblica si trovava in Italia. Ha dichiarato al Senato: “Come per la lotta al terrorismo, il fenomeno dell’immigrazione clandestina non può essere arginato senza una […]

La primavera somala

Il presidente “Formaggio” sarà all’altezza di rispondere alle aspirazioni di tanta gente uscita per strada fiduciosa che sia l’uomo giusto per ripristinare la sicurezza in Somalia?

L’articolo La primavera somala sembra essere il primo su Arabpress.

Novità e ristampe in libreria da Tunisia, Libano, Palestina e Siria

In queste settimane in libreria sono usciti un po’ di titoli nuovi e qualche ristampa importante. Vediamo quali (librai e bibliotecari, mi raccomando prendete appunti): Le novità L’italiano, di Shukri al-Mabkhut (e/o, traduzione dall’arabo di Barbara Teresi): romanzo vincitore del prestigioso premio IPAF 2015, racconta la Tunisia dell’epoca Ben Ali (vi saprò dire meglio e […]

La guerra infinita. Espulsi dal Pakistan e sotto le bombe degli alleati

Espulsi dal Pakistan in 6oomila in un Paese – il loro, che in molti non vedono da quarant’anni o non hanno mai visto – dove l’ennesimo raid aereo della coalizione alleata al governo di Kabul ha ucciso almeno 18 persone. Civili. In maggioranza donne e bambini.
Tra le due notizie, che hanno un tragico nesso, è difficile stabilire qual è la più grave: da una parte il Pakistan continua il suo programma di rimpatrio forzato di un milione di afgani, dall’altro, in Afghanistan, si continua a morire mentre il comandante della Nato e delle truppe Usa nel Paese, il generale statunitense John Nicholson, invoca più truppe – Nato e americane – e accusa Russia e Iran di appoggiare i talebani. Il risultato è quello di un innalzamento dei toni in questa guerra silente che nel 2016 ha mietuto più vittime da quando la missione Onu a Kabul (Unama) ha iniziato nel 2009 a tenerne il bilancio.

Ed è proprio un rapporto preliminare di Unama ad esprimere «grave preoccupazione» per i raid aerei che, tra il 9 e il 10 febbraio, avrebbero ucciso almeno 18 persone nel distretto di Sangin (Helmand); Resolute Support, la missione Nato in Afghanistan, avrebbe aperto un’inchiesta. Altre sette civili sarebbero invece stati uccisi dai talebani l’11 febbraio durante un attacco a militari afgani a Lashkargah, capitale della provincia. Sangin è una delle aree più guerreggiate e nel solo 2016 l’Helmand ha visto morire 891 civili, una delle percentuali più elevate della guerra. In un Paese dove l’anno scorso le vittime civili sono state oltre 11mila: 3512 morti (tra cui 923 bambini) e 7.920 feriti (di cui 2.589 bambini) con un aumento del 24% rispetto al periodo precedente.


Secondo Unama il raid è stato condotto da forze internazionali ma un ufficiale Usa confida ad Al Jazeera che i raid aerei sono peculiarità americana. Un altro funzionario afgano dice invece che i morti sarebbero molto più di 18, dopo un attacco iniziato alle tre del mattino (la stessa ora del famoso raid di Kunduz sull’ospedale di Msf) con un bombardamento «indiscriminato» in un’area densamente abitata. I raid della scorsa settimana in Helmand sarebbero stati una trentina. Nel suo ultimo rapporto sulle vittime civili, Unama indicava che i bombardamenti aerei – afgani e internazionali – sono responsabili del 5% delle vittime nel 2016 ma, rispetto al 2015, la cifra è raddoppiata: 250 morti e 340 feriti, il bilancio più elevato dal 2009. Forse per difetto.

E’ questo dunque il Paese della guerra infinita dove stanno tornando i rifugiati afgani che, dalla guerra contro l’Urss negli anni Ottanta, avevano cercato asilo nel Paese vicino. Ieri Human Rights Watch – la campagna di monitoraggio internazionale – ha denunciato che la campagna di espulsioni, iniziata nel luglio scorso, è già arrivata a quota 600mila e ha diffuso un video – con testimonianze agghiaccianti e postato qui sotto – di quest’esodo di massa che Islamabad vorrebbe completato in pochi mesi sino a raggiungere un milione di espulsi.
 (a sinistra nell’immagine, un grafico che mostra  il flusso di profughi afgani espulsi dalle autorità pachistane dal 2009. Fonte Hrw).

Ma il fatto già grave di per sé, lo è ancora di più dal momento che tra questi 600mila – in teoria afgani senza documenti quindi “illegali” – ci sarebbero 365mila profughi con lo status di rifugiati: «La più ampia campagna di espulsione di rifugiati – dice Hrw – degli ultimi anni». In un rapporto di 76 pagine – Pakistan Coercion, UN Complicity: The Mass Forced Return of Afghan Refugees – si documentano gli abusi di Islamabad ma anche «il ruolo dell’Unhcr nel promuovere l’esodo … che ne fa un complice degli abusi pachistani». L’Unhcr avrebbe pattuito 400 dollari a testa per “ritorni volontari” ma, dice Hrw, in una situazione di completa insicurezza. La stessa che si trovano ad affrontare gli afgani espulsi dall’Europa.

Intanto è stata resa nota la terza iniziativa russa sull’Afghanistan, che si tiene a Mosca il 15 febbraio: è un incontro tra India, Russia, Iran, Pakistan, Cina e Afghanistan. E’ il secondo incontro ma al primo Kabul non era stata invitata. Sebbene i rapporti tra Trump e Putin sembrino ottimi, la notizia ha sollevato le ire americane, in particolare del generale Nicholson che, qualche giorno fa, ha detto al Congresso che Iran e Russia sostengono i talebani e che Mosca sta lavorando a «legittimarli». Il generale ha anche detto, riportava la stampa afgana, che occorrono più truppe perché la guerra in Afghanistan è a un punto morto e, per rompere il cerchio, dovrebbero essere dispiegati in Afghanistan migliaia di nuovi soldati americani e della Nato. Trump, che ha appena avuto una seconda telefonata col presidente afgano Ghani – e che in campagna elettorale era per il ritiro – potrebbe ascoltarlo.

Great Game a Teatro. Da non perdere

Otima regia e bravi attori

Se per caso abitate a Modena e avete perso a Milano
l’appuntamento
(che si ripeterà pèerò a Napoli), non fatevi sfuggire “Afghanistan: il grande gioco” in scena alle Passioni Eventi nella città emiliana. Lo spettacolo, tratto in gran parte ma non solo dal classico di Hopkirk, vale quel che promette. Bravi attori, ottima regia, ricostruzione rigorosa e prima puntata di due, la seconda delle quali si aspetta con desiderio. Ho visto lo spettacolo a Milano e, a parte qualche piccolo segmento che non mi ha convinto, ne sono uscito entusiasta.  E’ diviso in cinque episodi: il primo (e il meno convincente) riguarda la prima guerra anglo afgana. Il secondo (eccellente) il negoziato per la frontiera (bravissimi i due attori), il terzo le vicende intime di re Amanullah e la moglie Soraya al momento dell’esilio (con un’ottimo equilibrio tra fantasia e storia), il quarto la Cia, i pachistani e i mujahedin e l’ultimo, la fine di Najibullah (ottimi entrambi). Davvero un bel lavoro con un’unica minore sbavatura: i costumi. Marocchini e non afgani. E quando in Pakistan i due protagonisti bevono il te…è il classico te alla menta di Tangeri con tanto di bicchiere e teiera marocchine anziché, obviously, te al latte in tazza. Sciocchezze. Compensate dal cappello dell’emiro Abdur Rahman, un “karakuli” molto particolare svasato in alto e  normalmente introvabile. Spettacolo da non perdere per gli amanti del genere e non solo. Il te si può fare a casa.

“Afghanistan: il grande gioco” in scena alle Passioni (Modena)
Dal 07/02/2017 al 18/02/2017
di Stephen Jeffreys, Ron Hutchinson, Joy Wilkinson, Lee Blessing, David Greig
regia FERDINANDO BRUNI e ELIO DE CAPITANI
traduzione Lucio De Capitani
con Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Leonardo Lidi, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri
scene e costumi Carlo Sala
video Francesco Frongia
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
TEATRO DELL’ELFO ED EMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE
in collaborazione con NAPOLI TEATRO FESTIVAL“

Bambini di Palestina processati dal tribunale militare di Israele

mcc43 Sarah Champion è deputato laburista alla Camera dei Comuni e Ministro-ombra per le pari opportunità. Si è recata in Cisgiordania per assistere a una delle più gravi e continuate violazioni dei diritti umani: il processo di bambini palestinesi presso il Tribunale militare di Israele. Quello che ha visto lo ha raccontato nell’articolo, qui di […]

Giuristi libici contro accordo con l’Italia sui migranti

Un accordo frutto di una «usurpazione del potere che danneggia la Libia e i suoi interessi». È su questa base che un gruppo di sei cittadini libici, tra cui Salah Marghani, ex ministro della Giustizia dal 2012 al 2014, e la nota avvocatessa Ezza al-Maqhour, hanno presentato un ricorso contro…

L’articolo Giuristi libici contro accordo con l’Italia sui migranti sembra essere il primo su MaroccOggi.

Perché è storica la decisione del Marocco su Islam e apostasia

Nella storia dell’Islam c’è una strada che, nel tempo, si è fatta sempre più stretta pur se custodisce una luce così immensa che potrebbe illuminare diverse società musulmane travolte e schiacciate dal più bieco oscurantismo interpretativo. Un male che tiene milioni di fedeli in ostaggio del passato e impotenti davanti…

L’articolo Perché è storica la decisione del Marocco su Islam e apostasia sembra essere il primo su MaroccOggi.

Le luci di Casablanca. Storia della donna che seppe stupire

Per le edizioni Infinito è uscito pochi mesi fa “Le Luci di Casablanca, la storia della donna che seppe stupire due mondi”. Il libro è un diario di Valeria degl’innocenti (Firenze 1914- Casablanca 2004) donna straordinaria, di cui il destino l’ha portata verso tante peregrinazioni, fra Europa, America ed Africa,…

L’articolo Le luci di Casablanca. Storia della donna che seppe stupire sembra essere il primo su MaroccOggi.

Introduzione gratuita alla lingua e alla cultura araba a Roma

Arabpress.eu e il servizio Intercultura delle Biblioteche di Roma organizzano presso la Biblioteca Guglielmo Marconi un Corso di avvicinamento alla lingua e alla cultura araba e islamica. I parte – incontri aperti a tutti Mercoledì 22 febbraio, 1, 8, 15 marzo ore 17.30 – 19.30 Il panorama culturale, politico, narrativo, religioso e sociale del mondo arabo […]

L’articolo Introduzione gratuita alla lingua e alla cultura araba a Roma sembra essere il primo su Arabpress.

Ma quali negoziati! Più uomini e più bombe

John Nicholson: muscolare

Il 15 febbraio si tiene a Mosca, su iniziativa russa, un incontro tra sei nazioni: India, Russia, Iran,  Pakistan, Cina e Afghanistan. E’ il terzo incontro sull’Afghanistan ma con una differenza sostanziale: al primo Kabul non era stata invitata. Sebbene i rapporti tra Trump e Putin sembrino ottimi, la notizia ha sollevato le ire americane, in particolare del generale  John Nicholson, che comanda le truppe Usa in Afghanistan (10mila) e quelle della missione Nato Resolute Support (4mila).

Nicholson ha  detto a un comitato del Congresso che Iran e Russia sostengono i talebani e che Mosca sta lavorando a “legittimarli”. Il che sarebbe una buona notizia che però al generale – responsabile dell’aumento dei raid aerei e delle vittime connesse da che ha preso il comando di Resolute Support (febbraio 2016) – non piace. Ha anzi detto, riporta sempre la stampa afgana, che occorrono più truppe. Nicholson ha detto nella notte di giovedi scorso,  che la guerra in Afghanistan è a un punto morto e che, per rompere il cerchio, migliaia di nuovi soldati americani e della Nato dovrebbero essere dispiegati in Afghanistan. Il vice portavoce del presidente Ashraf Ghani, Shahhussain Murtazawi ha aggiunto che venerdi  Ghani e  Trump si sono parlati al telefono pèer la seconda volta e hanno discusso  i modi per combattere i terroristi. Dopo che Trump si era dichiarato contrario a impiegare uomini e mezzi nel Paese, ora la musica potrebbe cambiare. La scarsa lungimiranza politica di Trump potrebbe prestare orecchie a Nicholson i cui risultati nella guerra al terrore si possono leggere nell’ultimo rapporto Onu sulle vittime civili.

Libano, Palestinesi e … blogger

mcc43 Sebbene travolti dall’invadenza dei social media, i blog continuano a svolgere un’efficace funzione, differente dall’informazione ufficiale e dalla superficialità dei social media. In questo blog PALESTINA spicca nella nuvola delle Tag rivelando la priorità data alle vicende di quella parte del mondo, e la collaborazione fra blogger può diventare intensa solidarietà virtuale per coloro che […]

Mare spinato

Francesco Piobbichi Quando parlo di frontiere oggi non posso che utilizzare il concetto di “frontiera mobile”, ovvero di una forma particolare di azione degli stati nazionali e dei confini continentali che si è determinata dentro il processo della globalizzazione come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. Un processo non lineare, all’interno del quale la vicenda complessiva dei  rapporti di forza […]

Dondero tra Milano e Parigi

Mario negli studi di Radio3. Foto di Mario Boccia

Grazie agli archivi di Mario Dondero custoditi e selezionati al Centro di Altidona, una nuova mostra rene omaggio al grande fotografo e amico scomparso nel dicembre del 2015. A Parigi, con un’esposizione aperta al pubblico fino a lunedì 27 febbraio all’Istituto Italiano di Cultura, in collaborazione con Castaldi Partners.

A ospitare gli scatti di Dondero i saloni dell’Hôtel de Galliffet: situati tra Rue de Varenne 50 e rue de Grenelle 73, nel VII arrondissement, sono la sede dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. “Dondero – Milano/Parigi” raccoglie una selezione di un centinaio di foto di Mario  in bianco e nero, scattate nel 2010 nelle due città in cui l’autore ha abitato e lavorato: Milano e Parigi.

Cucina afghana: sheer pira, dolce fatto in casa al profumo di rose

Con la ricetta di oggi ci spingiamo fino in Afghanistan, alla scoperta di un piatto molto semplice, ma davvero gustoso: lo sheer pira, dolce fatto in casa al profumo di rose! Ingredienti: 440g di zucchero 500ml d’acqua 440g di latte intero in polvere ½ cucchiaino di cardamomo in polvere 1 cucchiaino di acqua di rose 125g di granella di noci 125g di […]

L’articolo Cucina afghana: sheer pira, dolce fatto in casa al profumo di rose sembra essere il primo su Arabpress.

L’Afghanistan ai tempi di Trump (L’INDRO)

di Claudio Bertolotti

@cbertolotti1

Il Presidente Donald Trump manterrà
gli Stati Uniti in Afghanistan e cercherà il compromesso con i talebani.
Ruolo di primo piano per Russia, Cina e Pakistan… Vai all’articolo su L’INDRO

IL DOSSIER AFGHANISTAN. Intervista a Claudio Bertolotti

Il dossier #Afghanistan: intervista di Federica Fanuli dell’Institute for Global Studies per @AfricaMediOriente 

"Una possibile via di uscita per il paese è il coinvolgimento dei
Talebani nella governance, l’accesso alle risorse del paese e un
sostanziale riconoscimento sul piano del diritto di ciò che i Talebani
hanno di fatto conquistato".

"Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump

Giulietta Capuleti da Verona: la confidente degli innamorati

mcc43 Scrivere a chi non esiste e ricevere risposta… Giulietta, simbolo dell’amore contrastato o impossibile, richiama folle di turisti a commuoversi sotto il suo balcone. Alcuni lasciano lì una missiva, ancor di più sono quelli che, da ogni parte del mondo, prendono carta e penna per raccontare del loro amore, delle speranze o dell’infelicità che […]

Consiglio di lettura: “Dunyazad” di May Telmissany

Il piccolo libricino che vi voglio presentare tratta un tema che per alcuni versi è ancora un tabù nella società moderna. “Dunyazad” racconta la storia autobiografica della perdita di una figlia durante il parto e di come la vita viene sconvolta da questo avvenimento, ma anche di come viene superato. May Telmissany ci parla di […]

L’articolo Consiglio di lettura: “Dunyazad” di May Telmissany sembra essere il primo su Arabpress.

Una rosa e una spina a Kabul per il presidente

Ci sono anche una rosa e una spina afgani nella nuova amministrazione americana di Donald Trump. La rosa è Ashraf Ghani che Trump ha avuto come professore quando il presidente era esule negli States. L’Afghanistan non figura nella lista dei sette Paesi maledetti e la rituale telefonata tra Trump e Ghani è stata amichevole. Anche perché, benché in campagna elettorale Trump fosse per il disimpegno, adesso le cose sono cambiate. L’Afghanistan e soprattutto il controllo delle sue basi aeree restano un baluardo formidabile in caso di guerra con l’Iran e, comunque, un fortino verso le mire russe, che Putin sia amico o no. Le spine sono invece quelle della guerra infinita e portano il nome “taleban”. L’emirato, che ne dà notizia sul suo sito,  ha scritto a Trump una lettera invitandolo a fare le valigie. Dopo 15 anni, scrive la guerriglia in turbante, la lezione è chiara e, conclude il messaggio non senza ironia: «Forse alcuni contenuti di questa lettera si riveleranno amari per il vostro gusto. Ma dal momento che sono realtà e fatti tangibili, devono essere accettati e trattati come una amara medicina che viene assunta dai pazienti per evitare che la loro condizione peggiori».

La guerra continua, non risparmia nessuno e non si ferma nemmeno durante l’inverno: ieri sei membri dello staff dell’Icrc (il Comitato della Croce rossa, per antonomasia l’organo più neutrale che esista) sono stati uccisi da un uomo armato nella provincia di Jawzian mentre andavano a consegnare aiuti umanitari. Due i dispersi. I talebani hanno smentito un loro coinvolgimento. L’Icrc ha sospeso le attività nel Paese dopo il grave attentato che potrebbe ascriversi a un’impresa dello Stato islamico. Stato islamico che ha rivendicato intanto oggi l’attentato dell’altro ieri quando un kamikaze si è fatto esplodere nel parcheggio della Corte suprema e ha ucciso 21 persone tra cui 17 funzionari del tribunale. I feriti sono una quarantina. Quattro sono cittadini di passaggio. Tutte vittime civili.


