Anno: 2012

Bani Walid mon amour

 

gheddafiIo non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata permanente in cui il regime di Gheddafi aveva costretto a vivere il suo popolo.

Odiavo il regime libico e odio quelli che dicono che era giusto. Odio quelli che raccontano che Gheddafi era un grande leader africano e che aveva un piano per unificare l’Africa e farla uscire dal sottosviluppo e altre pagliacciate di questo genere.

 

Odio Gheddafi, Saddam Hussein, Bashar Al Assad e i loro rispettivi regimi: razzisti, corrotti, violenti, oscurantisti e distruttivi. Odiavo Bani Walid e Sirte, Tikrit , fedele a Saddam e Tartous, città degli Assad. Odio quella logica di chi costruisce il proprio potere sulla corruzione, sul clientelismo e sulle relazioni familiari e tribali. Ma questo odio è rivolto a quello che questi luoghi rappresentano e non verso i singoli abitanti.

Oggi che la città di Bani Walid e la popolazione appartenente alla tribù dei Warfalla, che erano rimasti fino all’ultimo momento fedeli al regime di Gheddafi (quando molti di quelle che li attaccano oggi hanno girato gabbana all’ultimo minuto), sta subendo un vero e proprio sterminio, e che il mondo intero guarda da tutt’altra parte, non sento che tristezza e affetto. Tristezza per la popolazione che subisce e per noi che stiamo a guardare (o a non guardare) senza saper cosa fare. Affetto per questi bambine, bambini, donne e uomini che muoiono o soffrono nell’indifferenza generale.

 

È iniziato tutto nel mese di luglio scorso, con il rapimento di Omran Shaaban, il 22enne, considerato dalle nuove forze al potere come l’eroe della cattura e del linciaggio di Muamar Gheddafi. Il giovane è quello immortalato da tutti i media del mondo tenendo in mano la pistola d’oro del Rais, ricevuta come premio per aver giocato un ruolo di primo piano nella cattura del ex-dittatore.

 

Omran Shaaban era di passaggio nella provincia di Bani Ewalid quando fu catturato da un gruppo di miliziani pro gheddafi. Ferito, detenuto in pessime condizioni e probabilmente torturato, viene restituito all’autorità nazionale dopo 50 giorni di sequestro. Evacuato sull’ospedale americano di Parigi, non ce la fa e muore il 25 settembre scorso.

Pochi giorni dopo i funerali del “eroe”, una spedizione punitiva, composta dalle milizie di Misurata, Zintan e altre parti varie e non identificate, parte verso Bani Walid. Il Congresso Nazionale che ha poco controllo sulle milizie, lascia fare. L’8 ottobre un appello lanciato dall’ospedale di Bani walid parla di massacro e di sintomi di intossicazioni con i gas.

Il 26 ottobre Al Jazira e i media vicini alle milizie annunciavano la presa della città, la fine delle ostilità e il ritorno alla normalità. Nei filmati di questi servizi si vede un esercito libico regolare ordinato e calmo che fa il suo ingresso in una città, dicono, che lo accoglie come liberatore. Ma la realtà descritta da altri osservatori non sembra corrispondere a questa versione. Se la città non è stata effettivamente liberata dalle milizie pro-Gheddafi, oggi, è sottomessa anche a quelle anti-Gheddafi e esecuzioni, saccheggi, aggressioni e altri misfatti sembrano essere all’ordine del giorno, oltre al continuità dei combattimenti.

 

Purtroppo il silenzio dei media internazionali e delle grosse ONG su Baniwalid, così come fu anche di fronte al massacro di Falluja all’epoca, ci porta veramente poche notizie e spesso veicolate da blog, youtube, facebook e altri strumenti utili ma difficili da verificare. Non che io consideri più affidabile ciò che viene dichiarato dai grandi media, ma quando di una cosa si parla apertamente in genere si può rintracciare più fonti e più versioni.

I pochi attivisti che riescono a entrare in contatto con abitanti di Bani Walid parlano di un milizie.jpgvero e proprio massacro e di una emergenza umanitaria. Le milizie continuano a praticare la legge del taglione senza nessuna interferenza né dall’autorità nazionale, né dalla comunità internazionale. Molte famiglie sarebbero scappate di casa per sfuggire agli attacchi e ai bombardamenti indiscriminati e buona parte sarebbe ancora accampata in mezzo al deserto senza una adeguata assistenza e in balia a attacchi e rapine dei gruppi armati.

Forse qualcuno, lì in mezzo al deserto si chiede dov’è oggi, quella comunità internazionale, dove sono la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che si erano tanto commossi per la sorte dei civili libici quando c’era da intervenire militarmente per abbattere l’ex amico Gheddafi, ormai diventato ingombrante e imbarazzante.

Oggi che è successo tutto questo, quella città che fino a un anno fa rappresentava ciò che più al mondo odiavo, mi diventa cara e nella mia mente una frase gira come un ritornello: Bani Walid mon amour.

Bani Walid mon amour

L’incendio di Aleppo

Il testo che segue, pubblicato in arabo da un anonimo sul sito All4syria.info (all4syria.info/Archive/56755) e poi ripreso su vari siti (ad esempio qui) e Facebook è importante per diversi motivi. Ci dice molto: su un evento riportato dai media in…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

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Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace.

Il vecchio Alfred Bernhard Nobel, dichiarava nel suo testamento: 

(…) il capitale, dai miei esecutori testamentari impiegato in sicuri investimenti, dovrà costituire un fondo i cui interessi si distribuiranno annualmente in forma di premio a coloro che, durante l’anno precedente, più abbiano contribuito al benessere dell’umanità. Detto interesse verrà suddiviso in cinque parti uguali da distribuirsi nel modo seguente: una parte alla persona che abbia fatto la scoperta o l’invenzione più importante nel campo della fisica; una (…) nell’ambito della chimica; una (…)nel campo della fisiologia o della medicina; una (…)nell’ambito della letteratura, (…) una parte infine alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione di eserciti permanenti e per la formazione e l’incremento di congressi per la pace.

Il buon vecchio Alfred era un grande scienziato ma una persona molto ingenua dal punto di vista politico, sembra. Lo dimostrò una prima volta inventando un potente esplosivo non pensando ai possibili usi militari, e una seconda volta affidando la sua eredità ad istituzioni espressione delle monarchie scandinave per promuovere niente meno che la pace nel mondo.

Nella mia lingua si dice che un giorno il pastorello andò a trovare lo sciacallo e gli disse: “senti, io devo andare in viaggio e ti chiedo di sorvegliare le mie pecore in mia assenza.” Il povero sciacallo si mise a piangere. “Ma perchè piangi”-chiese il pastorello. – “Ho paura che sia solo uno scherzo.” – rispose lo sciacallo singhiozzando.

Il premio è molto presto diventato uno strumento politico in mano alle potenze occidentali. La pace intesa dalla giuria di Stoccolma era una specie di Pax romana che va sempre a favore del loro campo. Potente strumento di propaganda durante la guerra fredda. Oggi si è messa al servizio della guerra infinità andando a premiare persone più che discutibili come Kissinger, Anwar El Sadat, Menachem Begin, Yasser Arafat, Shimon Peres, Yitzhak Rabin, Martti Ahtisaari e Barack Obama.

Oggi la comissione premia la Comunità Europea, con la motivazione che «Il lavoro della UE rappresenta la “fratellanza tra le nazioni”…».

Ma forse il breve comunicato stampa della Fondazione non è abbastanza dettagliato e molti di noi avrebbe bisogno di una rinfrescatina per capire quale lavoro è stato un esempio di Fratellanza. Per cui ecco qui sotto un elenco di azioni degne di un Nobel, essendo il Nobel quello che è diventato:

– per aver fatto finta di decolonizzare e poi istituito in Asia e Africa un sistema neocoloniale ancora più criminale;

– Per le sue multinazionali che hanno sfruttato, distrutto, avvelenato il suolo africano e per aver fomentato massacri, genocidi, guerre dette tribali o etniche per proteggere i loro interessi nel continente;

– Per aver contribuito attivamente alla corsa all’armamento e all’inquinamento nucleare del pianeta;

– Per aver partecipato a rianimare e finanziare i nazionalismi e l’estremismo religioso in Europa dell’est et in vari paesi socialisti o non allineati;

– Per aver contribuito generosamente alle guerre dette “contro il terrore” delle multinazionali del petrolio in Medio Oriente;

– Per il sostegno anche militare a vari dittatori sanguinari attraverso il mondo;

– Per la sua florida industria bellica;

– Per i traffici di rifiuti tossici;

– Per il contributo delle sue banche nel gioco da strozzino nei confronti del terzo mondo e non solo;

– Per i muri, il filo spinato e l’esercito alzati di fronte ai migranti, che hanno prodotto centinaia di migliaia di morti nei mari, nelle montagne e nei deserti;

– Per aver favorito l’erosione di capitali dal pubblico verso il privato, la speculazione e i paradisi fiscali;

– Per la pesantezza e l’inutilità della sua burocrazia;

– Per le decine migliaia di funzionari strapagati a fare un bel niente;

– Per gli sprechi delle sue sedi a Bruxelles e a Strasburgo;

– E in fine per essersi completamente sottomessa alla logica delle banche e della speculazione finanziaria…

E tante altre cose ancora che potremo enumerare per giorni e giorni…

 

A questo punto, se questo Nobel lo prendono tutti, Dall’Africa, Dall’Asia e Dall’America latina arriva un grido di indignazione che cresce sempre di più. Vogliamo anche noi i nostri premi Nobel per la pace e li vogliamo subito. Abbiamo anche noi dei candidati da presentare. Candidati che hanno credenziali migliori di tutti quelli finora premiati.

 

Vogliamo il Premio postumo per Pinochet, per il Cile, lo vogliamo anche per Rafael Trujillo per San Domingo, lo vogliamo per i generali argentini degli anni 70 e 80, per quelli del Brasile, lo vogliamo per le Farc, i narcos e i paramilitari in Colombia.

 

Vogliamo molte premiazioni per l’Asia, Polpot e i generali della Birmania in testa. Saddam e L’Ayatollah Khomeini.

 

Vogliamo il trofeo del premio nobel sempre in Africa come la coppa Jules Rimet rimasta per sempre in Brasile. Abbiamo dal nostro continente un lunghissimo elenco di persone da premiare:

Idi Amin Dada dall’Uganda, Charles Taylor per la Liberia, Jean Kambanda per il Rwanda, i generali algerini della guerra sporca ex aequo con gli Emiri dei Gruppi Islamici Armati. Vogliamo un premio per Joseph Kony in Uganda ma soprattutto lo vogliamo per l’imperatore Bocassa Primo e ultimo.

 

L'Imperatore Bocassa I°

L’Imperatore Bocassa I°

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace.

Il vecchio Alfred Bernhard Nobel, dichiarava nel suo testamento: 

(…) il capitale, dai miei esecutori testamentari impiegato in sicuri investimenti, dovrà costituire un fondo i cui interessi si distribuiranno annualmente in forma di premio a coloro che, durante l’anno precedente, più abbiano contribuito al benessere dell’umanità. Detto interesse verrà suddiviso in cinque parti uguali da distribuirsi nel modo seguente: una parte alla persona che abbia fatto la scoperta o l’invenzione più importante nel campo della fisica; una (…) nell’ambito della chimica; una (…)nel campo della fisiologia o della medicina; una (…)nell’ambito della letteratura, (…) una parte infine alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione di eserciti permanenti e per la formazione e l’incremento di congressi per la pace.

Il buon vecchio Alfred era un grande scienziato ma una persona molto ingenua dal punto di vista politico, sembra. Lo dimostrò una prima volta inventando un potente esplosivo non pensando ai possibili usi militari, e una seconda volta affidando la sua eredità ad istituzioni espressione delle monarchie scandinave per promuovere niente meno che la pace nel mondo.

Nella mia lingua si dice che un giorno il pastorello andò a trovare lo sciacallo e gli disse: “senti, io devo andare in viaggio e ti chiedo di sorvegliare le mie pecore in mia assenza.” Il povero sciacallo si mise a piangere. “Ma perchè piangi”-chiese il pastorello. – “Ho paura che sia solo uno scherzo.” – rispose lo sciacallo singhiozzando.

Il premio è molto presto diventato uno strumento politico in mano alle potenze occidentali. La pace intesa dalla giuria di Stoccolma era una specie di Pax romana che va sempre a favore del loro campo. Potente strumento di propaganda durante la guerra fredda. Oggi si è messa al servizio della guerra infinità andando a premiare persone più che discutibili come Kissinger, Anwar El Sadat, Menachem Begin, Yasser Arafat, Shimon Peres, Yitzhak Rabin, Martti Ahtisaari e Barack Obama.

Oggi la comissione premia la Comunità Europea, con la motivazione che «Il lavoro della UE rappresenta la “fratellanza tra le nazioni”…».

Ma forse il breve comunicato stampa della Fondazione non è abbastanza dettagliato e molti di noi avrebbe bisogno di una rinfrescatina per capire quale lavoro è stato un esempio di Fratellanza. Per cui ecco qui sotto un elenco di azioni degne di un Nobel, essendo il Nobel quello che è diventato:

– per aver fatto finta di decolonizzare e poi istituito in Asia e Africa un sistema neocoloniale ancora più criminale;

– Per le sue multinazionali che hanno sfruttato, distrutto, avvelenato il suolo africano e per aver fomentato massacri, genocidi, guerre dette tribali o etniche per proteggere i loro interessi nel continente;

– Per aver contribuito attivamente alla corsa all’armamento e all’inquinamento nucleare del pianeta;

– Per aver partecipato a rianimare e finanziare i nazionalismi e l’estremismo religioso in Europa dell’est et in vari paesi socialisti o non allineati;

– Per aver contribuito generosamente alle guerre dette “contro il terrore” delle multinazionali del petrolio in Medio Oriente;

– Per il sostegno anche militare a vari dittatori sanguinari attraverso il mondo;

– Per la sua florida industria bellica;

– Per i traffici di rifiuti tossici;

– Per il contributo delle sue banche nel gioco da strozzino nei confronti del terzo mondo e non solo;

– Per i muri, il filo spinato e l’esercito alzati di fronte ai migranti, che hanno prodotto centinaia di migliaia di morti nei mari, nelle montagne e nei deserti;

– Per aver favorito l’erosione di capitali dal pubblico verso il privato, la speculazione e i paradisi fiscali;

– Per la pesantezza e l’inutilità della sua burocrazia;

– Per le decine migliaia di funzionari strapagati a fare un bel niente;

– Per gli sprechi delle sue sedi a Bruxelles e a Strasburgo;

– E in fine per essersi completamente sottomessa alla logica delle banche e della speculazione finanziaria…

E tante altre cose ancora che potremo enumerare per giorni e giorni…

 

A questo punto, se questo Nobel lo prendono tutti, Dall’Africa, Dall’Asia e Dall’America latina arriva un grido di indignazione che cresce sempre di più. Vogliamo anche noi i nostri premi Nobel per la pace e li vogliamo subito. Abbiamo anche noi dei candidati da presentare. Candidati che hanno credenziali migliori di tutti quelli finora premiati.

 

Vogliamo il Premio postumo per Pinochet, per il Cile, lo vogliamo anche per Rafael Trujillo per San Domingo, lo vogliamo per i generali argentini degli anni 70 e 80, per quelli del Brasile, lo vogliamo per le Farc, i narcos e i paramilitari in Colombia.

 

Vogliamo molte premiazioni per l’Asia, Polpot e i generali della Birmania in testa. Saddam e L’Ayatollah Khomeini.

 

Vogliamo il trofeo del premio nobel sempre in Africa come la coppa Jules Rimet rimasta per sempre in Brasile. Abbiamo dal nostro continente un lunghissimo elenco di persone da premiare:

Idi Amin Dada dall’Uganda, Charles Taylor per la Liberia, Jean Kambanda per il Rwanda, i generali algerini della guerra sporca ex aequo con gli Emiri dei Gruppi Islamici Armati. Vogliamo un premio per Joseph Kony in Uganda ma soprattutto lo vogliamo per l’imperatore Bocassa Primo e ultimo.

 

L'Imperatore Bocassa I°

L’Imperatore Bocassa I°

L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










L’evoluzione della ” Harga ”

E’ passato un mese da quel tragico 7 settembre 2012  , quando una barcone con a bordo 130 migranti tunisini affonda a largo dell’isola di Lampione provocando l’ennesima tragedia del mare e consegnando al cimitero del mare Nostrum gli ennesimi corpi senza vita di ragazzi cercatori di felicità . Ancora oggi le autorità italiane sono alla ricerca , senza successo ,  di una verità , una prova , un pezzo di barca che provi l’esistenza di un altro classico naufragio di ” clandestini ” . I sopravvissuti continuano a riportare verità discordanti sull’accaduto . 

In seguito ad una mia recente inchiesta  svoltasi la scorsa estate nei quartieri popolari di Tunisi sono venute a galla nuove verità circa le attuali partenze di ” Harragas ” tunisini verso  ” l’El Dorado ” europea , dove la percentuale di sopravvivenza alla traversata è direttamente proporzionale alla somma che si paga . 



Quartiere El Ouardia / Tunisi –  23 Giugno 2012 



E’ una calda giornata di Giugno  nel quartiere popolare di ” El Ouardia ” , un quartiere martoriato dalla miseria e dove l’anno scorso  42 ragazzi  persero la vita in un misterioso naufragio.    Eravamo io e la collega di origini inglesi Eleanor Mortimer , eravamo impegnati a girare il documentario ” the price of freedom ” e  dovevamo incontrare un certo ”Slaità ” nomignolo di un ragazzotto di 18 anni rimpatriato  dalle autorità italiane l’anno scorso,  dopo soli due settimane di permanenza in terra italiana . Dovevamo intervistarlo per farci raccontare il suo rimpatrio avvenuto prima del 5 Aprile 2011 , data della stipulazione dell’accordo anti-immigrazione tra l’allora premier tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi .  ”Slaita” ci raccontò con aria quasi annoiata del suo rimpatrio in Tunisia , questo  fino a quando non gli ponemmo la fatidica domanda ” Riproverai la traversata verso l’Italia ? ” L’intervista ci scappò di mano e il ragazzo si trasformò in un fiume in piena di racconti ed informazioni , ci raccontò di come erano cambiate le modalità di partenza dalla Tunisia , ci parlò di un suo amico sbarcato direttamente in Sicilia dopo aver pagato 4 milioni di dinari , l’equivalente di 2 mila euro , ad un gruppo di pescatori-trafficanti di una non specificata città costiera del centro sud tunisino. Ci raccontò di come quei pescatori  abbiano procurato al suo amico dei  documenti falsi per farlo apparire , agli occhi delle severe autorità marittime tunisine , come un giovane pescatore alle prese con la sua prima battuta di pesca . Una vera e propria  ” Harga ” mascherata a battuta di pesca dai loschi trafficanti tunisini . Infine il trasbordo , che avvenne in alto e mare e a notte fonda , a bordo di un peschereccio siciliano  . Da una parte due pescherecci impegnati in una battuta di pesca , dall’altra 10 giovani ragazzi che saltano da un peschereccio all’altro , un salto che gli permetterà di cambiare vita ,  il salto che li porterà in Italia  , la terra promessa per intere generazioni di tunisini .  L’arrivo in Sicilia fu tra le più tranquille , secondo il racconto dell’amico di viaggi di ” Slaita ” , niente emittenti televisive , niente bagliori blu delle volanti della polizia italiane come l’anno scorso a Lampedusa , solo una piccola cittadina siciliana che dorme e un furgoncino che li attende per portarli in un piccolo casolare di campagna dove passeranno una settimana per poi ricominciare l’avventura europea .  ” Slaita ” ci confermò che il suo viaggio si svolgerà in questo modo  , nel frattempo dovrà attendere  il via libera dai pescatori- trafficanti raccogliendo denaro per la sua nuova avventura ….


La Goulette –  24 Giugno 2012 


” Porto vecchio ” de la Goulette  

La Goulette è una ridente città di mare distante 20 chilometri dal centro di Tunisi , dovevamo incontrare due giovani ragazzi , Safi e Ala’a , li trovammo mentre erano  intenti a farsi delle bracciate nelle acque del vecchio porto della città .  Li intervistammo al prezzo di un pacco di sigarette a testa su una piccola barchetta ormeggiata . Il loro contatto mi fu segnalato da ” Slaita ” dopo che gli chiesi se conosceva altri aspiranti ” Harragas ” . All’inizio ero convinto di trovarmi di fronte ad altri ragazzi che si dovranno spacciare per pescatori  per poter ” bruciare la frontiera” ,  e invece no , Safi e Ala’a pagheranno 2 milioni di dinari per farsi trasportare sino a largo delle coste della Sicilia per poi farsi gettare in mare e continuare a nuoto gli ultimi cento / duecento metri di mare che li divide dal proprio sogno . La stessa versione che sentii l’anno scorso quando , nei pressi di Mazara del Vallo ,  incontrai due ragazzi tunisini con i vestiti umidi e sporchi di sale  . I due ragazzi si danno il cambio per farsi intervistare ,  all’inizio pensai che erano li solo per farsi qualche tuffo e combattere il gran caldo , e invece vidi che sia uno che l’altro una volta in acqua attuavano delle faticosissime bracciate per raggiungere una boa distante cento metri dal porto dove ci trovavamo , mi dissero che si stavano allenando per ” il grande giorno ” . Una volta a destinazione dovranno raggiungere a nuoto  le spiagge della città siciliana  . Mi dissero che i trafficanti , rimpatriati l’anno scorso dalle autorità italiane , non avevano più alcun interesse a sbarcare in Italia , e quindi per prevenire eventuali arresti e rovinose ( per gli affari )  permanenze nei C.I.E ( Centri d’identificazione ed espulsione ) gettavano il carico umano in mare e facevano ritorno in Tunisia dove da li organizzavano altri viaggi  e cosi altri affari . Anche per Safi e Ala’a   la ” harga ” da quattro milioni è più sicura di quella da due …..

In seguito a queste testimonianze una domanda sorge spontanea : siamo sicuri che il 7 settembre 2012 a largo dell’isola di Lampione ci sia stato un naufragio ? 

HARGA :  Termine maghrebino usata per indicare il superamento illegale della frontiera

HARRAGAS  : Termine maghrebino che vuol dire ” Coloro che bruciano la frontiera ” 










Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

Un anno e mezzo fa sceglievamo per il nostro libro proprio il titolo “non ho piu paura“. La Tunisia si era liberata dalla paura del proprio ditttaore, l’occidente si era scoperto nudo di fronte alle proprie paure dell’altro, rilanciando un nuovo interesse e fascino per le cosiddette privameve arabe. Oggi piu’ voci si sollevano su una strategia piu’ o meno strutturata di rilancio della paurain Tunisia. Come descitto abilmente in un articolo di Abdelwaheb Medded, dietro la “tolleranza” dell’attuale governo dei salafiti, ci sarebbe un’alimentazione del principo che ricentralizza attorno allo stato  l’onere di proteggere la sicurezza dei cittadini della violenza. Un principio che viene ricordato ogni venerdi attraverso imponenti schieramenti di forze all’orrario della preghiera. Per far crollare la libertà si deve rilasciare sulla paura, o deliberatamente reintrodurre la paura di forze estremiste. Non solo si finisce per incoraggiare gli abusi dei criminali salafiti, ma corpo di polizia e giudici trasformano le vittime in colpevoli. La sensazione di insicurezza e terrore cresce e si diffonde, quando le figure di autorità si mescolano con i delinquenti e criminali, tirandosi da parte, come e’ successo con li attacchi all’ambasciata e alla scuola americana, o ci si rende protagonisti di crimini verognosi come lo stupro della giovane commesso dalle forze di polizia. Difficile in questi contesti rimare dell’ormai nostalgico “jamais plus peur” post-rivoluzionario, ma e’ chiaro che cedere alla paura non fa altro che dare spazio e far vincere la strategia piu’ o meno nascosta dietro gli eventi delle ultime settimane.

Tunisia: la nuova strategia della paura?

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Velate o violentate?

..E’ il messaggio provocatorio (vedi foto) di una delle centinaia di donne che si son presentate ieri 2 Ottobre a sostegno di Mariam, violentata da 2 poliziotti Tunisini il 3 settembre a Ain Zaighouan e successivamente accusata di atti osceni in luogo …

Velate o violentate?

..E’ il messaggio provocatorio (vedi foto) di una delle centinaia di donne che si son presentate ieri 2 Ottobre a sostegno di Mariam, violentata da 2 poliziotti Tunisini il 3 settembre a Ain Zaighouan e successivamente accusata di atti osceni in luogo …

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Corrado la Martire – Virtual space within the Arab Uprising: from online activism to offline liberation

  7 – 9 ottobre 2012 Seminario dottorale internazionale “Diritti di cittadinanza movimenti sociali e mutamenti politici in Africa” http://unior.it/index2.php?action=view_news&id_news=4420&content_id=6934&content_id_start=1&titolo=Anno+2012 Articoli correlati: Corrado la Martire – Il modello economico dei…
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  2. Dott. la Martire: proposte di lavori per seminario Šarī‘a, Stato e maṣlaḥa nel pensiero islamico contemporaneo Seminario: Šarī‘a, Stato e maṣlaḥa nel pensiero islamico contemporaneo in  STORIA CONTEMPORANEA DELL’ECONOMIA DEL MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA A.a. 2011-2012 Proposte per i lavori degli studenti • Presentazione dei lavori……
  3. Seminario: pensiero sunnita radicale, moderato e riformista. Šarī‘a, Stato e maṣlaḥa nel pensiero islamico contemporaneo DAAM- Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo UNIOR- Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”   Šarī‘a, Stato e maṣlaha nel pensiero islamico contemporaneo   Il seminario avrà una durata complessiva……

Corrado la Martire – Il modello economico dei Fratelli Musulmani

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Tunisia: donne sempre in prima fila

Si è scritto nei giornali europei che l’assalto all’ambasciata USA e la devastazione dell’edificio scolastico adiacente hanno gettato fango sull’immagine della Tunisia e della sua cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”. Beh, la vera notizia è che qui stiamo spalando fango da un bel po’ di tempo, cari amici europei, ma soprattutto italiani, senza che nessuno se ne accorga perché se non ci sono un po’ di salafiti e qualche vignetta su Mohamed a nessuno importa di cosa stia facendo questo popolo sofferente e coraggioso contro tutti i tentativi di riportarlo indietro… e la lotta spesso paga, anche qui – scrive Patrizia Mancini Leggi l’articolo intero cliccando qui

Tunisia: donne sempre in prima fila

Si è scritto nei giornali europei che l’assalto all’ambasciata USA e la devastazione dell’edificio scolastico adiacente hanno gettato fango sull’immagine della Tunisia e della sua cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”. Beh, la vera notizia è che qui stiamo spalando fango da un bel po’ di tempo, cari amici europei, ma soprattutto italiani, senza che nessuno se ne accorga perché se non ci sono un po’ di salafiti e qualche vignetta su Mohamed a nessuno importa di cosa stia facendo questo popolo sofferente e coraggioso contro tutti i tentativi di riportarlo indietro… e la lotta spesso paga, anche qui – scrive Patrizia Mancini Leggi l’articolo intero cliccando qui

Tunisia: donne sempre in prima fila

Si è scritto nei giornali europei che l’assalto all’ambasciata USA e la devastazione dell’edificio scolastico adiacente hanno gettato fango sull’immagine della Tunisia e della sua cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”. Beh, la vera notizia è che qui stiamo spalando fango da un bel po’ di tempo, cari amici europei, ma soprattutto italiani, senza che nessuno se ne accorga perché se non ci sono un po’ di salafiti e qualche vignetta su Mohamed a nessuno importa di cosa stia facendo questo popolo sofferente e coraggioso contro tutti i tentativi di riportarlo indietro… e la lotta spesso paga, anche qui – scrive Patrizia Mancini Leggi l’articolo intero cliccando qui

Tunisia: donne sempre in prima fila

Si è scritto nei giornali europei che l’assalto all’ambasciata USA e la devastazione dell’edificio scolastico adiacente hanno gettato fango sull’immagine della Tunisia e della sua cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”. Beh, la vera notizia è che qui stiamo spalando fango da un bel po’ di tempo, cari amici europei, ma soprattutto italiani, senza che nessuno se ne accorga perché se non ci sono un po’ di salafiti e qualche vignetta su Mohamed a nessuno importa di cosa stia facendo questo popolo sofferente e coraggioso contro tutti i tentativi di riportarlo indietro… e la lotta spesso paga, anche qui – scrive Patrizia Mancini Leggi l’articolo intero cliccando qui

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Si è scritto nei giornali europei che l’assalto all’ambasciata USA e la devastazione dell’edificio scolastico adiacente hanno gettato fango sull’immagine della Tunisia e della sua cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”. Beh, la vera notizia è che qui stiamo spalando fango da un bel po’ di tempo, cari amici europei, ma soprattutto italiani, senza che nessuno se ne accorga perché se non ci sono un po’ di salafiti e qualche vignetta su Mohamed a nessuno importa di cosa stia facendo questo popolo sofferente e coraggioso contro tutti i tentativi di riportarlo indietro… e la lotta spesso paga, anche qui – scrive Patrizia Mancini Leggi l’articolo intero cliccando qui

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Tunisia: donne sempre in prima fila

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La scuola americana a Tunisi riapre

In tempo record, con gran determinazione, la scuola americana a Tunisi riapre le porte dopo soli 10 giorni dall’attacco del maledetto 14 settembre. Ecco alcune immagine di prima e dopo. Si riparte!