Sulle vittime civili Unama, la missione Onu a Kabul, ha pubblicato il suo ultimo rapporto. Il peggiore da che monitora l’andamento della guerra (dal 2009) e un refrain ormai abituale visto che ogni anno sembra peggio del precedente. Il rapporto documenta 11.418 incidenti con vittime civili: 3.498 i morti e 7.920 feriti. Di questi, rispettivamente, i bambini sono 923 e 2.589, con un aumento del 24% rispetto al bilancio precedente più alto. In sostanza, dice il rapporto, i dati del 2016 sono i peggiori in assoluto dal 2009, quando gli incidenti registrati furono “solo” 5.969 (di questi 2.412 i morti e 3.557 i feriti). Da allora il bilancio si è praticamente raddoppiato.

Vittime civili: raddoppiate dal 2009 (Fonte Unama)

Unama accusa i talebani di essere responsabili di un terzo degli incidenti contro un quarto imputabile alle forze filogovernative. Il rapporto nota che le battaglie di terra, che spesso avvengono in aree densamente popolate, sono la prima causa di morte e che la seconda sono gli Ied (bombe “sporche”) piazzate dalla guerriglia in luoghi pubblici. I bombardamenti aerei – sia afgani sia internazionali – sono invece responsabili del 5% delle vittime ma, rispetto al 2015, la cifra è raddoppiata: 250 morti e 340 feriti, il bilancio più elevato dal 2009. Va infine notato che, come già ammesso dai funzionari dell’Onu, non è possibile dare conto delle missioni segrete dei droni, gli aerei senza pilota che “selezionano” obiettivi mirati ma molto spesso colpiscono civili. Il bilancio, nemmeno quello ufficiale, non è mai stato messo in chiaro dagli americani (dei droni – anche se ufficialmente solo a scopo ricognitivo – fanno comunque uso tutte le truppe straniere, Italia compresa che ne ha appena comprati da Finmeccanica) nonostante le promesse di Obama (si veda il caso del nostro connazionale Giovanni Lo Porto, il cooperante ucciso da un drone americano in Pakistan nel gennaio del 2015).

I talebani contestano il rapporto: la loro campana dice che il 77,1% degli incidenti si deve alle forze filogovernative e il 12,42% a loro. Un altro 17,48% si deve allo Stato islamico. Un bilancio che secondo Unama è stato di 209 morti e 690 feriti soprattutto tra gli sciiti, gli obiettivi preferiti dal Califfato.

Libera-mente: cosa ho imparato

Sin da bambino i miei genitori e le persone che hanno contribuito alla mia formazione mi hanno fatto capire che bisogna sempre trarre insegnamento dalle esperienze della vita. Sì, lo so, suona alquanto banale e retorico. Però non posso trattenermi dal cercare… Continue Reading →

Libera-mente: cosa ho imparato

Sin da bambino i miei genitori e le persone che hanno contribuito alla mia formazione mi hanno fatto capire che bisogna sempre trarre insegnamento dalle esperienze della vita. Sì, lo so, suona alquanto banale e retorico. Però non posso trattenermi dal cercare… Continue Reading →

L’IMPORTANZA  DEL VIAGGIO DI CAESAR

Nei prossimi giorni, la mostra delle fotografie scattate da Caesar, ex fotografo della polizia militare del regime di Damasco, sarà esposta in diverse città italiane, a partire da Udine. In Italia, le immagini atroci dei corpi dei prigionieri assassinati, sfigurati dalle torture, sono già state esposte nell’ottobre ed a dicembre dello scorso anno, rispettivamente al […]

Mediterraneo: fotografie tra terra e mare. Ecco i nuovi bandi per l’edizione 2017

Tre i bandi GRATUITI che “Mediterraneo: fotografie tra terre e mare”, la rassegna che racconta il Mediterraneo come “sperimentale” luogo di relazioni dove le culture e le arti coesistono, dialogano, si contaminano, propone per l’edizione 2017. Gli appelli sono rivolti a tutti i fotografi che vivono o lavorano sull’area del Mediterraneo. Gli ambiti di interesse della rassegna, restano l’attualità, […]

L’articolo Mediterraneo: fotografie tra terra e mare. Ecco i nuovi bandi per l’edizione 2017 sembra essere il primo su Arabpress.

Che fine hanno fatto gli archivi della polizia politica?

Sadri Khiari All’indomani della caduta del muro di Berlino – altra rivoluzione finita male (forse perché cominciata male) – una mostruosa quantità di documenti provenienti dalla sicurezza di Stato della ex repubblica democratica tedesca venne recuperata, trattata e poi resa pubblica. Non meno di 111 chilometri di dossier, afferma Roland Jahn, il commissario federale degli archivi della Stasi, di passaggio […]

Il “Muslim ban” colpisce anche il mondo della cultura

Questo articolo è uscito su Internazionale prima che il giudice federale di Seattle emettesse la sentenza che ha bloccato l’applicazione dell’ordine esecutivo del presidente statunitense Donald Trump, che ha decretato il divieto d’ingresso per tre mesi ai cittadini di Siria, Iraq, Iran, Yemen, Somalia, Sudan e Libia. Nel Lower west side di Manhattan c’è un […]

Ecco Marvel, il primo supereroe musulmano, americano e donna

Di Nour Sheety. Stepfeed (5/02/2017) Traduzione e sintesi di Giusy Regina Si sa che quando un cattivo arriva al potere, un eroe interviene per salvarci tutti. Il nostro eroe oggi si chiama Kamala Khan, alias Ms. Marvel. Si tratta della prima eroina musulmana e americana, che dà anche il nome al suo fumetto e che rappresenta la bambina del famoso manifesto sulle proteste contro […]

L’articolo Ecco Marvel, il primo supereroe musulmano, americano e donna sembra essere il primo su Arabpress.

Il ritorno del Marocco all’UA

Se il calcio non premia il Marocco a livello continentale, la politica invece gli dà grande soddisfazioni. Uscito ai quarti di finali dalla Coppa d’Africa, il paese si consola con la sua riammissione nell’Organizzazione di Unità Africana (UA) dopo 33 anni di assenza. In un discorso storico, il Re Mohammed…

L’articolo Il ritorno del Marocco all’UA sembra essere il primo su MaroccOggi.

La guerra è finita. Andate in pace

L’ultimo rapporto di Unama sembra la copia del precedente. Ogni anno che passa vede aumentare le vittime civili. Ma la guerra non era finita?

Nel 2016 ci sono stati 11.418 casi di incidenti che includono, tra i civili, 3512 morti (tra cui 923 bambini) e 7.920 feriti (di cui 2.589 bambini) con un aumento del 24% rispetto al 2015. E’ il bilancio più grave da che nel 2009 Unama ha iniziato a monitorare quanto costa la guerra ai civili afgani. Oltre al conflitto di terra si segnala una potente ripresa di quello dall’aria, imputabile alla Nato o agli Stati Uniti: 250 morti e 340 feriti (come si vede gli aerei uccidono di più) con un aumento del doppio rispetto agli anni precedenti. E manca ovviamente il bilancio dei droni, operazioni coperte su cui gli americani non rilasciano cifre.

Io e la Fortezza Europa. O meglio : ”Operazione Sophia ”

L’operazione Sophia, meglio conosciuta con l’acronimo ” Eunavformed ” European Union Naval Force Mediterranean (in italiano: Forza navale mediterranea dell’Unione europea) è un’operazione militare lanciata dall’Unione europea in conseguenza dei naufragi avvenuti nell’aprile 2015 che hanno coinvolto diverse imbarcazioni che trasportavano migranti e richiedenti asilo dalla Libia. Lo scopo dell’operazione era quella di neutralizzare le consolidate rotte della tratta dei migranti nel Mediterraneo. La sede operativa è situata a Roma.
Dal 24 Agosto 2016,in seguito all’accordo siglato nel quartiere generale di Centocelle,a Roma,tra l’ammiraglio italiano Credendino e l’ammiraglio libico Al Touhami per conto del governo di Tripoli di El Sarraj,l’operazione ”Sophia” si prefissò l’obbiettivo di addestrare la marina e la guardia costiera della Libia occidentale. La missione iniziò ufficialmente il 26 Ottobre,quando 80 militari libici furono prelevati da Misurata dalla Nave militare italiana ” San Giorgio ” e la nave militare Olandese ” ”Rotterdam”. Diviso il gruppo dei libici in due squadre (40 libici su nave ” San Giorgio ” e altri 40 sull’olandese ” Rotterdam”) il 28 Ottobre 2016 iniziava cosi la campagna di addestramento della guardia costiera libica.
Per facilitare il lavoro degli addestratori europei furono assunti 9 interpreti civili provenienti da tutta Italia che avevano il compito di tradurre le lezioni dalla lingua inglese all’arabo. Due interpreti per l’addestramento su nave ” Rotterdam ” (io e un amico ) e i restanti sette su ” San Giorgio ”.
In questa foto,scattata molto probabilmente agli inizi di Novembre,avevo accompagnato gli addestratori britannici della ” Royal Marine ” di sua maestà e addestratori della Marina militare Greca a bordo di un mezzo da sbarco olandese (io sono quello a destra della lavagna, concentrato a decifrare l’inglese dell’addestratore scozzese). Faceva freddo e il mare a largo di Malta era mosso. Durante la lezione pratica a bordo del mezzo da sbarco olandese su nave ” Rotterdam” era in corso una visita dell’ammiraglio Credendino accompagnato dall’ammiraglio libico Touhami.
La lezione di quel giorno doveva insegnare ai giovani militari libici le varie tecniche di abbordaggio di un mezzo sospetto. L’addestratore britannico con il suo terribile accento scozzese rendeva il mio lavoro di traduzione impossibile. Fortuna che quel giorno erano previste pratiche in mare. Quindi non dovevo starmene per cinque ore chiuso in una classe a tradurre.  Infatti subito dopo la breve lezione orale partì quella pratica che consisteva nell’imbarcare i libici sui dei barchini d’assalto per simulare l’abbordaggio di un imbarcazione sospetta. Incuriosito, chiesi agli addestratori l’autorizzazione e m’imbarcai anche io su uno di quei mezzi, e ” assaltai ” anche io il mezzo sospetto tra le risate degli addestratori e quella dei giovani libici. Infatti,in seguito a questo episodio i libici mi soprannominarono ” El mutarjem el muqtahim ” (l’interprete d’assalto).
Una volta a bordo scattò la seconda fase : la perquisizione dell’equipaggio. L’atmosfera non fu tesa e l’addestramento prese la piega di un gioco di ruoli. Infatti una volta abbordata l’imbarcazione sospetta gli addestratori mi chiesero di recitare la parte del capitano di un peschereccio tunisino che oltre a trasportare ” qualche chilo di cocaina ” nascondeva 5 migranti cui ruoli vennero recitati da altri 5 militari britannici. Una volta scovato il ” carico illegale ” l’atmosfera si scaldò : il più anziano tra i libici cominciò a urlare ordini contro tutti i membri dell’equipaggio. Un libico, un certo Mu’waaya, prese sul serio la parte e mi ordinò in tono minaccioso ,di mettermi in ginocchio con le mani dietro la testa e la faccia rivolta verso la paratia. E fu qui scattò la terza fase,la più importante,almeno per gli autori della fortezza europa : i libici,una volta conquistato il controllo del mezzo sospetto,dovevano condurlo al porto libico per consegnare i ” criminali ” agli ingranaggi della ”giustizia” libica.
Continua…..

Sulla morte del sociologo Zygmunt Bauman e sulla vita nel nostro mondo

Mario Sei Lo scorso 9 gennaio si è spento nella città inglese di Leeds, all’età di 92 anni, il sociologo e filosofo di origini polacche Zygmunt Bauman. La notizia vera è però forse un’altra: il fatto cioè che della sua morte ne abbiano parlato i media del mondo intero, e che sui vari social network siano circolati per giorni video […]

Cucina siriana: muhammara, crema di peperoni e noci

Con la ricetta di oggi andiamo alla scoperta di un altro antipasto della cucina levantina, più precisamente della cucina siriana: la muhammara, crema di peperoni e noci! Ingredienti: 2 fette di pane (anche raffermo) tostate 4 peperoni 65g di noci tritate 2 spicchi d’aglio 1 cucchiaio di succo di limone 1 cucchiaio di sciroppo di melograno 1 […]

L’articolo Cucina siriana: muhammara, crema di peperoni e noci sembra essere il primo su Arabpress.

Il 25° Emendamento della Costituzione e l’inquilino della Casa Bianca

mcc43 La Costituzione degli Stati Uniti si adegua via via con l’aggiunta di Emendamenti. Inizialmente per la Vicepresidenza non era fissata una funzione esecutiva, né codificata – in caso di morte o di impossibilità ad operare del Presidente – la successione del Vicepresidente. Questo passaggio si verificò per la prima volta nel 1841, quando John […]

Lezioni dall’Africa

Una parziale revisione dello “scontro delle civiltà” alla luce dei recenti avvenimenti che consolidano le pratiche democratiche nel continente africano, contrariamente a quanto succede nel mondo arabo

L’articolo Lezioni dall’Africa sembra essere il primo su Arabpress.

Tra emblema e stigma: vivere a Dhiba e Ben Guerdane

  Olfa Lamloum Estratto dall’ultimo rapporto pubblicato da International Alert : « Marginalisation, insecurity and uncertainty on the Tunisian–Libyan border. Ben Guerdane and Dhehiba from the perspective of their inhabitants ». Quando si interrogano gli abitanti di  Dhiba e di  Ben Guerdane sulla percezione che hanno del Sud della Tunisia, regione alla quale rivendicano di appartenere,essi evocano in primo luogo la “ marginalizzazione” […]

Intervista con Rana Idriss: Elena Ferrante in arabo, Dar al-Adab e la letteratura in traduzione araba

Quella che segue è l’intervista di Giacomo Longhi, arabista e iranista nonchè storico collaboratore di editoriaraba, con Rana Idriss, editrice di Dar al-Adab, la casa editrice libanese che si è assicurata i diritti di traduzione dei romanzi di Elena Ferrante in arabo. L’intervista si è svolta a dicembre a Beirut, in occasione della Fiera internazionale […]

International Conference: Urs-e Bidel-e Dehlavi, Tehran- January 2017

Il 18 e 19 gennaio 2017, la recentemente costituitasi Bonyad-e Bidel-e Dehlavi (Fondazione Bidel-e Dehlavi) ha ospitato a Tehran una convegno intitolato alla figura e all’opera del grande poeta indiano vissuto tra il 1644 e il 1720, il quale ha lasciato circa 150mila versi composti in lingua persiana. Esponente di spicco dello “stile indiano” (sabk-e […]

Donald Trump a vele spiegate verso l’impeachment?

mcc43 Allan Lichtman non sbaglia il pronostico delle elezioni presidenziali fin dal 1984. Segue un suo metodo, forse arricchito dall’esperienza di una candidatura al Senato nel 2005 andata male. Durante la campagna elettorale aveva previsto, in controtendenza alle aspettative e ai sondaggi, il successo di Donald Trump. Aveva aggiunto, però, un secondo pronostico: l’impeachment.   […]

Intervista con Muauia Abdelmagid, traduttore di Elena Ferrante in arabo

I libri della ormai famosissima serie L’amica geniale, dell’autrice italiana Elena Ferrante (e/o edizioni), sono in corso di traduzione in arabo per l’editore libanese Dar al-Adab, come vi avevo raccontato qui. Ho fatto qualche domanda al suo traduttore arabo, Muauia Abdelmagid, che qui ringrazio per la cortesia e la disponibilità. Come sei diventato traduttore dall’italiano […]

Il Ban di Trump e la Guerra Santa del nerd canadese

di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas

Anatole. L’ordine mondiale è scosso dal Ban di Trump, che impedisce l’ingresso negli Stati Uniti a i cittadini di Iran, Iraq, Libya, Somalia, Sudan, Syria and Yemen. Sulla prima pagina del New York Times tiene banco il conflitto istituzionale circa la nomina del nuovo Attorney General, in relazione alla legalità del Ban e dell’opportunità che i legali del Dipartimento della Giustizia lo dichiarino ammissibile.…

Il Ban di Trump e la Guerra Santa del nerd canadese è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Attacco alla libertà di ricerca, e ai campus

C’è una piccola storia nella grande storia. Nel grande contenitore rappresentato dallo Executive Order del 27 gennaio 2017, data ormai determinante in questo capitolo recente della storia statunitense, c’è la piccola storia che riguarda l’intellighenzia non solo araba, ma in generale mediorientale, in massima parte musulmana. Un ‘gruppo’ composto da chissà quante teste. Almeno daContinua a leggere

Cucina libica: khoshaf, macedonia di frutta secca ed essiccata

Questa rinfrescante macedonia di frutta secca ed essiccata viene servita spesso come pasto di rottura del digiuno nel mese di Ramadan. È dunque una pietanza diffusa in diversi Paesi del mondo arabo-islamico, dal Maghreb al Mashreq, ma la ricetta che vi proponiamo oggi viene dalla Libia orientale. Scopriamo come preparare il khoshaf! Ingredienti: 500g di frutta essiccata […]

L’articolo Cucina libica: khoshaf, macedonia di frutta secca ed essiccata sembra essere il primo su Arabpress.

Tunisia: le mobilitazioni del gennaio 2017 nei cicli di lotta storici

Lorenzo Feltrin   A Giulio Regeni, nel primo anniversario della sua scomparsa (25 gennaio 2016-25 gennaio 2017) In questo mese si è registrato un aumento delle mobilitazioni sociali in Tunisia, che, per quanto di portata inferiore a picchi precedenti, segnala la persistenza delle rivendicazioni e delle lotte sociali nel paese. Il sito Nawaat.org ha riportato in un video le manifestazioni […]

Giulio Regeni, intervista del Fatto.it al sindacalista che lo denunciò ai servizi: ‘Ho fatto tutto da solo. Dio mi ricompenserà’

Da mesi i media lo cercavano. Da giorni gli spettatori – italiani e non – lo sentono parlare in quel video sgranato e sgradevole che fornisce anche l’ultima immagine da vivo di Giulio Regeni. Nel filmato Mohamed Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti egiziani, assilla con richieste di denaro il ricercatore italiano scomparso esattamente un […]

L’articolo Giulio Regeni, intervista del Fatto.it al sindacalista che lo denunciò ai servizi: ‘Ho fatto tutto da solo. Dio mi ricompenserà’ proviene da Il Fatto Quotidiano.

Gennaio tunisino (2° parte)

Patrizia Mancini Un appuntamento imperdibile quello con le audizioni pubbliche delle vittime delle dittature, seguito da molte testate internazionali fra cui Il New York Times, ma che i media italiani hanno completamente ignorato, mentre continuano le pubblicazioni mistico-deliranti di alcune testate sulla Tunisia “vivaio” del terrorismo internazionale. Non si tratta di negare il fenomeno, ma di contestualizzarlo e di analizzarlo, […]

Novità editoriale: Scrittore e assassino di Ahmet Altan

Arrestato nel settembre 2016 insieme al fratello Mehmet, con l’accusa di aver favorito il fallito colpo di stato di luglio, Ahmet Altan è una delle penne più potenti della Turchia. Dopo il successo internazionale di L’amore è come la ferita di una spada, (Bompiani 2008), Ahmet Altan con questo avvincente noir ci porta in una piccola cittadina […]

L’articolo Novità editoriale: Scrittore e assassino di Ahmet Altan sembra essere il primo su Arabpress.

Non abbiate paura

In uno scenario internazionale dai toni sempre più estremi la soluzione è la resistenza in un’unica battaglia che unisce America e Medio Oriente contro una politica che parla la lingua dell’odio

L’articolo Non abbiate paura sembra essere il primo su Arabpress.

L’Afghanistan nel 1972

Devo ad Alessandro De Pascale la segnalazione di questo preziosissimo video, postato su Youtube dal suo autore Vittorio Mangilis che sulle orme di Marco Polo lungo la Via della seta scala arriva a Kabul per scalare il Noshaq (7.400 metri), la vetta più alta vetta del Paese. Un super8 davvero eccezionale

Contro Israele, Hamas e Fatah

Contro Israele, Hamas e Fatah
“Fuck the Occupation. Fuck Hamas. Fuck Fatah”. Allora come anni fa, la voce di una nuova generazione di attivisti palestinesi rivendica il diritto a vivere in uno Stato libero e giusto. Combattendo contro l’Occupazione un…

Libia. Dove si continua a sperare

In Libia si continua a sperare. Per una risoluzione permanente ai conflitti, per un governo unitario e rappresentativo, per la stabilizzazione del paese e per la ripresa dell’economia. Mentre i giochi di potere si infittiscono e il popolo soffre condizioni di vita insopportabili.

25 Gennaio 2017
di: 
Lamia Ledrisi

Regeni, un anno dopo. Attivisti del Cairo: “L’Egitto nasconde la verità. E l’Italia ha troppi interessi per cercarla davvero”

A un anno dalla scomparsa di Giulio Regeni al Cairo nulla è cambiato. Il traffico incessante tra i palazzi color caramello della capitale è lo stesso di sempre, quasi una metafora stantia della continua repressione del governo egiziano che rende questo giorno, sesto anniversario della rivoluzione egiziana, uno dei più temuti da quando Abdel Fattah […]

L’articolo Regeni, un anno dopo. Attivisti del Cairo: “L’Egitto nasconde la verità. E l’Italia ha troppi interessi per cercarla davvero” proviene da Il Fatto Quotidiano.

La lezione americana della post-verità “alternativa”

di Anatole Pierre Fuksas

Non si è fatto a tempo a inaugurarla questa presidenza Trump, che già il tema-chiave attorno al quale ruoterà tutto il dibattito sulla democrazia nei prossimi cinque anni ha già egemonizzato le prime pagine di tutti i giornali, soprattutto quelle dei paesi anglosassoni, che per cultura e tradizione vivono nel culto della verità fattuale.…

La lezione americana della post-verità “alternativa” è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Giulio Regeni, il video dell’incontro con il sindacalista Abdallah che l’ha denunciato ai servizi segreti

“Mia moglie ha il cancro e per me la cosa più importante è trovare dei soldi con ogni mezzo”. Inizia così il video girato di nascosto da Mohammed Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti egiziani che ha ammesso di aver denunciato Giulio Regeni ai servizi segreti del Cairo. Le riprese, acquisite anche dagli inquirenti […]

L’articolo Giulio Regeni, il video dell’incontro con il sindacalista Abdallah che l’ha denunciato ai servizi segreti proviene da Il Fatto Quotidiano.

Gruppo di lettura araba

          Da tempo volevo orgnizzare un gruppo di lettura-discussione sulla letteratura araba  e finalmente ci siamo. Grazie all’Associazione Direfaredare partiamo il 15 febbraio 2017 alle 18.30 presso lo spazio Talamucci di Sesto San Giovanni, in Via Dante … Continua a leggere

Gruppo di lettura araba
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Cucina saudita: qahwa al-looz, caffè alle mandorle

Nonostante il nome, questa bevanda diffusa soprattutto nella regione saudita del Hijaz non ha niente a che vedere con un normale caffè. Per preparala, infatti, vengono utilizzate mandorle tritate invece che chicchi di caffè. Ecco come preparare il qahwa al-looz! Ingredienti: 1l di latte intero 50g di farina di riso 50g di zucchero 70g di mandorle intere cardamomo in polvere […]

L’articolo Cucina saudita: qahwa al-looz, caffè alle mandorle sembra essere il primo su Arabpress.

Torna il Festival Diritti a Todi

Lo Human Rights International Film Festival torna a Todi dal 25 al 28 gennaio 2017, con una selezione di 9 documentari e 13 cortometraggi in concorso, 6 film fuori concorso, due spettacoli teatrali, 6 mostre, 5 convegni, presentazioni di libri e 3 giur…

Decine di migliaia di bambini sfollati dalle loro case a causa delle violenze politiche in atto in…

Decine di migliaia di bambini sfollati dalle loro case a causa delle violenze politiche in atto in Gambia stanno per riversarsi in ospedali, scuole e altri servizi pubblici nelle aree di confine tra il Paese e il Senegal. Questa la denuncia di Save the Children, l’Organizzazione internazionale dedicata dal 1919 a salvare i bambini in pericolo e a promuoverne i diritti, che lancia l’allarme sul rischio di un’emergenza umanitaria su entrambi i lati del confine tra i due paesi.

Le tensioni in Gambia sono cresciute all’inizio dell’anno, nonostante il Segretario Generale entrante delle Nazioni Unite abbia chiesto ai cittadini, ai governi e ai leader politici un sforzo per superare le differenze e mettere la pace sopra ogni altro obiettivo. Secondo le stime delle Nazioni Unite circa 50.000 persone, nella grande maggioranza donne e bambini, hanno già lasciato i principali centri urbani del Gambia per raggiungere il confine del paese verso il Senegal. “Si tratta di bambini in fuga che si stanno spostando verso un’area dove i servizi pubblici e le strutture sanitarie sono già messe a dura prova”, spiega Bonzi Mathurin, Direttore di Save the Children in Senegal.

Alcune scuole che in Gambia avrebbero dovuto riaprire il 9 gennaio, sono invece rimaste chiuse e molti genitori hanno troppa paura di far frequentare quelle rimaste aperte ai loro figli. Un numero significativo di scuole hanno consigliato ai genitori di tenere a casa i propri figli fino a nuovo avviso. Molti bambini del Gambia si sono iscritti a scuola in Senegal, dove però viene insegnato il francese e non l’inglese come avviene in Gambia.

Gli ultimi dati forniti dal governo indicano che circa 26.000 persone hanno già attraversato il confine tra il Senegal e il Gambia dopo le elezioni, aumentando la pressione sulle comunità locali di questa area. “La migrazione tra il Gambia e il Senegal è stata sempre relativamente fluida, poiché molte persone che vivono in quest’area hanno membri della loro famiglia su entrambi i lati del confine. Tuttavia questo movimento improvviso e massiccio di persone potrebbe sopraffare i servizi pubblici, che stanno già combattendo per affrontare un’emergenza umanitaria”, spiega ancora Mathurin. “Durante gli spostamenti di massa delle persone, i bambini sono quelli più vulnerabili, perché perdono l’ambiente protetto della scuola, della famiglia e della comunità. In questi casi aumenta il rischio di violenze di genere, di mutilazioni genitali femminili e di matrimoni precoci. I più piccoli sono inoltre quelli più esposti a malattie mortali come la diarrea e la malaria, quando le strutture sanitarie non funzionano come dovrebbero. Per questo motivo è fondamentale fare in modo che questi bambini possano avere accesso ai servizi di base in questo periodo difficile”.

Le strutture sanitarie in Gambia sono ancora in funzione, ma la maggior parte dei medici stranieri hanno lasciato il paese, aumentando la pressione sulle strutture sanitarie pubbliche. Secondo l’Associazione dei Medici e Dentisti del Gambia, il sistema sanitario del paese non sarebbe in grado di far fronte a qualsiasi focolaio di violenza.

Save the Children ha messo in atto un piano di emergenza ed è pronta ad assistere la popolazione attraverso al distribuzione di aiuti in Senegal. L’Organizzazione è inoltre impegnata con i propri partner in Gambia e in Senegal per stabilire le aree che hanno maggiore necessità di intervento per raggiungere quelle dove è più urgente dare assistenza.

via Migrano http://ift.tt/2jQT7QK

Rifugiati eritrei e titolo di viaggio: la questura non può negare il rilascio

Una sentenza del TAR Lecce che ha accolto il ricorso avverso il diniego di titolo di viaggio della questura di Taranto, a favore di una donna eritrea titolare di permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, che correva seri rischi rivolgendosi alla Ambasciata dell’Eritrea (così come avrebbe voluto la questura). La donna che in passato faceva parte dell’esercito eritreo, risultava di fatto una disertrice, essendo fuggita dal paese e dall’esercito.
Il TAR afferma che trattasi di assoluta novità oggetto del giudizio.
Ora la donna può andare a trovare i suoi familiari che vivono stabilmente in varie parti d’Europa.

-

Scarica la sentenza

PDF - 1.1 Mb

Sentenza T.A.R. per la Puglia n. 2023 del 30 dicembre 2016

via Migrano http://ift.tt/2iXW4R9

Domenica a Milano il progetto orientale dell’Isis al Salone della Cultura

L’idea del Califfato in una mappa
diffusa da un’organizzazione islamista. Lo
Stato islamico ci si è ispirato?

Sappiamo tutto o quasi del progetto dello Stato islamico di Al Baghdadi per la Siria e l’Irak o per l’espansione del suo progetto in Libia e per l’esportazione del terrore in Europa o in Turchia. Ma esiste un progetto anche per il mondo non arabo? Esiste un progetto di espansione a Est dove il mondo musulmano è più numeroso? Elisa Giunchi (Afghanistan e Pakistan) e Guido Corradi (Indonesia) parleranno degli elementi caratteristici del messaggio del Califfato nell’estremo Est del Sudest asiatico e nell’area della guerra permanente lungo il confine afgano pachistano. Emanuele Giordana coordinerà l’incontro e parlerà dello sviluppo dello Stato islamico in Bangladesh (dove in luglio vennero uccise 23 persone tra cui 17 stranieri di cui 9 italiani) da dove è appena tornato.

 il 22 gennaio, ore 14,00

 L’ISIS IN ORIENTE: IL PROGETTO DELLO STATO ISLAMICO A EST DI RAQQA 
Salone della Cultura – Sala 2
ICOO, Istituto di Cultura per l’Oriente e l’Occidente
Superstudio Più, via Tortona, Milano

Guido Corradi – è un esperto dell’area malese indonesiana. Ha insegnato all’IsMeo Isiao e attualmente collabora con l’Università Bicocca a Milano. Con Emanuele Giordana ha scritto “La scommessa indonesiana” e sta collaborando alla collettanea “A Oriente del Califfo. Il progetto dello Stato islamico a Est di Raqqa”  in uscita per Rosemberg&Sellier

Elisa Giunchi – docente all’Università degli Studi di Milano, è un’esperta di storia e istituzioni del mondo musulmano. Ha scritto diversi saggi tra cui due dedicati a Pakistan e Afghanistan (Carocci)

Rawda non è stata dimenticata e domani tornerà in Etiopia. Mai più morti sulla rotta del Brennero

La donna morta a Borghetto travolta da un treno ha un nome: si chiama Rawda, aveva 29 anni ed era di origine etiope. Risalire alla sua identità è stato possibile grazie al lavoro di Antenne Migranti, il gruppo di monitoraggio attivo lungo la rotta del Brennero. Domattina l’ultimo saluto al cimitero e poi la salma di Rawda torna dai suoi cari in Etiopia, la raccolta fondi promossa da Avio Solidale ha permesso di sostenere le spese del rimpatrio. La solidarietà espressa dalla comunità aviense permetterà inoltre alla giovane figlia di Rawda di proseguire gli studi.
Per Antenne Migranti, che si presenterà domani sera al Centro Trevi a Bolzano, “una solidarietà che fa onore al Trentino, ma che non può servire come alibi alle mancanze che questa storia evidenzia”.

Rawda non è stata dimenticata

Rawda aveva 29 anni e ha perso la vita a pochi chilometri dalle nostre case.
Era partita tempo fa dalla sua terra, l’Etiopia, dove vivono i suoi cari. E’ arrivata in Italia lo scorso novembre. Nel freddo della stagione e del sistema d’accoglienza, Rawda si è trovata smarrita. Ha concluso il suo viaggio il 16 novembre 2016, camminando lungo i binari nei pressi di Borghetto: nel buio, un treno l’ha investita.

Rawda non è stata dimenticata. Grazie all’impegno di tante persone della comunità della Vallagarina e al nostro gruppo Antenne Migranti è stato possibile mettersi in contatto con la famiglia, che ha chiesto sostegno per poter rivedere, seppur da deceduta, la propria cara, non potendosi permettere la cifra necessaria al rimpatrio della salma. In poche settimane la mobilitazione di tante persone della comunità locale ha fatto sì che venisse raccolto quanto serve per coprire le spese . Ora Rawda può tornare a casa. Un’incredibile solidarietà popolare, che permetterà, oltre al rimpatrio, di studiare anche una forma di sostegno alla figlia di Rawda, rimasta orfana.

Una solidarietà che fa onore al Trentino, ma che non può servire come alibi alle mancanze che questa storia evidenzia.

Primo, la vicinanza di molti trentini ha coperto quella che crediamo essere un’assenza delle istituzioni: se, arrivando da lontano, si muore così tragicamente su un territorio, non sarebbe lecito aspettarsi che siano le istituzioni pubbliche di quel territorio a rendere omaggio alla defunta? Senza un’attivazione volontaristica, invece, Rawda sarebbe rimasta sepolta in Trentino, e chissà quando la sua famiglia avrebbe avuto notizia della sua morte.

Secondo, è necessario abituarsi alle morti sulle rotaie? Dopo Rawda, altre quattro persone hanno perso la vita sulla rotta ferroviaria Verona-Austria. Dobbiamo aspettarci di dover cercare altre famiglie orfane e rimpatriare altre salme?

Preoccupati per la condizione delle persone migranti che transitano lungo i nostri binari, abbiamo costituito il gruppo indipendente Antenne Migranti. Con il sostegno della Fondazione Alexander Langer di Bolzano, il nostro obiettivo è svolgere attività di monitoraggio nelle stazioni e città lungo la rotta del Brennero per cercare di fornire supporto, in termini di orientamento informativo, ai migranti in transito e di stimolare le istituzioni rispetto alle problematiche esistenti.
Il progetto sarà presentato domani, venerdì 20 gennaio, alle ore 18.00 presso il Centro Culturale Trevi di Bolzano.

Antenne Migranti
Monitoraggio lungo la rotta del Brennero

mail: [email protected]

via Migrano http://ift.tt/2jcEcQ6

Bolzano — Presentazione di Antenne Migranti monitoraggio lungo la rotta del Brennero

Antenne Migranti e Fondazione Alexander Langer Stiftung presenteranno il progetto “Monitoraggio lungo la rotta del Brennero” venerdì 20 gennaio dalle ore 18.00 alle 20.00 presso il Centro culturale Trevi in via Cappuccini 28 a Bolzano.

Per l’occasione Giuseppe De Mola, di Medici senza Frontiere, presenterà il report sull’accoglienza informale in Italia: “Fuori campo. Mappa dell’accoglienza che esclude”.
Nel corso della serata sarà illustrata anche la situazione dei migranti in transito nella stazione di Bolzano e alcune situazioni riguardo l’accoglienza di richiedenti protezione internazionale.