La scuola americana a Tunisi riapre

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Islam is Peace

Dopo un venerdi un po’ teso ma alla lunga piu’ calmo del precedente, il Week-end e’ stato “tranquillo” a Tunisi. Condividiamo un video che fa riflettere

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Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

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…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

Scuola Americana: rabbia e orgoglio…

…Non si tratta di Oriana Fallaci, ma tutt’altro: una reazione di chi vuole rimboccarsi le maniche e ripartire. Visitare la scuola americana a Tunisi in questi giorni e’ come passare attraverso una tempesta emozionale, ad iniziare da un enorme ra…

” Harga ” sventata

La guardia costiera tunisina di stanza a Houmt Souk ( Djerba -Tunisia )  ha sventato nella mattinata di ieri  un tentativo di partenza di 150 ” harragas ” originari del sud – est tunisino , di partenza dalla spiaggia d’Aghir a Djerba e diretti con molta probabilità a Lampedusa . Le forze dell’ordine sono riuscite a far sgomberare l’imbarcazione prima che prendesse il largo . Avviate le ricerche  dei 150 aspiranti ” Harragas” fuggiti dopo l’irruzione della guardia costiera . Sembra non arrestarsi  l’ondata di partenze verso l’isola di Lampedusa , nonostante l’ennesima tragedia dello scorso 7 Settembre 2012. Partenze spinte dall’attuale situazione economico-sociale di un paese prossimo ,  secondo i più pessimisti , ad una guerra civile.  




Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


Intanto nella giornata di ieri l’attuale presidente della repubblica tunisina , Moncef Marzouki  si è recato a largo dell’isola di Lampione per la commemorazione delle vittime del naufragio del 7 settembre 2012 . 




” Harga ” sventata

La guardia costiera tunisina di stanza a Houmt Souk ( Djerba -Tunisia )  ha sventato nella mattinata di ieri  un tentativo di partenza di 150 ” harragas ” originari del sud – est tunisino , di partenza dalla spiaggia d’Aghir a Djerba e diretti con molta probabilità a Lampedusa . Le forze dell’ordine sono riuscite a far sgomberare l’imbarcazione prima che prendesse il largo . Avviate le ricerche  dei 150 aspiranti ” Harragas” fuggiti dopo l’irruzione della guardia costiera . Sembra non arrestarsi  l’ondata di partenze verso l’isola di Lampedusa , nonostante l’ennesima tragedia dello scorso 7 Settembre 2012. Partenze spinte dall’attuale situazione economico-sociale di un paese prossimo ,  secondo i più pessimisti , ad una guerra civile.  




Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


Intanto nella giornata di ieri l’attuale presidente della repubblica tunisina , Moncef Marzouki  si è recato a largo dell’isola di Lampione per la commemorazione delle vittime del naufragio del 7 settembre 2012 . 




” Harga ” sventata

La guardia costiera tunisina di stanza a Houmt Souk ( Djerba -Tunisia )  ha sventato nella mattinata di ieri  un tentativo di partenza di 150 ” harragas ” originari del sud – est tunisino , di partenza dalla spiaggia d’Aghir a Djerba e diretti con molta probabilità a Lampedusa . Le forze dell’ordine sono riuscite a far sgomberare l’imbarcazione prima che prendesse il largo . Avviate le ricerche  dei 150 aspiranti ” Harragas” fuggiti dopo l’irruzione della guardia costiera . Sembra non arrestarsi  l’ondata di partenze verso l’isola di Lampedusa , nonostante l’ennesima tragedia dello scorso 7 Settembre 2012. Partenze spinte dall’attuale situazione economico-sociale di un paese prossimo ,  secondo i più pessimisti , ad una guerra civile.  




Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


Intanto nella giornata di ieri l’attuale presidente della repubblica tunisina , Moncef Marzouki  si è recato a largo dell’isola di Lampione per la commemorazione delle vittime del naufragio del 7 settembre 2012 . 




” Harga ” sventata

La guardia costiera tunisina di stanza a Houmt Souk ( Djerba -Tunisia )  ha sventato nella mattinata di ieri  un tentativo di partenza di 150 ” harragas ” originari del sud – est tunisino , di partenza dalla spiaggia d’Aghir a Djerba e diretti con molta probabilità a Lampedusa . Le forze dell’ordine sono riuscite a far sgomberare l’imbarcazione prima che prendesse il largo . Avviate le ricerche  dei 150 aspiranti ” Harragas” fuggiti dopo l’irruzione della guardia costiera . Sembra non arrestarsi  l’ondata di partenze verso l’isola di Lampedusa , nonostante l’ennesima tragedia dello scorso 7 Settembre 2012. Partenze spinte dall’attuale situazione economico-sociale di un paese prossimo ,  secondo i più pessimisti , ad una guerra civile.  




Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


Intanto nella giornata di ieri l’attuale presidente della repubblica tunisina , Moncef Marzouki  si è recato a largo dell’isola di Lampione per la commemorazione delle vittime del naufragio del 7 settembre 2012 . 




” Harga ” sventata

La guardia costiera tunisina di stanza a Houmt Souk ( Djerba -Tunisia )  ha sventato nella mattinata di ieri  un tentativo di partenza di 150 ” harragas ” originari del sud – est tunisino , di partenza dalla spiaggia d’Aghir a Djerba e diretti con molta probabilità a Lampedusa . Le forze dell’ordine sono riuscite a far sgomberare l’imbarcazione prima che prendesse il largo . Avviate le ricerche  dei 150 aspiranti ” Harragas” fuggiti dopo l’irruzione della guardia costiera . Sembra non arrestarsi  l’ondata di partenze verso l’isola di Lampedusa , nonostante l’ennesima tragedia dello scorso 7 Settembre 2012. Partenze spinte dall’attuale situazione economico-sociale di un paese prossimo ,  secondo i più pessimisti , ad una guerra civile.  




Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


Intanto nella giornata di ieri l’attuale presidente della repubblica tunisina , Moncef Marzouki  si è recato a largo dell’isola di Lampione per la commemorazione delle vittime del naufragio del 7 settembre 2012 . 




” Harga ” sventata

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Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


Intanto nella giornata di ieri l’attuale presidente della repubblica tunisina , Moncef Marzouki  si è recato a largo dell’isola di Lampione per la commemorazione delle vittime del naufragio del 7 settembre 2012 . 




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Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


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Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


Intanto nella giornata di ieri l’attuale presidente della repubblica tunisina , Moncef Marzouki  si è recato a largo dell’isola di Lampione per la commemorazione delle vittime del naufragio del 7 settembre 2012 . 




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Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


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Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


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” Harga ” sventata

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Moncef Marzouki a largo dell’isola di Lampione ( foto AL JAWHARA)


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Attacco all’ambasciata: alcune reazioni

Condividiamo una bellissima riflessione di una nota  commentatrice sugli eventi di venerdihttp://blog.octavianasr.com/2012/09/claiming-back-our-arab-spring.htmle l’insolito discorso del presidente tunisino (in inglese) Infine condividiamo l’invito…

Attacco all’ambasciata: alcune reazioni

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Tunisi – assalto all’ambasciata americana

Assaltata l’ambasciata americana a Tunisi , gli assaltatori hanno dato vita ad una vera e propria guerra nei dintorni della sede diplomatica . Distrutta e saccheggiata una scuola americana .


Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

Il presidente della repubblica Tunisina- Moncef Marzouki

Dura condanna del presidente ad interim , Moncef Marzouki durante il discorso alla nazione andato in onda questa sera . L’eccentrico Capo di Stato tunisino ha pubblicamente presentato le sue scuse agli Stati Uniti e al suo popolo definendolo ” un popolo amico e completamente estraneo al recente scandalo legato al film che insulta le figure sacre dell’islam ” . Durante il discorso Marzouki ha espressamente chiesto al ministro dell’interno , Ali Lardeidh , la massima severità contro questi ” nemici della repubblica e della rivoluzione ” ammettendo pubblicamente una telefonata ricevuta dal segretario di Stato americano , Hillary Clinton , dove chiedeva  ” la massima fermezza da parte delle autorità tunisine contro degli estremisti intenti a minare i rapporti d’amicizia tra la Tunisia e gli Stati Uniti d’America ”.

                          Galleria d’immagini -14 Settembre 2012

Beirut – manifestanti distruggono fast food americano

Manifestanti diretti all’ambasciata

Tunisi – assalto all’ambasciata americana

Assaltata l’ambasciata americana a Tunisi , gli assaltatori hanno dato vita ad una vera e propria guerra nei dintorni della sede diplomatica . Distrutta e saccheggiata una scuola americana .


Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

Il presidente della repubblica Tunisina- Moncef Marzouki

Dura condanna del presidente ad interim , Moncef Marzouki durante il discorso alla nazione andato in onda questa sera . L’eccentrico Capo di Stato tunisino ha pubblicamente presentato le sue scuse agli Stati Uniti e al suo popolo definendolo ” un popolo amico e completamente estraneo al recente scandalo legato al film che insulta le figure sacre dell’islam ” . Durante il discorso Marzouki ha espressamente chiesto al ministro dell’interno , Ali Lardeidh , la massima severità contro questi ” nemici della repubblica e della rivoluzione ” ammettendo pubblicamente una telefonata ricevuta dal segretario di Stato americano , Hillary Clinton , dove chiedeva  ” la massima fermezza da parte delle autorità tunisine contro degli estremisti intenti a minare i rapporti d’amicizia tra la Tunisia e gli Stati Uniti d’America ”.

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Beirut – manifestanti distruggono fast food americano

Manifestanti diretti all’ambasciata

Tunisi – assalto all’ambasciata americana

Assaltata l’ambasciata americana a Tunisi , gli assaltatori hanno dato vita ad una vera e propria guerra nei dintorni della sede diplomatica . Distrutta e saccheggiata una scuola americana .


Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

Il presidente della repubblica Tunisina- Moncef Marzouki

Dura condanna del presidente ad interim , Moncef Marzouki durante il discorso alla nazione andato in onda questa sera . L’eccentrico Capo di Stato tunisino ha pubblicamente presentato le sue scuse agli Stati Uniti e al suo popolo definendolo ” un popolo amico e completamente estraneo al recente scandalo legato al film che insulta le figure sacre dell’islam ” . Durante il discorso Marzouki ha espressamente chiesto al ministro dell’interno , Ali Lardeidh , la massima severità contro questi ” nemici della repubblica e della rivoluzione ” ammettendo pubblicamente una telefonata ricevuta dal segretario di Stato americano , Hillary Clinton , dove chiedeva  ” la massima fermezza da parte delle autorità tunisine contro degli estremisti intenti a minare i rapporti d’amicizia tra la Tunisia e gli Stati Uniti d’America ”.

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Beirut – manifestanti distruggono fast food americano

Manifestanti diretti all’ambasciata

Tunisi – assalto all’ambasciata americana

Assaltata l’ambasciata americana a Tunisi , gli assaltatori hanno dato vita ad una vera e propria guerra nei dintorni della sede diplomatica . Distrutta e saccheggiata una scuola americana .


Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

Il presidente della repubblica Tunisina- Moncef Marzouki

Dura condanna del presidente ad interim , Moncef Marzouki durante il discorso alla nazione andato in onda questa sera . L’eccentrico Capo di Stato tunisino ha pubblicamente presentato le sue scuse agli Stati Uniti e al suo popolo definendolo ” un popolo amico e completamente estraneo al recente scandalo legato al film che insulta le figure sacre dell’islam ” . Durante il discorso Marzouki ha espressamente chiesto al ministro dell’interno , Ali Lardeidh , la massima severità contro questi ” nemici della repubblica e della rivoluzione ” ammettendo pubblicamente una telefonata ricevuta dal segretario di Stato americano , Hillary Clinton , dove chiedeva  ” la massima fermezza da parte delle autorità tunisine contro degli estremisti intenti a minare i rapporti d’amicizia tra la Tunisia e gli Stati Uniti d’America ”.

                          Galleria d’immagini -14 Settembre 2012

Beirut – manifestanti distruggono fast food americano

Manifestanti diretti all’ambasciata

Tunisi – assalto all’ambasciata americana

Assaltata l’ambasciata americana a Tunisi , gli assaltatori hanno dato vita ad una vera e propria guerra nei dintorni della sede diplomatica . Distrutta e saccheggiata una scuola americana .


Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

Il presidente della repubblica Tunisina- Moncef Marzouki

Dura condanna del presidente ad interim , Moncef Marzouki durante il discorso alla nazione andato in onda questa sera . L’eccentrico Capo di Stato tunisino ha pubblicamente presentato le sue scuse agli Stati Uniti e al suo popolo definendolo ” un popolo amico e completamente estraneo al recente scandalo legato al film che insulta le figure sacre dell’islam ” . Durante il discorso Marzouki ha espressamente chiesto al ministro dell’interno , Ali Lardeidh , la massima severità contro questi ” nemici della repubblica e della rivoluzione ” ammettendo pubblicamente una telefonata ricevuta dal segretario di Stato americano , Hillary Clinton , dove chiedeva  ” la massima fermezza da parte delle autorità tunisine contro degli estremisti intenti a minare i rapporti d’amicizia tra la Tunisia e gli Stati Uniti d’America ”.

                          Galleria d’immagini -14 Settembre 2012

Beirut – manifestanti distruggono fast food americano

Manifestanti diretti all’ambasciata

Tunisi – assalto all’ambasciata americana

Assaltata l’ambasciata americana a Tunisi , gli assaltatori hanno dato vita ad una vera e propria guerra nei dintorni della sede diplomatica . Distrutta e saccheggiata una scuola americana .


Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

Il presidente della repubblica Tunisina- Moncef Marzouki

Dura condanna del presidente ad interim , Moncef Marzouki durante il discorso alla nazione andato in onda questa sera . L’eccentrico Capo di Stato tunisino ha pubblicamente presentato le sue scuse agli Stati Uniti e al suo popolo definendolo ” un popolo amico e completamente estraneo al recente scandalo legato al film che insulta le figure sacre dell’islam ” . Durante il discorso Marzouki ha espressamente chiesto al ministro dell’interno , Ali Lardeidh , la massima severità contro questi ” nemici della repubblica e della rivoluzione ” ammettendo pubblicamente una telefonata ricevuta dal segretario di Stato americano , Hillary Clinton , dove chiedeva  ” la massima fermezza da parte delle autorità tunisine contro degli estremisti intenti a minare i rapporti d’amicizia tra la Tunisia e gli Stati Uniti d’America ”.

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Beirut – manifestanti distruggono fast food americano

Manifestanti diretti all’ambasciata

Tunisi – assalto all’ambasciata americana

Assaltata l’ambasciata americana a Tunisi , gli assaltatori hanno dato vita ad una vera e propria guerra nei dintorni della sede diplomatica . Distrutta e saccheggiata una scuola americana .


Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

Il presidente della repubblica Tunisina- Moncef Marzouki

Dura condanna del presidente ad interim , Moncef Marzouki durante il discorso alla nazione andato in onda questa sera . L’eccentrico Capo di Stato tunisino ha pubblicamente presentato le sue scuse agli Stati Uniti e al suo popolo definendolo ” un popolo amico e completamente estraneo al recente scandalo legato al film che insulta le figure sacre dell’islam ” . Durante il discorso Marzouki ha espressamente chiesto al ministro dell’interno , Ali Lardeidh , la massima severità contro questi ” nemici della repubblica e della rivoluzione ” ammettendo pubblicamente una telefonata ricevuta dal segretario di Stato americano , Hillary Clinton , dove chiedeva  ” la massima fermezza da parte delle autorità tunisine contro degli estremisti intenti a minare i rapporti d’amicizia tra la Tunisia e gli Stati Uniti d’America ”.

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Beirut – manifestanti distruggono fast food americano

Manifestanti diretti all’ambasciata

Tunisi – assalto all’ambasciata americana

Assaltata l’ambasciata americana a Tunisi , gli assaltatori hanno dato vita ad una vera e propria guerra nei dintorni della sede diplomatica . Distrutta e saccheggiata una scuola americana .


Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

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Dura condanna del presidente ad interim , Moncef Marzouki durante il discorso alla nazione andato in onda questa sera . L’eccentrico Capo di Stato tunisino ha pubblicamente presentato le sue scuse agli Stati Uniti e al suo popolo definendolo ” un popolo amico e completamente estraneo al recente scandalo legato al film che insulta le figure sacre dell’islam ” . Durante il discorso Marzouki ha espressamente chiesto al ministro dell’interno , Ali Lardeidh , la massima severità contro questi ” nemici della repubblica e della rivoluzione ” ammettendo pubblicamente una telefonata ricevuta dal segretario di Stato americano , Hillary Clinton , dove chiedeva  ” la massima fermezza da parte delle autorità tunisine contro degli estremisti intenti a minare i rapporti d’amicizia tra la Tunisia e gli Stati Uniti d’America ”.

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Manifestanti diretti all’ambasciata

Tunisi – assalto all’ambasciata americana

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Tunisi – Rimozione della bandiera statunitense 

E’ di 2 morti e 28 feriti il bilancio dei disordini scoppiati oggi nelle adiacenze dell’ambasciata americana di stanza a Tunisi . Manifestanti inferociti hanno attaccato quella che per loro rappresenterebbe ” la sede di satana ” . In seguito alla pubblicazione del film  ” innocence of muslims” dove Muhammad ( saas) viene non solo rappresentato fisicamente ( cosa assolutamente proibita nell’islam) ma anche dipinto come un inguaribile donnaiolo credulone . Pochi giorni fa perse la vita in un analogo episodio l’ambasciatore americano di stanza a Bengasi , Chris Stevens, assieme ad un agente dei servizi segreti e due Marines . Si sono uditi spari intorno all’edificio , probabilmente colpi in aria sparati dalle forze dell’ordine tunisine , ma c’e chi giura di aver visto dei cecchini ( probabilmente Marines) aggirarsi nei tetti dell’edificio diplomatico  . Data alle fiamme e saccheggiata la scuola vicino l’ambasciata. Il governo tunisino ,esasperato dagli ultimi avvenimenti ( le proteste seguite  dallo scandalo del ragazzo morto nelle segrete del ministero dell’ interno prima e i disordini  per il naufragio di tunisini a Lampedusa dopo ) ha spinto il governo ad applicare il coprifuoco in tutta la grande Tunisi , comprese le città turistiche ( Sidi bou Said , La marsa ecc.. ) . Evacuato in tempo l’ambasciatore americano Jacob Walles  grazie al tempestivo intervento delle brigate anti-terroristiche tunisine ( B.A.T ) .

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Manifestanti diretti all’ambasciata

Lista sopravissuti al naufragio del 07-09-2012

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L’AMMINISTRATORE DESIDERA PORGERE LE SUE PIU’ SENTITE SCUSE PER LA LUNGA INNATIVITA’ DEL BLOG ” L’ANGOLO DI BOUSUFI ”.






Tensione a Tunisi dove le famiglie hanno indetto un sit-in di protesta di fronte il ministero degli affari sociali . ” Vogliamo verità”- urla una madre alle telecamere delle emittenti tunisine – ” Non vogliamo attendere , diteci che fine hanno fatto i nostri figli ”. Scontri tra manifestanti e polizia nella cittadina di el Fahs ( Zaghouan) . Il numero dei dispersi  del recente naufragio si va ad aggiungere al già altissimo numero di migranti  dispersi da più di un anno e mezzo (800). Il recente naufragio è un campanello d’allarme per l’attuale governo tunisino, esasperato per la difficile situazione economico-sociale del paese.


LISTA DEI SOPRAVISSUTI AL NAUFRAGIO DEL 07 SETTEMBRE 2012 A LARGO DELL’ISOLA LAMPIONE

Link : http://www.diplomatie.gov.tn/fileadmin/_temp_/liste_tunisiens_lambadouza.pdf 






                                                      




 

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Tensione a Tunisi dove le famiglie hanno indetto un sit-in di protesta di fronte il ministero degli affari sociali . ” Vogliamo verità”- urla una madre alle telecamere delle emittenti tunisine – ” Non vogliamo attendere , diteci che fine hanno fatto i nostri figli ”. Scontri tra manifestanti e polizia nella cittadina di el Fahs ( Zaghouan) . Il numero dei dispersi  del recente naufragio si va ad aggiungere al già altissimo numero di migranti  dispersi da più di un anno e mezzo (800). Il recente naufragio è un campanello d’allarme per l’attuale governo tunisino, esasperato per la difficile situazione economico-sociale del paese.


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Tensione a Tunisi dove le famiglie hanno indetto un sit-in di protesta di fronte il ministero degli affari sociali . ” Vogliamo verità”- urla una madre alle telecamere delle emittenti tunisine – ” Non vogliamo attendere , diteci che fine hanno fatto i nostri figli ”. Scontri tra manifestanti e polizia nella cittadina di el Fahs ( Zaghouan) . Il numero dei dispersi  del recente naufragio si va ad aggiungere al già altissimo numero di migranti  dispersi da più di un anno e mezzo (800). Il recente naufragio è un campanello d’allarme per l’attuale governo tunisino, esasperato per la difficile situazione economico-sociale del paese.


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Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

siriaEcco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando
di nuovo di scappare dalla Siria.

Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi
diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio su Facebook. “Torno in Siria”. Non posso stare a guardare in TV quello che succede nel mio
paese.”

 

A quella epoca, Damasco, la sua città, era ancora fuori dalle zone di combattimento e si sperava potesse in qualche modo esserci una soluzione pacifica. Ora, mi dice, è tutto precipitato. É di
nuovo disperato e dice che non ha più un posto in quel macello.

Mi annuncia che è sul confine con la Turchia, in una cittadina tutta distrutta e disertata dai suoi abitanti. Chatta da un portatile con Sim Card turca.

Una breve chiacchierata in cui mi dice che la sua famiglia è salva ma la casa di suo padre, in un quartiere limitrofo del campo profughi del Yarmouk, a Damasco, è stata rasa al suolo.

In mente mi ritornano le belle serate che abbiamo passato in quella casa. Le “mezzé” della mamma Khaoula accompagnate da fiumi di araq. Le risate, i canti, le storie di quelle serate echeggiano
ancora nella mia memoria. Tutto quello è crollato. La casa è distrutta e la banda di folli che ci si divertiva è dispersa per sempre. Alcuni cercano dove nascondersi, altri, forse i più
fortunati, sono morti.

descrive un paese con città intere distrutte, gente che gira senza trovare via di scampo e forze armate, una più criminale dell’altra, che giocano ad una specie di macabro gioco del gatto e del
topo. Gruppi armati che entrano nei quartieri abitati. Sparano da lì sull’esercito che risponde con i bombardamenti a tappeto. Una macabra logica del caos, che cerca di chiudere definitivamente
la strada a qualsiasi soluzione pacifica. Un paese dove a comandare è la forza di fuoco. Punto e basta.

Poche battute amare, piene di disperazione “Amico mio, siamo arrivati ad augurarci la morte.” Poche informazioni. Poi scompare di nuovo. “Hamed… Ci sei ancora?” Silenzio. Resto solo con la
paura per lui… speriamo fino alla prossima comunicazione.

 

Qui di seguito la traduzione del testo integrale della nostra chat.

Poi sotto il testo originale in arabo.

 

 

Hamed: Marhaba, amico mio

 

Karim Metref: Marhaba Hamed!

 

Hamed: Come stai?

 

Karim Metref: Ben. E tu come te la stai cavando in Turchia?

 

Hamed: Io sono in Siria di nuovo.  Ieri i Turchi ci hanno cacciati via.

 

Karim Metref: No!!!ا

 

Hamed: Te lo giuro.

 

Karim Metref: perché? Dove eri? In un campo?

 

Hamed: A Kilis. Non ci hanno fatto entrare nel campo. Abbiamo dormito due notti sotto le stelle, poi ci hanno cacciati via. Adesso siamo a Marea

 

Karim Metref: Marea? Dov’è? Sul confine?

 

Hamed Sì. Ma domani tenterò di nuovo di entrare per andare a Istambul questa volta

 

Karim Metref Ok. Speriamo che ce la farai.

 

Hamed  Amico mio, siamo arrivati ad augurarci la morte.

 

Karim Metref  Ho un amico Turco che vive a Torino. Gli chiedo se può trovarti qualche aiuto a Istambul.

 

Hamed  Ti ringrazio. Io ti sto stancando con me. Però che fare?

 

Karim Metref  Per quel poco che posso fare, non c’è problema. Avrei voluto poter fare di più.