Le recenti crisi umanitarie, hanno determinato un crescente flusso di uomini e donne richiedenti asilo e rifugiati verso il nostro Paese e in generale verso l’Europa. La risposta arrivata dagli Stati e dalle istituzioni dell’Unione Europea si è concretizzata nell’erezione di muri fisici e legali al fine di ostacolare il libero movimento dei migranti verso e all’interno dell’Europa.
Il nostro territorio, che da sempre rappresenta un luogo di transito, è particolarmente colpito da queste politiche. Scongiurato (almeno per ora) il muro con l’Austria, il libero movimento dei migranti viene prevenuto per mezzo di controlli nelle varie stazioni che precedono il Brennero. Così molti migranti, dopo aver tentato invano di raggiungere l’Austria, si trovano bloccati nelle nostre città sempre meno ospitali. Inoltre l’inasprimento dei controlli ha portato i migranti ad assumersi rischi sempre maggiori pur di attraversare il confine, come testimoniano i recenti fatti di cronaca.
Antenne Migranti, gruppo di attivisti volontari, e la Fondazione Alexander Langer Stiftung hanno deciso di dare seguito all’esperienza iniziata negli anni scorsi, promuovendo un monitoraggio della situazione dei migranti nelle stazioni e nelle città, sulla linea Verona-Brennero.
L’attività di monitoraggio sarà finalizzata ad osservare, e ove possibile prevenire, eventuali violazioni dei diritti dei migranti; fornire supporto in termini di orientamento e accesso alle informazioni al fine di una scelta consapevole; raccogliere i bisogni dei migranti in modo da poter sensibilizzare e stimolare le istituzioni rispetto alle problematiche esistenti. Inoltre, scopo del monitoraggio è quello di aprire un dialogo sui temi dell’accoglienza e della libertà di movimento con tutti gli attori coinvolti, per contribuire alla diffusione di modalità maggiormente rispettose dei diritti umani. Attualmente gruppi di volontari si stanno muovendo nelle città di Verona, Trento e Bolzano.
Al fine di poter essere svolte al meglio, queste attività necessitano la presenza di un nutrito numero di volontari. Per questo invitiamo gli interessati a mettersi in contatto per mail o telefono per avere maggiori informazioni e conoscere il gruppo territoriale più prossimo:

mail: [email protected]

Coordinamento
Federica Dalla Pria
[email protected]
3738687839

via Migrano http://ift.tt/2jcVTPu

La Marcia dei 1.000 piedi sul Montello

Conosco un altro Montello, OLTRE la violenza delle parole: Ritmi e danze dal mondo — crocevia di incontri e di culture invita alla MARCIA DEI 1000 PIEDI

Da 22 anni lavoriamo, attraverso il festival “Ritmi e danze dal mondo — crocevia di incontri e di culture” che si tiene a Giavera del Montello, per far crescere il dialogo, il confronto e l’incontro con il territorio e tutti coloro che lo abitano, compreso chi viene da culture diverse. Abbiamo chiara consapevolezza di vivere in un mondo complesso, dove le semplificazioni e le contrapposizioni non aiutano ad affrontare efficacemente le questioni che riguardano tutti. Non intendiamo quindi proporre qualcosa “contro” qualcun altro: nessuna “contromanifestazione”, come qualcuno ha scritto. Non è il nostro stile. Tuttavia non possiamo ignorare quanto va accadendo a partire dalla manifestazione di Volpago, proprio perché il nostro festival si tiene anch’esso ai piedi del Montello.

La nostra è piuttosto proposta di un evento positivo: i 500 volontari del festival vogliono metterci la faccia e i piedi, “mille piedi” che simbolicamente camminano insieme, con tutti coloro che vorranno partecipare, per dire che è necessario proporre un modo diverso di affrontare i cambiamenti sociali e la questione dei migranti, partendo dal nostro essere cittadini capaci di promuovere una partecipazione civile consapevole e informata nel territorio in cui viviamo. Stiamo invitando i sindaci del comprensorio del Montello, a ribadire che vogliamo superare ogni rischio di contrapposizione, con l’unica attenzione che parole violente non accendano ulteriormente animi già esasperati. Stiamo lavorando con altre realtà del territorio, che parteciperanno con noi all’evento.

Invitiamo singoli e famiglie a ritrovarsi domenica 22 gennaio alle 14.30 presso villa Wasserman, in via della Vittoria a Giavera del Montello (TV), luogo del festival “Ritmi e danze dal mondo”.

Percorreremo a piedi un simbolico tratto di strada lungo il Montello (5 km al massimo), per arrivare ancora a villa Wasserman entro le 16. La marcia verrà preceduta da una staffetta che attraverserà tutto il Montello. Di lì ci porteremo in auto al Palamazzalovo, in via Malipiero 125 — Montebelluna, dove concluderemo la manifestazione con interventi culturali, musica e danze, con spazio libri e angolo
per i bimbi. Vuole essere l’inizio di un percorso lungo il quale, confrontandoci con chi vorrà partecipare, offriremo nei prossimi mesi altri incontri di informazione e riflessione sulle tematiche della migrazione e le problematiche attuali ad esse collegate.

La manifestazione non ha colore politico né ideologico, avrà piuttosto il colore dei volti di tutti. Per questa volta lasciamo a casa altre bandiere e striscioni. Daremo comunicazione durante la manifestazione, in rete e mediante stampa, di tutte le realtà del territorio che avranno voluto aderire.

In caso di pioggia, l’evento si terrà al Palamazzalovo di Montebelluna con inizio alle ore 15.00.

Unisciti a noi con un IO CI SONO, partecipando alla marcia dei 1000 piedi + i miei!

Per info:

-

Evento Facebook

-

Ritmi e danze dal mondo – Home page

-

Ritmiedanzedalmondo su Facebook

via Migrano http://ift.tt/2iNIwV3

La Marcia dei 1.000 piedi sul Montello

Conosco un altro Montello, OLTRE la violenza delle parole: Ritmi e danze dal mondo — crocevia di incontri e di culture invita alla MARCIA DEI 1000 PIEDI

Da 22 anni lavoriamo, attraverso il festival “Ritmi e danze dal mondo — crocevia di incontri e di culture” che si tiene a Giavera del Montello, per far crescere il dialogo, il confronto e l’incontro con il territorio e tutti coloro che lo abitano, compreso chi viene da culture diverse. Abbiamo chiara consapevolezza di vivere in un mondo complesso, dove le semplificazioni e le contrapposizioni non aiutano ad affrontare efficacemente le questioni che riguardano tutti. Non intendiamo quindi proporre qualcosa “contro” qualcun altro: nessuna “contromanifestazione”, come qualcuno ha scritto. Non è il nostro stile. Tuttavia non possiamo ignorare quanto va accadendo a partire dalla manifestazione di Volpago, proprio perché il nostro festival si tiene anch’esso ai piedi del Montello.

La nostra è piuttosto proposta di un evento positivo: i 500 volontari del festival vogliono metterci la faccia e i piedi, “mille piedi” che simbolicamente camminano insieme, con tutti coloro che vorranno partecipare, per dire che è necessario proporre un modo diverso di affrontare i cambiamenti sociali e la questione dei migranti, partendo dal nostro essere cittadini capaci di promuovere una partecipazione civile consapevole e informata nel territorio in cui viviamo. Stiamo invitando i sindaci del comprensorio del Montello, a ribadire che vogliamo superare ogni rischio di contrapposizione, con l’unica attenzione che parole violente non accendano ulteriormente animi già esasperati. Stiamo lavorando con altre realtà del territorio, che parteciperanno con noi all’evento.

Invitiamo singoli e famiglie a ritrovarsi domenica 22 gennaio alle 14.30 presso villa Wasserman, in via della Vittoria a Giavera del Montello (TV), luogo del festival “Ritmi e danze dal mondo”.

Percorreremo a piedi un simbolico tratto di strada lungo il Montello (5 km al massimo), per arrivare ancora a villa Wasserman entro le 16. La marcia verrà preceduta da una staffetta che attraverserà tutto il Montello. Di lì ci porteremo in auto al Palamazzalovo, in via Malipiero 125 — Montebelluna, dove concluderemo la manifestazione con interventi culturali, musica e danze, con spazio libri e angolo
per i bimbi. Vuole essere l’inizio di un percorso lungo il quale, confrontandoci con chi vorrà partecipare, offriremo nei prossimi mesi altri incontri di informazione e riflessione sulle tematiche della migrazione e le problematiche attuali ad esse collegate.

La manifestazione non ha colore politico né ideologico, avrà piuttosto il colore dei volti di tutti. Per questa volta lasciamo a casa altre bandiere e striscioni. Daremo comunicazione durante la manifestazione, in rete e mediante stampa, di tutte le realtà del territorio che avranno voluto aderire.

In caso di pioggia, l’evento si terrà al Palamazzalovo di Montebelluna con inizio alle ore 15.00.

Unisciti a noi con un IO CI SONO, partecipando alla marcia dei 1000 piedi + i miei!

Per info:

-

Evento Facebook

-

Ritmi e danze dal mondo – Home page

-

Ritmiedanzedalmondo su Facebook

via Migrano http://ift.tt/2iNIwV3

Sulla Marcia di un altro Montello

Domenica 22 gennaio il festival “Ritmi e danze dal mondo”, che si svolge da 22 anni a Giavera del Montello, promuove “La Marcia dei 1.000 piedi sul Montello”.
L’iniziativa è stata discussa in un incontro che ha messo a tema termini e motivazioni della marcia.
Pubblichiamo la nota di adesione del Centro sociale Django di Treviso.

L’incontro si è svolto all’interno dell’oratorio di Giavera, paese di 5.000 abitanti circa poco distante da quella Volpago del Montello, diventata tristemente nota per il corteo anti-immigrazione entrato agli onori delle cronache locali e nazionali per lo striscione razzista “Benvenuti sul Montello, sarà il vostro inferno”.

L’incontro, oltre ad innumerevoli associazioni e gruppi informali presenti nei tanti piccoli comuni alle pendici del Montello, ha visto la presenza dei rappresentanti dell’Associazione promotrice della marcia.

Premettiamo di essere ben felici dell’iniziativa e soprattutto che questa sia nata da chi vive all’interno di un territorio non facile, in gran parte amministrato dalla Lega Nord e dove riconosciamo il grande ruolo svolto dal festival, “Ritmi e danze dal mondo”, che da ormai 20 anni per quattro giorni diventa un punto di riferimento per quella galassia di realtà, associazioni e gruppi di volontariato che operano nel mondo dell’accoglienza per la promozione di un dialogo tra culture.

Crediamo però doveroso, oltre a sottoscrivere l’iniziativa, esprimere il nostro punto di vista e la nostra modalità di affrontare la questione accoglienza nei nostri territori.

La manifestazione, come dichiarato a più riprese nel corso dell’assemblea non vuole avere un carattere politico, né ideologico quanto piuttosto proporre un modo diverso di affrontare i cambiamenti sociali e la questione migranti, un’occasione di confronto e apertura rivolto a tutti.

E’ stato più volte ripetuto che non è intenzione dell’Associazione porsi contro qualcun altro, anche la paura degli abitanti del Montello avversi ad accogliere 100 richiedenti asilo è comprensibile, in quanto sentimento umano la paura è necessaria a non cadere in quell’atteggiamento di accettazione senza riserve tipico dei buonisti.

Ci si dimentica però che la “paura” dei partecipanti alla marcia di Volpago, a cui peraltro hanno preso parte anche il governatore del Veneto Luca Zaia e molti amministratori e politici locali della Lega Nord non è quella di un genitore che evoca ai suoi bambini quando attraversano la strada o toccano le prese della corrente ma una paura che viene fatta circolare all’interno di una fiorente economia di potenti gruppi di interesse, la cui esistenza dipende proprio dal fatto che noi continuiamo ad avere paura. Questi professionisti della paura dove annovero teologi, politici, medici, psicologi e mass media in primis dipendono proprio dal nostro terrore e la rimozione, l’eliminazione di questo sentimento non è mai davvero auspicata in quanto il loro obiettivo è sempre stato quello di sostituire e rinnovare i discorsi che suscitano le paure più profonde dell’essere umano.

E’ fondamentale ribadire che emozioni come la paura, la xenofobia e il razzismo non appartengono soltanto agli individui o a ristretti gruppi sociali, esse sono strumenti di mediazione tra individuo e società e riguardano le relazioni di potere, la Lega in questi anni ha costruito proprio su questi istinti il suo consenso e il suo elettorato facendo leva su fattori come la razzializzazione del crimine — tendenza a imputare il crimine ai migranti — rafforzando il binomio straniero uguale criminale o peggio sulla guerra di civiltà e il pericolo dell’invasione, del non essere “più padroni a casa nostra”.

Il razzismo si è così profondamente radicato nei nostri territori che crediamo invece sia necessario isolarlo, e per farlo pensiamo si debba cominciare a chiamare certe pulsioni con il loro nome, non siamo più disposti a cercare alcun tipo di mediazione con i razzisti e i fascisti di ogni genere.

Con l’associazione “Ritmi e Danze del Mondo”, abbiamo condiviso la necessità di superare un modello di accoglienza, quello costituito dalle grandi strutture di accoglienza individuate dalle prefetture, dove i numeri non permettono di fornire quei servizi minimi per una corretta integrazione e di rilanciare l’idea di un modello d’accoglienza diffuso nei territori.

Su questo tema, l’esperienza del centro sociale Django a Treviso, con il lavoro di inchiesta che stiamo conducendo all’interno delle cooperative e che trova peraltro conferma oggi nelle regole del nuovo pacchetto emigrazione del Viminale ci ha portato a credere che anche in questo caso, non si tratta soltanto di una questione relativa alla qualità dei servizi che siamo in grado di offrire ai rifugiati e all’impatto nei territori ma ci sia in ballo qualcosa di molto più inquietante.

Per l’impresa privata, la presenza dei richiedenti asilo è una pentola piena d’oro. Grandi numeri significa grandi guadagni e adesso che nelle nuove misure anticipate dal Ministro Minniti viene imposto ai richiedenti asilo di lavorare anche l’occasione per una manodopera gratuita, niente più scioperi ne sindacati, niente indennità di malattia, sussidi di disoccupazione e compensi da pagare.

Quello a cui stiamo assistendo è la nascita di un sistema non dissimile da quanto accadeva nei paesi coloniali o peggio durante lo schiavismo che di fatto riduce i migranti alla dipendenza da altri per la fornitura di servizi umani basilari, come il cibo e l’alloggio, isolandoli dalla popolazione comune, confinandoli in un habitat ben definito.

Alla nostra richiesta di partecipare alla marcia assieme ai nostri fratelli rifugiati richiedenti asilo ci è stato suggerito che sarebbe auspicabile ci fosse il permesso della cooperativa di accoglienza o del Prefetto e questo conferma i nostri timori più profondi, si sta insinuando un’idea e una convinzione volta a giustificare la riduzione di individui di origine africana allo stato giuridico di proprietà di qualcuno e questo non possiamo permettere che avvenga.

Al corteo del 22 sul Montello noi ci saremo, abbiamo sempre creduto necessario relazionarci con tutti i soggetti presenti sul territorio per costruire assieme, in modo orizzontale e partecipato, un terreno di confronto che porti ad un cambiamento culturale nelle nostre coscienze e nei nostri territori. Raccogliamo quindi l’appello lanciato dall’Associazione Ritmi e Danze dal Mondo.

Domenica 22 ci saremo anche noi, con il nostro punto di vista, la nostra storia, le nostre esperienze concrete e, come sempre, ci metteremo la faccia e questa volta anche i piedi per camminare assieme attraverso il Montello.
Un muro abbattuto può diventare un ponte.

Centro sociale Django

via Migrano http://ift.tt/2jDbpqV

Novità editoriale: Kushari di Elisa Ferrero

Trovo geniale l’uso di “kushari” come titolo di un libro che parli dell’Egitto di oggi. Come Elisa Ferrero ci spiega nelle prime pagine, kushari è un piatto tipico egiziano, delizioso nella resa finale ma che mescola ingredienti apparentemente inconciliabili fra loro. Una metafora che si adatta perfettamente a un paese ricco di discordanze, la cui identità è difficile […]

L’articolo Novità editoriale: Kushari di Elisa Ferrero sembra essere il primo su Arabpress.

Novità editoriale: Giardini di consolazione di Parisa Reza

Giardini di Consolazione è la storia di una famiglia iraniana attraverso il trentennio più appassionante e indimenticabile della storia dell’Iran. Il libro ci catapulta negli anni tra il 1920 e il 1953. Il paese, una realtà ancora tradizionalista e feudale nelle aree rurali, vive un forte sviluppo democratico, civile ed economico. I cittadini si permettono di sognare un futuro migliore per sé stessi e, […]

L’articolo Novità editoriale: Giardini di consolazione di Parisa Reza sembra essere il primo su Arabpress.

Genographic Project

              Evidentemente i segnali sono molti, basta coglierli. Leggo un altro articolo, questo. Scopro che l’articolo è praticamente una traduzione in arabo di quest’altro. Entrambi fanno riferimento a un progetto lanciato dal National Geographic, … Continua a leggere

Genographic Project
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Elena Ferrante tradotta in arabo è un’ottima notizia per la cultura

Questo pezzo l’ho scritto per Internazionale e parla della traduzione in arabo della famosa tetralogia dell’Amica geniale di Elena Ferrante (edizioni e/o). “Il 31 dicembre del 1958 Lila ebbe il suo primo episodio di smarginatura. Il termine non è mio, lo ha sempre utilizzato lei forzando il significato comune della parola. Diceva che in quelle occasioni … Continua a leggere Elena Ferrante tradotta in arabo è un’ottima notizia per la cultura

Elena Ferrante tradotta in arabo è un’ottima notizia per la cultura

Questo pezzo l’ho scritto per Internazionale e parla della traduzione in arabo della famosa tetralogia dell’Amica geniale di Elena Ferrante (edizioni e/o). “Il 31 dicembre del 1958 Lila ebbe il suo primo episodio di smarginatura. Il termine non è mio, lo ha sempre utilizzato lei forzando il significato comune della parola. Diceva che in quelle occasioni … Continua a leggere Elena Ferrante tradotta in arabo è un’ottima notizia per la cultura

Belgrado nel cuore di ghiaccio dell’Europa

Fotoservizio di Dante Prato e Laura Danzi

«Poche settimane fa ho provato ad attraversare il confine con l’Ungheria per arrivare in Germania, ma la polizia ci ha scoperti è ha cominciato a picchiarci. Con me c’erano anche bambini di dieci anni e la polizia ha picchiato anche loro». Nonostante ci sia un timido sole a illuminare il volto di Farid la temperatura di Belgrado, alle 14, è ben al di sotto dello zero. Questo ragazzo afghano di venti anni, stretto nel suo cappotto arancione, ci racconta una storia che non è più nuova. Non lo è alle nostre orecchie, non lo è a quelle di milioni di europei, ma che ancora una volta tutti quanti continuiamo ad ignorare.

Dietro la stazione ferroviaria della capitale serba, a meno di un chilometro dal centro storico, più di mille migranti hanno dato vita ad un nuovo insediamento informale. Un piazzale circondato da capannoni ed ex depositi, da diversi mesi, è diventato la nuova casa per migliaia di persone provenienti principalmente da Afghanistan, Pakistan, Siria e Kurdistan. Sono soprattutto giovani uomini, molti adolescenti, qualche bambino; tutti bloccati a Belgrado nel loro viaggio lungo la rotta balcanica. Proprio quella che l’Europa dice che non esiste più. Proprio quella che, a seguito degli accordi tra l’Unione europea e la Turchia, da marzo dovrebbe essere stata definitivamente sbarrata. In realtà, seppur i numeri siano leggermente diminuiti, la balkan route è tutt’altro che chiusa. Si sono aperte nuove strade, che nella maggior parte dei casi sono ancora più insicure e rischiose.