 

Hamed  Grazie della solidarietà. Questo è il più important. Sul serio. Noi siamo soprattutto stanchi moralmente. Non sono i problemi materiali quelli peggiori

 

Karim Metref  Lo so. E la tua famiglia come sta?

 

 Hamed Si stanno bene. Solo che hanno dovuto scappare. Ti ricordi la casa di mio padre? Ebbene non c’è più.

 

Karim Metref  Sì me la ricordo. Nooo!  Dove sono adesso?

 

Hamed  Nelle scuole dentro al campo. Il Campo profughi del Yarmouk. Nella parte che non è distrutta.

 

Karim Metref Vuol dire che anche Il Yarmouk è diventato campo di battaglia?

 

Hamed  Lametà più o meno. Il complesso scolastico e Via Al Yarmouk finora sono sicuri.

 

Karim Metref  E le scuole in cui sono chi le sorveglia? L’esercito regolare o gli altri?

 

Hamed  Non pensare che l’esercito libero è meglio dell’esercito di Assad. Le due parti usano la popolazione civile come scudo.

 

Karim Metref  Non ti preoccupare. Non ho questa idea. Io non credo che possa nascere un movimento pulito finanziato da soldi sporchi.

 

Hamed

 

Ok. Per il momento nel campo ci sono dei comitati popolari che assicurano la protezione

 

Karim Metref  Armati?

 

Hamed  Certo, armati!

C’è nel campo circa 200.000 civili siriani che si sono rifugiati. Perchè nei primi giorni di Ramadhan l’esercito libero è entrato nel campo. La gente non ha voluto scontrarsi con loro. Loro hanno
sfruttato questa neutralità e hanno cominciato a sparare dalle case civili sulle forze regolari.

L’esercito a cominciato ha risposto al fuoco con bombardamenti.

 

Karim Metref  Ho capito

 

Hamed  Uno più bastardo dell’altro. Capisci.

 

Karim Metref  Certo.

 

Hamed  E poi sono portatori di una ideologia salafista wahhabista.

 

 Karim Metref  E i comitati popolari nel campo sono misti o solo palestinesi?

 

Hamed  No, sono palestinesi dei movimenti di sinistra (tipo FPLP, FDLP) e liberali (Fattah). Come sai al Yarmouk c’è una forte resistenza contro l’integralismo.

 

Karim Metref  Lo so lo so. Ma questo potrebbe portare a scontri con l’esercito libero?

 

Hamed  C’è stato un poì’ di scontro ma non importante. Per ora né l’esercito libero vuole scontrarsi con loro né loro con l’esercito libero. Vogliono solo far arrivare il
messaggio che è vietato usare i quartieri abitati come base d’attacco. Perché poi l’esercito regolare si vendica dalla popolazione civile senza pietà. Ti è chiaro?

 

Karim Metref  Chiaro.

 

Hamed  La situazione più difficile in Siria è quella della sinistra.

 

Karim Metref  Lo so.

 

Hamed  Perché i due campi attaccano senza pietà. Io sono ricercato da tutti e due.

 

Karim Metref  Ti avevo raccontato che noi in Algeria abbiamo vissuto la stessa cosa. Non con la stessa violenza. Ma eravamo anche noi tra due fuochi. Di qua criminali di là
peggio.

 

Hamed  Abbiamo due flagelli: di qua il nazionalismo arabo e di là l’islamismo.

 

Karim Metref  Ma l’esercito libero, perchè ce l’ha con te?

 

Hamed  Non c’è nessun esercito libero. Ci sono gruppi armati disseminati sul territorio. E ognuno di loro è uno stato a parte.

 

Karim Metref  Ok

 

Hamed  Il legame tra loro è il radicalismo religioso e l’odio del regime perchp non in mano ai sunniti. Ma di democrazia e libertà non parla più nessuno.

 

Karim Metref  Certo.

 

Hamed  Io ho deciso di lasciare il paese perchè non ho più un posto. Non voglio scegliere tra l’ingiustizia in nome del nazionalismo e quella in nome dell’integralismo.

 

Karim Metref  Vero.  Ma la città dove sei è tranquilla?

 

Hamed  Non c’è più una città è tutto un rudere.

Per non preoccuparti per me, ti dico che sono circa 5000 persone qua che aspettano di entrare in Turchia. Quindi male condiviso è un male a metà.

 

Karim Metref  E da dove stai scrivendo adesso?

 

Hamed  C’è un ragazzo qua che ha un Laptop e una sim turca. Qui si prende la rete turca.

 

Karim Metref  Ho capito. Per questo riesci a scrivere liberamente.

 

Hamed  Sì. Certo. Però quando ho sparlato dell’esercito libero il ragazzo era lontano. Perchè se leggesse quello che ho detto potrei essere preso per una spia e essere
denunciato a loro.

 

Karim Metref  MA chi controlla quella zona dove sei? L’esercito o l’opposizione?

 

Hamed  Ho l’impressione che l’esercito ha volutamente lasciato questa zona libera. Perché ha delle postazioni molto vicine e può in qualsiasi momento bombardare o attaccare.

Però è come se volessero far vedere al mondo il rapporto tra gli insorti e la turchia.

 

Karim Metref  Ma la mia impressione è che la Turchia, che è più furba, sta usando voi sfollati per cercare di affrettare un intervento militare.

 

Karim Metref  Ci sei ancora?

 

….  dilenzio. 

 

 

 

La chat originale in arabo

 

circa un’ora fa Hamed

مرحبا يا صديقي

 

circa un’ora faKarim Metref

Marhaba Hamed!

 

circa un’ora fa Hamed

كيف الحال

 

circa un’ora faKarim Metref

منيح

و انت كيف مدبر حالك في تركيا؟

 

circa un’ora faHamed

انا حاليا بسورية مبارح رجعونا الاتراك

قال ما في مكان للاقامة

 

circa un’ora faKarim Metref

لااااا

 

circa un’ora faHamed

اي والله

 

circa un’ora faKarim Metref

ليش انت وين كنت؟ في مخيم؟

 

circa un’ora faHamed

بكلس

ما سمحولنا نفوت على المخيم نمنا يومين تحت الشجر

حاليا بمارع

 

56 minuti faKarim Metref

مارع وين؟ على الحدود التركية؟

 

56 minuti faHamed

اي بس بكرة رح اجرب افوت

و على اسطنبول هاي المرة

 

55 minuti faKarim Metref

أوكي.

انشالله تنجح

 

54 minuti faHamed

يا صديقي صار الواحد يتمنى الموت

 

53 minuti faKarim Metref

عندي صديقي تركي عايش هون راح أسأله اذا ممكن يلقالك مساعدة في سطمبول

 

53 minuti faHamed

يا ريت انا عم اغلبك معي

بس انا اسف

 

50 minuti faKarim Metref

الي في يدي و ممكن أعمله ما فيه مشكل

يا ريت كان بيدي أكثر من هيك

 

49 minuti faHamed

شكرا على التعاطف اولا هاد اهم

عن جد احنا تعبنى نفسي اكتر ما يكون مادي

 

48 minuti faKarim Metref

عارف

و عايلتك كلها بخير؟

 

47 minuti faHamed

نعم بس اتهجرو

بتزكر بيت اهلي ؟

راح

 

47 minuti faKarim Metref

نعم

لااااا

وين هجروهم؟

 

46 minuti faHamed

على المدارس

 

46 minuti faKarim Metref

يعني مخيم اليرموك صار ميدان معركة كله؟

 

45 minuti faHamed

نصفو تقريبا

وتجمع المدارس وشارع اليرموك امن حتى الان

لا تفكر انو الجيش الحر احسن من النظام

 

44 minuti faKarim Metref

و المدارس الي هني فيها مين الي يحرسها؟ الجيش و الا الأخرين؟

 

43 minuti faHamed

الطرفين بيستعملو المدنيين دروع بشرية

 

43 minuti faKarim Metref

لا ما عندي ه الفكرة

أنا ما أضن أنه ممكن تقوم حركة نضيفة بمصاري وسخة

 

43 minuti faHamed

حاليا صار في لجان شعبية بالمخيم لمنع الجيش الحر من دخول المخيم

 

42 minuti faKarim Metref

مسلحين؟

 

42 minuti faHamed

حاليا عدد السوريين الي لجأو للمخيم من المناطق المجاورة اكثر من 200 الف

طبعا الجان مسلحة

لانو باول رمضان فات الجيش الحر على المخيم

الشعب ما راد الاشتباك معهم

بس استغلو هالموضوع وصارو يقصفو الجيش النضامي من بين البيوت السكنية

قام الجيش النظامي بالرد على مصادر النيران

 

39 minuti faKarim Metref

فاهم

 

39 minuti faHamed

الطرفين اوسخ من بعض

 

38 minuti faKarim Metref

أكيد

 

38 minuti faHamed

بعدين حاملين عقيدة سلفية وهابية

 

38 minuti faKarim Metref

و اللجان الشعبية في المخيم مختلطة؟

و الا فلسطينيين؟

 

37 minuti faHamed

لا فلسطينية من التنظيمات الشيوعية واليسارية وليبرالية (فتح)ء

في حركة ضد الاسلاميين قوية باليرموك

 

38 minuti faKarim Metref

عارف. هذا ممكن يخلي فيه تشابكات مع الجيش الحر

 

37 minuti faHamed

صار شوية تشابك بس غير جدي الجيش الحر ما بدو يشتبك معهم

ولا هنى يريدو ولكن فصدهم اوصال رسالة انو ممنوع استخدام الاماكن السكنية للهجوم على الجيش النظامي

لانو الجيش النظامي بينتقم من السكان بلا رحمة

وضحت الصورة ؟

 

34 minuti faKarim Metref

فاهم

 

34 minuti faHamed

اصعب وضع بسوريا وضع اليسار

 

34 minuti faKarim Metref

عارف

 

34 minuti faHamed

لانو الطرفين بيهاجمو بلا رحمة

يعني انا تمت ملاحقتي من الطرفين

 

33 minuti faKarim Metref

مش بهاي الشدة بس عشنا نفس الوضع في الجزائر و انت عارف

ما بين نارين

من هون مجرمين و من هون أكثر

 

32 minuti faHamed

يا رجل احنا عنا بلائين الاسلام والقومية العربية

النظام قومي والمعارضة المسلحة اسلامية كما الجزائر

 

32 minuti faKarim Metref

الجيش الحر شو عنده معك؟

 

30 minuti faHamed

مافي شي اسمو الجيش الحر على ارض الواقع

مجموعات متعددة

كل مجموعة دولة

 

30 minuti faKarim Metref

أوكي

 

29 minuti faHamed

جامع بينها التدين وكره النظام لانو نظام غير سني

بس موضوعات الحرية والدولة الديمقراطية ليست ضمن الاهتمامات

 

28 minuti faKarim Metref

أكيد

 

28 minuti faHamed

انا قررت اغادر البلد لانو مالي مكان

شو الفرق بين الظلم لاسباب قومجية او الظلم لاسباب دينية

الظلم بيضل ظلم من اي مكان صدر

 

25 minuti faKarim Metref

صح

المدينة الي أنت فيها هسا

ما فيها حرب؟

 

24 minuti faHamed

ما في مدينة اطلال

انا رح انام تحت شجرة زيتون

عشان ما تزعل علي في هون حوالي الخمسة الاف عم ينتظرو الحكومة التركية حتى تسمح لهم بالدخول

يعني التشارك بالمصيبة بيهون

 

22 minuti faKarim Metref

طب من وين بتكتب هسا؟

أنت في مركز للانترنت؟ و الا وين؟

 

21 minuti faHamed

باللاب توب تبع شاب هون

خط تركي استعارة

هون الشبكة التركية شغالة

 

21 minuti faKarim Metref

اوكي

فهمتك

عشان هيك ممكن تحكي براحتك

 

20 minuti faHamed

اي طبعا

بس لما شتمت الجيش الحر كنت بعيد عنو لانو لو سمعني عم اشتم الجيش الحر بروح فيها بيعتبروني عميل للنظام

 

19 minuti faKarim Metref

هناك, وين انت مين المسيطر؟ المتلحيين و الا الحكومة؟

و الا تركوا كلهم المنطقة؟

 

18 minuti faHamed

انا حاسس انو الجيش النظامي عن قصد تارك النطقة لانو الو قطع عسكرية قريبة

باي وقت بيريد بيقصف وبيداهم

بس يبدو انو النظام حابب يورجي العالم مين المسلحين

ويجيب مشاكل لتركيا

 

14 minuti faKarim Metref

بس تركيا بنت شرموطة أكثر منهم. حاليا بتستعمل اللاجئين للضغط من أجل تدخل عسكري

أضن عشان هيك رجعوكم. قالوا أنه مش قادرين يستقبلوا أكثر و انه لازم خلق منطقة محمية من طرف جيوش الناطو

 

12 minuti faKarim Metref

ألو. حامد.

وينك؟

 

…..

Siria: chattando dall’inferno

siriaEcco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando
di nuovo di scappare dalla Siria.

Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi
diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio su Facebook. “Torno in Siria”. Non posso stare a guardare in TV quello che succede nel mio
paese.”

 

A quella epoca, Damasco, la sua città, era ancora fuori dalle zone di combattimento e si sperava potesse in qualche modo esserci una soluzione pacifica. Ora, mi dice, è tutto precipitato. É di
nuovo disperato e dice che non ha più un posto in quel macello.

Mi annuncia che è sul confine con la Turchia, in una cittadina tutta distrutta e disertata dai suoi abitanti. Chatta da un portatile con Sim Card turca.

Una breve chiacchierata in cui mi dice che la sua famiglia è salva ma la casa di suo padre, in un quartiere limitrofo del campo profughi del Yarmouk, a Damasco, è stata rasa al suolo.

In mente mi ritornano le belle serate che abbiamo passato in quella casa. Le “mezzé” della mamma Khaoula accompagnate da fiumi di araq. Le risate, i canti, le storie di quelle serate echeggiano
ancora nella mia memoria. Tutto quello è crollato. La casa è distrutta e la banda di folli che ci si divertiva è dispersa per sempre. Alcuni cercano dove nascondersi, altri, forse i più
fortunati, sono morti.

descrive un paese con città intere distrutte, gente che gira senza trovare via di scampo e forze armate, una più criminale dell’altra, che giocano ad una specie di macabro gioco del gatto e del
topo. Gruppi armati che entrano nei quartieri abitati. Sparano da lì sull’esercito che risponde con i bombardamenti a tappeto. Una macabra logica del caos, che cerca di chiudere definitivamente
la strada a qualsiasi soluzione pacifica. Un paese dove a comandare è la forza di fuoco. Punto e basta.

Poche battute amare, piene di disperazione “Amico mio, siamo arrivati ad augurarci la morte.” Poche informazioni. Poi scompare di nuovo. “Hamed… Ci sei ancora?” Silenzio. Resto solo con la
paura per lui… speriamo fino alla prossima comunicazione.

 

Qui di seguito la traduzione del testo integrale della nostra chat.

Poi sotto il testo originale in arabo.

 

 

Hamed: Marhaba, amico mio

 

Karim Metref: Marhaba Hamed!

 

Hamed: Come stai?

 

Karim Metref: Ben. E tu come te la stai cavando in Turchia?

 

Hamed: Io sono in Siria di nuovo.  Ieri i Turchi ci hanno cacciati via.

 

Karim Metref: No!!!ا

 

Hamed: Te lo giuro.

 

Karim Metref: perché? Dove eri? In un campo?

 

Hamed: A Kilis. Non ci hanno fatto entrare nel campo. Abbiamo dormito due notti sotto le stelle, poi ci hanno cacciati via. Adesso siamo a Marea

 

Karim Metref: Marea? Dov’è? Sul confine?

 

Hamed Sì. Ma domani tenterò di nuovo di entrare per andare a Istambul questa volta

 

Karim Metref Ok. Speriamo che ce la farai.

 

Hamed  Amico mio, siamo arrivati ad augurarci la morte.

 

Karim Metref  Ho un amico Turco che vive a Torino. Gli chiedo se può trovarti qualche aiuto a Istambul.

 

Hamed  Ti ringrazio. Io ti sto stancando con me. Però che fare?

 

Karim Metref  Per quel poco che posso fare, non c’è problema. Avrei voluto poter fare di più.

 

Hamed  Grazie della solidarietà. Questo è il più important. Sul serio. Noi siamo soprattutto stanchi moralmente. Non sono i problemi materiali quelli peggiori

 

Karim Metref  Lo so. E la tua famiglia come sta?

 

 Hamed Si stanno bene. Solo che hanno dovuto scappare. Ti ricordi la casa di mio padre? Ebbene non c’è più.

 

Karim Metref  Sì me la ricordo. Nooo!  Dove sono adesso?

 

Hamed  Nelle scuole dentro al campo. Il Campo profughi del Yarmouk. Nella parte che non è distrutta.

 

Karim Metref Vuol dire che anche Il Yarmouk è diventato campo di battaglia?

 

Hamed  Lametà più o meno. Il complesso scolastico e Via Al Yarmouk finora sono sicuri.

 

Karim Metref  E le scuole in cui sono chi le sorveglia? L’esercito regolare o gli altri?

 

Hamed  Non pensare che l’esercito libero è meglio dell’esercito di Assad. Le due parti usano la popolazione civile come scudo.

 

Karim Metref  Non ti preoccupare. Non ho questa idea. Io non credo che possa nascere un movimento pulito finanziato da soldi sporchi.

 

Hamed

 

Ok. Per il momento nel campo ci sono dei comitati popolari che assicurano la protezione

 

Karim Metref  Armati?

 

Hamed  Certo, armati!

C’è nel campo circa 200.000 civili siriani che si sono rifugiati. Perchè nei primi giorni di Ramadhan l’esercito libero è entrato nel campo. La gente non ha voluto scontrarsi con loro. Loro hanno
sfruttato questa neutralità e hanno cominciato a sparare dalle case civili sulle forze regolari.

L’esercito a cominciato ha risposto al fuoco con bombardamenti.

 

Karim Metref  Ho capito

 

Hamed  Uno più bastardo dell’altro. Capisci.

 

Karim Metref  Certo.

 

Hamed  E poi sono portatori di una ideologia salafista wahhabista.

 

 Karim Metref  E i comitati popolari nel campo sono misti o solo palestinesi?

 

Hamed  No, sono palestinesi dei movimenti di sinistra (tipo FPLP, FDLP) e liberali (Fattah). Come sai al Yarmouk c’è una forte resistenza contro l’integralismo.

 

Karim Metref  Lo so lo so. Ma questo potrebbe portare a scontri con l’esercito libero?

 

Hamed  C’è stato un poì’ di scontro ma non importante. Per ora né l’esercito libero vuole scontrarsi con loro né loro con l’esercito libero. Vogliono solo far arrivare il
messaggio che è vietato usare i quartieri abitati come base d’attacco. Perché poi l’esercito regolare si vendica dalla popolazione civile senza pietà. Ti è chiaro?

 

Karim Metref  Chiaro.

 

Hamed  La situazione più difficile in Siria è quella della sinistra.

 

Karim Metref  Lo so.

 

Hamed  Perché i due campi attaccano senza pietà. Io sono ricercato da tutti e due.

 

Karim Metref  Ti avevo raccontato che noi in Algeria abbiamo vissuto la stessa cosa. Non con la stessa violenza. Ma eravamo anche noi tra due fuochi. Di qua criminali di là
peggio.

 

Hamed  Abbiamo due flagelli: di qua il nazionalismo arabo e di là l’islamismo.

 

Karim Metref  Ma l’esercito libero, perchè ce l’ha con te?

 

Hamed  Non c’è nessun esercito libero. Ci sono gruppi armati disseminati sul territorio. E ognuno di loro è uno stato a parte.

 

Karim Metref  Ok

 

Hamed  Il legame tra loro è il radicalismo religioso e l’odio del regime perchp non in mano ai sunniti. Ma di democrazia e libertà non parla più nessuno.

 

Karim Metref  Certo.

 

Hamed  Io ho deciso di lasciare il paese perchè non ho più un posto. Non voglio scegliere tra l’ingiustizia in nome del nazionalismo e quella in nome dell’integralismo.

 

Karim Metref  Vero.  Ma la città dove sei è tranquilla?

 

Hamed  Non c’è più una città è tutto un rudere.

Per non preoccuparti per me, ti dico che sono circa 5000 persone qua che aspettano di entrare in Turchia. Quindi male condiviso è un male a metà.

 

Karim Metref  E da dove stai scrivendo adesso?

 

Hamed  C’è un ragazzo qua che ha un Laptop e una sim turca. Qui si prende la rete turca.

 

Karim Metref  Ho capito. Per questo riesci a scrivere liberamente.

 

Hamed  Sì. Certo. Però quando ho sparlato dell’esercito libero il ragazzo era lontano. Perchè se leggesse quello che ho detto potrei essere preso per una spia e essere
denunciato a loro.

 

Karim Metref  MA chi controlla quella zona dove sei? L’esercito o l’opposizione?

 

Hamed  Ho l’impressione che l’esercito ha volutamente lasciato questa zona libera. Perché ha delle postazioni molto vicine e può in qualsiasi momento bombardare o attaccare.

Però è come se volessero far vedere al mondo il rapporto tra gli insorti e la turchia.

 

Karim Metref  Ma la mia impressione è che la Turchia, che è più furba, sta usando voi sfollati per cercare di affrettare un intervento militare.

 

Karim Metref  Ci sei ancora?

 

….  dilenzio. 

 

 

 

La chat originale in arabo

 

circa un’ora fa Hamed

مرحبا يا صديقي

 

circa un’ora faKarim Metref

Marhaba Hamed!

 

circa un’ora fa Hamed

كيف الحال

 

circa un’ora faKarim Metref

منيح

و انت كيف مدبر حالك في تركيا؟

 

circa un’ora faHamed

انا حاليا بسورية مبارح رجعونا الاتراك

قال ما في مكان للاقامة

 

circa un’ora faKarim Metref

لااااا

 

circa un’ora faHamed

اي والله

 

circa un’ora faKarim Metref

ليش انت وين كنت؟ في مخيم؟

 

circa un’ora faHamed

بكلس

ما سمحولنا نفوت على المخيم نمنا يومين تحت الشجر

حاليا بمارع

 

56 minuti faKarim Metref

مارع وين؟ على الحدود التركية؟

 

56 minuti faHamed

اي بس بكرة رح اجرب افوت

و على اسطنبول هاي المرة

 

55 minuti faKarim Metref

أوكي.

انشالله تنجح

 

54 minuti faHamed

يا صديقي صار الواحد يتمنى الموت

 

53 minuti faKarim Metref

عندي صديقي تركي عايش هون راح أسأله اذا ممكن يلقالك مساعدة في سطمبول

 

53 minuti faHamed

يا ريت انا عم اغلبك معي

بس انا اسف

 

50 minuti faKarim Metref

الي في يدي و ممكن أعمله ما فيه مشكل

يا ريت كان بيدي أكثر من هيك

 

49 minuti faHamed

شكرا على التعاطف اولا هاد اهم

عن جد احنا تعبنى نفسي اكتر ما يكون مادي

 

48 minuti faKarim Metref

عارف

و عايلتك كلها بخير؟

 

47 minuti faHamed

نعم بس اتهجرو

بتزكر بيت اهلي ؟

راح

 

47 minuti faKarim Metref

نعم

لااااا

وين هجروهم؟

 

46 minuti faHamed

على المدارس

 

46 minuti faKarim Metref

يعني مخيم اليرموك صار ميدان معركة كله؟

 

45 minuti faHamed

نصفو تقريبا

وتجمع المدارس وشارع اليرموك امن حتى الان

لا تفكر انو الجيش الحر احسن من النظام

 

44 minuti faKarim Metref

و المدارس الي هني فيها مين الي يحرسها؟ الجيش و الا الأخرين؟

 

43 minuti faHamed

الطرفين بيستعملو المدنيين دروع بشرية

 

43 minuti faKarim Metref

لا ما عندي ه الفكرة

أنا ما أضن أنه ممكن تقوم حركة نضيفة بمصاري وسخة

 

43 minuti faHamed

حاليا صار في لجان شعبية بالمخيم لمنع الجيش الحر من دخول المخيم

 

42 minuti faKarim Metref

مسلحين؟

 

42 minuti faHamed

حاليا عدد السوريين الي لجأو للمخيم من المناطق المجاورة اكثر من 200 الف

طبعا الجان مسلحة

لانو باول رمضان فات الجيش الحر على المخيم

الشعب ما راد الاشتباك معهم

بس استغلو هالموضوع وصارو يقصفو الجيش النضامي من بين البيوت السكنية

قام الجيش النظامي بالرد على مصادر النيران

 

39 minuti faKarim Metref

فاهم

 

39 minuti faHamed

الطرفين اوسخ من بعض

 

38 minuti faKarim Metref

أكيد

 

38 minuti faHamed

بعدين حاملين عقيدة سلفية وهابية

 

38 minuti faKarim Metref

و اللجان الشعبية في المخيم مختلطة؟

و الا فلسطينيين؟

 

37 minuti faHamed

لا فلسطينية من التنظيمات الشيوعية واليسارية وليبرالية (فتح)ء

في حركة ضد الاسلاميين قوية باليرموك

 

38 minuti faKarim Metref

عارف. هذا ممكن يخلي فيه تشابكات مع الجيش الحر

 

37 minuti faHamed

صار شوية تشابك بس غير جدي الجيش الحر ما بدو يشتبك معهم

ولا هنى يريدو ولكن فصدهم اوصال رسالة انو ممنوع استخدام الاماكن السكنية للهجوم على الجيش النظامي

لانو الجيش النظامي بينتقم من السكان بلا رحمة

وضحت الصورة ؟

 

34 minuti faKarim Metref

فاهم

 

34 minuti faHamed

اصعب وضع بسوريا وضع اليسار

 

34 minuti faKarim Metref

عارف

 

34 minuti faHamed

لانو الطرفين بيهاجمو بلا رحمة

يعني انا تمت ملاحقتي من الطرفين

 

33 minuti faKarim Metref

مش بهاي الشدة بس عشنا نفس الوضع في الجزائر و انت عارف

ما بين نارين

من هون مجرمين و من هون أكثر

 

32 minuti faHamed

يا رجل احنا عنا بلائين الاسلام والقومية العربية

النظام قومي والمعارضة المسلحة اسلامية كما الجزائر

 

32 minuti faKarim Metref

الجيش الحر شو عنده معك؟

 

30 minuti faHamed

مافي شي اسمو الجيش الحر على ارض الواقع

مجموعات متعددة

كل مجموعة دولة

 

30 minuti faKarim Metref

أوكي

 

29 minuti faHamed

جامع بينها التدين وكره النظام لانو نظام غير سني

بس موضوعات الحرية والدولة الديمقراطية ليست ضمن الاهتمامات

 

28 minuti faKarim Metref

أكيد

 

28 minuti faHamed

انا قررت اغادر البلد لانو مالي مكان

شو الفرق بين الظلم لاسباب قومجية او الظلم لاسباب دينية

الظلم بيضل ظلم من اي مكان صدر

 

25 minuti faKarim Metref

صح

المدينة الي أنت فيها هسا

ما فيها حرب؟

 

24 minuti faHamed

ما في مدينة اطلال

انا رح انام تحت شجرة زيتون

عشان ما تزعل علي في هون حوالي الخمسة الاف عم ينتظرو الحكومة التركية حتى تسمح لهم بالدخول

يعني التشارك بالمصيبة بيهون

 

22 minuti faKarim Metref

طب من وين بتكتب هسا؟

أنت في مركز للانترنت؟ و الا وين؟

 

21 minuti faHamed

باللاب توب تبع شاب هون

خط تركي استعارة

هون الشبكة التركية شغالة

 

21 minuti faKarim Metref

اوكي

فهمتك

عشان هيك ممكن تحكي براحتك

 

20 minuti faHamed

اي طبعا

بس لما شتمت الجيش الحر كنت بعيد عنو لانو لو سمعني عم اشتم الجيش الحر بروح فيها بيعتبروني عميل للنظام

 

19 minuti faKarim Metref

هناك, وين انت مين المسيطر؟ المتلحيين و الا الحكومة؟

و الا تركوا كلهم المنطقة؟

 

18 minuti faHamed

انا حاسس انو الجيش النظامي عن قصد تارك النطقة لانو الو قطع عسكرية قريبة

باي وقت بيريد بيقصف وبيداهم

بس يبدو انو النظام حابب يورجي العالم مين المسلحين

ويجيب مشاكل لتركيا

 

14 minuti faKarim Metref

بس تركيا بنت شرموطة أكثر منهم. حاليا بتستعمل اللاجئين للضغط من أجل تدخل عسكري

أضن عشان هيك رجعوكم. قالوا أنه مش قادرين يستقبلوا أكثر و انه لازم خلق منطقة محمية من طرف جيوش الناطو

 

12 minuti faKarim Metref

ألو. حامد.

وينك؟

 

…..

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

meissonierOh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza si sente più diverso che mai.

 

Non sapevo fosse Venerdì. Ero sceso dalle mie montagne per passare i due ultimi giorni nella capitale, prima di ritornare in Italia. Io Algeri non la amo. È una città che non ho mai amato… Ma durante il mese di ramadan la odio francamente. In campagna il mese sacro musulmano cambia poche cose. I ritmi si rallentano un pochino, i prezzi degli alimentari salgono un po’, qualche insolita bancarella di dolciumi fa la sua apparizione… e poi verso fine giornata vedi qualche fumatore in astinenza fare i 100 passi davanti a casa, come un animale in gabbia. E poi basta. Ma in città è tutto esaltato al massimo.

Non sapevo fosse venerdì. Sono arrivato in fine mattinata e mi sono diretto verso il centro città in cerca di qualche regalo per la mia compagna. Guardavo intorno a me senza capire veramente perché la città fosse così calma, così vuota. Tutti i negozi chiusi. “Sarà per il Ramadan. È l’ora della siesta.” pensai tra me e me. Ma non era solo per il ramadan. Era soprattutto perché era l’ora della preghiera del venerdì durante il mese di ramadan. Me ne accorsi quando salendo dall’Avenue Hassiba Benbouali, mi trovai di fronte alla moschea di Meissonier, una bella ex-cattedrale in architettura neogotica sfregiata con estensioni e restauri di pessimo gusto. Stavo guardando e valutando l’entità dei danni superando la moschea e andando oltre quando mi accorsi della situazione dove mi trovavo. Sembrava che tutta la città fosse diretta verso la preghiera. Tutti tranne me. Camminavano trascinando le loro ciabatte sull’asfalto rovente di quel torrido pomeriggio di luglio, con un tappetino sulla spalla e con una faccia da funerale. Non bevono da 8 ore e sanno di avere altre 8 ore davanti. Io invece cammino in senso contrario, zaino sulle spalle, aria da turista, cammino con la testa nelle nuvole mi guardo intorno, ammiro le decorazioni barocche della città… Il mattino ho fatto colazione come al solito. E prima di uscire mi sono scolato mezza bottiglia di succo di albicocche Ngaous.

Io cammino e loro mi vengono incontro, o contro, sento su di me i loro sguardi solitamente inquisitori, incattiviti dalla fame, dalla sete e dalla mancanza di tabacco. “Questa è la storia della mia vita.” pensai, “sempre a remare contro corrente.”

Quella onda contraria che mi veniva addosso, quegli sguardi… mi ricordarono quanto odio il mese di ramadan e perché da quando sono in Italia ho sempre cercato di evitare di trovarmi in Algeria in quel periodo dell’anno.

In Italia odio il periodo di natale, le sue ondate di consumismo sfrenato, i canti sdolcinati, la bontà finta, la carità di circostanza. Ma per fortuna dura poco più di una settimana. In Algeria il ramadan è la stessa cosa, anzi ancora peggio, ma dura un mese.

Arrivo alla stazione della metro e apro un giornale. Un vero bollettino di guerra. Ufficialmente il mese sacro musulmano è un mese di sobrietà e di misericordia. Nella realtà è diventato con la società moderna una vera calamità naturale. L’inflazione sale in freccia e il carovita arriva a picchi irraggiungibili. Ciò nonostante la gente compra di tutto. Il giorno dopo le pattumiere sono piene di cibo. Aumentano le truffe e la vendita di merci avariate. Aumentano le rapine, i furti, le aggressioni. La gente è nervosa allora aumentano le risse, i feriti, i morti.

Le emergenze degli ospedali sono prese d’assalto. Tra quelli che svengono per la sete, per le ipoglicemie e altre anemie e vertigini varie durante il giorno e quelli che la sera sono colpiti da indigestione, iperglicemia, incidenti cardiovascolari a causa del troppo cibo, troppo grasso, troppo zucchero.

Poi ci sono gli incidenti stradali, una vera e propria falcidia. Il nervosismo rende ancora più aggressiva la guida “sportiva” degli algeresi. Ma la vera strage si svolge intorno all’ora della rottura del digiuno. Perché la gente va in giro e si inventa mille cose da fare in fine giornata… “bach ngibu lmaghrib”, per portare il maghrib, il tramonto, si dice da noi. Poi quando si rende conto di essersi allontanata troppo, quella stessa gente guida come pazza, per arrivare giusto giusto con l’appello del muezzin. Ed è lì che succede la strage. Qui c’è la strage del sabato sera, lì abbiamo la strage del maghrib.

Ma la cosa che più disturba chi, come me, non è sensibile alla “magia” del ramadan è l’iperconformismo che si instaura nella società intorno a quel periodo. Non so se funziona uguale ovunque, ma in Algeria puoi fare di tutto: rubare, spacciare, sporcare, inquinare, corrompere e essere corrotto… la gente non ti toglie nemmeno il saluto. Ma se “mangi il ramadan” allora Dio smette di essere misericordioso. .

Mi ricordo tanti anni fa, tornavo dalla Tunisia. Nei Freeshop di Tunisi presi qualche bottiglia di buon Whisky irlandese. All’aeroporto di Algeri un doganiere mi fece aprire i bagagli. All’epoca era pratica sistematica. Vedendo le bottiglie allontanò le mani per non toccarle e mi chiese: “Ma sei algerino?”,

“Sì!”, risposi, io.

“Ma come mai che porti Whisky in pieno ramadan?”

“Ma secondo lei, questi giorni si è fermato il sistema della ‘cippa’? (nome popolare che designa le mazzette)- chiesi abbassando la voce per non farmi sentire dai suoi colleghi.

“No no. Continua, continua.” -rispose, anche lui a bassa voce.

“Ma allora perché non dovrei portare Whisky.”

La sua risposta mi lasciò senza voce. – “Ma insomma… perché è ramadan!”

Del resto sullo stesso giornale lessi che qualche giovane è stato pestato da un gruppo di poliziotti per aver fumato in pubblico. Tre anni fa erano stati arrestati alcune persone in Cabilia, ma siccome la mobilitazione dei difensori delle libertà e della laicità dello stato hanno ricordato ai giudici che nessuna legge algerina punisce una persona per non pratica di una religione o di una altra, furono assolti. Allora i poliziotti adesso fanno la giustizia da sé. Perché il problema del paese non è la corruzione dilagante, la violenza e la disonestà ovunque… è il ramadan. Se tutti lo fanno, o per lo meno fanno finta, tutto andrà per il verso giusto.

Addirittura due anni fa, ero in un kebbab di Via Nizza, una signora marocchina visibilmente praticante del più vecchio mestiere del mondo chiede se può sedersi al mio tavolo. Rispondo di sì in arabo e le faccio spazio. Lei tenta subito di attaccare bottone. Parliamo del più e del meno, poi a un certo momento mi dice: “Meno male che ramadan è alle porte.”

“Io di ramadan non me ne frega proprio niente.” dico io, credendo di trovare in lei una potenziale alleata.

“Ma come? Non fai ramadan, tu?” mi chiese lei, con faccia inorridita.

“No”-rispondo- “non starai per farmi la morale, tu? Voglio dire…”

“Cosa io? Io ho avuto problemi nella mia vita è per questo che faccio quello che faccio. Ma sono una musulmana e il ramadan, io, lo faccio come si deve.” Si alzò e cambiò tavolo.

Ecco perché mi sento a disaggio durante il ramadan, perché lo odio. E perché sono contento quando finisce. Perché quando finisce io, e tutte le persone che la pensano come me, smettiamo di essere peggio di una puttana. (salvo il rispetto per le prostitute).

 

Felice Aid ai credenti-praticanti e ai praticanti-noncredenti 

Felice ritorno alla normalità ai non credenti e ai non praticanti

Un fine ramadan da miscredente

meissonierOh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza si sente più diverso che mai.

 

Non sapevo fosse Venerdì. Ero sceso dalle mie montagne per passare i due ultimi giorni nella capitale, prima di ritornare in Italia. Io Algeri non la amo. È una città che non ho mai amato… Ma durante il mese di ramadan la odio francamente. In campagna il mese sacro musulmano cambia poche cose. I ritmi si rallentano un pochino, i prezzi degli alimentari salgono un po’, qualche insolita bancarella di dolciumi fa la sua apparizione… e poi verso fine giornata vedi qualche fumatore in astinenza fare i 100 passi davanti a casa, come un animale in gabbia. E poi basta. Ma in città è tutto esaltato al massimo.

Non sapevo fosse venerdì. Sono arrivato in fine mattinata e mi sono diretto verso il centro città in cerca di qualche regalo per la mia compagna. Guardavo intorno a me senza capire veramente perché la città fosse così calma, così vuota. Tutti i negozi chiusi. “Sarà per il Ramadan. È l’ora della siesta.” pensai tra me e me. Ma non era solo per il ramadan. Era soprattutto perché era l’ora della preghiera del venerdì durante il mese di ramadan. Me ne accorsi quando salendo dall’Avenue Hassiba Benbouali, mi trovai di fronte alla moschea di Meissonier, una bella ex-cattedrale in architettura neogotica sfregiata con estensioni e restauri di pessimo gusto. Stavo guardando e valutando l’entità dei danni superando la moschea e andando oltre quando mi accorsi della situazione dove mi trovavo. Sembrava che tutta la città fosse diretta verso la preghiera. Tutti tranne me. Camminavano trascinando le loro ciabatte sull’asfalto rovente di quel torrido pomeriggio di luglio, con un tappetino sulla spalla e con una faccia da funerale. Non bevono da 8 ore e sanno di avere altre 8 ore davanti. Io invece cammino in senso contrario, zaino sulle spalle, aria da turista, cammino con la testa nelle nuvole mi guardo intorno, ammiro le decorazioni barocche della città… Il mattino ho fatto colazione come al solito. E prima di uscire mi sono scolato mezza bottiglia di succo di albicocche Ngaous.

Io cammino e loro mi vengono incontro, o contro, sento su di me i loro sguardi solitamente inquisitori, incattiviti dalla fame, dalla sete e dalla mancanza di tabacco. “Questa è la storia della mia vita.” pensai, “sempre a remare contro corrente.”

Quella onda contraria che mi veniva addosso, quegli sguardi… mi ricordarono quanto odio il mese di ramadan e perché da quando sono in Italia ho sempre cercato di evitare di trovarmi in Algeria in quel periodo dell’anno.

In Italia odio il periodo di natale, le sue ondate di consumismo sfrenato, i canti sdolcinati, la bontà finta, la carità di circostanza. Ma per fortuna dura poco più di una settimana. In Algeria il ramadan è la stessa cosa, anzi ancora peggio, ma dura un mese.

Arrivo alla stazione della metro e apro un giornale. Un vero bollettino di guerra. Ufficialmente il mese sacro musulmano è un mese di sobrietà e di misericordia. Nella realtà è diventato con la società moderna una vera calamità naturale. L’inflazione sale in freccia e il carovita arriva a picchi irraggiungibili. Ciò nonostante la gente compra di tutto. Il giorno dopo le pattumiere sono piene di cibo. Aumentano le truffe e la vendita di merci avariate. Aumentano le rapine, i furti, le aggressioni. La gente è nervosa allora aumentano le risse, i feriti, i morti.

Le emergenze degli ospedali sono prese d’assalto. Tra quelli che svengono per la sete, per le ipoglicemie e altre anemie e vertigini varie durante il giorno e quelli che la sera sono colpiti da indigestione, iperglicemia, incidenti cardiovascolari a causa del troppo cibo, troppo grasso, troppo zucchero.

Poi ci sono gli incidenti stradali, una vera e propria falcidia. Il nervosismo rende ancora più aggressiva la guida “sportiva” degli algeresi. Ma la vera strage si svolge intorno all’ora della rottura del digiuno. Perché la gente va in giro e si inventa mille cose da fare in fine giornata… “bach ngibu lmaghrib”, per portare il maghrib, il tramonto, si dice da noi. Poi quando si rende conto di essersi allontanata troppo, quella stessa gente guida come pazza, per arrivare giusto giusto con l’appello del muezzin. Ed è lì che succede la strage. Qui c’è la strage del sabato sera, lì abbiamo la strage del maghrib.

Ma la cosa che più disturba chi, come me, non è sensibile alla “magia” del ramadan è l’iperconformismo che si instaura nella società intorno a quel periodo. Non so se funziona uguale ovunque, ma in Algeria puoi fare di tutto: rubare, spacciare, sporcare, inquinare, corrompere e essere corrotto… la gente non ti toglie nemmeno il saluto. Ma se “mangi il ramadan” allora Dio smette di essere misericordioso. .

Mi ricordo tanti anni fa, tornavo dalla Tunisia. Nei Freeshop di Tunisi presi qualche bottiglia di buon Whisky irlandese. All’aeroporto di Algeri un doganiere mi fece aprire i bagagli. All’epoca era pratica sistematica. Vedendo le bottiglie allontanò le mani per non toccarle e mi chiese: “Ma sei algerino?”,

“Sì!”, risposi, io.

“Ma come mai che porti Whisky in pieno ramadan?”

“Ma secondo lei, questi giorni si è fermato il sistema della ‘cippa’? (nome popolare che designa le mazzette)- chiesi abbassando la voce per non farmi sentire dai suoi colleghi.

“No no. Continua, continua.” -rispose, anche lui a bassa voce.

“Ma allora perché non dovrei portare Whisky.”

La sua risposta mi lasciò senza voce. – “Ma insomma… perché è ramadan!”

Del resto sullo stesso giornale lessi che qualche giovane è stato pestato da un gruppo di poliziotti per aver fumato in pubblico. Tre anni fa erano stati arrestati alcune persone in Cabilia, ma siccome la mobilitazione dei difensori delle libertà e della laicità dello stato hanno ricordato ai giudici che nessuna legge algerina punisce una persona per non pratica di una religione o di una altra, furono assolti. Allora i poliziotti adesso fanno la giustizia da sé. Perché il problema del paese non è la corruzione dilagante, la violenza e la disonestà ovunque… è il ramadan. Se tutti lo fanno, o per lo meno fanno finta, tutto andrà per il verso giusto.

Addirittura due anni fa, ero in un kebbab di Via Nizza, una signora marocchina visibilmente praticante del più vecchio mestiere del mondo chiede se può sedersi al mio tavolo. Rispondo di sì in arabo e le faccio spazio. Lei tenta subito di attaccare bottone. Parliamo del più e del meno, poi a un certo momento mi dice: “Meno male che ramadan è alle porte.”

“Io di ramadan non me ne frega proprio niente.” dico io, credendo di trovare in lei una potenziale alleata.

“Ma come? Non fai ramadan, tu?” mi chiese lei, con faccia inorridita.

“No”-rispondo- “non starai per farmi la morale, tu? Voglio dire…”

“Cosa io? Io ho avuto problemi nella mia vita è per questo che faccio quello che faccio. Ma sono una musulmana e il ramadan, io, lo faccio come si deve.” Si alzò e cambiò tavolo.

Ecco perché mi sento a disaggio durante il ramadan, perché lo odio. E perché sono contento quando finisce. Perché quando finisce io, e tutte le persone che la pensano come me, smettiamo di essere peggio di una puttana. (salvo il rispetto per le prostitute).

 

Felice Aid ai credenti-praticanti e ai praticanti-noncredenti 

Felice ritorno alla normalità ai non credenti e ai non praticanti

E’ nato un nuovo stato Africano? (2° puntata) Interessi regionali e internazionali. Scenari possibili

Questa è la seconda puntata. Clicca qui per leggere la prima parte

 

tuaregL’azione del Mnla ha portato alla presa di tutta la parte del paese che si trova a Nord del fiume Niger. In seguito il Movimento di Liberazione proclamò l’indipendenza. Proclamazione non ancora riconosciuta da nessuno stato sovrano. Pochi giorni dopo quella proclamazione, Alcuni gruppi armati che dichiarano di appartenere direttamente o di essere vicini ad Al Qaeda aumentano l’intensità delle loro azioni e conquistano anche loro una parte del territorio.

Anche se i media internazionali hanno spesso fatto l’amalgama, bisogna fare la parte delle cose però. Un conto è Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) un conto sono i ribelli del MNLA.

 

 

Il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad è un movimento di liberazione che viene da una lunga storia di lotta per l’indipendenza del popolo tuareg. Questo popolo che è stato macellato dalla divisione coloniale dell’Africa in cinque porzioni spartite tra Algeria, Libia, Niger, Mali e Burkina Faso. I Tuareg hanno sempre avuto una religiosità molto particolare, mai rigida. Le donne Tuareg godono di potere e di libertà come o forse più dei maschi. Probabilmente la società fino al recente incontro con le religioni monoteiste è stata di stampo matriarcale. Il movimento di liberazione Tuareg anche se spesso accusato dai francesi di estremismo religioso, accusa che rivolgevano del resto a tutti i ribelli in Nord Africa, è sempre stata di stampo laico.

Al Qaeda nel Magreb Islamico invece è un elemento estraneo alla terra dei Tuareg e a tutta la zona dello Sahel dove si muove, traffica, combatte e complotta da ormai una decina di anni. L’AQMI è una eredità della guerra civile algerina. I suoi leader storici, Hassan Hettab e Amari Saïfi (Abdel Razak El Para) sono “ex” ufficiali dei reparti di élite dell’esercito algerino. Entrambi arrestati poi liberati (messi sotto controllo giudiziario-dice la giustizia algerina) senza nessuna forma seria di processo. Così sarebbe anche l’attuale leader dell’Aqmi Abdelmalek Droukdal, secondo molte fonti.

L’AQMI non sarebbe altro, secondo la ricercatrice Hélène Claudot-Hawad del CNRS (il sito delll’agenzia Touareg “Tamoust” sul quale è stato pubblicato non funziona più, leggerne una copia su quest’altro sito), che una invenzione in join-venture algero-statunitense per creare disordini nella zona dello Sahel e giustificarne la militarizzazione.

Secondo elemento importante la prossimità del Sud del Niger, le cui lotte sono storicamente legate a quelle del Sud Mali. E chi dice Sud Niger dice uranio e chi dice uranio in Africa dice Areva, il colosso francese del nucleare. E per gli interessi delle sue multinazionali, Parigi ha fomentato più di un golpe e più di un massacro “interetnico”. Uno di più uno di meno non cambierebbe molto nel suo bilancio.

Perché se sopra il Sahel sembra tutta sabbia, dentro le sue viscere cela tesori enormi ancora tutti da sfruttare.

 

È in questa situazione caotica che accade la separazione del Nord del Mali dalla parte Sud. La proclamazione del nuovo stato dell’Azawad libero non è stata riconosciuta da nessuno. Perché nessuno sa che posizione conviene prendere. Lo stato maliano è in uno stato avanzato di putrefazione. La classe politica è discreditata. I gruppi di militari più corrotti gli uni degli altri si sparano a vista in pieno centro di Bamako, la capitale. I soldati hanno buttato le armi e sono scapati dal nord. In molte città i ribelli sono entrati senza combattimento.

L’altra formazione è quella di “Ansar Eddine” (i partigiani della religione) del mercenario di origine tuareg Iyad Ag Ghali. Un uomo dal passato buio che ha preso parte alla ribellione del 1990 ed era uno dei leader più in vista nella firma degli accordi di Tamanraset. Ma in seguito perse sempre di più contatto con la sua gente e si avvicinò di più dai cerchi del potere maliano e poi dopo aver esercitato la funzione di ambasciatore in Arabia Saudita cominciò la sua deriva integralista con relazioni e finanziamenti da non molto ben identificate reti internazionali.

 

La presenza di questi gruppi integralisti che stanno scatenando l’esasperazione della popolazione locale, con l’adozione di regole assurde che vietano tutto e le conversioni forzate dei cristiani e la distruzione di mausolei e luoghi di culto non conformi alla loro nozione di religiosità… Questa presenza pesante sta minando fortemente l’immagine del MNLA soprattutto che la stampa internazionale non fa niente per spiegare bene le forze in campo. Un amalgama che potrebbe, se sarà necessario giustificare un intervento militare internazionale per salvare l’Azawad dal solito Al Qaeda, nemico in certi casi e alleato in altri.

 

Ma perché l’autonomia dell’Azawad crea così tanto imbarazzo?

Una delle ragioni è dovuta alla situazione dell’Africa. Il continente nero è stato diviso amministrativamente dalle potenze coloniali. Vedendo la divisione con il senno di oggi, si capisce che chi l’ha fatta l’ha proprio pensata come un regalo avvelenato. Le linee rette tracciate con il righello dai geometri degli eserciti francese, inglese, spagnolo, belga e portoghese, e in seguito ufficializzate durante il Congresso di Berlino del 1884-1885, tagliano popolazioni intere e le spartiscono a piccoli gruppi in nazioni che spesso non hanno nessuna base storica.

All’indipendenza dei paesi africani all’inizio degli anni 60′, ci si rese conto di essere in un vero e proprio rompi capo, che se rimesso in causa avrebbe creato disordine e guerre senza fine. Per ciò gli stati africani membri dell’Organizzazione dell’Unità Africana, nel 1964, firmarono un trattato che sancisce l’intangibilità delle frontiere ereditate dal colonialismo.

Questo principio rispettato a lungo, nonostante si sia svelato spesso una specie di gabbia nella quale era difficile trovare soluzioni a certi conflitti detti etnici, è stato a pena superato con la divisione dell’ex più grande nazione africana il Sudan in due nazioni indipendenti Nord-Sudan e Sud-Sudan.

La liberazione dell’Azawad, regione a maggioranza Tuareg e Peul potrebbe portare i Tuareg sparsi sui 4 altri paesi (Niger, Libia, Algeria e Burkina Faso) a voler farne altrettanto.

E inoltre il riconoscimento di una spartizione ottenuta da un movimento di liberazione potrebbe dare fuoco a tutti i movimenti di liberazione presenti sul continente. Per questo la posizione dell’Unione Africana è senza ombra di dubbio a favore di un intervento militare internazionale per ristabilire “ la sovranità nazionale”.

L’MNLA ha provato la via della negoziazione con gli integralisti, “per evitare un conflitto fratricida”, dando l’occasione alle agenzie internazionali di parlare di fusione. Così facendo ha dao prova di grande ingenuità politica. Perché bisogna essere ingenui per pensare di poter negoziare qualcosa di durevole con un movimento indefinibile e incomprensibile come Al Qaeda. La seconda mossa se si conferma è stata un attimo più intelligente. Si è parlato di un incontro informale in cui elementi dell’esercito Maliano, organizzazione della società civile e il Mnla si sarebbero incontrati per risolvere la situazione della presenza degli elementi integralisti sul territorio. Incontro ispirato probabilmente alle manifestazioni sempre più numerose di insofferenza della popolazione nei confronti dei Jihadisti. (vedere sopra la manifestazione di donne a Kidal)

 

Il futuro della zona dipenderà un po’ dalla gestione di questa crisi e molto dalla comunità internazionale. Questa crisi potrebbe portare ad un miglioramento della situazione dei Tuareg e dei popoli del Nord del Sahel, come potrebbe portare ad un ennesima guerra di sterminio.

Per questo è importante restare attenti e seguire quello che succede in Mali, anche quando i riflettori dei media ci invitano a guardare tutti altrove. Non bisogna lasciare i popoli della regione soli in mano ai terroristi, alle spie, ai mercenari e alle multinazionali.

E’ nato un nuovo stato Africano? (2° puntata) Interessi regionali e internazionali. Scenari possibili

Questa è la seconda puntata. Clicca qui per leggere la prima parte

 

tuaregL’azione del Mnla ha portato alla presa di tutta la parte del paese che si trova a Nord del fiume Niger. In seguito il Movimento di Liberazione proclamò l’indipendenza. Proclamazione non ancora riconosciuta da nessuno stato sovrano. Pochi giorni dopo quella proclamazione, Alcuni gruppi armati che dichiarano di appartenere direttamente o di essere vicini ad Al Qaeda aumentano l’intensità delle loro azioni e conquistano anche loro una parte del territorio.

Anche se i media internazionali hanno spesso fatto l’amalgama, bisogna fare la parte delle cose però. Un conto è Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) un conto sono i ribelli del MNLA.

 

 

Il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad è un movimento di liberazione che viene da una lunga storia di lotta per l’indipendenza del popolo tuareg. Questo popolo che è stato macellato dalla divisione coloniale dell’Africa in cinque porzioni spartite tra Algeria, Libia, Niger, Mali e Burkina Faso. I Tuareg hanno sempre avuto una religiosità molto particolare, mai rigida. Le donne Tuareg godono di potere e di libertà come o forse più dei maschi. Probabilmente la società fino al recente incontro con le religioni monoteiste è stata di stampo matriarcale. Il movimento di liberazione Tuareg anche se spesso accusato dai francesi di estremismo religioso, accusa che rivolgevano del resto a tutti i ribelli in Nord Africa, è sempre stata di stampo laico.