JPEG - 68.6 Kb

«In Serbia — ci racconta Andrea Contenta, Humanitarian affairs officer di Medici senza frontiere — ci sono circa 8000 migranti. 6000 vivono in campi governativi che, a causa del sovraffollamento e delle scarse condizioni igieniche, non rappresentano certo un esempio di accoglienza dignitosa, mentre 1700 persone vivono a Belgrado».

C’è un cancello proprio dietro l’angolo della piazza della stazione, sembra un normale parcheggio con tanto di custode, ma dentro ci sono centinaia di persone già in fila ad attendere che Hot Food Idomeni, un’organizzazione autorganizzata che avevamo già incontrato alconfine tra la Grecia e la Macedonia (leggi qui il reportage), arrivi a fornirgli un pasto caldo. Una zuppa e un pezzo di pane, quanto basta per non morire di fame, per cercare di riscaldare il corpo già provato dal freddo polare.

L’unico riparo sono i capannoni abbandonati che circondano il piazzale, un materasso lurido e una coperta. L’unica soluzione è accendere un fuoco, bruciare qualsiasi cosa possibile alla ricerca di un po’ di calore.

JPEG - 76.4 Kb

«L’aria all’interno dei magazzini è irrespirabile — ci racconta Alì, un adolescente pakistano — , dormire tutte le notti così diventa davvero pericoloso per la salute. Ma la scelta tra il morire di freddo e rischiare un’intossicazione è facile».

Il numero di migranti assiderati nell’ultimo periodo è aumentato considerevolmente, qualsiasi fonte di calore è vitale. Negli ultimi giorni Medici senza frontiere, oltre che del lavoro sanitario si sta occupando anche di distribuire coperte. Il termometro di notte tocca meno venti. In queste condizioni anche lavarsi diventa proibitivo. L’unico modo è scaldare l’acqua sul fuoco e approfittare di ogni singola goccia, mentre quella che finisce a terra sull’asfalto gelato, alza nuvole di vapore spettacolari. «Sono circa quattro mesi che parliamo con il municipio, con il Ministero della salute e il governo per cercare di installare dei bagni e delle docce — aggiunge preoccupato Andrea –, ma ci hanno risposto che non era proprio il caso, mentre le persone continuano a vivere qui senza un bagno e senza acqua corrente». E continueranno a viverci, perché il confine con l’Ungheria è bloccato, mentre i migranti in Serbia continuano ad arrivare o a ritornare. «La Serbia rischia di diventare una nuova Calais all’interno dei Balcani — conclude il responsabile di Msf –, molte delle persone che sono qui erano già arrivate in Austria o in Germania, sono state poi trasferite in Bulgaria, a causa delle leggi di Dublino, e si ritrovano di nuovo qui. La Serbia rischia di diventare un grosso campo aperto, circondata dai confini dell’Europa, non gode dei benefici dell’Unione ma ne paga comunque le conseguenze».

Un cane che si morde la coda, mentre le persone continuano a morire. Mentre continuiamo a pagare la Turchia perché blocchi i migranti lungo il confine siriano, mentre stringiamo dispendiosi accordi commerciali con paesi come la Libia perché arginino i flussi, le persone continuano ad arrivare in maniera ancora più difficoltosa e sopponendosi a condizioni sempre peggiori. La linea politica europea in tema di gestione dei flussi migratori fatta di muri, fili spinati e esternalizzazione dei confini, non solo non sta funzionando, ma mostra tutta la sua disumanità.

JPEG - 86.5 Kb

via Migrano http://ift.tt/2jLTP1R

Totò e la rappresentazione dell’Oriente

Il saggio di Edward Said intitolato “Orientalismo” risulta ancora oggi, nonostante i suoi limiti ed i suoi anni, estremamente attuale. La connotazione mistificatoria e stereotipata del concetto di “Oriente” enucleata da Said ha trovato esempi estremamente rappresentativi nel cinema italiano del ‘900…. Continue Reading →

Totò e la rappresentazione dell’Oriente

Il saggio di Edward Said intitolato “Orientalismo” risulta ancora oggi, nonostante i suoi limiti ed i suoi anni, estremamente attuale. La connotazione mistificatoria e stereotipata del concetto di “Oriente” enucleata da Said ha trovato esempi estremamente rappresentativi nel cinema italiano del ‘900…. Continue Reading →

Bolzano — Protesta dei richiedenti asilo “Vogliamo i documenti!”

Si sono presentati in quaranta, lunedì mattina, nonostante il freddo e il vento gelido, davanti la questura di Bolzano per protestare, per l’ennesima volta, contro i tempi di attesa biblici per essere auditi dalla Commissione territoriale di Verona che valuta le domande di protezione internazionale.
Una quarantina di richiedenti asilo afghani e pachistani, da mesi oramai rinchiusi all’interno di un centro di accoglienza, hanno deciso di manifestare il loro dissenso in maniera dura, seppur pacifica, mettendoci, come sempre più spesso accade, la faccia e il corpo. La risposta della questura, manco a dirlo, è stata quella di blindare il gruppo ai limiti di un parco con un ingente spiegamento di forze dell’ordine in assetto antisommossa.
Daya, pachistano, era tra coloro che hanno portati avanti la protesta. “Sono 18 mesi che cerco di sopravvivere all’interno dei centri di accoglienza” ci racconta “sono stato in questura a Bolzano a metà del 2015 per consegnare i documenti che poi sono stati spediti a Verona. Ad oggi nessuna risposta. Nel frattempo vivo in un limbo, non posso lavorare, ho pochissimi contatti con italiani, non ho la minima libertà di movimento”.
La condizione di Daya è quella di migliaia di richiedenti asilo in Italia, intrappolati in un circuito infernale di leggi mal scritte e mal fatte, sintomo di una costante situazione emergenziale inventata ad hoc e connotata da ritardi tipici della burocrazia italiana. Un circolo vizioso che porta a ricevere una risposta, mediamente, dopo due o tre anni. In molti di loro lamentano il fatto, inoltre, della severità della Commissione territoriale e delle modalità del colloquio. Ci confidano che i loro amici sono stati sottoposti ad un interrogatorio, con domande calzanti che puntavano a metterli in contraddizione. Alcuni di loro hanno ricevuto il diniego nonostante arrivino da zone non sicure colpite da attentati terroristici. “Temiamo di non ricevere nessuna protezione e di essere rimpatriati, ma nel nostro Paese non ci è rimasto nulla, solo morte e dolore”.
A Bolzano la situazione sembra precipitata nell’ultimo periodo, nonostante un sostanziale rallentamento del passaggio di migranti nella tratta Verona/Monaco. Oltre ad una chiara difficoltà nell’accoglienza di questi ultimi, una ventina di richiedenti asilo vive per strada da una settimana circa con temperature che hanno sfiorato i dieci gradi sotto lo zero.
Nell’assurdità della situazione, degradante e disumanizzante per chi vive ostaggio di una risposta, spesso negativa, andrebbero però indagate le responsabilità della questura di Bolzano che, spesso, non si è dimostrata particolarmente solerte nel formalizzare le richieste di asilo attraverso il modello C3 e poi inviare i documenti.
Sullo sfondo a completare il cerchio delle responsabilità, le istituzioni, Comune e Provincia in primis, che non solo restano sorde alle richieste dei migranti e volontari che chiedono un’accoglienza dignitosa, ma che non hanno mai negato il fastidio di dover accogliere, a tal punto da non aver ancora ritirato la circolare Critelli.
La morte di Abeil, a inizio dicembre, sembra già essere stata dimenticata!

via Migrano http://ift.tt/2jxfz3U

Il ratto del serraglio

L’altro giorno ho letto questo articolo.  Tratta del nuovo allestimento dell’opera di Mozart Il ratto del serraglio. L’oggetto della quetione è l’allestimento contemporaneo, nel quale il regista austriaco ha sostituito ai Turchi i combattenti di daesh, come da immagine che segue: … Continua a leggere

Il ratto del serraglio
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Condividi buone pratiche e strumenti utili, scrivi a [email protected].

Condividi buone pratiche e strumenti utili, scrivi a [email protected].

Il percorso di orientamento rappresenta uno strumento volto ad analizzare le precedenti esperienze di lavoro per poter ricostruire il proprio passato e delineare un progetto futuro di vita. Un percorso di vita che riparta dalla consapevolezza delle proprie capacità, innescando un processo volto a stimolare la proprie capacità di resilienza. L’utenza di questo percorso è costituita da richiedenti asilo i quali affrontano un percorso di transizione totale, affrontare in maniera trasversale un percorso di orientamento è essenziale per creare le fondamento per l’inserimento nella vita sociale ed economica del nostro paese.

Outplacement, percorsi di inserimento sociale e lavorativo:

L’Outplacement si rivolge a coloro che non hanno un obiettivo professionale definito, o il cui obiettivo professionale sembra essere irraggiungibile.
Anche le persone senza esperienze professionali possono aver bisogno di definire meglio le proprie capacità e aspirazioni professionali, e di progettare e mettere in atto percorsi professionali. In questo caso i beneficiare del corso sono immigrati, quindi persone che hanno deciso di abbandonare il proprio luogo di origine alla ricerca di un futuro migliore. I percorsi di Outplacement sono mirati a sostenere, individualizzare e potenziare le capacità e le competenze dei singoli beneficiari.

Lo scopo è di mettere in grado le persone di progettare il proprio futuro personale, in questa ottica diventa fondamentale riconoscere e metabolizzare il proprio percorso migratorio, identificare gli obiettivi da raggiungere e il sistema per realizzarlo.

I traguardi personali non possono essere imposti dall’operatore, ma devono nascere autonomamente dal vissuto dei beneficiari, i quali sono gli unici a poter rispondere nel modo più adeguato ai propri bisogni formativi, lavorativi e alla definizione del proprio percorso migratorio. Consegue che l’operatore offre un punto di vista esterno con cui confrontarsi e una guida al percorso che comunque ciascuno dei beneficiari deve compiere per:

1* identificare competenze e potenzialità da investire nell’elaborazione/realizzazione di un progetto di inserimento sociale professionale e migratorio
2* acquisire autonome capacità di autovalutazione e scelta e autodeterminazione
3* sviluppare, rispetto a sé, quadri di riferimento socio-culturali e registri emotivi appropriati per affrontare positivamente situazioni di transizione/cambiamento, per investire sulla propria progettualità;
4* la ristrutturazione cognitiva, per favorire il passaggio da un atteggiamento rinunciatario a un’attivazione diretta nella ricerca di lavoro o di informazioni.
5* costruire un progetto di sviluppo umano
6* la ristrutturazione cognitiva, per favorire il passaggio da un atteggiamento rinunciatario a un’attivazione diretta nella ricerca di lavoro o di informazioni.

Metodologia:
Il Target di persone che partecipato al corso risulta essere diverso da quelli che possono essere considerati utenti “classici”. La letteratura di settore è carente se non priva nell’offrire materiale specifico da utilizzare in questi casi, quindi risulta indispensabile avere un approccio etno-antopologico . Come metodologia di lavoro si è preferito usare le tecniche di educazione non formale e momenti di peer education, permettendo ai beneficiari di essere i creatori dei contenuti e non soggetti passivi di lezioni frontali.

Strumenti:
Gli strumenti utilizzati sono costituiti da:
Attività di presentazione e analisi dei bisogni, attraverso giochi di gruppo e attività semi strutturate

Cos’è il lavoro? Attività di confronto collettivo sulla concezione del lavoro, e sulle emozioni che suscitano. Attraverso l’utilizzo di cartelloni e post it i beneficiari riescono a concretizzare i propri vissuti

Il filo rosso del Lavoro; con l’utilizzo di fogli e colori i beneficiari sono stati chiamati a organizzare in maniera temporale la propria storia lavorativa, utilizzando colori diversi a seconda del sentimento legato all’esperienza di lavoro. Discussione finale e confronto di gruppo

Le mie competenze; per ogni esperienza si è chiesto di elencare le azioni pratiche svolte e le responsabilità legate al proprio ruolo.

Cos’è il mio lavoro; partendo dalle caratteristiche identificate in ogni lavoro svolto in precedenza, attività pratiche, intellettuali, lavoro autonomo, dipendente, in gruppo o svolto singolarmente, i beneficiari hanno dovuto analizzare queste esperienze per capire se quella professione è stata un’esperienza soddisfacente oppure no, quali erano le mansioni nelle quali si riusciva meglio e quelle nelle quali non si era particolarmente idonee. Cercare di capire i lavoro svolti per necessità e quelli fatti realmente per interesse personale.

Le mie caratteristiche personali; in questo caso ai beneficiari è stato chiesto di elencare le proprie caratteristiche personali, individuando in maniera particolare tutte quegli atteggiamenti che vengono fuori o si accentuano nei luoghi di lavoro.

Il mio lavoro ideale; E’ stato chiesto ai beneficiari di pensare a 3 lavori ideali che possono o hanno l’intenzione di fare in futuro. Per ogni professione inoltre è stato chiesto di elencare una serie di attività proprie di quel lavoro e le caratteristiche personali predominati per quel tipo di lavoro, quali ad esempio lavoro in gruppo, alta responsabilità, gestione del lavoro ecc.. Per ogni caratteristica personale o lavorativa bisogna capire se questa è da acquisire oppure già presente nel proprio bagaglio di esperienza personale.

Decidere di utilizzare del materiale mutuato da altri settori è stato di sicuro una scelta efficace che permette a tutti di esprimere il proprio vissuto, i proprio punti di orgoglio personale e le proprie ansie.

Per far capire il coinvolgimento dei beneficiari mi piace ricordare due episodi, un signore Pakistano sui 45 anni che ci mostra il biglietto da visita del suo negozio di abbigliamento e un altro signore che mi mostra la foto della sua sartoria. Non si può negare che sia stato un percorso difficile, chiedere di riflettere sulla propria storia personale a persone che hanno lasciato la propria Nazione, i propri affetti e la propria vita alla ricerca di un futuro.

via Migrano http://ift.tt/2jyRM3n

Migranti e necropolitica

Non ha nome, è lì tra i vecchi binari, i vecchi magazzini. In un altro mondo, un mondo accanto al mondo, rifugiati si riscaldano bruciando vecchie traversine dei binari, nell’ex stazione ferroviaria di Belgrado. A ridosso del scintillante Waterfront, un mostro immobiliare di lusso che tra poco cancellerà la jungle già nascosta da immensi cartelloni immobiliari di famiglie sorridenti con vista sul Danubio. Flash delle contraddizioni del capitale. Dietro, 2.000 esseri profughi organizzano turni per riscaldare un po’ di acqua calda e rimanere puliti dignitosi. Di notte temperature a meno 20 gradi. E mi chiedo che tipo di vitalità ci vuole per sopravvivere a meno 20… La forza del movimento libero forse?

Un odore acre che permea tutto e si attacca nel fondo dei polmoni. Tutti tossiscono, polmoniti forse pneumonie, ipotermie in corso. Nel grigio del fumo, come un archivio vivente, assalgono le immagini dell’archivio storico, quello storico, quello dell’apertura dei campi, il disastro della Seconda guerra mondiale. Germania anno zero, Europa anno zero, Europa 2017.

Un’umanità ridotta ai bracieri.

Coperte grigie sulle spalle, dalle coperte tutte uguali si riconoscono. Tremanti. Uomini rigettati nell’oscurità, fuori dal corpo sociale.

“Ebbene, storia, la contro-storia che nasce con il racconto della lotta delle razze, parlerà proprio della parte dell’ombra, a partire da quest’ombra. Sarà il discorso di quelli che non possiedono la gloria, o di quelli che l’hanno perduta, e si trovano ora — per un certo tempo forse, ma sicuramente a lungo — nell’oscurità e nel silenzio. Tutto questo farà sì che [… ] il nuovo discorso sarà una presa di parola che irrompe, un appello: “ (…). Noi usciamo dall’ombra. Non avevamo diritti e non avevamo gloria, ma proprio per questo prendiamo la parola e cominciamo a raccontare la nostra storia”. Questa presa di parola accomuna il tipo di discorso emergente [… ] a una sorta di rottura profetica.”

Michel Foucault, “Bisogna difendere la società” (1976)

Attraverso il fumo denso opaco, scorgo occhi verdi di speranza, quelli degli altipiani dell’Hindu Kush. Accanto alle pozzanghere gelate, contrastano come foto-shock mute, le infradito, le crocks, i piedi nudi gelati nelle scarpe da tennis sfondate e senza più suola, piedi nudi, alcuni persino in ciabatte d’albergo. Tutti hanno camminato mesi, per ritrovarsi nel limbo della jungle di Belgrado, tra le frontiere dell’Europa chiusa. Rotta balcanica (ufficialmente) chiusa, anche se continuano ad arrivare. L’altro giorno uno di loro è stato portato in ospedale per un mezzo congelamento di un piede. Uno a nord sul confine con l’Ungheria è morto di ipotermia.

Ad accendere i fuochi, scorgo bambini, alcuni non hanno più di dieci anni. I bimbi in questa storia, rappresentano la metà dei circa 8.500 rifugiati in Serbia, afghani pachistani, iracheni e siriani — tutti provenienti da zone di guerra. Quelli che sono fuori dei campi, a Belgrado, trovano rifugio nel più grande grande squat dell’Europa centrale, un’altra jungle, come Calais e Ventimiglia. Appena entrata, uno sviene a terra, scosso da forti tremori, si teme un’ipotermia in corso. Loro rifiutano di farsi registrare dalle autorità, per paura di venir rinchiusi nei 15 campi in Serbia o deportati, pushed-back, come accade ogni giorno, verso i confini macedoni o bulgari. E poi parte la catena del refoulement (respingimento, NdR) Serbia, Macedonia, ecc… Condizioni igieniche mostruose, gravide di una catastrofe umanitaria, come avverte da mesi Msf, che con una clinica mobile nel parco avverte e cura un’epidemia di malattie della pelle per ora contenuta. Un unico piatto caldo al giorno, distribuito da volontari, senza nomi, quelli che sono già intervenuti dal 2015 in Grecia, a Idomeni e sulla rotta balcanica (Hotfood Idomeni per le donazioni).