Al Qaeda nel Magreb Islamico invece è un elemento estraneo alla terra dei Tuareg e a tutta la zona dello Sahel dove si muove, traffica, combatte e complotta da ormai una decina di anni. L’AQMI è una eredità della guerra civile algerina. I suoi leader storici, Hassan Hettab e Amari Saïfi (Abdel Razak El Para) sono “ex” ufficiali dei reparti di élite dell’esercito algerino. Entrambi arrestati poi liberati (messi sotto controllo giudiziario-dice la giustizia algerina) senza nessuna forma seria di processo. Così sarebbe anche l’attuale leader dell’Aqmi Abdelmalek Droukdal, secondo molte fonti.

L’AQMI non sarebbe altro, secondo la ricercatrice Hélène Claudot-Hawad del CNRS (il sito delll’agenzia Touareg “Tamoust” sul quale è stato pubblicato non funziona più, leggerne una copia su quest’altro sito), che una invenzione in join-venture algero-statunitense per creare disordini nella zona dello Sahel e giustificarne la militarizzazione.

Secondo elemento importante la prossimità del Sud del Niger, le cui lotte sono storicamente legate a quelle del Sud Mali. E chi dice Sud Niger dice uranio e chi dice uranio in Africa dice Areva, il colosso francese del nucleare. E per gli interessi delle sue multinazionali, Parigi ha fomentato più di un golpe e più di un massacro “interetnico”. Uno di più uno di meno non cambierebbe molto nel suo bilancio.

Perché se sopra il Sahel sembra tutta sabbia, dentro le sue viscere cela tesori enormi ancora tutti da sfruttare.

 

È in questa situazione caotica che accade la separazione del Nord del Mali dalla parte Sud. La proclamazione del nuovo stato dell’Azawad libero non è stata riconosciuta da nessuno. Perché nessuno sa che posizione conviene prendere. Lo stato maliano è in uno stato avanzato di putrefazione. La classe politica è discreditata. I gruppi di militari più corrotti gli uni degli altri si sparano a vista in pieno centro di Bamako, la capitale. I soldati hanno buttato le armi e sono scapati dal nord. In molte città i ribelli sono entrati senza combattimento.

L’altra formazione è quella di “Ansar Eddine” (i partigiani della religione) del mercenario di origine tuareg Iyad Ag Ghali. Un uomo dal passato buio che ha preso parte alla ribellione del 1990 ed era uno dei leader più in vista nella firma degli accordi di Tamanraset. Ma in seguito perse sempre di più contatto con la sua gente e si avvicinò di più dai cerchi del potere maliano e poi dopo aver esercitato la funzione di ambasciatore in Arabia Saudita cominciò la sua deriva integralista con relazioni e finanziamenti da non molto ben identificate reti internazionali.

 

La presenza di questi gruppi integralisti che stanno scatenando l’esasperazione della popolazione locale, con l’adozione di regole assurde che vietano tutto e le conversioni forzate dei cristiani e la distruzione di mausolei e luoghi di culto non conformi alla loro nozione di religiosità… Questa presenza pesante sta minando fortemente l’immagine del MNLA soprattutto che la stampa internazionale non fa niente per spiegare bene le forze in campo. Un amalgama che potrebbe, se sarà necessario giustificare un intervento militare internazionale per salvare l’Azawad dal solito Al Qaeda, nemico in certi casi e alleato in altri.

 

Ma perché l’autonomia dell’Azawad crea così tanto imbarazzo?

Una delle ragioni è dovuta alla situazione dell’Africa. Il continente nero è stato diviso amministrativamente dalle potenze coloniali. Vedendo la divisione con il senno di oggi, si capisce che chi l’ha fatta l’ha proprio pensata come un regalo avvelenato. Le linee rette tracciate con il righello dai geometri degli eserciti francese, inglese, spagnolo, belga e portoghese, e in seguito ufficializzate durante il Congresso di Berlino del 1884-1885, tagliano popolazioni intere e le spartiscono a piccoli gruppi in nazioni che spesso non hanno nessuna base storica.

All’indipendenza dei paesi africani all’inizio degli anni 60′, ci si rese conto di essere in un vero e proprio rompi capo, che se rimesso in causa avrebbe creato disordine e guerre senza fine. Per ciò gli stati africani membri dell’Organizzazione dell’Unità Africana, nel 1964, firmarono un trattato che sancisce l’intangibilità delle frontiere ereditate dal colonialismo.

Questo principio rispettato a lungo, nonostante si sia svelato spesso una specie di gabbia nella quale era difficile trovare soluzioni a certi conflitti detti etnici, è stato a pena superato con la divisione dell’ex più grande nazione africana il Sudan in due nazioni indipendenti Nord-Sudan e Sud-Sudan.

La liberazione dell’Azawad, regione a maggioranza Tuareg e Peul potrebbe portare i Tuareg sparsi sui 4 altri paesi (Niger, Libia, Algeria e Burkina Faso) a voler farne altrettanto.

E inoltre il riconoscimento di una spartizione ottenuta da un movimento di liberazione potrebbe dare fuoco a tutti i movimenti di liberazione presenti sul continente. Per questo la posizione dell’Unione Africana è senza ombra di dubbio a favore di un intervento militare internazionale per ristabilire “ la sovranità nazionale”.

L’MNLA ha provato la via della negoziazione con gli integralisti, “per evitare un conflitto fratricida”, dando l’occasione alle agenzie internazionali di parlare di fusione. Così facendo ha dao prova di grande ingenuità politica. Perché bisogna essere ingenui per pensare di poter negoziare qualcosa di durevole con un movimento indefinibile e incomprensibile come Al Qaeda. La seconda mossa se si conferma è stata un attimo più intelligente. Si è parlato di un incontro informale in cui elementi dell’esercito Maliano, organizzazione della società civile e il Mnla si sarebbero incontrati per risolvere la situazione della presenza degli elementi integralisti sul territorio. Incontro ispirato probabilmente alle manifestazioni sempre più numerose di insofferenza della popolazione nei confronti dei Jihadisti. (vedere sopra la manifestazione di donne a Kidal)

 

Il futuro della zona dipenderà un po’ dalla gestione di questa crisi e molto dalla comunità internazionale. Questa crisi potrebbe portare ad un miglioramento della situazione dei Tuareg e dei popoli del Nord del Sahel, come potrebbe portare ad un ennesima guerra di sterminio.

Per questo è importante restare attenti e seguire quello che succede in Mali, anche quando i riflettori dei media ci invitano a guardare tutti altrove. Non bisogna lasciare i popoli della regione soli in mano ai terroristi, alle spie, ai mercenari e alle multinazionali.

Spie e giornalisti. Le ragioni dei silenzi… tutti i silenzi

Foto Saed Saleem ShahzadSulla rivista Internazionale (N. 950 25/30 maggio) è stato ripreso un ormai vecchio articolo del giornalista statunitense Dexter Filkins, vincitore del premio Pulizer 2009. L’articolo di Filkins, una lunga inchiesta sull’uccisione di Sayed Saleem Shahzad, un giornalista pakistano specializzato nelle questioni di sicurezza e terrorismo, era uscito sul New Yorker nel mese di settembre 2011 sotto il titolo THE JOURNALIST AND THE SPIES.

 

Un lungo lavoro d’inchiesta con testimonianze di colleghi, parenti e amici della vittima. Oltre a fonti dei servizi segreti pakistani e statunitensi. Scopriamo in Saleem Shahzad un giornalista freelance che navigava in acque poco sicure, in quella zona grigia dove è difficile distinguere la spia dal criminale e dal terrorista.

Shahzad era andato varie volte nel cuore del Waziristan pakistano, la terra dei talebani e ha intervistato vari esponenti di spicco della guerriglia dei mullah e della così detta rete Al Qaeda. Ha scritto molti pezzi molto imbarazzanti per i servizi segreti e per l’esercito Pakistano. Ma forse l’ha fatto, come si capisce dall’articolo di Filkins, perché era appoggiato da esponenti dello stesso esercito pakistano o di qualche servizio di intelligence straniero. Fatto sta che uno di questi suoi articoli, probabilmente l’ultimo sull’attacco terroristico a una base della marina pachistana, gli è costato la vita.

 

«At other times, like many Pakistani journalists, he seemed to spare the intelligence services from the most damning details in his notebooks.» – scrive Fiilkins. Cioè: “Altre volte, come molti giornalisti pakistani, sembrava sorvolare volutamente sui dettagli più compromettenti per i servizi segreti.”

Notare il tono sottilmente paternalista con il quale il premio Pulizer sottolinea la sottomissione dei giornalisti del paese del terzo mondo nei confronti delle loro autorità. Sottomissione che sicuramente contrasta con la grande libertà dei giornalisti del primo mondo.

Nel suo articolo, Filkins parla, usando spesso informazioni raccolte dallo stesso Shahzad, di collusioni gravi tra l’ISI, i servizi segreti pachistani, e i gruppi armati di matrice islamo-jihadista. Molti dei quali secondo lui sarebbero stati addirittura creati di sana pianta da questi servizi. Cosa nota ai più. Tra questi molti, vi sono anche i Talebani. Anche questa è una cosa nota ai più.

Ma la cosa nota a molta gente anche quelle ma che il signor Filkins non dice mai è che tante volte (troppe) i gruppi armati creati, finanziati, e addestrati dai “pakis” lo erano stati in subapalto per interessi dei servizi britannici e statunitensi.

La cosa più imbarazzante detta nei confronti della Cia è che, forse qualche volta, usa informazioni ottenute con la tortura. Tortura ovviamente praticata da servizi di paesi barbari (amici ma barbari comunque) come il Pakistan e l’Egitto.

 

Ora l’ottimo articolo del signor Filkins , che racconta la sorte riservata a Chahzad dopo il suo pezzo incriminato, ci spiega benissimo perché molti giornalisti pachistani non osano mettere in imbarazzo i servizi segreti del loro paese. Ma non ci dice niente su perché i loro colleghi appartenenti ai paesi anglosassoni osano ancora meno con i servizi dello Zio Sam e quelli della sua graziosissima maestà britannica.

Spie e giornalisti. Le ragioni dei silenzi… tutti i silenzi

Foto Saed Saleem ShahzadSulla rivista Internazionale (N. 950 25/30 maggio) è stato ripreso un ormai vecchio articolo del giornalista statunitense Dexter Filkins, vincitore del premio Pulizer 2009. L’articolo di Filkins, una lunga inchiesta sull’uccisione di Sayed Saleem Shahzad, un giornalista pakistano specializzato nelle questioni di sicurezza e terrorismo, era uscito sul New Yorker nel mese di settembre 2011 sotto il titolo THE JOURNALIST AND THE SPIES.

 

Un lungo lavoro d’inchiesta con testimonianze di colleghi, parenti e amici della vittima. Oltre a fonti dei servizi segreti pakistani e statunitensi. Scopriamo in Saleem Shahzad un giornalista freelance che navigava in acque poco sicure, in quella zona grigia dove è difficile distinguere la spia dal criminale e dal terrorista.

Shahzad era andato varie volte nel cuore del Waziristan pakistano, la terra dei talebani e ha intervistato vari esponenti di spicco della guerriglia dei mullah e della così detta rete Al Qaeda. Ha scritto molti pezzi molto imbarazzanti per i servizi segreti e per l’esercito Pakistano. Ma forse l’ha fatto, come si capisce dall’articolo di Filkins, perché era appoggiato da esponenti dello stesso esercito pakistano o di qualche servizio di intelligence straniero. Fatto sta che uno di questi suoi articoli, probabilmente l’ultimo sull’attacco terroristico a una base della marina pachistana, gli è costato la vita.

 

«At other times, like many Pakistani journalists, he seemed to spare the intelligence services from the most damning details in his notebooks.» – scrive Fiilkins. Cioè: “Altre volte, come molti giornalisti pakistani, sembrava sorvolare volutamente sui dettagli più compromettenti per i servizi segreti.”

Notare il tono sottilmente paternalista con il quale il premio Pulizer sottolinea la sottomissione dei giornalisti del paese del terzo mondo nei confronti delle loro autorità. Sottomissione che sicuramente contrasta con la grande libertà dei giornalisti del primo mondo.

Nel suo articolo, Filkins parla, usando spesso informazioni raccolte dallo stesso Shahzad, di collusioni gravi tra l’ISI, i servizi segreti pachistani, e i gruppi armati di matrice islamo-jihadista. Molti dei quali secondo lui sarebbero stati addirittura creati di sana pianta da questi servizi. Cosa nota ai più. Tra questi molti, vi sono anche i Talebani. Anche questa è una cosa nota ai più.

Ma la cosa nota a molta gente anche quelle ma che il signor Filkins non dice mai è che tante volte (troppe) i gruppi armati creati, finanziati, e addestrati dai “pakis” lo erano stati in subapalto per interessi dei servizi britannici e statunitensi.

La cosa più imbarazzante detta nei confronti della Cia è che, forse qualche volta, usa informazioni ottenute con la tortura. Tortura ovviamente praticata da servizi di paesi barbari (amici ma barbari comunque) come il Pakistan e l’Egitto.

 

Ora l’ottimo articolo del signor Filkins , che racconta la sorte riservata a Chahzad dopo il suo pezzo incriminato, ci spiega benissimo perché molti giornalisti pachistani non osano mettere in imbarazzo i servizi segreti del loro paese. Ma non ci dice niente su perché i loro colleghi appartenenti ai paesi anglosassoni osano ancora meno con i servizi dello Zio Sam e quelli della sua graziosissima maestà britannica.

C.I.E di Milo : Intervista a Khlifa

Ingresso inaspettato all’interno del C.I.E di Milo . Centinaia le denunce fatte dagli ospiti contro le difficili condizioni del luogo.
Una delle testimonianze più dure è di Khlifa, tunisino rinchiuso da mesi nel C.I.E e selvaggiamente picchiato dopo la tentata fuga da un Ospedale di Trapani …

KHLIFA , RACCONTACI COME TI SEI PROCURATO QUESTE LESIONI ? 



KHLIFA 30 ANNI

Dovevo fare una radiografia alla mano destra dolorante da ormai parecchie settimane , chiesi invano per giorni di essere visitato fino a quando non decisero di portarmi in un ospedale di Trapani per una radiografia. Scortato e trasferito con una volante, all’arrivo all’ospedale tentai la fuga . Raggiunsi la strada nei pressi dell’ospedale,  stavo correndo quando una volante m’investi . Una volta a terra mi bloccarono, uno di loro per farmi stare fermo mi bloccò la testa tenendomi per i capelli , per poi  picchiarmi con calci e manganelli sul busto e sulle gambe. Mi misero le manette ai polsi e una volta a bordo della volante che stava facendo ritorno nel C.I.E mi picchiarono di nuovo colpendomi nel torso e nelle parti intime del corpo minacciandomi ” se parli ti finisce male ” . Guarda come sono ridotto, viviamo come dei cani ,ogni volta che protestiamo o tentiamo la fuga , entrano con gli idranti colpendoci con dei getti d’acqua violentissimi….

                                                 LE  LESIONI SUL CORPO DI KHLIFA 

Il racconto di Khlifa viene interrotto da un altro tunisino che ci mostra nervosamente altri lividi dietro il collo del connazionale :

”Ci trattano come dei cani, guarda come lo hanno ridotto , inoltre quattro ore prima che arrivaste pulirono da cima a fondo lo spazio dove adesso ci  troviamo e portarono delle sedie e dei tavoli nuovi all’interno delle stanze,  nascondendo alcuni  migranti con evidenti lividi nel corpo in un altra sezione del C.I.E inaccessibile ai giornalisti , se solo poteste organizzare una visita a sorpresa del centro per  poterne vedere le reali condizioni ”












C.I.E : Centro d’identificazione ed espulsione

C.I.E di Milo : Intervista a Khlifa

Ingresso inaspettato all’interno del C.I.E di Milo . Centinaia le denunce fatte dagli ospiti contro le difficili condizioni del luogo.
Una delle testimonianze più dure è di Khlifa, tunisino rinchiuso da mesi nel C.I.E e selvaggiamente picchiato dopo la tentata fuga da un Ospedale di Trapani …

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KHLIFA 30 ANNI

Dovevo fare una radiografia alla mano destra dolorante da ormai parecchie settimane , chiesi invano per giorni di essere visitato fino a quando non decisero di portarmi in un ospedale di Trapani per una radiografia. Scortato e trasferito con una volante, all’arrivo all’ospedale tentai la fuga . Raggiunsi la strada nei pressi dell’ospedale,  stavo correndo quando una volante m’investi . Una volta a terra mi bloccarono, uno di loro per farmi stare fermo mi bloccò la testa tenendomi per i capelli , per poi  picchiarmi con calci e manganelli sul busto e sulle gambe. Mi misero le manette ai polsi e una volta a bordo della volante che stava facendo ritorno nel C.I.E mi picchiarono di nuovo colpendomi nel torso e nelle parti intime del corpo minacciandomi ” se parli ti finisce male ” . Guarda come sono ridotto, viviamo come dei cani ,ogni volta che protestiamo o tentiamo la fuga , entrano con gli idranti colpendoci con dei getti d’acqua violentissimi….

                                                 LE  LESIONI SUL CORPO DI KHLIFA 

Il racconto di Khlifa viene interrotto da un altro tunisino che ci mostra nervosamente altri lividi dietro il collo del connazionale :

”Ci trattano come dei cani, guarda come lo hanno ridotto , inoltre quattro ore prima che arrivaste pulirono da cima a fondo lo spazio dove adesso ci  troviamo e portarono delle sedie e dei tavoli nuovi all’interno delle stanze,  nascondendo alcuni  migranti con evidenti lividi nel corpo in un altra sezione del C.I.E inaccessibile ai giornalisti , se solo poteste organizzare una visita a sorpresa del centro per  poterne vedere le reali condizioni ”












C.I.E : Centro d’identificazione ed espulsione

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Ingresso inaspettato all’interno del C.I.E di Milo . Centinaia le denunce fatte dagli ospiti contro le difficili condizioni del luogo.
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Dovevo fare una radiografia alla mano destra dolorante da ormai parecchie settimane , chiesi invano per giorni di essere visitato fino a quando non decisero di portarmi in un ospedale di Trapani per una radiografia. Scortato e trasferito con una volante, all’arrivo all’ospedale tentai la fuga . Raggiunsi la strada nei pressi dell’ospedale,  stavo correndo quando una volante m’investi . Una volta a terra mi bloccarono, uno di loro per farmi stare fermo mi bloccò la testa tenendomi per i capelli , per poi  picchiarmi con calci e manganelli sul busto e sulle gambe. Mi misero le manette ai polsi e una volta a bordo della volante che stava facendo ritorno nel C.I.E mi picchiarono di nuovo colpendomi nel torso e nelle parti intime del corpo minacciandomi ” se parli ti finisce male ” . Guarda come sono ridotto, viviamo come dei cani ,ogni volta che protestiamo o tentiamo la fuga , entrano con gli idranti colpendoci con dei getti d’acqua violentissimi….

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Il racconto di Khlifa viene interrotto da un altro tunisino che ci mostra nervosamente altri lividi dietro il collo del connazionale :

”Ci trattano come dei cani, guarda come lo hanno ridotto , inoltre quattro ore prima che arrivaste pulirono da cima a fondo lo spazio dove adesso ci  troviamo e portarono delle sedie e dei tavoli nuovi all’interno delle stanze,  nascondendo alcuni  migranti con evidenti lividi nel corpo in un altra sezione del C.I.E inaccessibile ai giornalisti , se solo poteste organizzare una visita a sorpresa del centro per  poterne vedere le reali condizioni ”












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Dovevo fare una radiografia alla mano destra dolorante da ormai parecchie settimane , chiesi invano per giorni di essere visitato fino a quando non decisero di portarmi in un ospedale di Trapani per una radiografia. Scortato e trasferito con una volante, all’arrivo all’ospedale tentai la fuga . Raggiunsi la strada nei pressi dell’ospedale,  stavo correndo quando una volante m’investi . Una volta a terra mi bloccarono, uno di loro per farmi stare fermo mi bloccò la testa tenendomi per i capelli , per poi  picchiarmi con calci e manganelli sul busto e sulle gambe. Mi misero le manette ai polsi e una volta a bordo della volante che stava facendo ritorno nel C.I.E mi picchiarono di nuovo colpendomi nel torso e nelle parti intime del corpo minacciandomi ” se parli ti finisce male ” . Guarda come sono ridotto, viviamo come dei cani ,ogni volta che protestiamo o tentiamo la fuga , entrano con gli idranti colpendoci con dei getti d’acqua violentissimi….

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”Ci trattano come dei cani, guarda come lo hanno ridotto , inoltre quattro ore prima che arrivaste pulirono da cima a fondo lo spazio dove adesso ci  troviamo e portarono delle sedie e dei tavoli nuovi all’interno delle stanze,  nascondendo alcuni  migranti con evidenti lividi nel corpo in un altra sezione del C.I.E inaccessibile ai giornalisti , se solo poteste organizzare una visita a sorpresa del centro per  poterne vedere le reali condizioni ”












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C.I.E di Milo : Intervista a Khlifa

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Una delle testimonianze più dure è di Khlifa, tunisino rinchiuso da mesi nel C.I.E e selvaggiamente picchiato dopo la tentata fuga da un Ospedale di Trapani …

KHLIFA , RACCONTACI COME TI SEI PROCURATO QUESTE LESIONI ? 



KHLIFA 30 ANNI

Dovevo fare una radiografia alla mano destra dolorante da ormai parecchie settimane , chiesi invano per giorni di essere visitato fino a quando non decisero di portarmi in un ospedale di Trapani per una radiografia. Scortato e trasferito con una volante, all’arrivo all’ospedale tentai la fuga . Raggiunsi la strada nei pressi dell’ospedale,  stavo correndo quando una volante m’investi . Una volta a terra mi bloccarono, uno di loro per farmi stare fermo mi bloccò la testa tenendomi per i capelli , per poi  picchiarmi con calci e manganelli sul busto e sulle gambe. Mi misero le manette ai polsi e una volta a bordo della volante che stava facendo ritorno nel C.I.E mi picchiarono di nuovo colpendomi nel torso e nelle parti intime del corpo minacciandomi ” se parli ti finisce male ” . Guarda come sono ridotto, viviamo come dei cani ,ogni volta che protestiamo o tentiamo la fuga , entrano con gli idranti colpendoci con dei getti d’acqua violentissimi….

                                                 LE  LESIONI SUL CORPO DI KHLIFA 

Il racconto di Khlifa viene interrotto da un altro tunisino che ci mostra nervosamente altri lividi dietro il collo del connazionale :

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C.I.E : Centro d’identificazione ed espulsione

Fratelli Musulmani: l’esistenza precede l’essenza

Le stagioni più fruttuose per il costituzionalismo coincidono sempre con le irruzioni del potere costituente nella storia. Quando si tratta di Fratelli Musulmani, chiunque può essere incuriosito da ciò che…
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MIGRANTI TUNISINI SCOMPARSI : VITTIME DELL’ISLAMOFOBIA

Sedici mesi fa scomparivano 250 giovani tunisini, partiti dalla Tunisia alla ricerca di un futuro migliore, di loro si persero completamente le tracce. Alcuni dei parenti , alla ricerca disperata della verità circa la loro sorte, affermano di possedere le prove certe dell’arrivo del loro caro a Lampedusa, uno di loro è Ahmed Benhassine, fratello del Amine Benhassine,  giovane disperso dal 9 settembre 2010. 



Ahmed Benhassine con in mano la foto del fratello disperso
  Mi chiamo Ahmed Benhassine , fratello di Amine Benhassine. Dovete sapere che prima che prendesse il largo mio fratello fu insistentemente perseguitato dalla Polizia del regime di Ben Ali in quanto musulmano praticante , fu cosi che parti’ all’improvviso senza dirci nulla. Parti’ la notte del 9 settembre 2010 da Bizerta ( nord della Tunisia ) assieme a quattro amici del quartiere, e da allora non sapemmo più nulla di lui e dei suoi compagni di viaggio. Il giorno seguente lo cercammo disperatamente per tutta la città, ma le uniche informazioni che siamo riusciti ad ottenere erano quelle riguardanti il loro orario di partenza, le 22 :00, e le caratteristiche della loro imbarcazione : un barcone di 6 metri dotato di motore fuoribordo, chiedemmo alla polizia tunisina informazioni, ma gli agenti, dopo aver controllato le generalità dei dispersi nei loro computer, al posto di aiutarci ci chiesero minacciosamente dove sia finito mio fratello, fu cosi che la polizia avvio’ le indagini contro mio fratello e i suoi amici, sospettati, come molti loro coetanei musulmani praticanti e assidui frequentatori della moschea , di essere dei terroristi salafiti ”  
 I dispersi , da sx : Amine Benhassine , Mahzoud Taha,
Mohamed Amine Arafa , Mzeh Imed
In balia dei tristi ricordi Ahmed mostra e sbandiera rabbiosamente un foto del fratello
 ” secondo voi questo è il volto di un terrorista ? Mio fratello era un studente modello, era conosciuto in città, era un bravo ragazzo, e come molto giovani della sua età aveva dei sogni , delle ambizioni , e sapeva benissimo che rimanendo in Tunisia di Ben Ali non li poteva raggiungere. Tre giorni dopo la sua partenza il giornale di Sicilia  pubblico’ un articolo circa l’arrivo di un barcone con a bordo 5 ragazzi di nazionalità tunisina che furono trasferiti a Porto Empedocle per l’identificazione. Chiedemmo informazioni di nuovo alla polizia prima e alla guardia costiera tunisina dopo, per confermare la notizia, ma nulla. Aspettammo invano una telefonata da parte dei ragazzi, fino a quando non siamo venuti a sapere che le autorità tunisine avvisarono le autorità italiane dichiarando che i cinque sbarcati a Lampedusa il 10 settembre non erano altro che terroristi islamici in fuga dalla giustizia,. Quasi un anno dopo fui invitato ad unirmi alla delegazione dei familiari dei dispersi , arrivai in Sicilia il Gennaio scorso, e sapevo già dove iniziare la mia ricerca . Il C.I.E di Caltanissetta dove sospetto siano rinchiusi i cinque ragazzi , quando mi recai li parlai con alcuni impiegati tunisini al C.I.E che mi confermarono con molta titubanza e preoccupazione la presenza  all’interno del centro di detenzione di cinque ragazzi tunisini ” appartenenti al 2010” , la stessa informazione mi fu confermata e subito smentita  dal vice console tunisino. Mio fratello è ancora vivo ne sono assolutamente certo, la notizia pubblicata sul giornale di Sicilia ne è la prova più evidente, è impossibile che siano morti, continuerò a cercarlo sino a quando non si dissolverà il mistero”
Immagine prova tratta da un fotogramma del tg5 raffigurante alcuni ” desaparecidos” ,
alcuni parenti , riconosciuto un loro caro , ne hanno il nome in arabo.

  


Nonostante le prove certe ( vedi immagine in alto ) circa  l’arrivo a Lampedusa di alcuni ”desaparecidos ”, rimane ancora irrisolto il caso dei 250 migranti tunisini scomparsi….



MIGRANTI TUNISINI SCOMPARSI : VITTIME DELL’ISLAMOFOBIA

Sedici mesi fa scomparivano 250 giovani tunisini, partiti dalla Tunisia alla ricerca di un futuro migliore, di loro si persero completamente le tracce. Alcuni dei parenti , alla ricerca disperata della verità circa la loro sorte, affermano di possedere le prove certe dell’arrivo del loro caro a Lampedusa, uno di loro è Ahmed Benhassine, fratello del Amine Benhassine,  giovane disperso dal 9 settembre 2010. 



Ahmed Benhassine con in mano la foto del fratello disperso
  Mi chiamo Ahmed Benhassine , fratello di Amine Benhassine. Dovete sapere che prima che prendesse il largo mio fratello fu insistentemente perseguitato dalla Polizia del regime di Ben Ali in quanto musulmano praticante , fu cosi che parti’ all’improvviso senza dirci nulla. Parti’ la notte del 9 settembre 2010 da Bizerta ( nord della Tunisia ) assieme a quattro amici del quartiere, e da allora non sapemmo più nulla di lui e dei suoi compagni di viaggio. Il giorno seguente lo cercammo disperatamente per tutta la città, ma le uniche informazioni che siamo riusciti ad ottenere erano quelle riguardanti il loro orario di partenza, le 22 :00, e le caratteristiche della loro imbarcazione : un barcone di 6 metri dotato di motore fuoribordo, chiedemmo alla polizia tunisina informazioni, ma gli agenti, dopo aver controllato le generalità dei dispersi nei loro computer, al posto di aiutarci ci chiesero minacciosamente dove sia finito mio fratello, fu cosi che la polizia avvio’ le indagini contro mio fratello e i suoi amici, sospettati, come molti loro coetanei musulmani praticanti e assidui frequentatori della moschea , di essere dei terroristi salafiti ”  
 I dispersi , da sx : Amine Benhassine , Mahzoud Taha,
Mohamed Amine Arafa , Mzeh Imed
In balia dei tristi ricordi Ahmed mostra e sbandiera rabbiosamente un foto del fratello
 ” secondo voi questo è il volto di un terrorista ? Mio fratello era un studente modello, era conosciuto in città, era un bravo ragazzo, e come molto giovani della sua età aveva dei sogni , delle ambizioni , e sapeva benissimo che rimanendo in Tunisia di Ben Ali non li poteva raggiungere. Tre giorni dopo la sua partenza il giornale di Sicilia  pubblico’ un articolo circa l’arrivo di un barcone con a bordo 5 ragazzi di nazionalità tunisina che furono trasferiti a Porto Empedocle per l’identificazione. Chiedemmo informazioni di nuovo alla polizia prima e alla guardia costiera tunisina dopo, per confermare la notizia, ma nulla. Aspettammo invano una telefonata da parte dei ragazzi, fino a quando non siamo venuti a sapere che le autorità tunisine avvisarono le autorità italiane dichiarando che i cinque sbarcati a Lampedusa il 10 settembre non erano altro che terroristi islamici in fuga dalla giustizia,. Quasi un anno dopo fui invitato ad unirmi alla delegazione dei familiari dei dispersi , arrivai in Sicilia il Gennaio scorso, e sapevo già dove iniziare la mia ricerca . Il C.I.E di Caltanissetta dove sospetto siano rinchiusi i cinque ragazzi , quando mi recai li parlai con alcuni impiegati tunisini al C.I.E che mi confermarono con molta titubanza e preoccupazione la presenza  all’interno del centro di detenzione di cinque ragazzi tunisini ” appartenenti al 2010” , la stessa informazione mi fu confermata e subito smentita  dal vice console tunisino. Mio fratello è ancora vivo ne sono assolutamente certo, la notizia pubblicata sul giornale di Sicilia ne è la prova più evidente, è impossibile che siano morti, continuerò a cercarlo sino a quando non si dissolverà il mistero”
Immagine prova tratta da un fotogramma del tg5 raffigurante alcuni ” desaparecidos” ,
alcuni parenti , riconosciuto un loro caro , ne hanno il nome in arabo.

  


Nonostante le prove certe ( vedi immagine in alto ) circa  l’arrivo a Lampedusa di alcuni ”desaparecidos ”, rimane ancora irrisolto il caso dei 250 migranti tunisini scomparsi….



MIGRANTI TUNISINI SCOMPARSI : VITTIME DELL’ISLAMOFOBIA

Sedici mesi fa scomparivano 250 giovani tunisini, partiti dalla Tunisia alla ricerca di un futuro migliore, di loro si persero completamente le tracce. Alcuni dei parenti , alla ricerca disperata della verità circa la loro sorte, affermano di possedere le prove certe dell’arrivo del loro caro a Lampedusa, uno di loro è Ahmed Benhassine, fratello del Amine Benhassine,  giovane disperso dal 9 settembre 2010. 



Ahmed Benhassine con in mano la foto del fratello disperso
  Mi chiamo Ahmed Benhassine , fratello di Amine Benhassine. Dovete sapere che prima che prendesse il largo mio fratello fu insistentemente perseguitato dalla Polizia del regime di Ben Ali in quanto musulmano praticante , fu cosi che parti’ all’improvviso senza dirci nulla. Parti’ la notte del 9 settembre 2010 da Bizerta ( nord della Tunisia ) assieme a quattro amici del quartiere, e da allora non sapemmo più nulla di lui e dei suoi compagni di viaggio. Il giorno seguente lo cercammo disperatamente per tutta la città, ma le uniche informazioni che siamo riusciti ad ottenere erano quelle riguardanti il loro orario di partenza, le 22 :00, e le caratteristiche della loro imbarcazione : un barcone di 6 metri dotato di motore fuoribordo, chiedemmo alla polizia tunisina informazioni, ma gli agenti, dopo aver controllato le generalità dei dispersi nei loro computer, al posto di aiutarci ci chiesero minacciosamente dove sia finito mio fratello, fu cosi che la polizia avvio’ le indagini contro mio fratello e i suoi amici, sospettati, come molti loro coetanei musulmani praticanti e assidui frequentatori della moschea , di essere dei terroristi salafiti ”  
 I dispersi , da sx : Amine Benhassine , Mahzoud Taha,
Mohamed Amine Arafa , Mzeh Imed
In balia dei tristi ricordi Ahmed mostra e sbandiera rabbiosamente un foto del fratello
 ” secondo voi questo è il volto di un terrorista ? Mio fratello era un studente modello, era conosciuto in città, era un bravo ragazzo, e come molto giovani della sua età aveva dei sogni , delle ambizioni , e sapeva benissimo che rimanendo in Tunisia di Ben Ali non li poteva raggiungere. Tre giorni dopo la sua partenza il giornale di Sicilia  pubblico’ un articolo circa l’arrivo di un barcone con a bordo 5 ragazzi di nazionalità tunisina che furono trasferiti a Porto Empedocle per l’identificazione. Chiedemmo informazioni di nuovo alla polizia prima e alla guardia costiera tunisina dopo, per confermare la notizia, ma nulla. Aspettammo invano una telefonata da parte dei ragazzi, fino a quando non siamo venuti a sapere che le autorità tunisine avvisarono le autorità italiane dichiarando che i cinque sbarcati a Lampedusa il 10 settembre non erano altro che terroristi islamici in fuga dalla giustizia,. Quasi un anno dopo fui invitato ad unirmi alla delegazione dei familiari dei dispersi , arrivai in Sicilia il Gennaio scorso, e sapevo già dove iniziare la mia ricerca . Il C.I.E di Caltanissetta dove sospetto siano rinchiusi i cinque ragazzi , quando mi recai li parlai con alcuni impiegati tunisini al C.I.E che mi confermarono con molta titubanza e preoccupazione la presenza  all’interno del centro di detenzione di cinque ragazzi tunisini ” appartenenti al 2010” , la stessa informazione mi fu confermata e subito smentita  dal vice console tunisino. Mio fratello è ancora vivo ne sono assolutamente certo, la notizia pubblicata sul giornale di Sicilia ne è la prova più evidente, è impossibile che siano morti, continuerò a cercarlo sino a quando non si dissolverà il mistero”
Immagine prova tratta da un fotogramma del tg5 raffigurante alcuni ” desaparecidos” ,
alcuni parenti , riconosciuto un loro caro , ne hanno il nome in arabo.

  


Nonostante le prove certe ( vedi immagine in alto ) circa  l’arrivo a Lampedusa di alcuni ”desaparecidos ”, rimane ancora irrisolto il caso dei 250 migranti tunisini scomparsi….



MIGRANTI TUNISINI SCOMPARSI : VITTIME DELL’ISLAMOFOBIA

Sedici mesi fa scomparivano 250 giovani tunisini, partiti dalla Tunisia alla ricerca di un futuro migliore, di loro si persero completamente le tracce. Alcuni dei parenti , alla ricerca disperata della verità circa la loro sorte, affermano di possedere le prove certe dell’arrivo del loro caro a Lampedusa, uno di loro è Ahmed Benhassine, fratello del Amine Benhassine,  giovane disperso dal 9 settembre 2010. 



Ahmed Benhassine con in mano la foto del fratello disperso
  Mi chiamo Ahmed Benhassine , fratello di Amine Benhassine. Dovete sapere che prima che prendesse il largo mio fratello fu insistentemente perseguitato dalla Polizia del regime di Ben Ali in quanto musulmano praticante , fu cosi che parti’ all’improvviso senza dirci nulla. Parti’ la notte del 9 settembre 2010 da Bizerta ( nord della Tunisia ) assieme a quattro amici del quartiere, e da allora non sapemmo più nulla di lui e dei suoi compagni di viaggio. Il giorno seguente lo cercammo disperatamente per tutta la città, ma le uniche informazioni che siamo riusciti ad ottenere erano quelle riguardanti il loro orario di partenza, le 22 :00, e le caratteristiche della loro imbarcazione : un barcone di 6 metri dotato di motore fuoribordo, chiedemmo alla polizia tunisina informazioni, ma gli agenti, dopo aver controllato le generalità dei dispersi nei loro computer, al posto di aiutarci ci chiesero minacciosamente dove sia finito mio fratello, fu cosi che la polizia avvio’ le indagini contro mio fratello e i suoi amici, sospettati, come molti loro coetanei musulmani praticanti e assidui frequentatori della moschea , di essere dei terroristi salafiti ”  
 I dispersi , da sx : Amine Benhassine , Mahzoud Taha,
Mohamed Amine Arafa , Mzeh Imed
In balia dei tristi ricordi Ahmed mostra e sbandiera rabbiosamente un foto del fratello
 ” secondo voi questo è il volto di un terrorista ? Mio fratello era un studente modello, era conosciuto in città, era un bravo ragazzo, e come molto giovani della sua età aveva dei sogni , delle ambizioni , e sapeva benissimo che rimanendo in Tunisia di Ben Ali non li poteva raggiungere. Tre giorni dopo la sua partenza il giornale di Sicilia  pubblico’ un articolo circa l’arrivo di un barcone con a bordo 5 ragazzi di nazionalità tunisina che furono trasferiti a Porto Empedocle per l’identificazione. Chiedemmo informazioni di nuovo alla polizia prima e alla guardia costiera tunisina dopo, per confermare la notizia, ma nulla. Aspettammo invano una telefonata da parte dei ragazzi, fino a quando non siamo venuti a sapere che le autorità tunisine avvisarono le autorità italiane dichiarando che i cinque sbarcati a Lampedusa il 10 settembre non erano altro che terroristi islamici in fuga dalla giustizia,. Quasi un anno dopo fui invitato ad unirmi alla delegazione dei familiari dei dispersi , arrivai in Sicilia il Gennaio scorso, e sapevo già dove iniziare la mia ricerca . Il C.I.E di Caltanissetta dove sospetto siano rinchiusi i cinque ragazzi , quando mi recai li parlai con alcuni impiegati tunisini al C.I.E che mi confermarono con molta titubanza e preoccupazione la presenza  all’interno del centro di detenzione di cinque ragazzi tunisini ” appartenenti al 2010” , la stessa informazione mi fu confermata e subito smentita  dal vice console tunisino. Mio fratello è ancora vivo ne sono assolutamente certo, la notizia pubblicata sul giornale di Sicilia ne è la prova più evidente, è impossibile che siano morti, continuerò a cercarlo sino a quando non si dissolverà il mistero”
Immagine prova tratta da un fotogramma del tg5 raffigurante alcuni ” desaparecidos” ,
alcuni parenti , riconosciuto un loro caro , ne hanno il nome in arabo.

  


Nonostante le prove certe ( vedi immagine in alto ) circa  l’arrivo a Lampedusa di alcuni ”desaparecidos ”, rimane ancora irrisolto il caso dei 250 migranti tunisini scomparsi….



MIGRANTI TUNISINI SCOMPARSI : VITTIME DELL’ISLAMOFOBIA

Sedici mesi fa scomparivano 250 giovani tunisini, partiti dalla Tunisia alla ricerca di un futuro migliore, di loro si persero completamente le tracce. Alcuni dei parenti , alla ricerca disperata della verità circa la loro sorte, affermano di possedere le prove certe dell’arrivo del loro caro a Lampedusa, uno di loro è Ahmed Benhassine, fratello del Amine Benhassine,  giovane disperso dal 9 settembre 2010. 



Ahmed Benhassine con in mano la foto del fratello disperso
  Mi chiamo Ahmed Benhassine , fratello di Amine Benhassine. Dovete sapere che prima che prendesse il largo mio fratello fu insistentemente perseguitato dalla Polizia del regime di Ben Ali in quanto musulmano praticante , fu cosi che parti’ all’improvviso senza dirci nulla. Parti’ la notte del 9 settembre 2010 da Bizerta ( nord della Tunisia ) assieme a quattro amici del quartiere, e da allora non sapemmo più nulla di lui e dei suoi compagni di viaggio. Il giorno seguente lo cercammo disperatamente per tutta la città, ma le uniche informazioni che siamo riusciti ad ottenere erano quelle riguardanti il loro orario di partenza, le 22 :00, e le caratteristiche della loro imbarcazione : un barcone di 6 metri dotato di motore fuoribordo, chiedemmo alla polizia tunisina informazioni, ma gli agenti, dopo aver controllato le generalità dei dispersi nei loro computer, al posto di aiutarci ci chiesero minacciosamente dove sia finito mio fratello, fu cosi che la polizia avvio’ le indagini contro mio fratello e i suoi amici, sospettati, come molti loro coetanei musulmani praticanti e assidui frequentatori della moschea , di essere dei terroristi salafiti ”  
 I dispersi , da sx : Amine Benhassine , Mahzoud Taha,
Mohamed Amine Arafa , Mzeh Imed
In balia dei tristi ricordi Ahmed mostra e sbandiera rabbiosamente un foto del fratello
 ” secondo voi questo è il volto di un terrorista ? Mio fratello era un studente modello, era conosciuto in città, era un bravo ragazzo, e come molto giovani della sua età aveva dei sogni , delle ambizioni , e sapeva benissimo che rimanendo in Tunisia di Ben Ali non li poteva raggiungere. Tre giorni dopo la sua partenza il giornale di Sicilia  pubblico’ un articolo circa l’arrivo di un barcone con a bordo 5 ragazzi di nazionalità tunisina che furono trasferiti a Porto Empedocle per l’identificazione. Chiedemmo informazioni di nuovo alla polizia prima e alla guardia costiera tunisina dopo, per confermare la notizia, ma nulla. Aspettammo invano una telefonata da parte dei ragazzi, fino a quando non siamo venuti a sapere che le autorità tunisine avvisarono le autorità italiane dichiarando che i cinque sbarcati a Lampedusa il 10 settembre non erano altro che terroristi islamici in fuga dalla giustizia,. Quasi un anno dopo fui invitato ad unirmi alla delegazione dei familiari dei dispersi , arrivai in Sicilia il Gennaio scorso, e sapevo già dove iniziare la mia ricerca . Il C.I.E di Caltanissetta dove sospetto siano rinchiusi i cinque ragazzi , quando mi recai li parlai con alcuni impiegati tunisini al C.I.E che mi confermarono con molta titubanza e preoccupazione la presenza  all’interno del centro di detenzione di cinque ragazzi tunisini ” appartenenti al 2010” , la stessa informazione mi fu confermata e subito smentita  dal vice console tunisino. Mio fratello è ancora vivo ne sono assolutamente certo, la notizia pubblicata sul giornale di Sicilia ne è la prova più evidente, è impossibile che siano morti, continuerò a cercarlo sino a quando non si dissolverà il mistero”
Immagine prova tratta da un fotogramma del tg5 raffigurante alcuni ” desaparecidos” ,
alcuni parenti , riconosciuto un loro caro , ne hanno il nome in arabo.

  


Nonostante le prove certe ( vedi immagine in alto ) circa  l’arrivo a Lampedusa di alcuni ”desaparecidos ”, rimane ancora irrisolto il caso dei 250 migranti tunisini scomparsi….



MIGRANTI TUNISINI SCOMPARSI : VITTIME DELL’ISLAMOFOBIA

Sedici mesi fa scomparivano 250 giovani tunisini, partiti dalla Tunisia alla ricerca di un futuro migliore, di loro si persero completamente le tracce. Alcuni dei parenti , alla ricerca disperata della verità circa la loro sorte, affermano di possedere le prove certe dell’arrivo del loro caro a Lampedusa, uno di loro è Ahmed Benhassine, fratello del Amine Benhassine,  giovane disperso dal 9 settembre 2010. 



Ahmed Benhassine con in mano la foto del fratello disperso
  Mi chiamo Ahmed Benhassine , fratello di Amine Benhassine. Dovete sapere che prima che prendesse il largo mio fratello fu insistentemente perseguitato dalla Polizia del regime di Ben Ali in quanto musulmano praticante , fu cosi che parti’ all’improvviso senza dirci nulla. Parti’ la notte del 9 settembre 2010 da Bizerta ( nord della Tunisia ) assieme a quattro amici del quartiere, e da allora non sapemmo più nulla di lui e dei suoi compagni di viaggio. Il giorno seguente lo cercammo disperatamente per tutta la città, ma le uniche informazioni che siamo riusciti ad ottenere erano quelle riguardanti il loro orario di partenza, le 22 :00, e le caratteristiche della loro imbarcazione : un barcone di 6 metri dotato di motore fuoribordo, chiedemmo alla polizia tunisina informazioni, ma gli agenti, dopo aver controllato le generalità dei dispersi nei loro computer, al posto di aiutarci ci chiesero minacciosamente dove sia finito mio fratello, fu cosi che la polizia avvio’ le indagini contro mio fratello e i suoi amici, sospettati, come molti loro coetanei musulmani praticanti e assidui frequentatori della moschea , di essere dei terroristi salafiti ”  
 I dispersi , da sx : Amine Benhassine , Mahzoud Taha,
Mohamed Amine Arafa , Mzeh Imed
In balia dei tristi ricordi Ahmed mostra e sbandiera rabbiosamente un foto del fratello
 ” secondo voi questo è il volto di un terrorista ? Mio fratello era un studente modello, era conosciuto in città, era un bravo ragazzo, e come molto giovani della sua età aveva dei sogni , delle ambizioni , e sapeva benissimo che rimanendo in Tunisia di Ben Ali non li poteva raggiungere. Tre giorni dopo la sua partenza il giornale di Sicilia  pubblico’ un articolo circa l’arrivo di un barcone con a bordo 5 ragazzi di nazionalità tunisina che furono trasferiti a Porto Empedocle per l’identificazione. Chiedemmo informazioni di nuovo alla polizia prima e alla guardia costiera tunisina dopo, per confermare la notizia, ma nulla. Aspettammo invano una telefonata da parte dei ragazzi, fino a quando non siamo venuti a sapere che le autorità tunisine avvisarono le autorità italiane dichiarando che i cinque sbarcati a Lampedusa il 10 settembre non erano altro che terroristi islamici in fuga dalla giustizia,. Quasi un anno dopo fui invitato ad unirmi alla delegazione dei familiari dei dispersi , arrivai in Sicilia il Gennaio scorso, e sapevo già dove iniziare la mia ricerca . Il C.I.E di Caltanissetta dove sospetto siano rinchiusi i cinque ragazzi , quando mi recai li parlai con alcuni impiegati tunisini al C.I.E che mi confermarono con molta titubanza e preoccupazione la presenza  all’interno del centro di detenzione di cinque ragazzi tunisini ” appartenenti al 2010” , la stessa informazione mi fu confermata e subito smentita  dal vice console tunisino. Mio fratello è ancora vivo ne sono assolutamente certo, la notizia pubblicata sul giornale di Sicilia ne è la prova più evidente, è impossibile che siano morti, continuerò a cercarlo sino a quando non si dissolverà il mistero”
Immagine prova tratta da un fotogramma del tg5 raffigurante alcuni ” desaparecidos” ,
alcuni parenti , riconosciuto un loro caro , ne hanno il nome in arabo.

  


Nonostante le prove certe ( vedi immagine in alto ) circa  l’arrivo a Lampedusa di alcuni ”desaparecidos ”, rimane ancora irrisolto il caso dei 250 migranti tunisini scomparsi….



MIGRANTI TUNISINI SCOMPARSI : VITTIME DELL’ISLAMOFOBIA

Sedici mesi fa scomparivano 250 giovani tunisini, partiti dalla Tunisia alla ricerca di un futuro migliore, di loro si persero completamente le tracce. Alcuni dei parenti , alla ricerca disperata della verità circa la loro sorte, affermano di possedere le prove certe dell’arrivo del loro caro a Lampedusa, uno di loro è Ahmed Benhassine, fratello del Amine Benhassine,  giovane disperso dal 9 settembre 2010. 



Ahmed Benhassine con in mano la foto del fratello disperso
  Mi chiamo Ahmed Benhassine , fratello di Amine Benhassine. Dovete sapere che prima che prendesse il largo mio fratello fu insistentemente perseguitato dalla Polizia del regime di Ben Ali in quanto musulmano praticante , fu cosi che parti’ all’improvviso senza dirci nulla. Parti’ la notte del 9 settembre 2010 da Bizerta ( nord della Tunisia ) assieme a quattro amici del quartiere, e da allora non sapemmo più nulla di lui e dei suoi compagni di viaggio. Il giorno seguente lo cercammo disperatamente per tutta la città, ma le uniche informazioni che siamo riusciti ad ottenere erano quelle riguardanti il loro orario di partenza, le 22 :00, e le caratteristiche della loro imbarcazione : un barcone di 6 metri dotato di motore fuoribordo, chiedemmo alla polizia tunisina informazioni, ma gli agenti, dopo aver controllato le generalità dei dispersi nei loro computer, al posto di aiutarci ci chiesero minacciosamente dove sia finito mio fratello, fu cosi che la polizia avvio’ le indagini contro mio fratello e i suoi amici, sospettati, come molti loro coetanei musulmani praticanti e assidui frequentatori della moschea , di essere dei terroristi salafiti ”  
 I dispersi , da sx : Amine Benhassine , Mahzoud Taha,
Mohamed Amine Arafa , Mzeh Imed
In balia dei tristi ricordi Ahmed mostra e sbandiera rabbiosamente un foto del fratello
 ” secondo voi questo è il volto di un terrorista ? Mio fratello era un studente modello, era conosciuto in città, era un bravo ragazzo, e come molto giovani della sua età aveva dei sogni , delle ambizioni , e sapeva benissimo che rimanendo in Tunisia di Ben Ali non li poteva raggiungere. Tre giorni dopo la sua partenza il giornale di Sicilia  pubblico’ un articolo circa l’arrivo di un barcone con a bordo 5 ragazzi di nazionalità tunisina che furono trasferiti a Porto Empedocle per l’identificazione. Chiedemmo informazioni di nuovo alla polizia prima e alla guardia costiera tunisina dopo, per confermare la notizia, ma nulla. Aspettammo invano una telefonata da parte dei ragazzi, fino a quando non siamo venuti a sapere che le autorità tunisine avvisarono le autorità italiane dichiarando che i cinque sbarcati a Lampedusa il 10 settembre non erano altro che terroristi islamici in fuga dalla giustizia,. Quasi un anno dopo fui invitato ad unirmi alla delegazione dei familiari dei dispersi , arrivai in Sicilia il Gennaio scorso, e sapevo già dove iniziare la mia ricerca . Il C.I.E di Caltanissetta dove sospetto siano rinchiusi i cinque ragazzi , quando mi recai li parlai con alcuni impiegati tunisini al C.I.E che mi confermarono con molta titubanza e preoccupazione la presenza  all’interno del centro di detenzione di cinque ragazzi tunisini ” appartenenti al 2010” , la stessa informazione mi fu confermata e subito smentita  dal vice console tunisino. Mio fratello è ancora vivo ne sono assolutamente certo, la notizia pubblicata sul giornale di Sicilia ne è la prova più evidente, è impossibile che siano morti, continuerò a cercarlo sino a quando non si dissolverà il mistero”
Immagine prova tratta da un fotogramma del tg5 raffigurante alcuni ” desaparecidos” ,
alcuni parenti , riconosciuto un loro caro , ne hanno il nome in arabo.

  


Nonostante le prove certe ( vedi immagine in alto ) circa  l’arrivo a Lampedusa di alcuni ”desaparecidos ”, rimane ancora irrisolto il caso dei 250 migranti tunisini scomparsi….



MIGRANTI TUNISINI SCOMPARSI : VITTIME DELL’ISLAMOFOBIA

Sedici mesi fa scomparivano 250 giovani tunisini, partiti dalla Tunisia alla ricerca di un futuro migliore, di loro si persero completamente le tracce. Alcuni dei parenti , alla ricerca disperata della verità circa la loro sorte, affermano di possedere le prove certe dell’arrivo del loro caro a Lampedusa, uno di loro è Ahmed Benhassine, fratello del Amine Benhassine,  giovane disperso dal 9 settembre 2010. 