Perché il governo serbo, per paura del cosiddetto presunto “appello d’aria”, ha pubblicato una lettera pubblica per vietare alle Ong internazionali di distribuire cibo e vestiti a Belgrado ai migranti non registrati nei campi e che dormono all’adiaccio. L’inverno più duro alle porte, temperature notturne a meno 20. Deterrenza contemporanea. Si smaschera allora…. il progetto è di farli soffrire nella carne e nello spirito? Impazzire… E qual è il limite? Quando decine cadranno di polmonite, ipotermia, assideramento? Quando si molteplicheranno i casi di morti di gelo, le amputazioni (già tre casi l’inverno scorso), quando gli arti saranno rotti come le menti, di quest’umanità ridotta alla diversità? Nascondersi sempre, vivere negli anfratti, nelle fratture del capitalismo denunciandone con la propria esistenza, il volto mostruoso. Alzarsi ancora. Rifugiati a ridosso del Waterfront come una beffa, una denuncia di corpi viventi, sotto la neve.

Sadismo o piuttosto necropolitica migratoria? A che punto allora si muoverà la comunità internazionale? Quando la soglia diventa “soglia critica”? Le domande sorgono, qui nel cuore dell’Europa, nel vecchio impero Ottomano, ora attraversato e violento, e riecheggiano le parole di Achille Mbembe in Necropolitica:

«La sovranità in questi luoghi equivale alla capacità di definire chi conta e chi non conta, chi è eliminabile e chi non lo è».

«Creare dei mondi di morte, forme nuove e uniche di esistenza sociale, nelle quali popolazioni intere sono assoggettate a condizioni di vita che equivalgono a collocarle in condizione di “morti in vita”».

Achille Mbembe, Necropolitica, ombre corte 2016 (Necropolitics, 2003).

«Morti in vita», riflessione.

PNG - 1.1 Mb

Photo credit: Mario Badagliacca

Deportazioni

Questi rifugiati respinti, che nessuno vuole, a parte i siriani di prima classe e nemmeno più loro dopo l’Accordo con la Turchia che permette di respingere interi nuclei familiari sopravvissuti alle bombe, indietro, persino verso la Siria. Quei respinti, che vivono tra i rifiuti, chi li rappresenta? Respinti tra Stati, come in un ping pong, dalle violentissime e xenofobe polizie ungherese e croata a colpi di pestaggi, pepper spray negli occhi, deportazioni e cani sguinzagliati. Addosso. Persino spari da arma da fuoco, in Croazia, secondo alcune testimonianze. Riportati in Serbia, finiscono per ritornare allo squat di Belgrado e riprovarci. Perché la Serbia, punto nodale tra gli Stati europei balcanici, è diventata una trappola dopo la chiusura della rotta balcanica, una specie di “discarica” per i non wanted refugees, pachistani, afghani per la maggioranza. In tutto circa 10.000 in tutto il paese, da statistiche non ufficiali (l’Unhcr li stima a 7.000) e nonostante la chiusura, continuano ad arrivare, 50 a giorno, tanti minori non accompagnati. La metà dei profughi in Serbia sono bimbi. Tutti hanno provato il border crossing almeno 3 volte, alcuni persino ventina di volte. Venti volte respinti.

La pelle archivio

Sulla pelle, i segni: ferite da manganelli, dissuasori elettrici, morsi da cane, maltrattamenti, umiliazioni, alcuni fatti saltare dai vagoni, le porte dei container rinchiuse sulle sulle caviglie strappate, piedi rotti, uomini con stampelle, a Kelebija, Subotica, Shid, Preševo. Come in un archivio vivente, la violenza della frontiera sui corpi. La sovranità, barbarie-Europa stampata a vita, sulla pelle.

«Le tracce di queste chirurgie demiurgiche persistono a lungo nella forma di figure umane che di certo sono vive, ma la cui integrità fisica è stata sostituita da pezzi, frammenti, pieghe e ferite immense che difficilmente si rinchiuderanno. La funzione di questi pezzi è mantenere davanti agli occhi della vittima, e chi sta intorno a lui o a lei, lo spettacolo morboso dell’amputare.» Achille Mbembe

Non voler vedere che è in corso un’eliminazione. Europa-negazione.

Nella tende del Community center gestiti da volontari internazionali, a Kelebija, entry point in Ungheria, una cinquantina di algerini fa a gara per mostrarmi le ferite di questa violenza di frontiera. Mentre ricaricano le batterie, cellulare bussola. Questa ferita è dovuta ai pestaggi della polizia ungherese, dall’altra parte della recinzione, questa sulla caviglia, a Shid, qua un cane mi ha attaccato, qua ho il segno del morso, a Preševo, qua in Ungheria, dall’altra parte del confine, ci hanno arrestati, e chiesto di camminare verso la Serbia, in piena notte. La prassi è anche di confiscare i cellulari, impunità che si diffonde come una macchia. Polizia di guanti neri. A Subotica una pattuglia ci ha fatto scendere di forza dai treni, il mio piede si è rotto nella porta del container. Qualcuno cammina con le stampelle, qualcuno è esaurito, un altro sta impazzendo. Mesi nei boschi, in capanne di foglie ad aspettare un varco o un smuggler. Con il rumore di un’improbabile apertura dei confini, la speranza non cessa mai, anche nei posti disperati, sorrisi immensi totali. Intanto all’altezza del duty free, uomini obbligati a rintannarsi nei boschi, mentre i tir di merci passanno, liberi. Uomini rintanati nei boschi.

PNG - 708 Kb

Photo credit: Mario Badagliacca

Un’umanità ridotta ai boschi. Europa 2017.

E poi c’è la lunga scia invisibile di deportazioni illegali, persino di richiedenti asilo registrati ai confini, i numeri sono registrati nei rapporti dell’Unhcr. 51, 150, 109. Unchr denuncia pure il netto incremento delle deportazioni illegali di migranti che cercano di raggiungere l’Europa passati per la Rotta Balcanica. «Circa 1.000 persone dal Medioriente, Asia e Africa sono stati espulsi nel solo mese di Novembre sulla rotta balcanica… di più dei mesi precedenti», dichiara la portavoce dell’Unhcr in Serbia, Mirjana Milenkovska. Fino al caso emblematico del 17 dicembre, dove un’intera famiglia curdo-siriana, registrata a Belgrado dalle autorità e in corso di trasferimento al campo di Boseligradj, centro-sud, viene fatta scendere dal bus, portata in un furgone delle forze speciali e abandonnata, due donne e un bimbo di due anni, in pieno nulla, nei boschi sul confine bulgaro, e consigliata di camminare verso la Bulgaria a meno 11 gradi. Grazie agli attivisti di Info-Park, sono scampati all’ipotermia. E quanti casi di deportazioni e scomparse nei freddi boschi dei confini balcanici? Non lo sapremo probabilmente mai. Barbarie-Europa avanza. Eliminabili.

E mi chiedo allora se basterà quel reportage, quelle prove, quella denuncia, l’ennesima. Mi chiedo se basteranno i loro occhi, le loro parole, le loro ferite, non vittime ma eroi, è la rivoluzione che avanza e la sua punta avanzata, è qua. E mi chiedo il senso di questo pezzo, se la narrazione non dovrebbe semplicemente riassumersi in un unica parola, il disumano.

A qualche centinaia da noi, sulle frontiere, sono in corso

Rastrellamenti, ratonnade, deportazioni in mezzo alle notti, pestaggi infiniti. Cadono dai treni, muoiono di gelo, congelati, assiderati nei boschi sui confini, costretti a camminare di notte in nuove marce forzate, uno è stato gettato in un lago ghiacciato, sui petti, vedo i morsi dei cani. Non ricorda nulla a nessuno… Se non è una lenta politica di eliminazione, questa, uomini-rifiuti, respinti, eliminabili. Necropolitica migratoria.

PNG - 1.1 Mb

Photo credit: Mario Badagliacca

Migranti morti di gelo

Dal mio ritorno, e mentre chiudo quest’articolo a casa al caldo, giungono le notizie di morti annunciate sul confine bulgaro-turco, nei pressi del monte Strandzha, perché è l’unico carico a non aver recinti, passaggio del confine nella neve (30cm): nella sola prima settimana di gennaio 2017 sono morti di assideramento, 4 persone, migranti e solo nelle ultime 24 ore ci sono stati sette casi di congelamento a Belgrado.

Due giovani uomini iracheni, di 28 e 35 anni, ritrovati nei pressi del paese di Izvor, regione di Burgas, Sud-Est Bulgaria, 6 gennaio 2017.

Nella stessa zona, una donna somala è stata rirovata il 2 gennaio 2017 nei pressi di Ravadinovo. I compagni di viaggio, raccontano che sono stati costretti ad abbandonarla, perché non aveva più la forza di camminare.

Un altro afghano è morto di ipotermia, dopo aver traversato a nuoto il fiume Evros, a Nord della Grecia, ritrovato nei pressi di Didymoteicho, il 3 gennaio 2017.

E già il 26 dicembre un irachene richiedente asilo era stato costretto dai trafficanti ad abbandonare la propria sorella sul confine bulgaro, perché troppa stremata per camminare.

Mi sorprendo a scrivere queste cose come se fossero normali. “Lasciata indietro tra i boschi perché stremata, nel gelo, morta di gelo”. A 2000 km da casa nostra. Un orrore, un Novecento di ritorno.

Eliminazione. Racconti da Seconda guerra mondiale, di marce forzate, di morte per stenti, di esaurimento e di gelo. Non Siberia 1917, non Germania anno zero, Europa 2017. Barbarie-Europa.

Belgrade-Kelebija-Roma, 11 gennaio 2017

via Migrano http://ift.tt/2jyNqJq

“La città di pan di zenzero” di Jennifer Steil

Ai nostri piedi si stendeva la fantasia di pan di zenzero che è la Città Vecchia di San’a: un agglomerato di case color biscotto, decorate con quella che ha l’aspetto di glassa bianca, circondato da mura spesse e alte. Non avevo mai visto una città così bella. Queste poche righe sono sufficienti a immergerci nella […]

L’articolo “La città di pan di zenzero” di Jennifer Steil sembra essere il primo su Arabpress.

Il post originale in francese è su https://goo.gl/zbiAUR.

Il post originale in francese è su https://goo.gl/zbiAUR. Traduzione di Manuela Antonucci, tratta da WOTS Magazine che ringraziamo.

Vivo nella valle della Roya, all’estremo sud est francese, una valle che rispecchia l’immagine di un’Europa popolare, umana. La Bassa Roya è italiana e l’Alta è francese. Noi, gli abitanti della Roya, passiamo da un Paese all’altro senza prestare attenzione alla frontiera. Non sono né francese, né italiano, sono della valle della Roya.
Lo Stato d’urgenza ha avuto un impatto senza precedenti per la nostra valle. Una razza, dei popoli, una religione sono stati stigmatizzati da una politica populista, una politica che manipola la massa, usando la paura nei confronti dell’altro, la paura della differenza.
Cercando di ricongiungersi, mariti, zii, sorelle, cugine, amiche … donne, bambini, famiglie cacciate dal loro Paese d’origine a causa della dittatura, la guerra, intrappolati, torturati, schiavi in Libia, tutti si incontrano alla frontiera francese.
In maggioranza d’origine africana, pensano di trovarsi nel Paese dei “saggi”, il Paese dei Diritti dell’Uomo, lì dove ci si prende cura dei bambini perduti. Ebbene, no!
Giunti alla frontiera, esausti, spesso feriti dagli ostacoli incontrati lungo il cammino, si fanno cacciare come dei cani dall’esercito, la polizia. Secondo la legge francese, i bambini non accompagnati devono essere sostenuti dallo Stato francese ma non si rispetta nulla di tutto questo.
I “neri” sono privati di ogni diritto! La polizia francese riporta i bambini in Italia, o in treno senza titolo di viaggio, occultati alla polizia italiana, oppure all’interno di veicoli non identificati guidati da poliziotti in borghese, diretti verso la frontiera italiana.
Circa trecento testimoni di questi fatti hanno sporto denuncia contro il Prefetto delle Alpi Marittime, il Presidente del Consiglio della Prefettura e il Presidente della Regione. Ma nessun provvedimento è stato preso dalla procura di Nizza, dal signor Pretre, Procuratore della Repubblica, che si rifiuta di ammettere l’ingiustizia e a causa della sua inerzia si rende complice della messa in pericolo di questi bambini.
La nostra associazione “Roya Citoyenne” si sente disarmata dinanzi a questi uomini che detengono tutto il potere. Per questi alti funzionari, rappresentanti della più alta autorità, i migranti non sono che cifre, un flusso, delle quote. Invece, noi, gli abitanti della Roya, li incrociamo e dobbiamo fare i conti con i loro sguardi.
Loro sono lì, nella nostra valle, senza avere l’opportunità di nascondersi, se non con il nostro aiuto.
Non c’è bisogno di una stella gialla, non c’è bisogno di nessuna etichetta per riconoscerli. Loro sono neri, il loro colore indelebile fa di loro un bersaglio, Il Bersaglio!
Sono la “valvola di sfogo” per tutti, li si accusa di essere dei potenziali terroristi, di rubare il lavoro ai francesi e di essere lì solo per approfittare del sistema sociale. La frontiera è stata ristabilita contro il terrorismo, ciò nonostante è sufficiente pagare 250 euro a un gruppo di trafficanti per oltrepassarla.
I nostri politici mantengono uno stato di terrore, diffondendo l’idea che l’Europa sarebbe il bersaglio del terrorismo mentre la grande maggioranza degli attentati e delle morti avvengono in Paesi a predominanza religiosa musulmana, essendo i musulmani le prime vittime di questo abominio.
Il terrorismo si costruisce attraverso il terrore, la stigmatizzazione. Ed è contro questo che mi batto! Contro l’odio e la stigmatizzazione di una razza, di una religione, di un colore della pelle.
Rischio otto mesi di prigione per aiutare delle persone che sono diventate mie amiche.
Voglio precisare la mia provenienza: sono nato a Nizza, in un quartiere dove i miei compagni di classe erano neri, grigi, gialli, bianchi. Sono stato educato nell’indifferenza razziale ed è questo che mi si rimprovera oggi, di non fare la differenza, di non chiedere i documenti a un ragazzino prima di tendergli la mano.
Continuerò, fino al momento in cui non finirò in prigione, ad aiutare chi mi sembra una persona buona con o senza documenti perché amo la vita e la rispetto.
Non soccomberò alla minaccia, alla pressione, non sarò complice né del silenzio, né dell’inerzia.

-

Pagina Facebook di Cédric Herrou

via Migrano http://ift.tt/2jH1wWK

Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione ed il commento.

Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione ed il commento.

Una sentenza con cui il TAR del Lazio conferma la precedente giurisprudenza del TAR Campania e riconosce il diritto del cittadino straniero a ricevere la notifica del provvedimento conclusivo della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno (diniego) tramite il proprio avvocato.
Il TAR Lazio conferma l’illegittimità della prassi, adottata dalle questure in tutta Italia, secondo cui il rigetto della richiesta di rinnovo o rilascio del permesso di soggiorno debba essere effettuato personalmente all’interessato (e non al suo avvocato), così da consentire l’immediato fermo, quindi il trattenimento nel CIE e l’accompagnamento forzato.
Questa prassi di fatto scoraggia moltissimi cittadini stranieri a recarsi in questura per ricevere la notifica del diniego, precludendosi nella pratica la possibilità concreta di esercitare il proprio diritto di difesa.

-

Scarica la sentenza

PDF - 159.4 Kb

Sentenza T.A.R. del Lazio n. 12620 del 19 dicembre 2016

via Migrano http://ift.tt/2jHglZG

Terrorismo 2017

Il ritorno dei miliziani: Marc Trévidic e David Thomson due realtà suscettibili di influenzare il dibattito e l’azione politica nei confronti del terrorismo locale e internazionale

L’articolo Terrorismo 2017 sembra essere il primo su Arabpress.

Gennaio tunisino (1°parte)

Patrizia Mancini Il 14 gennaio 2017 la Tunisia ha celebrato il sesto anniversario della sua rivoluzione.  Nella capitale la festa ha assunto un tono più da fiera di paese che da avvenimento politico, dove ciascun partito o associazione commemorava a suo modo la storica data. Da segnalare l’assenza di un corteo dello storico sindacato dell’UGTT, presente soltanto con qualche militante e […]

Dalla guerra d’Algeria a oggi

Nel 2010 esce nelle sale cinematografiche, per la prima volta nella grande distribuzione, il film di Rachid Bouchareb Hors-la-loi, una produzione di Francia, Algeria e Belgio. Il film, distribuito anche nelle sale italiane, è particolare, perché, per la prima volta, … Continua a leggere

Dalla guerra d’Algeria a oggi
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Annunciata la longlist del “Booker arabo” 2017

Il Premio internazionale per la narrativa araba (IPAF/Booker arabo) ha annunciato ieri mattina la lista dei 16 romanzi che fanno parte della longlist. Gli autori semifinalisti di quest’anno, che segna il decimo anniversario del premio, provengono da 10 paesi arabi diversi e sono stati selezionati da 189 manoscritti arrivati da 19 paesi arabi. A capo … Continua a leggere Annunciata la longlist del “Booker arabo” 2017

Annunciata la longlist del “Booker arabo” 2017

Il Premio internazionale per la narrativa araba (IPAF/Booker arabo) ha annunciato ieri mattina la lista dei 16 romanzi che fanno parte della longlist. Gli autori semifinalisti di quest’anno, che segna il decimo anniversario del premio, provengono da 10 paesi arabi diversi e sono stati selezionati da 189 manoscritti arrivati da 19 paesi arabi. A capo … Continua a leggere Annunciata la longlist del “Booker arabo” 2017

gender dictionary-qamùs al-jender

                gender dictionary-qamùs al-gender, Lebanon support, Beirut 2016 Nella prefazione al volume il collettivo che ha realizzato questo dizionario afferma che gli obiettivi per una pubblicazione del genere sono molteplici: innanzitutto raccogliere la ricerca su … Continua a leggere

gender dictionary-qamùs al-jender
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

“I drusi di Belgrado” di Rabee Jaber: il Libano, i Balcani e l’Italia

Qualche giorno fa è uscito sul magazine di VICE Italia, speciale narrativa, un estratto in anteprima del romanzo I drusi di Belgrado, dello scrittore libanese Rabee Jaber. Il libro è stato tradotto dall’arabo da Elisabetta Bartuli e verrà presto pubblicato da Feltrinelli. L’estratto che trovate su VICE, dal titolo “Negoziazione al serraglio”, è l’incredibile e … Continua a leggere “I drusi di Belgrado” di Rabee Jaber: il Libano, i Balcani e l’Italia

“I drusi di Belgrado” di Rabee Jaber: il Libano, i Balcani e l’Italia

Qualche giorno fa è uscito sul magazine di VICE Italia, speciale narrativa, un estratto in anteprima del romanzo I drusi di Belgrado, dello scrittore libanese Rabee Jaber. Il libro è stato tradotto dall’arabo da Elisabetta Bartuli e verrà presto pubblicato da Feltrinelli. L’estratto che trovate su VICE, dal titolo “Negoziazione al serraglio”, è l’incredibile e … Continua a leggere “I drusi di Belgrado” di Rabee Jaber: il Libano, i Balcani e l’Italia

Rohingya: vietato guardare

Yanghee Lee è una docente universitaria coreana attualmente incaricata come Special Rapporteur on the situation of human rights in Myanmar, la persone che per le Nazioni Unite dovrebbe fare chiarezza su quanto avviene nello Stato di Rakhine, abitato (o dovremmo dire ormai “disabitato”) dai Rohingya (pronuncia Roinga).  Ma nei dodici giorni della sua missione nel Paese, di cui solo tre nel Rakhine, a Lee è stato vietato  andare dove le pareva per “motivi di sicurezza”. Ha potuto solo visitare alcuni luoghi approvati dal governo, o meglio dai militari, e parlare con testimoni anche quelli approvati dal regime.