Ahmed Benhassine con in mano la foto del fratello disperso
  Mi chiamo Ahmed Benhassine , fratello di Amine Benhassine. Dovete sapere che prima che prendesse il largo mio fratello fu insistentemente perseguitato dalla Polizia del regime di Ben Ali in quanto musulmano praticante , fu cosi che parti’ all’improvviso senza dirci nulla. Parti’ la notte del 9 settembre 2010 da Bizerta ( nord della Tunisia ) assieme a quattro amici del quartiere, e da allora non sapemmo più nulla di lui e dei suoi compagni di viaggio. Il giorno seguente lo cercammo disperatamente per tutta la città, ma le uniche informazioni che siamo riusciti ad ottenere erano quelle riguardanti il loro orario di partenza, le 22 :00, e le caratteristiche della loro imbarcazione : un barcone di 6 metri dotato di motore fuoribordo, chiedemmo alla polizia tunisina informazioni, ma gli agenti, dopo aver controllato le generalità dei dispersi nei loro computer, al posto di aiutarci ci chiesero minacciosamente dove sia finito mio fratello, fu cosi che la polizia avvio’ le indagini contro mio fratello e i suoi amici, sospettati, come molti loro coetanei musulmani praticanti e assidui frequentatori della moschea , di essere dei terroristi salafiti ”  
 I dispersi , da sx : Amine Benhassine , Mahzoud Taha,
Mohamed Amine Arafa , Mzeh Imed
In balia dei tristi ricordi Ahmed mostra e sbandiera rabbiosamente un foto del fratello
 ” secondo voi questo è il volto di un terrorista ? Mio fratello era un studente modello, era conosciuto in città, era un bravo ragazzo, e come molto giovani della sua età aveva dei sogni , delle ambizioni , e sapeva benissimo che rimanendo in Tunisia di Ben Ali non li poteva raggiungere. Tre giorni dopo la sua partenza il giornale di Sicilia  pubblico’ un articolo circa l’arrivo di un barcone con a bordo 5 ragazzi di nazionalità tunisina che furono trasferiti a Porto Empedocle per l’identificazione. Chiedemmo informazioni di nuovo alla polizia prima e alla guardia costiera tunisina dopo, per confermare la notizia, ma nulla. Aspettammo invano una telefonata da parte dei ragazzi, fino a quando non siamo venuti a sapere che le autorità tunisine avvisarono le autorità italiane dichiarando che i cinque sbarcati a Lampedusa il 10 settembre non erano altro che terroristi islamici in fuga dalla giustizia,. Quasi un anno dopo fui invitato ad unirmi alla delegazione dei familiari dei dispersi , arrivai in Sicilia il Gennaio scorso, e sapevo già dove iniziare la mia ricerca . Il C.I.E di Caltanissetta dove sospetto siano rinchiusi i cinque ragazzi , quando mi recai li parlai con alcuni impiegati tunisini al C.I.E che mi confermarono con molta titubanza e preoccupazione la presenza  all’interno del centro di detenzione di cinque ragazzi tunisini ” appartenenti al 2010” , la stessa informazione mi fu confermata e subito smentita  dal vice console tunisino. Mio fratello è ancora vivo ne sono assolutamente certo, la notizia pubblicata sul giornale di Sicilia ne è la prova più evidente, è impossibile che siano morti, continuerò a cercarlo sino a quando non si dissolverà il mistero”
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Elezioni in Algeria.“Sketch sciorba” prima di Ramadhan

elezioni-Algeria.jpg

     Il 10 maggio prossimo, in Algeria si terranno le quinte elezioni legislative “plurali” della giovane storia del paese. L’amministrazione e i politici si preparano per il torneo elettorale che vedrà in lizza 44 partiti e 25.800 candidati per 462 posti da parlamentari. 

Ma il paese pensa ad altro. In un clima teso e forti frustrazioni dovute all’altissimo tasso di disoccupazione e una inflazione record che rende quasi intoccabili molti beni di consumo, l’affluenza rischia di essere bassissima. Quindi le sorprese, che ci saranno sicuramente, saranno dettate dagli accordi dietro le quinte.

 

 

Sketch sciorba elettorale

 

La tv algerina è solita trasmettere durante il mese di Ramadhan, all’ora della rottura del digiuno, delle breve operette comiche. Il piatto nazionale per rompere il digiuno è una minestra molto leggera a base di verdure, erbe aromatiche e piccoli pezzi di carne di agnello, chiamata genericamente sciorba. Da qui il nome popolare di queste operette, gli “sketch Sciorba”. 

Alcuni di questi sketch sono molto popolari e continuano a far ridere la gente molto oltre il mese di Ramadhan. Ma quest’anno la stagione delle sketch è iniziata molto prima della sciorba.

Sono le elezioni elettorali che danno da ridere al popolo algerino alle prese con il rincaro record dei prodotti di prima necessità, le verdure in modo particolare, e le patate sopra tutto. Tra € 1 e € 1, 50 per 1 kilo del popolare tubero di origine andina. Su Facebook spopolano i gruppi di barzellette e parodie sulla penuria di patate. Una delle più popolari è la canzone del videoblogger comico Irban Irban, “We love batata”, sulla musica e le immagini di “We are the world”. 

Altro motivo di barzellette e satira popolare è la prossima gara elettorale. Tutti sanno che chi vincerà è già designato, mentre la scena politica è inondata da 44 partiti politici di cui 23 creati a posta per questa elezione. È una tradizione in Algeria. I servizi hanno sempre creato una marea di partitini ‘usa e getta’ per dare una illusione di pluralità. 

Tra i partiti più anziani stupisce la partecipazione del Fronte delle Forze Socialste (FFS), decano dei partiti dell’opposizione (secondo per data di creazione soltanto al sempre verde FLN, al potere dal 1962), che tradizionalmente ha sempre boicottato queste farse elettorali. La sua presenza nella gara vuol dire che le intenzioni del governo sono diverse dal solito. 

Non si sa che garanzie hanno ricevuto i dirigenti del FFS. Ma una cosa è sicura, il suo leader storico, Hocine Ait Ahmed, è troppo furbo e sperimentato per lasciarsi ingannare facilmente. Dalla loro partecipazione qualcosa avranno in cambio. Forse una parte importante del regime Algerino vuole approfittare delle pressioni della primavera araba per modernizzare un po’ il sistema e, non dico aprire del tutto il campo politico, ma rilasciare un po’ la morsa. 

 

Tra islamisti e dinosauri 

Ma comunque la presenza o meno del FFS da solo credibilità a livello internazionale, non ha un grande peso sulle sorti del paese. Il partito socialista è presente in forza solo in Cabilia e in alcune circoscrizioni della capitale. Il resto del paese si giocherà come al solito tra il Fronte di Liberazione Nazionale(FLN), Il Raduno Nazionale per la Democrazia (RND) i due partiti (il secondo nato da una costola del primo) che si dividono il potere dal 1997 e gli islamisti che si presentano divisi n 7 partiti ma nei quali due sono veramente rappresentativi: Il Movimento per la Società e la Pace (MSP – Ex Hamas) e Al-Adala, La giustizia (ex Ennahda). Entrambe correnti dell’islamismo politico “moderato” da anni presenti nella scena politica senza aver mai ceduto alle sirene del Jihadismo.. L’MSP più liberale e vicino agli ambienti degli affari fa parte della maggioranza al governo da molti anni e h avuto a gestire vari ministeri. 

La partecipazione dell’opposizione tradizionale e la presenza di osservatori internazionali durante le elezioni di cui alcuni rappresentanti dell’Unione Europea, potrebbe indicare che in alto luogo (forse anche internazionale) è stato negoziato il fatto che la coppia FLN/ RND dovrà contare soltanto sulla loro più grande disponibilità di mezzi e la migliore visibilità e copertura mediatica e non sui soliti brogli e falsificazioni. 

Questa vorrà dire che non ci saranno le pressioni e le truffe massive nelle grandi città, nei piccoli centri rurali del paese profondo continuerà, non è facile debellare una tradizione lunga 50 anni. I partiti al potere e le formazioni islamiste si aggiudicheranno la maggioranza assoluta. Gli islamisti del MSP potrebbero anche prendere la maggioranza relativa, come l’hanno sempre presa dal 1997, se non ci fossero stati pesanti brogli. Una delle probabilità è che ci si ritroverà con governo islamista che sarà condizionato però dall’alleanza con i due altri per tenere la maggioranza al parlamento. Un impasto perfetto per arrivare ad una situazione alla marocchina. Mettere gli islamisti a gestire la crisi, la disoccupazione, la corruzione, le ingiustizie sociali e l’assenza di prospettive economiche mentre il potere vero rimane in mano agli stessi. 

I comici Mustafa e Hazim del Teatro Nazionale di Orano, le star assolute delle sketch Sciorba, non avrebbero potuto scrivere una barzelletta migliore. 

 

L’ombra dell’astensione

  Ma la vera incognita di queste elezioni viene dalla partecipazione popolare. Gli Algerini “normali” in molti pensano di non andare a votare. Sui social network si moltiplicano gli appelli al boicottaggio. “Il10 maggio, tutti al mare”, recita la presentazione di un gruppo su Facebook. 

Ai microfoni di France 24 un operaio dice: “Non ho mai votato e non andrò mai a votare fin che non finisce questo film. “ Un film visto e rivisto fino alla nausea. 

Cosa succederà se i centri elettorali rimarranno vuoti e se la partecipazione reale sarà sotto i 20% come è successo nel 2002 (partecipazione ufficiale 42%), con punte in Cabilia e a Algeri di 2%? 

Ci si metterà a ripensare il sistema? Oppure come è successo in altre occasioni si imbastirà un risultato fasullo accertato dagli osservatori internazionali? 

Perché in Algeria c’è troppo petrolio e troppo gas perché la sorte di 35 milioni di persone possa veramente essere importante.

Elezioni in Algeria.“Sketch sciorba” prima di Ramadhan

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     Il 10 maggio prossimo, in Algeria si terranno le quinte elezioni legislative “plurali” della giovane storia del paese. L’amministrazione e i politici si preparano per il torneo elettorale che vedrà in lizza 44 partiti e 25.800 candidati per 462 posti da parlamentari. 

Ma il paese pensa ad altro. In un clima teso e forti frustrazioni dovute all’altissimo tasso di disoccupazione e una inflazione record che rende quasi intoccabili molti beni di consumo, l’affluenza rischia di essere bassissima. Quindi le sorprese, che ci saranno sicuramente, saranno dettate dagli accordi dietro le quinte.

 

 

Sketch sciorba elettorale

 

La tv algerina è solita trasmettere durante il mese di Ramadhan, all’ora della rottura del digiuno, delle breve operette comiche. Il piatto nazionale per rompere il digiuno è una minestra molto leggera a base di verdure, erbe aromatiche e piccoli pezzi di carne di agnello, chiamata genericamente sciorba. Da qui il nome popolare di queste operette, gli “sketch Sciorba”. 

Alcuni di questi sketch sono molto popolari e continuano a far ridere la gente molto oltre il mese di Ramadhan. Ma quest’anno la stagione delle sketch è iniziata molto prima della sciorba.

Sono le elezioni elettorali che danno da ridere al popolo algerino alle prese con il rincaro record dei prodotti di prima necessità, le verdure in modo particolare, e le patate sopra tutto. Tra € 1 e € 1, 50 per 1 kilo del popolare tubero di origine andina. Su Facebook spopolano i gruppi di barzellette e parodie sulla penuria di patate. Una delle più popolari è la canzone del videoblogger comico Irban Irban, “We love batata”, sulla musica e le immagini di “We are the world”. 

Altro motivo di barzellette e satira popolare è la prossima gara elettorale. Tutti sanno che chi vincerà è già designato, mentre la scena politica è inondata da 44 partiti politici di cui 23 creati a posta per questa elezione. È una tradizione in Algeria. I servizi hanno sempre creato una marea di partitini ‘usa e getta’ per dare una illusione di pluralità. 

Tra i partiti più anziani stupisce la partecipazione del Fronte delle Forze Socialste (FFS), decano dei partiti dell’opposizione (secondo per data di creazione soltanto al sempre verde FLN, al potere dal 1962), che tradizionalmente ha sempre boicottato queste farse elettorali. La sua presenza nella gara vuol dire che le intenzioni del governo sono diverse dal solito. 

Non si sa che garanzie hanno ricevuto i dirigenti del FFS. Ma una cosa è sicura, il suo leader storico, Hocine Ait Ahmed, è troppo furbo e sperimentato per lasciarsi ingannare facilmente. Dalla loro partecipazione qualcosa avranno in cambio. Forse una parte importante del regime Algerino vuole approfittare delle pressioni della primavera araba per modernizzare un po’ il sistema e, non dico aprire del tutto il campo politico, ma rilasciare un po’ la morsa. 

 

Tra islamisti e dinosauri 

Ma comunque la presenza o meno del FFS da solo credibilità a livello internazionale, non ha un grande peso sulle sorti del paese. Il partito socialista è presente in forza solo in Cabilia e in alcune circoscrizioni della capitale. Il resto del paese si giocherà come al solito tra il Fronte di Liberazione Nazionale(FLN), Il Raduno Nazionale per la Democrazia (RND) i due partiti (il secondo nato da una costola del primo) che si dividono il potere dal 1997 e gli islamisti che si presentano divisi n 7 partiti ma nei quali due sono veramente rappresentativi: Il Movimento per la Società e la Pace (MSP – Ex Hamas) e Al-Adala, La giustizia (ex Ennahda). Entrambe correnti dell’islamismo politico “moderato” da anni presenti nella scena politica senza aver mai ceduto alle sirene del Jihadismo.. L’MSP più liberale e vicino agli ambienti degli affari fa parte della maggioranza al governo da molti anni e h avuto a gestire vari ministeri. 

La partecipazione dell’opposizione tradizionale e la presenza di osservatori internazionali durante le elezioni di cui alcuni rappresentanti dell’Unione Europea, potrebbe indicare che in alto luogo (forse anche internazionale) è stato negoziato il fatto che la coppia FLN/ RND dovrà contare soltanto sulla loro più grande disponibilità di mezzi e la migliore visibilità e copertura mediatica e non sui soliti brogli e falsificazioni. 

Questa vorrà dire che non ci saranno le pressioni e le truffe massive nelle grandi città, nei piccoli centri rurali del paese profondo continuerà, non è facile debellare una tradizione lunga 50 anni. I partiti al potere e le formazioni islamiste si aggiudicheranno la maggioranza assoluta. Gli islamisti del MSP potrebbero anche prendere la maggioranza relativa, come l’hanno sempre presa dal 1997, se non ci fossero stati pesanti brogli. Una delle probabilità è che ci si ritroverà con governo islamista che sarà condizionato però dall’alleanza con i due altri per tenere la maggioranza al parlamento. Un impasto perfetto per arrivare ad una situazione alla marocchina. Mettere gli islamisti a gestire la crisi, la disoccupazione, la corruzione, le ingiustizie sociali e l’assenza di prospettive economiche mentre il potere vero rimane in mano agli stessi. 

I comici Mustafa e Hazim del Teatro Nazionale di Orano, le star assolute delle sketch Sciorba, non avrebbero potuto scrivere una barzelletta migliore. 

 

L’ombra dell’astensione

  Ma la vera incognita di queste elezioni viene dalla partecipazione popolare. Gli Algerini “normali” in molti pensano di non andare a votare. Sui social network si moltiplicano gli appelli al boicottaggio. “Il10 maggio, tutti al mare”, recita la presentazione di un gruppo su Facebook. 

Ai microfoni di France 24 un operaio dice: “Non ho mai votato e non andrò mai a votare fin che non finisce questo film. “ Un film visto e rivisto fino alla nausea. 

Cosa succederà se i centri elettorali rimarranno vuoti e se la partecipazione reale sarà sotto i 20% come è successo nel 2002 (partecipazione ufficiale 42%), con punte in Cabilia e a Algeri di 2%? 

Ci si metterà a ripensare il sistema? Oppure come è successo in altre occasioni si imbastirà un risultato fasullo accertato dagli osservatori internazionali? 

Perché in Algeria c’è troppo petrolio e troppo gas perché la sorte di 35 milioni di persone possa veramente essere importante.

Buco nell’acqua

Nel seguente articolo, sotto previa richiesta dei denuncianti, verranno utilizzati dei nomi fittizi.

C.A.R.A a Salinagrande

Continua la ricerca d’informazioni per fare luce sul mistero dei 250 migranti tunisini scomparsi. Nei giorni scorsi ricevetti una telefonata da Imed Soltani portavoce della delegazione dei gentori dei dispersi a Roma che mi comunicava l’esito del riscontro delle prime 143 impronte digitali di alcuni dispersi . Sempre secondo il portavoce , il ministero dell’interno italiano ha comunicato ad Al Jaziri, segretario di stato del ministero all’immigrazione, l’esito negativo del primo riscontro : non è stata trovata alcuna informazione circa la sorte dei giovani dispersi. In Tunisia una madre disperata si è data fuoco , riporterà gravissime ustioni al collo e al torace. Nel frattempo io ed Eleanor Mortimer , impegnati nel documentario  ” the price of freedom”, ci rechiamo nel C.A.R.A di Salinagrande, gestita dalla cooperativa ” Badia Grande”,  dove intravediamo un gruppo di giovani migranti tunisini fermi di fronte la cancellata del C.A.R.A. Ci avviciniamo , i tunisini, probabilmente grazie ai miei tratti somatici , capiscono di trovarsi di fronte ad un loro connazionale, salutano e si presentano chiedendo che ci faccia un tunisino ben vestito di fronte ad un luogo come il C.A.R.A. Gli spiego la mia attività e comincio con il porgere loro alcune domande circa la loro data d’arrivo a Lampedusa, quasi tutti sono arrivati nei mesi delle ondate migratorie post-rivoluzione, gli mostro le foto di alcuni ragazzi scomparsi, sbarcati nei mesi di marzo, nessuno di loro è stato visto o riconosciuto dai tunisini di Salinagrande, un altro buco nell’acqua , che si va ad aggiungere agli altri flop nella ricerca di questi giovani misteriosamente scomparsi .  Intanto durante le riprese un ragazzo chiede di poter rilasciare  una denuncia circa la malgestione del C.A.R.A. Acettata la loro richiesta i ragazzi si trasformano in un fiume in piena, alcuni di loro dichiarano di essere  stati rimpatriati dalla Francia , nonostante il permesso temporaneo di 6 mesi, un minorenne di Zarzis sbandiera un documento della prefettura di Parigi. Altri come Bilal e Mohamed  sono ritornati spontaneamente in Italia  pur di rinnovare il loro permesso temporaneo scaduto. Ma tutti dichiarano di essere ritornati in Italia dopo aver udito la stessa identica scusa rilasciata dalle varie polizie europee ” torna in Italia che ti verrà rinnovato il permesso temporaneo”  . Ma le critiche e le accuse sono rivolte sopratutto alla cooperativa che gestisce il C.A.R.A ,” BADIA GRANDE”. Molti parlano  ad alta  voce , gesticolano nervosamente indicando più volte con l’indice il C.A.R.A distante pochi metri , accusano  la cooperativa di non saper gestire il C.A.R.A. Più volte pronunciano i nomi di due direttori della cooperativa, i nomi sembrano familiari, sono gli stessi che gestirono assieme alla cooperativa INSIEME il C.I.E.T di Kinisia. Stranamente le loro accuse contro il direttore G.M non mi sorprendono dato che l’anno scorso , in piena distribuzione viveri, il macchiavelico direttore , irritato dalla confusione creatasi nella fila di tunisini di fronte il centro di distribuzione viveri, ordinò agli operatori di sospendere la distribuzione del cibo, lasciano molti tunisini a bocca asciutta.

Interno della casa abbandonata

Denunciano le dure condizioni igieniche delle loro docce ” manca l’acqua calda” grida Bilal ” molti di noi per passare una notte dignitosa da esseri umani scavalcano la cancellata laterale e vanno a dormire in una casa abbandonata.  Durante l’intervista intravedo un auto avvicinarsi alla cancellata del C.A.R.A, è un caporale venuto a prelevare un giovane migrante tunisino, lavorerà nei campi per chissà quante ore per pochi euro. Di seguito Bilal, il giovane tunisino della cittadina del Kram mi chiede di mostrargli la casa abbandonata dove di solito passa la notte. Entriamo e subito veniamo accolti da tre letti con coperte sporche e con attorno barattoli di vetro e scatolette di tonno vuote, la casa è attorniata da spazzatura e pozzanghere.  Dopo il tour guidato della casa abbandonata ci scambiamo i numeri telefonici con la promessa di ritornare per monitorare la difficile situazione……

Non è la prima volta che degli ospiti di un centro d’accoglienza gestito dalla cooperativa ” Badia Grande”  ne denunciano la cattiva gestione . Seguiranno aggiornamenti….





Buco nell’acqua

Nel seguente articolo, sotto previa richiesta dei denuncianti, verranno utilizzati dei nomi fittizi.

C.A.R.A a Salinagrande

Continua la ricerca d’informazioni per fare luce sul mistero dei 250 migranti tunisini scomparsi. Nei giorni scorsi ricevetti una telefonata da Imed Soltani portavoce della delegazione dei gentori dei dispersi a Roma che mi comunicava l’esito del riscontro delle prime 143 impronte digitali di alcuni dispersi . Sempre secondo il portavoce , il ministero dell’interno italiano ha comunicato ad Al Jaziri, segretario di stato del ministero all’immigrazione, l’esito negativo del primo riscontro : non è stata trovata alcuna informazione circa la sorte dei giovani dispersi. In Tunisia una madre disperata si è data fuoco , riporterà gravissime ustioni al collo e al torace. Nel frattempo io ed Eleanor Mortimer , impegnati nel documentario  ” the price of freedom”, ci rechiamo nel C.A.R.A di Salinagrande, gestita dalla cooperativa ” Badia Grande”,  dove intravediamo un gruppo di giovani migranti tunisini fermi di fronte la cancellata del C.A.R.A. Ci avviciniamo , i tunisini, probabilmente grazie ai miei tratti somatici , capiscono di trovarsi di fronte ad un loro connazionale, salutano e si presentano chiedendo che ci faccia un tunisino ben vestito di fronte ad un luogo come il C.A.R.A. Gli spiego la mia attività e comincio con il porgere loro alcune domande circa la loro data d’arrivo a Lampedusa, quasi tutti sono arrivati nei mesi delle ondate migratorie post-rivoluzione, gli mostro le foto di alcuni ragazzi scomparsi, sbarcati nei mesi di marzo, nessuno di loro è stato visto o riconosciuto dai tunisini di Salinagrande, un altro buco nell’acqua , che si va ad aggiungere agli altri flop nella ricerca di questi giovani misteriosamente scomparsi .  Intanto durante le riprese un ragazzo chiede di poter rilasciare  una denuncia circa la malgestione del C.A.R.A. Acettata la loro richiesta i ragazzi si trasformano in un fiume in piena, alcuni di loro dichiarano di essere  stati rimpatriati dalla Francia , nonostante il permesso temporaneo di 6 mesi, un minorenne di Zarzis sbandiera un documento della prefettura di Parigi. Altri come Bilal e Mohamed  sono ritornati spontaneamente in Italia  pur di rinnovare il loro permesso temporaneo scaduto. Ma tutti dichiarano di essere ritornati in Italia dopo aver udito la stessa identica scusa rilasciata dalle varie polizie europee ” torna in Italia che ti verrà rinnovato il permesso temporaneo”  . Ma le critiche e le accuse sono rivolte sopratutto alla cooperativa che gestisce il C.A.R.A ,” BADIA GRANDE”. Molti parlano  ad alta  voce , gesticolano nervosamente indicando più volte con l’indice il C.A.R.A distante pochi metri , accusano  la cooperativa di non saper gestire il C.A.R.A. Più volte pronunciano i nomi di due direttori della cooperativa, i nomi sembrano familiari, sono gli stessi che gestirono assieme alla cooperativa INSIEME il C.I.E.T di Kinisia. Stranamente le loro accuse contro il direttore G.M non mi sorprendono dato che l’anno scorso , in piena distribuzione viveri, il macchiavelico direttore , irritato dalla confusione creatasi nella fila di tunisini di fronte il centro di distribuzione viveri, ordinò agli operatori di sospendere la distribuzione del cibo, lasciano molti tunisini a bocca asciutta.

Interno della casa abbandonata

Denunciano le dure condizioni igieniche delle loro docce ” manca l’acqua calda” grida Bilal ” molti di noi per passare una notte dignitosa da esseri umani scavalcano la cancellata laterale e vanno a dormire in una casa abbandonata.  Durante l’intervista intravedo un auto avvicinarsi alla cancellata del C.A.R.A, è un caporale venuto a prelevare un giovane migrante tunisino, lavorerà nei campi per chissà quante ore per pochi euro. Di seguito Bilal, il giovane tunisino della cittadina del Kram mi chiede di mostrargli la casa abbandonata dove di solito passa la notte. Entriamo e subito veniamo accolti da tre letti con coperte sporche e con attorno barattoli di vetro e scatolette di tonno vuote, la casa è attorniata da spazzatura e pozzanghere.  Dopo il tour guidato della casa abbandonata ci scambiamo i numeri telefonici con la promessa di ritornare per monitorare la difficile situazione……

Non è la prima volta che degli ospiti di un centro d’accoglienza gestito dalla cooperativa ” Badia Grande”  ne denunciano la cattiva gestione . Seguiranno aggiornamenti….





Buco nell’acqua

Nel seguente articolo, sotto previa richiesta dei denuncianti, verranno utilizzati dei nomi fittizi.

C.A.R.A a Salinagrande

Continua la ricerca d’informazioni per fare luce sul mistero dei 250 migranti tunisini scomparsi. Nei giorni scorsi ricevetti una telefonata da Imed Soltani portavoce della delegazione dei gentori dei dispersi a Roma che mi comunicava l’esito del riscontro delle prime 143 impronte digitali di alcuni dispersi . Sempre secondo il portavoce , il ministero dell’interno italiano ha comunicato ad Al Jaziri, segretario di stato del ministero all’immigrazione, l’esito negativo del primo riscontro : non è stata trovata alcuna informazione circa la sorte dei giovani dispersi. In Tunisia una madre disperata si è data fuoco , riporterà gravissime ustioni al collo e al torace. Nel frattempo io ed Eleanor Mortimer , impegnati nel documentario  ” the price of freedom”, ci rechiamo nel C.A.R.A di Salinagrande, gestita dalla cooperativa ” Badia Grande”,  dove intravediamo un gruppo di giovani migranti tunisini fermi di fronte la cancellata del C.A.R.A. Ci avviciniamo , i tunisini, probabilmente grazie ai miei tratti somatici , capiscono di trovarsi di fronte ad un loro connazionale, salutano e si presentano chiedendo che ci faccia un tunisino ben vestito di fronte ad un luogo come il C.A.R.A. Gli spiego la mia attività e comincio con il porgere loro alcune domande circa la loro data d’arrivo a Lampedusa, quasi tutti sono arrivati nei mesi delle ondate migratorie post-rivoluzione, gli mostro le foto di alcuni ragazzi scomparsi, sbarcati nei mesi di marzo, nessuno di loro è stato visto o riconosciuto dai tunisini di Salinagrande, un altro buco nell’acqua , che si va ad aggiungere agli altri flop nella ricerca di questi giovani misteriosamente scomparsi .  Intanto durante le riprese un ragazzo chiede di poter rilasciare  una denuncia circa la malgestione del C.A.R.A. Acettata la loro richiesta i ragazzi si trasformano in un fiume in piena, alcuni di loro dichiarano di essere  stati rimpatriati dalla Francia , nonostante il permesso temporaneo di 6 mesi, un minorenne di Zarzis sbandiera un documento della prefettura di Parigi. Altri come Bilal e Mohamed  sono ritornati spontaneamente in Italia  pur di rinnovare il loro permesso temporaneo scaduto. Ma tutti dichiarano di essere ritornati in Italia dopo aver udito la stessa identica scusa rilasciata dalle varie polizie europee ” torna in Italia che ti verrà rinnovato il permesso temporaneo”  . Ma le critiche e le accuse sono rivolte sopratutto alla cooperativa che gestisce il C.A.R.A ,” BADIA GRANDE”. Molti parlano  ad alta  voce , gesticolano nervosamente indicando più volte con l’indice il C.A.R.A distante pochi metri , accusano  la cooperativa di non saper gestire il C.A.R.A. Più volte pronunciano i nomi di due direttori della cooperativa, i nomi sembrano familiari, sono gli stessi che gestirono assieme alla cooperativa INSIEME il C.I.E.T di Kinisia. Stranamente le loro accuse contro il direttore G.M non mi sorprendono dato che l’anno scorso , in piena distribuzione viveri, il macchiavelico direttore , irritato dalla confusione creatasi nella fila di tunisini di fronte il centro di distribuzione viveri, ordinò agli operatori di sospendere la distribuzione del cibo, lasciano molti tunisini a bocca asciutta.