 Cosa può aver capito se non ciò che si sa da alcune riprese fatte dall’alto che testimoniano di 1500 villaggi distrutti e dalle testimonianze non approvate. Gli ultimi dati sulla fuga dei rohingya dal Myanmar danno un bilancio di 65milaprofughi, il doppio di quanti se ne contavano ufficialmente a  fine dicembre. Per ora le pressioni internazionali non sembrano aver sortito grandi effetti.

Cucina irachena: makhlama lahm

Il piatto che vi proponiamo oggi, che arriva dall’Iraq, è anche conosciuta come “colazione babilonese”, in quanto la sua ricetta risale a un manuale di cucina della Mesopotamia del 10° secolo. Ecco come preparare la makhlama lahm, carne speziata con uova! Ingredienti: 450g di carne ovina macinata 4 uova 1 cipolla media 2 pomodori da sugo […]

L’articolo Cucina irachena: makhlama lahm sembra essere il primo su Arabpress.

L’Isis a Est di Raqqa: a Milano il 22 gennaio

 Elisa Giunchi (Afghanistan e Pakistan) e Guido Corradi (Indonesia) parleranno degli elementi caratteristici del messaggio del Califfato nell’estremo Est del Sudest asiatico e nell’area della guerra permanente lungo il confine afgano pachistano. Emanuele Giordana coordinerà l’incontro e parlerà dello sviluppo dello Stato islamico in Bangladesh (dove in luglio vennero uccise 23 persone tra cui 17 stranieri di cui 9 italiani) da dove è appena tornato.

 il 22 gennaio, ore 14,00

 L’ISIS IN ORIENTE: IL PROGETTO DELLO STATO ISLAMICO A EST DI RAQQA 
Salone della Cultura – Sala 2
ICOO, Istituto di Cultura per l’Oriente e l’Occidente
Superstudio Più, via Tortona, Milano

Iraq, curdi chiudono ong: “Donne yazide stuprate dall’Isis restano senza tutela”

Le donne yazide vittime della violenza dello Stato Islamico rischiano di restare senza supporto medico e psicologico. La denuncia arriva da Murad Ismael, direttore di Yazda, charity con base nella città curdo irachena di Dohuk. Il centro, che ha anche documentato gli omicidi di massa commessi dall’Isis ed è l’unica tra le strutture di assistenza nella regione […]

L’articolo Iraq, curdi chiudono ong: “Donne yazide stuprate dall’Isis restano senza tutela” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Grande Gioco: un week end di Passioni

“Passioni – Sulle orme del Grande Gioco”, in onda  il 14-15 gennaio 2017 alle ore 14.30 sulle frequenze di Radio3 (terza e quarta puntata)

Ideato e condotto da Emanuele Giordana  con la regia di Giulia Nucci
A cura di Cettina Flaccavento

Podcast



Sulle orme del Grande Gioco – Passioni del 14 gennaio 2017

Il Grande Gioco, the Great Game per gli inglesi e Turniry Teney o Torneo delle ombre per i russi, fu una specie di grande guerra fredda del 19mo secolo. Una guerra mai dichiarata che opponeva Londra a San Pietroburgo, passando per Calcutta, la sede della Compagnia delle Indie – la East India Company – che doveva governare de facto l’India e tutti i possedimenti di oltremare sino al 1860 per essere infine sciolta nel 1874. Il nostro viaggio sulle tracce del Grande Gioco ci porta allora per forza a San Pietroburgo, fondata dallo zar Pietro il Grande sul delta della Neva, dove il fiume sfocia nella baia omonima nel golfo di Finlandia E’ stata a lungo la capitale dell’Impero russo e la sede della corte degli zar. Ci faremo aiutare da Lucia Sgueglia, giornalista che vive a Mosca da molti anni e che ha girato in lungo e in largo l’Asia centrale ex sovietica. Ma anche da letture di storici dell’epoca o di scrittori eccezionali come Dostoevskij che diede alle stampe il suo famoso Le notti bianche nel 1848. In pieno Grande gioco

Sulle orme del Grande Gioco – Passioni del 15 gennaio 2017

E siamo arrivati alla nostra ultima tappa nel viaggio che ci ha fatto ripercorrere le tappe del Great Game, del Grande Gioco, di quella guerra combattuta non solo con le armi ma con le spie, gli informatori, i diplomatici, gli avventurieri, i mercanti. Torniamo a Kabul, alla Kabul di allora e alla Kabul di oggi. Sentiremo, grazie agli storici dell’epoca, riesumati dai saggi di Peter Hopkirk e William Dalrymple, com’era la Kabul ottocentesca e poi ce la racconterà, com’è oggi, Giuliano Battiston, giornalista e ricercatore che ha appena pubblicato per Gli Asini Arcipelago Jihad. Lo Stato islamico e il ritorno di al-Qaeda, una ricerca su due dei principali attori sulla scena di un Nuovo Grande Gioco che, dal Medio oriente, è arrivato fino all’Afghanistan.

Questa non è una recensione

No, non è una recensione. Né io amo particolarmente le recensioni. Questo libro, però, è troppo importante, e devo almeno dar conto di quanto lo sia. Uno di quei testi che occorre rileggere, a brani, per ragionarci di più. Il Bambino nella Neve non è solo un libro bellissimo (e non ho mai amato iContinua a leggere

Gerusalemme non è Berlino

  Ero seduta a scrivere, al mio bar preferito di Gerusalemme, quando mia madre stranamente mi telefona: stai bene? Tutto ok? Sei a casa? Sei al sicuro? Un attentato, mi dice, a Gerusalemme. Ci mancava. Mia mamma anticipa addirittura la… Continue Reading →

Gerusalemme non è Berlino

  Ero seduta a scrivere, al mio bar preferito di Gerusalemme, quando mia madre stranamente mi telefona: stai bene? Tutto ok? Sei a casa? Sei al sicuro? Un attentato, mi dice, a Gerusalemme. Ci mancava. Mia mamma anticipa addirittura la… Continue Reading →

Securella: l’App per combattere le molestie sessuali nel mondo arabo

La start-up marocchina collega le donne agli agenti di sicurezza dislocati nelle zone “calde” o a rischio, che sono in grado di intervenire grazie al semplice tocco di un pulsante. La fondatrice, Samia Haimoura, sta progettando di lanciare l’impresa anche in Egitto e in Tunisia.

L’articolo Securella: l’App per combattere le molestie sessuali nel mondo arabo sembra essere il primo su Arabpress.

Marocco, vietata produzione e vendita del burqa: “Messo al bando perché criminali l’hanno usato per mascherarsi”

Nonostante non ci sia ancora nessuna conferma da parte delle autorità locali, la notizia è circolata in diversi siti di informazione ed è stata ripresa da diverse agenzie internazionali e il provvedimento con cui il governo marocchino vieta la produzione e la vendita del burqa per ragioni di sicurezza sarebbe effettivo già da questa settimana. […]

L’articolo Marocco, vietata produzione e vendita del burqa: “Messo al bando perché criminali l’hanno usato per mascherarsi” proviene da Il Fatto Quotidiano.

A lezione di convivenza

Di Zouhir Louassini. Osservatore Romano – settimanale (05/01/2017). Ahmed Mahmoud Osman, l’autorità religiosa di Tahna, un piccolo paesino vicino alla città egiziana di al-Minya – sulla riva sinistra del Nilo, duecento chilometri a Sud del Cairo – è il protagonista di un video, diventato virale nel mondo arabo. Vi dice che si fida totalmente del […]

L’articolo A lezione di convivenza sembra essere il primo su Arabpress.

‘Alam al-wilàd

              Muṣṭafà Fatḥī, Fī balad al-wilād,  Dàr ash-shebàb Books, Al-Qahira 2009. Muṣṭafà Fatḥī Fī balad al-wilād (Nel mondo dei ragazzi) discute il tema dell’omosessualità in Egitto. Annunciato prima della sua comparsa in libreria ha suscitato, secondo … Continua a leggere

‘Alam al-wilàd
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Libri di testo tra Storia e Memoria

Ieri alla Casa della Memoria a Milano è stata inaugurata la mostra Different Wars: la II Guerra Mondiale vista attraverso i libri di scuola di 6 differenti Paesi. Gli organizzatori – la mostra, curata dal gruppo “Historical Memory and Education” dell’EU-Russia Civil Society Forum, è organizzata dall’associazione Memorial Italia in collaborazione con la Casa della Memoria, l’Istituto Lombardo per la Storia contemporanea e il Comune di Milano – spiegano che: “Le prime impressioni del passato, quelle che si formano con l’educazione scolastica e i libri di testo, sono tra le più forti. I libri di testo contengono la conoscenza che ciascuna società vuole trasmettere alle generazioni future. Gli Stati li utilizzano come strumenti per l’educazione civica, costruendo narrazioni che favoriscono le identità, rafforzano la coesione civile o legittimano il potere dominante…. I libri di testo comunicano infatti lo spirito del loro tempo e esprimono la cultura in cui vengono scritti“.

La mostra  resterà aperta fino al 26 gennaio e  racconta le differenze nel modo  di raccontare e nella percezione della Storia della Seconda Guerra Mondiale: libri di testo delle scuole superiori di Germania, Repubblica Ceca, Italia, Lituania, Polonia e Russia. I visitatori hanno l’occasione di “sfogliare” le pagine e conoscere i metodi di insegnamento dei manuali di storia dei Paesi presenti.

Informazioni pratiche
Mostra aperta dall’11 al 26 gennaio 2017
Orario d’apertura: dal lunedì al sabato ore 9.00 – 17.00 | Ingresso libero
Casa della Memoria, via Federico Confalonieri 14, Milano

I paralleli incongrui

Per una intera giornata ha impazzato su Facebook una inutile, superficiale, spesso arrogante e ignorante discussione sui paralleli tra i diversi attentati terroristici di queste ultime settimane, mesi, anni. Se l’attacco a Gerusalemme contro i giovanissimi soldati presso la promenade di Armon Hanatziv si possa paragonare agli attacchi con i camion a Nizza e Berlino.Continua a leggere

Fantasmi alla frontiera

Attraversando l’estuario del fiume Naf, che lungo 35 chilometri segna la
frontiera tra Myanmar e Bangladesh, le barche devono scivolare silenziose e leggere. Il fiume si allarga in un braccio di mare che corre lungo i distretti di Cox Bazar in Bangladesh e dello Stato di Rakhine in Myanmar e le barche di chi scappa si confondono con quelle di chi pesca. Al di qua del confine, pochi chilometri più a Nord, ci sono i campi profughi risorti come funghi dal 9 ottobre scorso, quando è cominciata una violentissima repressione nello Stato birmano del Rakhine. Al di là, in Myanmar, c’è l’area di Maungdaw, l’estremo Nord del Rakhine. E’ da qui che si scappa al ritmo di cento, duecento, cinquecento persone al giorno. «Il picco sembra sia stato raggiunto in questi giorni – dice un funzionario addetto ai campi profughi – e adesso sembra si sia stabilizzato. Ma non sappiamo se è perché l’emergenza è finita, oppure se al di là della frontiera c’è ancora chi aspetta il momento migliore per andarsene»….

Continua su Internazionale

Marocco: autorità lanciano guerra contro il burqa

(Le 360.ma). Lunedì 9 gennaio, le autorità marocchine hanno mosso un importante passo verso il divieto del burqa in tutto il Paese: “Abbiamo adottato una misura che vieta completamente l’importazione, la fabbricazione e la vendita di questo indumento in tutte le città e le località del regno”, ha indicato un lato funzionario del ministero dell’Interno. La fonte […]

L’articolo Marocco: autorità lanciano guerra contro il burqa sembra essere il primo su Arabpress.

The Diesel

  Thani Al-Suwahidi, Al-dìzel Dàr al-giadid, Bayrut 2011. Diesel, dello scrittore Thani Al-Suwahidi è considerato uno dei racconti lunghi più discussi e interessanti nel panorama della produzione degli Emirati. Pubblicato una prima volta nel 1994 a Beirut non ebbe molto riscontro di critica … Continua a leggere

The Diesel
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Avere molte case

Il problema non è nel destino cinico e baro. In mesi cinici e bari che ci hanno tolto persone, figure importanti, affollando le bacheche virtuali dei necrologi. Il fatto è che se ne stanno andando, spesso per naturali questioni anagrafiche, i padri. I padri intellettuali di un pensiero progressista, inclusivo e complesso che ha segnatoContinua a leggere

Dan Brown a Frosinone e il Qualcunismo Rambista

di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas

Anatole. Non si sa bene più da che parte cominciare per controbattere con gli scarsi mezzi di cui si dispone alla grancassa guerrafondaia di religione che proprio in questi giorni, dopo l’attentato della notte di Capodanno a Istanbul, ha ricominciato a rullare poderosa, accompagnata dallo starnazzare dei soliti tromboni.…

Dan Brown a Frosinone e il Qualcunismo Rambista è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Afghanistan. L’Italia torna in prima linea

Benché ufficialmente si tratti di una missione di una settimana con scopi addestrativi, la Nato ha deciso l’invio di 200 soldati a Farah (Afghanistan occidentale) che, in gran parte, saranno italiani di stanza nella base di Camp Arena a Herat, dove Roma ha 950 soldati. Come sottolinea Al Jazeera, anche se il numero è esiguo, l’impegno segna un nuovo coinvolgimento delle truppe straniere nella guerra afgana che segue la decisione americana per altri 300 marine destinati nell’Helmand. Dopo la diffusione di voci, alla fine dell’anno scorso, di un coinvolgimento di aerei italiani nei cieli dell’Afghanistan (voci non confermate), l’invio dei militari a Sud non è un buon segno e sembra anche poco credibile che la missione sia “non combat”. Qualcosa sta accadendo nel Paese, con una nuova fase della guerra sulla quale abbiamo poche e frammentarie notizie. Quel che appare certo è che Trump non intende lavarsene le mani come aveva detto in campagna elettorale. Seguirà le indicazioni di Obama che ha chiesto che l’impegno Usa resti tale. Sembre che anche Roma conserverà questo atteggiamento.

C‘è  intanto un’emergenza profughi che non accenna a diminuire. Anzi. Secondo il governo afgano, 200mila sono a rischio per freddo e fame nel Paese e 1500 fra loro, nel 2016, han perso la vita. La situazione attuale segna un bilancio di circa un milione di sfollati interni cui si è aggiunto l’anno scorso un altro milione di afgani rientrati in Afghanistan – in molti casi perché cacciati – dal Pakistan e dall’Iran.

Aleppo, Ankara, Berlino: geopolitica del disastro

Santiago Alba Rico Bisognerà analizzare le conseguenze e mettere in guardia dai pericoli, ma nessuno può essere sorpreso da ciò che è successo. Era una questione di tempo. Sia l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara che l’attentato di Berlino si iscrivono in una logica inarrestabile, prodotto di un’accumulazione storica precedente e che ha avuto inizio cinque anni fa. Quello che la […]

Aleppo, Ankara, Berlino: geopolitica del disastro

Santiago Alba Rico Bisognerà analizzare le conseguenze e mettere in guardia dai pericoli, ma nessuno può essere sorpreso da ciò che è successo. Era una questione di tempo. Sia l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara che l’attentato di Berlino si iscrivono in una logica inarrestabile, prodotto di un’accumulazione storica precedente e che ha avuto inizio cinque anni fa. Quello che la […]

Maktub blog in WordPress e gli strani numeri del 2016

mcc43 Nessuna statistica di fine 2016 dai Folletti di WordPress. Chissà perché. Allora provvedo per conto mio, poiché c’è un dato che mi preme sottolineare. La statistica è presto fatta: 51 articoli pubblicati nel 2016, meno dei 58 del 2015, totale visualizzazioni 32.000, non molto dissimile dai 33.000 dell’anno precedente. Proprio il numero delle visualizzazioni dà […]

Passioni (Radio3): sulle orme del Grande Gioco

“Passioni – Sulle orme del Grande Gioco”

In onda per due fine settimana il 7-8 gennaio e il 14-15 gennaio 2017 alle ore 14.30 sulle frequenze di Radio3

Ideato e condotto da Emanuele Giordana con la regia di Giulia Nucci. A cura di Cettina Flaccavento (per il podcast clicca qui)

Lungo tutto il 1800 il Regno Unito, o meglio l’Impero britannico, e la Russia, o meglio l’Impero degli Zar, combatterono una guerra molto particolare che ha preso il nome di Grande Gioco, Great Game o, alla russa, Torneo delle Ombre. Fu una guerra strana e in molti casi “fredda” e non solo perché si battagliava anche nelle steppe gelate dell’Asia centrale – come nelle torride pianure afgane – ma perché non venne mai combattuta direttamente e le battaglie furono spesso a colpi di spiate, tradimenti, complotti e non solo al suono delle trombe degli eserciti. La guerra si faceva comunque attraverso gli altri – gli afgani, gli uzbechi, i tagichi – e mai con uno scontro frontale. I due Imperi si spiavano con ogni mezzo: il Regno unito temeva un’invasione russa dell’India, la perla dell’Impero. Gli zar pensavano invece che l’Inghilterra, con la sua potente macchina economica e militare, potesse invadere, con soldati e commercianti, le terre su cui l’ombra di Pietroburgo si andava allargando a Est. In mezzo c’erano Stati come l’Afghanistan, vecchi imperi come quello persiano o – più a Nord – i canati dell’Asia centrale: Bukhara, Chiva, Samarcanda. Il viaggio sulle orme del Grande Gioco attraverserà dunque alcune delle principali città che furono il teatro di questo scontro tra titani. Cercando i segni di quella strana guerra combattuta in conto terzi e guardando anche a cosa sono diventate oggi: cosa c’è ancora di quel fascino che fece innamorare gentiluomini russi e mercanti inglesi, agenti indiani e funzionari della Compagnia delle indie, militari zaristi e fedeli ufficiali di Sua Maestà britannica? Un viaggio a Bukhara e Samarcanda, nel cuore dell’Asia Centrale; da Peshawar attraverso il passo di Khyber a Kabul, Herat, Jalalabad, città afgane oggi preda di un Nuovo Grande Gioco; e infine Pietroburgo, dove gli zar e i loro consiglieri studiavano ogni singola mossa di quel Torneo la cui ombra sembra sopravvivere al suo passato.

Sulle orme del Grande Gioco – Passioni del 7 gennaio 2017

Durante tutto l’Ottocento L’Impero britannico e quello zarista si spiarono con ogni mezzo: il Regno unito temeva un’invasione russa dell’India, la perla dell’Impero. Gli zar temevano invece che l’Inghilterra, con la sua potente macchina economica e militare, potesse mangiarsi le terre su cui l’ombra di Pietroburgo si andava allargando a Oriente. In mezzo a questo Grande Gioco c’erano Stati come l’Afghanistan, vecchi imperi come quello persiano o i canati del Nord: Bukhara, Chiva, Samarcanda. Il nostro viaggio sulle orme del Grat Game comincia proprio da Samarcanda, una città su cui Marco Buttino, il più importante studioso italiano dell’Asia Centrale, ha da poco dato alle stampe un saggio per i tipi di Viella che si intitola proprio Samarcanda.
Ci faremo anche aiutare con letture tratte da Il Grande Gioco di Peter Hopkirk e da Il ritorno di un re di William Dalrymple usciti in Italia per Adelphi

Sulle orme del Grande Gioco – Passioni dell’8 gennaio 2017

Ripercorrendo le tante strade del Grande Gioco, quella guerra “fredda”combattuta a migliaia di chilometri da casa da britannici e russi nell’Ottocento, l’Afghanistan è la tappa per eccellenza. Da Herat a Ovest o da Peshawar a Est – attraversando il passo di Khyber – eserciti, agenti segreti, spie camuffate da commercianti o viandanti, cercavano di guadagnare Kabul, il nodo del controllo delle grandi vie di accesso dall’Asia centrale all’India. Come sono oggi queste città? Ce lo racconta la principessa e Soraya Malek, nipote di quel re Amanullah che fu l’ultimo monarca afgano a subire la maledizione del Great Game. Ma ci faremo aiutare anche da scritti di storici dell’epoca e da due giornalisti: la fotografa e antropologa Monika Bulaj, che al Paese ha dedicato il volume Nur, la luce nascosta dell’Afghanistan, e dall’inviato de Il Messaggero Valerio Pellizzari che visse a Kabul durante l’occupazione sovietica negli anni Ottanta. E da due sacerdoti italiani, Caspani e Cagnacci, che scrissero un bellissimo saggio negli anni Cinquanta.

Quel silenzio color zafferano

Fece scalpore anni fa un articolo su Aung San Suu Kyi, allora icona della resistenza ai militari, uscito sull’autorevole e paludato Journal de Geneve. Il quotidiano della città svizzera tagliava a fette la Signora in giallo, rea di esser la figlia di un’élite che, come altrove nel mondo, poteva educare i suoi pargoli nelle università britanniche per poi farli giocare alla rivoluzione. Ma Aung San, non ancora Nobel per la pace e con un futuro di perenni arresti domiciliari, era si figlia dell’élite (suo padre era stato l’eroe della resistenza antigiapponese) ma alla rivoluzione proprio non giocava. Nel 1988, i militari birmani al potere dal 1962, ancorché richiamandosi a un vago principio socialista, avevano annegato nel sangue l’ennesima rivolta e Aung San iniziava a essere molto di più che la semplice icona di una resistenza al regime. La donna aveva coraggio da vendere e una volontà di ferro mascherati da un sorriso disarmante. Nobel dal 1991, li doveva dimostrare nel 1999 quando il marito inglese giaceva moribondo in un letto europeo. I militari le diedero il permesso di espatriare per l’ultimo saluto ma lei rifiutò. Sapeva che uscire significava mai più rientrare.
A trent’anni di distanza Aung San, per anni beniamina di ogni amante della libertà e dei diritti, è ancora nel mirino. Davanti al dramma di una minoranza bistrattata nel Paese di cui è alla guida (non è premier ma è come se lo fosse) è rimasta zitta. Non una parola o meglio qualche farfugliamento sbrigativo. Tutti le hanno dato addosso e, certamente, con motivo. Perché tace? Calcolo politico? Odio atavico per i musulmani? Condivisione del peggior istinto di alcuni monaci (tra cui il noto Ashin Wirathu)?

Ashin Wirathu monaco

Un funzionario della diplomazia italiana allarga le braccia: «Fa quello che può, perché dall’altra parte c’è il rischio di un colpo di Stato». Non solo dunque uno scontro con potere politico ancora fortissimo ma il rischio di un colpo di coda sempre in agguato. Un segnale, e i soldatini uscirebbero dalle caserme. Quando nel 2015 la sua lega per la democrazia vince le elezioni si apre inevitabilmente una transizione difficile, caratterizzata da una coabitazione forzata da leggi che garantiscono ai militari un quarto dei parlamentari e da un braccio di ferro che imporrà per gli uomini in mimetica Interni, Difesa e Frontiere, tre ministeri chiave per gestire un Paese ormai in mano ai civili.

Aung San ottiene il governo (anche se è ufficialmente solo “Consulente di Stato”) ma non il potere effettivo con cui deve fare i conti. Nonostante la vittoria elettorale, il suo partito ha a che fare con una legislatura che si basa su due camere – elette per la prima volta in un clima democratico – ma che prevedono una quota di parlamentari in automatico ai militari: la Camera delle Nazionalità (Amyotha Hluttaw) ha 224 seggi e la Camera dei Rappresentanti (Pyithu Hluttaw) 440. Ma nella prima 56 e nella seconda 110 sono appannaggio delle Forze armate. Certo, la Lega ha la presidenza della Repubblica e diversi ministeri, ma politica interna e di difesa restano in mano ai soldati. In questo braccio di ferro scoppia il caso rohingya, per la verità già deflagrato – in tempi recenti – più volte: nel 1978, nel 1992, nel 2012 e nell’ottobre scorso. Durante il pogrom del 2012 Aung San non prende posizione. E, durante le elezioni, non spende una parola sul fatto che i rohingya non possano correre la scommessa elettorale. Ma non è ancora al potere. Il suo silenzio è imbarazzante ma le viene perdonato.

Dire che non abbia fatto nulla sarebbe ingiusto. Ha chiamato Kofi Annan e lo ha promosso inviato speciale per la questione. Ma Annan ha finito per giustificare il suo silenzio criticando chi, come il governo malaysiano, ha trattato l’affaire rohingya come un “genocidio”. Il suo governo ha anche promosso una commissione di inchiesta i cui risultati son però molto più che discutibili. Pare abbia anche mandato ai militari una sorta di questionario per saperne di più quando, un mese fa, la vicenda aveva già raggiunto dimensioni enormi. Ma non avrebbe ricevuto risposta. Insomma un braccio di ferro sotto traccia. Che non la giustifica ma getta luce su un negoziato impossibile coi militari proprio mentre c’è in ballo l’intero processo di pace con le minoranze armate nel resto del Paese. Quel silenzio resta pesante. Una macchia difficile da cancellare sul suo vestito zafferano.

Cucina libanese: awarma o hummus bi lahme

Un altro classico della cucina libanese, diffuso però anche nei Paesi limitrofi, come in Siria. Si tratta della variante del tradizionale hummus: ecco come preparare l’awarma o hummus bi lahme, hummus con carne! Ingredienti: una porzione di hummus 250g di carne magra di manzo o agnello 50g di mandorle a lamelle o di pinoli o di semi di […]

L’articolo Cucina libanese: awarma o hummus bi lahme sembra essere il primo su Arabpress.

Cucina libanese: awarma o hummus bi lahme

Un altro classico della cucina libanese, diffuso però anche nei Paesi limitrofi, come in Siria. Si tratta della variante del tradizionale hummus: ecco come preparare l’awarma o hummus bi lahme, hummus con carne! Ingredienti: una porzione di hummus 250g di carne magra di manzo o agnello 50g di mandorle a lamelle o di pinoli o di semi di […]

L’articolo Cucina libanese: awarma o hummus bi lahme sembra essere il primo su Arabpress.

Uccisi a Dacca altri due terroristi del N-Jmb

Due figure di rilievo dell’organizzazione terroristica Neo-Jmb, tra cui uno dei capi dell’organizzazione, sono stati uccisi alle tre del mattino di ieri in un quartiere di Dacca. I due erano in motorino è sono stati i protagonisti di una fitta sparatoria. Ancora non è chiaro se i due siano stati fermati a un posto di blocco e abbiano reagito o se abbiano aperto il fuoco quando hanno capito che la polizia li aveva notati. Nurul Islam alias Marjan alias Shakil, di 22 anni, e considerato uno dei più giovani comandanti dell’organizzazione, avrebbe avuto un ruolo chiave nell’assalto del 1 luglio 2016 quando cinque membri del Neo Jmb attaccarono l’Holey Artisan Bakery a Gulsham, un ristorante della zona bene di Dacca frequentato da stranieri che furono presi in ostaggio: in totale vennero uccise 23 persone tra cui 17 stranieri tra i quali 9 italiani. L’altro militante ucciso è Saddam Hossain, alias Rahul alias Sabuj alias Chanchal alias Robi – accusato di almeno dieci casi di omicidio incluso quello del cittadino giapponese Hoshi Kunio nell’ottobre del 2015. Mmarjan, che si crede fosse il coordinatore della strage di Gulsham, avrebbe ereditato il vertice dell’organizzazione dopo la morte di alcuni leader di punta: l’ex militare Murad alias Zahi, Tamim Ahmed Chowdhury, e Faridul Islam alias Akash. Un altro leader, Musa, è invece appena sfuggito alla cattura.

Sia l’attacco al ristorante sia l’uccisione di Hoshi furono rivendicati dallo Stato Islamico anche se i rapporti tra il “Califfato” e i gruppi islamisti del Bangladesh non è chiaro. Il Neo Jmb – fazione del gruppo “madre” Jammatul Mujahedin Bangladesh – ha probabilmente legami con gli emissari di Raqqa (anche se il governo ha sempre negato la presenza di Daesh in Bangladesh) che pure hanno rivendicato diverse azioni tra cui l’uccisione dell’italiano Cesare Tavella, che lavorava in una Ong e che venne freddato nel settembre del 2015 mentre faceva jogging sempre nella zona di Gulsham. Da allora funzionari e umanitari stranieri sono sotto stretta sorveglianza e limitati negli spostamenti da ferree regole di comportamento. Il ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan Kamal, che ha reiterato il messaggio di tolleranza zero del governo, ha detto che ormai la rete si sta stringendo attorno ai 14 leader del gruppo ancora in fuga.

L’ennesima uccisione di militanti rientra in quadro di operativi delle forze di sicurezza che già in dicembre avevano compiuto parecchi arresti e smantellato diversi covi di militanti. Ma avviene anche in una cornice politica delicata, sia a livello dei partiti – già in campagna elettorale – sia a livello sociale, con scioperi nel settore tessile che hanno visto circa 3mila licenziamenti e arresti di sindacalisti. Il segretario generale della Lega Awami Obaidul Quader ha detto ieri che un gruppo starebbe tramando per rovesciare il governo e uccidere il primo ministro Sheikh Hasina. Propaganda? Alcuni giorni fa – e non è certo il primo – è stato ucciso da un commando Manzurul Islam Liton, un politico della Lega Awami.

Rohingya: una foto e un video

Un video dove le forze di sicurezza birmane prendono a calci un poveraccio che si nasconde la testa tra le mani e la foto di un bimbo riverso sulla sabbia a faccia in giù e senza più vita fanno il giro del mondo e risollevano la questione di una minoranza bistrattata e selvaggiamente perseguitata. Il piccolo Mohammed e il povero contadino preso a calci, divenuti virali sui social media finora attenti alla tragedia di Aleppo, sono due rohingya. Appartengono a un popolo in fuga che, dagli inizi di ottobre, scappa dall’ennesima persecuzione ai suoi danni. 

Questa volta a scatenarla è stato l’eccidio di alcuni poliziotti birmani attribuito a un gruppo islamista radicale alla frontiera. Altre volte, e a più riprese, questa comunità musulmana di un milione di persone che abitano nello Stato
occidentale birmano del Rakhine, è stata oggetto di violenze che l’hanno costretta alla fuga. Si stima che la metà dei Rohingya viva ormai fuori dal Myanmar mentre un quinto di chi è rimasto vive nei campi profughi nel Rakhine. Oltre trentamila sono invece la colonna infame dell’ultima fuga che, tra ottobre e dicembre, ha raggiunto le coste del Bangladesh. Un esodo che non si è fermato.

Finora, le pressioni sul governo birmano sono state praticamente inutili. Né ha ancora sortito effetti la lettera che una dozzina di Nobel per la pace e altrettanti personaggi pubblici hanno scritto all’Onu perché si faccia qualcosa. L’unica cosa certa è che Naypyidaw manderà a Dacca un suo inviato per “discutere” della questione. Poco quando le accuse sono di stupro, esecuzioni sommarie, violenze, incendio di villaggi…

… (continua su  il manifesto oggi in edicola)

Terrorismo: il governo di Dacca canta vittoria

Dopo il raid della vigilia di Natale che sabato 24 ha sgomberato il covo di uno dei due gruppi più pericolosi del Paese (Jamaat ul MujahedinBangladesh – Jmb), i giornali locali hanno dato la notizia dell’arresto di una ennesima fazione del gruppo terroristico che aveva progettato, secondo quanto ammesso dagli arrestati, un attentato la notte di capodanno. Con gli arrestati sono stati sequestrati 30 chili di esplosivo. Ma il colpo vero all’organizzazione, nota anche come Neo-Jmb (fondato nel 1998 il gruppo è stato messo al bando e la sua azione più nota risale ormai al 2005 ma avrebbe originato diverse fazioni), è stata l’operazione di sabato scorso definita Ripple 24.

Gli agenti hanno circondato il covo alle prime ore del mattino e ingaggiato una lunga battaglia durata sin quasi al pomeriggio nel corso della quale una donna si è fatta esplodere con una bambina in braccio (che è ferita ma si è salvata). Nello scontro a fuoco è stato ucciso anche un ragazzo di 14 anni. Azione controversa. Non era invece li Maynul Musa, che sarebbe il capo del Neo -Jmb e tra gli ispiratori dell’attacco alla alla Holey Artisan Backery di Dacca dove vennero uccisi nel luglio scorso 17 stranieri tra cui nove italiani. Dopo l’operativo l’antiterrorismo canta vittoria sostenendo che il Bangladesh controlla ormai le reti islamiste. Non sono chiari i rapporti del Neo-Jmb con lo Stato islamico.

La guerra santa da salotto dell’illuminista (inglese, mi raccomando)

di Anatole Pierre Fuksas (con l’assenso motivato e partecipato di Lorenzo Declich)

Da quando eravamo molto giovani abbiamo in comune un disprezzo sostanziale per le argomentazioni ideologiche basate sull’ignoranza unito ad una clamorosa inclinazione per il cazzeggio sfrenato. Nel corso del tempo abbiamo condiviso con molte altre amiche ed amici più o meno storici queste nostre due passioni.…

La guerra santa da salotto dell’illuminista (inglese, mi raccomando) è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Jihadi Fighters From Af-Pak To Syria (CeMiSS OSS 5/2016)

by Claudio Bertolotti

@cbertolotti1

download the full volume "Osservatorio Strategico n. 5/2016"

ISBN 978-88-99468-24-8

General overview on the Islamic State in AfghanistanArmed opposition groups stating loyalty to the Islamic State (IS) have tried to found a base in five Afghan provinces, but only in Nangarhar have they be successful. There, IS Khorasan Province (IS-Khorasan),

Come l’Occidente ha inventato l’Islam nemico

mcc43 di Raniero La Valle Cominciò a Costantinopoli. La guerra alla Libia, o in Libia, o per la Libia, sembra che stia nel destino dell’Italia. Forse quando nella Costituzione all’art. 11 l’Italia ripudiò la guerra, si dimenticò di ripudiare anche quella con la Libia. Fatto sta che l’Italia nel 2011 ha partecipato alla guerra messa […]

2017. Che la forza sia con tutti noi

È iniziato il 2017, l’anno degli anniversari importanti. Uno riguarda questa città, Gerusalemme. 50 anni dalla guerra del 1967, dalla sua unificazione forzata, dall’apertura dell’ennesimo capitolo di un conflitto che sembra senza fine. Dal disordine di un parcheggio che, per chi lo conosce, mostra tutti i segni di una città complessa, emerge la Cupola dellaContinua a leggere

2017. Che la forza sia con tutti noi

È iniziato il 2017, l’anno degli anniversari importanti. Uno riguarda questa città, Gerusalemme. 50 anni dalla guerra del 1967, dalla sua unificazione forzata, dall’apertura dell’ennesimo capitolo di un conflitto che sembra senza fine. Dal disordine di un parcheggio che, per chi lo conosce, mostra tutti i segni di una città complessa, emerge la Cupola dellaContinua a leggere