Interno della casa abbandonata

Denunciano le dure condizioni igieniche delle loro docce ” manca l’acqua calda” grida Bilal ” molti di noi per passare una notte dignitosa da esseri umani scavalcano la cancellata laterale e vanno a dormire in una casa abbandonata.  Durante l’intervista intravedo un auto avvicinarsi alla cancellata del C.A.R.A, è un caporale venuto a prelevare un giovane migrante tunisino, lavorerà nei campi per chissà quante ore per pochi euro. Di seguito Bilal, il giovane tunisino della cittadina del Kram mi chiede di mostrargli la casa abbandonata dove di solito passa la notte. Entriamo e subito veniamo accolti da tre letti con coperte sporche e con attorno barattoli di vetro e scatolette di tonno vuote, la casa è attorniata da spazzatura e pozzanghere.  Dopo il tour guidato della casa abbandonata ci scambiamo i numeri telefonici con la promessa di ritornare per monitorare la difficile situazione……

Non è la prima volta che degli ospiti di un centro d’accoglienza gestito dalla cooperativa ” Badia Grande”  ne denunciano la cattiva gestione . Seguiranno aggiornamenti….





Buco nell’acqua

Nel seguente articolo, sotto previa richiesta dei denuncianti, verranno utilizzati dei nomi fittizi.

C.A.R.A a Salinagrande

Continua la ricerca d’informazioni per fare luce sul mistero dei 250 migranti tunisini scomparsi. Nei giorni scorsi ricevetti una telefonata da Imed Soltani portavoce della delegazione dei gentori dei dispersi a Roma che mi comunicava l’esito del riscontro delle prime 143 impronte digitali di alcuni dispersi . Sempre secondo il portavoce , il ministero dell’interno italiano ha comunicato ad Al Jaziri, segretario di stato del ministero all’immigrazione, l’esito negativo del primo riscontro : non è stata trovata alcuna informazione circa la sorte dei giovani dispersi. In Tunisia una madre disperata si è data fuoco , riporterà gravissime ustioni al collo e al torace. Nel frattempo io ed Eleanor Mortimer , impegnati nel documentario  ” the price of freedom”, ci rechiamo nel C.A.R.A di Salinagrande, gestita dalla cooperativa ” Badia Grande”,  dove intravediamo un gruppo di giovani migranti tunisini fermi di fronte la cancellata del C.A.R.A. Ci avviciniamo , i tunisini, probabilmente grazie ai miei tratti somatici , capiscono di trovarsi di fronte ad un loro connazionale, salutano e si presentano chiedendo che ci faccia un tunisino ben vestito di fronte ad un luogo come il C.A.R.A. Gli spiego la mia attività e comincio con il porgere loro alcune domande circa la loro data d’arrivo a Lampedusa, quasi tutti sono arrivati nei mesi delle ondate migratorie post-rivoluzione, gli mostro le foto di alcuni ragazzi scomparsi, sbarcati nei mesi di marzo, nessuno di loro è stato visto o riconosciuto dai tunisini di Salinagrande, un altro buco nell’acqua , che si va ad aggiungere agli altri flop nella ricerca di questi giovani misteriosamente scomparsi .  Intanto durante le riprese un ragazzo chiede di poter rilasciare  una denuncia circa la malgestione del C.A.R.A. Acettata la loro richiesta i ragazzi si trasformano in un fiume in piena, alcuni di loro dichiarano di essere  stati rimpatriati dalla Francia , nonostante il permesso temporaneo di 6 mesi, un minorenne di Zarzis sbandiera un documento della prefettura di Parigi. Altri come Bilal e Mohamed  sono ritornati spontaneamente in Italia  pur di rinnovare il loro permesso temporaneo scaduto. Ma tutti dichiarano di essere ritornati in Italia dopo aver udito la stessa identica scusa rilasciata dalle varie polizie europee ” torna in Italia che ti verrà rinnovato il permesso temporaneo”  . Ma le critiche e le accuse sono rivolte sopratutto alla cooperativa che gestisce il C.A.R.A ,” BADIA GRANDE”. Molti parlano  ad alta  voce , gesticolano nervosamente indicando più volte con l’indice il C.A.R.A distante pochi metri , accusano  la cooperativa di non saper gestire il C.A.R.A. Più volte pronunciano i nomi di due direttori della cooperativa, i nomi sembrano familiari, sono gli stessi che gestirono assieme alla cooperativa INSIEME il C.I.E.T di Kinisia. Stranamente le loro accuse contro il direttore G.M non mi sorprendono dato che l’anno scorso , in piena distribuzione viveri, il macchiavelico direttore , irritato dalla confusione creatasi nella fila di tunisini di fronte il centro di distribuzione viveri, ordinò agli operatori di sospendere la distribuzione del cibo, lasciano molti tunisini a bocca asciutta.

Interno della casa abbandonata

Denunciano le dure condizioni igieniche delle loro docce ” manca l’acqua calda” grida Bilal ” molti di noi per passare una notte dignitosa da esseri umani scavalcano la cancellata laterale e vanno a dormire in una casa abbandonata.  Durante l’intervista intravedo un auto avvicinarsi alla cancellata del C.A.R.A, è un caporale venuto a prelevare un giovane migrante tunisino, lavorerà nei campi per chissà quante ore per pochi euro. Di seguito Bilal, il giovane tunisino della cittadina del Kram mi chiede di mostrargli la casa abbandonata dove di solito passa la notte. Entriamo e subito veniamo accolti da tre letti con coperte sporche e con attorno barattoli di vetro e scatolette di tonno vuote, la casa è attorniata da spazzatura e pozzanghere.  Dopo il tour guidato della casa abbandonata ci scambiamo i numeri telefonici con la promessa di ritornare per monitorare la difficile situazione……

Non è la prima volta che degli ospiti di un centro d’accoglienza gestito dalla cooperativa ” Badia Grande”  ne denunciano la cattiva gestione . Seguiranno aggiornamenti….





Buco nell’acqua

Nel seguente articolo, sotto previa richiesta dei denuncianti, verranno utilizzati dei nomi fittizi.

C.A.R.A a Salinagrande

Continua la ricerca d’informazioni per fare luce sul mistero dei 250 migranti tunisini scomparsi. Nei giorni scorsi ricevetti una telefonata da Imed Soltani portavoce della delegazione dei gentori dei dispersi a Roma che mi comunicava l’esito del riscontro delle prime 143 impronte digitali di alcuni dispersi . Sempre secondo il portavoce , il ministero dell’interno italiano ha comunicato ad Al Jaziri, segretario di stato del ministero all’immigrazione, l’esito negativo del primo riscontro : non è stata trovata alcuna informazione circa la sorte dei giovani dispersi. In Tunisia una madre disperata si è data fuoco , riporterà gravissime ustioni al collo e al torace. Nel frattempo io ed Eleanor Mortimer , impegnati nel documentario  ” the price of freedom”, ci rechiamo nel C.A.R.A di Salinagrande, gestita dalla cooperativa ” Badia Grande”,  dove intravediamo un gruppo di giovani migranti tunisini fermi di fronte la cancellata del C.A.R.A. Ci avviciniamo , i tunisini, probabilmente grazie ai miei tratti somatici , capiscono di trovarsi di fronte ad un loro connazionale, salutano e si presentano chiedendo che ci faccia un tunisino ben vestito di fronte ad un luogo come il C.A.R.A. Gli spiego la mia attività e comincio con il porgere loro alcune domande circa la loro data d’arrivo a Lampedusa, quasi tutti sono arrivati nei mesi delle ondate migratorie post-rivoluzione, gli mostro le foto di alcuni ragazzi scomparsi, sbarcati nei mesi di marzo, nessuno di loro è stato visto o riconosciuto dai tunisini di Salinagrande, un altro buco nell’acqua , che si va ad aggiungere agli altri flop nella ricerca di questi giovani misteriosamente scomparsi .  Intanto durante le riprese un ragazzo chiede di poter rilasciare  una denuncia circa la malgestione del C.A.R.A. Acettata la loro richiesta i ragazzi si trasformano in un fiume in piena, alcuni di loro dichiarano di essere  stati rimpatriati dalla Francia , nonostante il permesso temporaneo di 6 mesi, un minorenne di Zarzis sbandiera un documento della prefettura di Parigi. Altri come Bilal e Mohamed  sono ritornati spontaneamente in Italia  pur di rinnovare il loro permesso temporaneo scaduto. Ma tutti dichiarano di essere ritornati in Italia dopo aver udito la stessa identica scusa rilasciata dalle varie polizie europee ” torna in Italia che ti verrà rinnovato il permesso temporaneo”  . Ma le critiche e le accuse sono rivolte sopratutto alla cooperativa che gestisce il C.A.R.A ,” BADIA GRANDE”. Molti parlano  ad alta  voce , gesticolano nervosamente indicando più volte con l’indice il C.A.R.A distante pochi metri , accusano  la cooperativa di non saper gestire il C.A.R.A. Più volte pronunciano i nomi di due direttori della cooperativa, i nomi sembrano familiari, sono gli stessi che gestirono assieme alla cooperativa INSIEME il C.I.E.T di Kinisia. Stranamente le loro accuse contro il direttore G.M non mi sorprendono dato che l’anno scorso , in piena distribuzione viveri, il macchiavelico direttore , irritato dalla confusione creatasi nella fila di tunisini di fronte il centro di distribuzione viveri, ordinò agli operatori di sospendere la distribuzione del cibo, lasciano molti tunisini a bocca asciutta.

Interno della casa abbandonata

Denunciano le dure condizioni igieniche delle loro docce ” manca l’acqua calda” grida Bilal ” molti di noi per passare una notte dignitosa da esseri umani scavalcano la cancellata laterale e vanno a dormire in una casa abbandonata.  Durante l’intervista intravedo un auto avvicinarsi alla cancellata del C.A.R.A, è un caporale venuto a prelevare un giovane migrante tunisino, lavorerà nei campi per chissà quante ore per pochi euro. Di seguito Bilal, il giovane tunisino della cittadina del Kram mi chiede di mostrargli la casa abbandonata dove di solito passa la notte. Entriamo e subito veniamo accolti da tre letti con coperte sporche e con attorno barattoli di vetro e scatolette di tonno vuote, la casa è attorniata da spazzatura e pozzanghere.  Dopo il tour guidato della casa abbandonata ci scambiamo i numeri telefonici con la promessa di ritornare per monitorare la difficile situazione……

Non è la prima volta che degli ospiti di un centro d’accoglienza gestito dalla cooperativa ” Badia Grande”  ne denunciano la cattiva gestione . Seguiranno aggiornamenti….





Buco nell’acqua

Nel seguente articolo, sotto previa richiesta dei denuncianti, verranno utilizzati dei nomi fittizi.

C.A.R.A a Salinagrande

Continua la ricerca d’informazioni per fare luce sul mistero dei 250 migranti tunisini scomparsi. Nei giorni scorsi ricevetti una telefonata da Imed Soltani portavoce della delegazione dei gentori dei dispersi a Roma che mi comunicava l’esito del riscontro delle prime 143 impronte digitali di alcuni dispersi . Sempre secondo il portavoce , il ministero dell’interno italiano ha comunicato ad Al Jaziri, segretario di stato del ministero all’immigrazione, l’esito negativo del primo riscontro : non è stata trovata alcuna informazione circa la sorte dei giovani dispersi. In Tunisia una madre disperata si è data fuoco , riporterà gravissime ustioni al collo e al torace. Nel frattempo io ed Eleanor Mortimer , impegnati nel documentario  ” the price of freedom”, ci rechiamo nel C.A.R.A di Salinagrande, gestita dalla cooperativa ” Badia Grande”,  dove intravediamo un gruppo di giovani migranti tunisini fermi di fronte la cancellata del C.A.R.A. Ci avviciniamo , i tunisini, probabilmente grazie ai miei tratti somatici , capiscono di trovarsi di fronte ad un loro connazionale, salutano e si presentano chiedendo che ci faccia un tunisino ben vestito di fronte ad un luogo come il C.A.R.A. Gli spiego la mia attività e comincio con il porgere loro alcune domande circa la loro data d’arrivo a Lampedusa, quasi tutti sono arrivati nei mesi delle ondate migratorie post-rivoluzione, gli mostro le foto di alcuni ragazzi scomparsi, sbarcati nei mesi di marzo, nessuno di loro è stato visto o riconosciuto dai tunisini di Salinagrande, un altro buco nell’acqua , che si va ad aggiungere agli altri flop nella ricerca di questi giovani misteriosamente scomparsi .  Intanto durante le riprese un ragazzo chiede di poter rilasciare  una denuncia circa la malgestione del C.A.R.A. Acettata la loro richiesta i ragazzi si trasformano in un fiume in piena, alcuni di loro dichiarano di essere  stati rimpatriati dalla Francia , nonostante il permesso temporaneo di 6 mesi, un minorenne di Zarzis sbandiera un documento della prefettura di Parigi. Altri come Bilal e Mohamed  sono ritornati spontaneamente in Italia  pur di rinnovare il loro permesso temporaneo scaduto. Ma tutti dichiarano di essere ritornati in Italia dopo aver udito la stessa identica scusa rilasciata dalle varie polizie europee ” torna in Italia che ti verrà rinnovato il permesso temporaneo”  . Ma le critiche e le accuse sono rivolte sopratutto alla cooperativa che gestisce il C.A.R.A ,” BADIA GRANDE”. Molti parlano  ad alta  voce , gesticolano nervosamente indicando più volte con l’indice il C.A.R.A distante pochi metri , accusano  la cooperativa di non saper gestire il C.A.R.A. Più volte pronunciano i nomi di due direttori della cooperativa, i nomi sembrano familiari, sono gli stessi che gestirono assieme alla cooperativa INSIEME il C.I.E.T di Kinisia. Stranamente le loro accuse contro il direttore G.M non mi sorprendono dato che l’anno scorso , in piena distribuzione viveri, il macchiavelico direttore , irritato dalla confusione creatasi nella fila di tunisini di fronte il centro di distribuzione viveri, ordinò agli operatori di sospendere la distribuzione del cibo, lasciano molti tunisini a bocca asciutta.

Interno della casa abbandonata

Denunciano le dure condizioni igieniche delle loro docce ” manca l’acqua calda” grida Bilal ” molti di noi per passare una notte dignitosa da esseri umani scavalcano la cancellata laterale e vanno a dormire in una casa abbandonata.  Durante l’intervista intravedo un auto avvicinarsi alla cancellata del C.A.R.A, è un caporale venuto a prelevare un giovane migrante tunisino, lavorerà nei campi per chissà quante ore per pochi euro. Di seguito Bilal, il giovane tunisino della cittadina del Kram mi chiede di mostrargli la casa abbandonata dove di solito passa la notte. Entriamo e subito veniamo accolti da tre letti con coperte sporche e con attorno barattoli di vetro e scatolette di tonno vuote, la casa è attorniata da spazzatura e pozzanghere.  Dopo il tour guidato della casa abbandonata ci scambiamo i numeri telefonici con la promessa di ritornare per monitorare la difficile situazione……

Non è la prima volta che degli ospiti di un centro d’accoglienza gestito dalla cooperativa ” Badia Grande”  ne denunciano la cattiva gestione . Seguiranno aggiornamenti….





Buco nell’acqua

Nel seguente articolo, sotto previa richiesta dei denuncianti, verranno utilizzati dei nomi fittizi.

C.A.R.A a Salinagrande

Continua la ricerca d’informazioni per fare luce sul mistero dei 250 migranti tunisini scomparsi. Nei giorni scorsi ricevetti una telefonata da Imed Soltani portavoce della delegazione dei gentori dei dispersi a Roma che mi comunicava l’esito del riscontro delle prime 143 impronte digitali di alcuni dispersi . Sempre secondo il portavoce , il ministero dell’interno italiano ha comunicato ad Al Jaziri, segretario di stato del ministero all’immigrazione, l’esito negativo del primo riscontro : non è stata trovata alcuna informazione circa la sorte dei giovani dispersi. In Tunisia una madre disperata si è data fuoco , riporterà gravissime ustioni al collo e al torace. Nel frattempo io ed Eleanor Mortimer , impegnati nel documentario  ” the price of freedom”, ci rechiamo nel C.A.R.A di Salinagrande, gestita dalla cooperativa ” Badia Grande”,  dove intravediamo un gruppo di giovani migranti tunisini fermi di fronte la cancellata del C.A.R.A. Ci avviciniamo , i tunisini, probabilmente grazie ai miei tratti somatici , capiscono di trovarsi di fronte ad un loro connazionale, salutano e si presentano chiedendo che ci faccia un tunisino ben vestito di fronte ad un luogo come il C.A.R.A. Gli spiego la mia attività e comincio con il porgere loro alcune domande circa la loro data d’arrivo a Lampedusa, quasi tutti sono arrivati nei mesi delle ondate migratorie post-rivoluzione, gli mostro le foto di alcuni ragazzi scomparsi, sbarcati nei mesi di marzo, nessuno di loro è stato visto o riconosciuto dai tunisini di Salinagrande, un altro buco nell’acqua , che si va ad aggiungere agli altri flop nella ricerca di questi giovani misteriosamente scomparsi .  Intanto durante le riprese un ragazzo chiede di poter rilasciare  una denuncia circa la malgestione del C.A.R.A. Acettata la loro richiesta i ragazzi si trasformano in un fiume in piena, alcuni di loro dichiarano di essere  stati rimpatriati dalla Francia , nonostante il permesso temporaneo di 6 mesi, un minorenne di Zarzis sbandiera un documento della prefettura di Parigi. Altri come Bilal e Mohamed  sono ritornati spontaneamente in Italia  pur di rinnovare il loro permesso temporaneo scaduto. Ma tutti dichiarano di essere ritornati in Italia dopo aver udito la stessa identica scusa rilasciata dalle varie polizie europee ” torna in Italia che ti verrà rinnovato il permesso temporaneo”  . Ma le critiche e le accuse sono rivolte sopratutto alla cooperativa che gestisce il C.A.R.A ,” BADIA GRANDE”. Molti parlano  ad alta  voce , gesticolano nervosamente indicando più volte con l’indice il C.A.R.A distante pochi metri , accusano  la cooperativa di non saper gestire il C.A.R.A. Più volte pronunciano i nomi di due direttori della cooperativa, i nomi sembrano familiari, sono gli stessi che gestirono assieme alla cooperativa INSIEME il C.I.E.T di Kinisia. Stranamente le loro accuse contro il direttore G.M non mi sorprendono dato che l’anno scorso , in piena distribuzione viveri, il macchiavelico direttore , irritato dalla confusione creatasi nella fila di tunisini di fronte il centro di distribuzione viveri, ordinò agli operatori di sospendere la distribuzione del cibo, lasciano molti tunisini a bocca asciutta.

Interno della casa abbandonata

Denunciano le dure condizioni igieniche delle loro docce ” manca l’acqua calda” grida Bilal ” molti di noi per passare una notte dignitosa da esseri umani scavalcano la cancellata laterale e vanno a dormire in una casa abbandonata.  Durante l’intervista intravedo un auto avvicinarsi alla cancellata del C.A.R.A, è un caporale venuto a prelevare un giovane migrante tunisino, lavorerà nei campi per chissà quante ore per pochi euro. Di seguito Bilal, il giovane tunisino della cittadina del Kram mi chiede di mostrargli la casa abbandonata dove di solito passa la notte. Entriamo e subito veniamo accolti da tre letti con coperte sporche e con attorno barattoli di vetro e scatolette di tonno vuote, la casa è attorniata da spazzatura e pozzanghere.  Dopo il tour guidato della casa abbandonata ci scambiamo i numeri telefonici con la promessa di ritornare per monitorare la difficile situazione……

Non è la prima volta che degli ospiti di un centro d’accoglienza gestito dalla cooperativa ” Badia Grande”  ne denunciano la cattiva gestione . Seguiranno aggiornamenti….





Buco nell’acqua

Nel seguente articolo, sotto previa richiesta dei denuncianti, verranno utilizzati dei nomi fittizi.

C.A.R.A a Salinagrande

Continua la ricerca d’informazioni per fare luce sul mistero dei 250 migranti tunisini scomparsi. Nei giorni scorsi ricevetti una telefonata da Imed Soltani portavoce della delegazione dei gentori dei dispersi a Roma che mi comunicava l’esito del riscontro delle prime 143 impronte digitali di alcuni dispersi . Sempre secondo il portavoce , il ministero dell’interno italiano ha comunicato ad Al Jaziri, segretario di stato del ministero all’immigrazione, l’esito negativo del primo riscontro : non è stata trovata alcuna informazione circa la sorte dei giovani dispersi. In Tunisia una madre disperata si è data fuoco , riporterà gravissime ustioni al collo e al torace. Nel frattempo io ed Eleanor Mortimer , impegnati nel documentario  ” the price of freedom”, ci rechiamo nel C.A.R.A di Salinagrande, gestita dalla cooperativa ” Badia Grande”,  dove intravediamo un gruppo di giovani migranti tunisini fermi di fronte la cancellata del C.A.R.A. Ci avviciniamo , i tunisini, probabilmente grazie ai miei tratti somatici , capiscono di trovarsi di fronte ad un loro connazionale, salutano e si presentano chiedendo che ci faccia un tunisino ben vestito di fronte ad un luogo come il C.A.R.A. Gli spiego la mia attività e comincio con il porgere loro alcune domande circa la loro data d’arrivo a Lampedusa, quasi tutti sono arrivati nei mesi delle ondate migratorie post-rivoluzione, gli mostro le foto di alcuni ragazzi scomparsi, sbarcati nei mesi di marzo, nessuno di loro è stato visto o riconosciuto dai tunisini di Salinagrande, un altro buco nell’acqua , che si va ad aggiungere agli altri flop nella ricerca di questi giovani misteriosamente scomparsi .  Intanto durante le riprese un ragazzo chiede di poter rilasciare  una denuncia circa la malgestione del C.A.R.A. Acettata la loro richiesta i ragazzi si trasformano in un fiume in piena, alcuni di loro dichiarano di essere  stati rimpatriati dalla Francia , nonostante il permesso temporaneo di 6 mesi, un minorenne di Zarzis sbandiera un documento della prefettura di Parigi. Altri come Bilal e Mohamed  sono ritornati spontaneamente in Italia  pur di rinnovare il loro permesso temporaneo scaduto. Ma tutti dichiarano di essere ritornati in Italia dopo aver udito la stessa identica scusa rilasciata dalle varie polizie europee ” torna in Italia che ti verrà rinnovato il permesso temporaneo”  . Ma le critiche e le accuse sono rivolte sopratutto alla cooperativa che gestisce il C.A.R.A ,” BADIA GRANDE”. Molti parlano  ad alta  voce , gesticolano nervosamente indicando più volte con l’indice il C.A.R.A distante pochi metri , accusano  la cooperativa di non saper gestire il C.A.R.A. Più volte pronunciano i nomi di due direttori della cooperativa, i nomi sembrano familiari, sono gli stessi che gestirono assieme alla cooperativa INSIEME il C.I.E.T di Kinisia. Stranamente le loro accuse contro il direttore G.M non mi sorprendono dato che l’anno scorso , in piena distribuzione viveri, il macchiavelico direttore , irritato dalla confusione creatasi nella fila di tunisini di fronte il centro di distribuzione viveri, ordinò agli operatori di sospendere la distribuzione del cibo, lasciano molti tunisini a bocca asciutta.

Interno della casa abbandonata

Denunciano le dure condizioni igieniche delle loro docce ” manca l’acqua calda” grida Bilal ” molti di noi per passare una notte dignitosa da esseri umani scavalcano la cancellata laterale e vanno a dormire in una casa abbandonata.  Durante l’intervista intravedo un auto avvicinarsi alla cancellata del C.A.R.A, è un caporale venuto a prelevare un giovane migrante tunisino, lavorerà nei campi per chissà quante ore per pochi euro. Di seguito Bilal, il giovane tunisino della cittadina del Kram mi chiede di mostrargli la casa abbandonata dove di solito passa la notte. Entriamo e subito veniamo accolti da tre letti con coperte sporche e con attorno barattoli di vetro e scatolette di tonno vuote, la casa è attorniata da spazzatura e pozzanghere.  Dopo il tour guidato della casa abbandonata ci scambiamo i numeri telefonici con la promessa di ritornare per monitorare la difficile situazione……

Non è la prima volta che degli ospiti di un centro d’accoglienza gestito dalla cooperativa ” Badia Grande”  ne denunciano la cattiva gestione . Seguiranno aggiornamenti….





Ahmed Benbella: morte di una icona dimenticata

Benbella.jpgIn questi giorni è morto all’età di 96 anni Ahmed Ben Bella, il primo presidente della Repubblica Democratica e Popolare Algerina. Ben Bella, per tutta una generazione di Italiani è una icona assoluta. Simbolo della vittoria dei popoli contro il colonialismo. Invece è morto dimenticato da tutti, sia in patria che all’estero.

 

L’icona di una generazione

 

C’è tutta una generazione di over 50 italiani, di sinistra, per la quale la sola parola Algeria fa brillare gli occhi. Quanti ricordi, quanti ricordi! La vittoria del bene sul male. Il trionfo di una rivoluzione popolare sull’imperialismo. Il film di Pontecorvo, le esperienze di autogestione dell’industria e dell’agricoltura, il paese che per più di 15 anni diventa meta di tutti i rivoluzionari del mondo: Che Guevara, Fidel Castro, Ho Chi Minh, Malcolm X, le Black Panters che si ribellano in un carcere di alta sicurezza, sequestrano le guardie e chiedono un aereo per andare… a Algeri, Nelson Mandella, Il festival Panafricano dove ci sono tutti i movimenti di liberazione dell’Africa, tutte le, allora giovani, star della rinascita musicale africana, C’è il più grande tra tutti: the president, Fela Kuti, c’è un giovanissimo Manu Di Bango con il suo già potente sax…e c’è anche Miriam Makeba che canta sulla piazza principale di Algeri, Mamma Africa e Patipata… Gli occhi si inumidiscono, fissano immagini che sembrano riemergere dalla nebbia del tempo… che bello, che bello! E poi? E poi niente! L’Algeria è scomparsa. Il paese ha avuto altre gatte da pelare e il mondo pure.

 

Una domanda imbarazzante

 

Dopo queste rievocazioni, una domanda sorge quasi sempre, spontanea:

– Che fine ha fatto quello lì… l’ex presidente, Ben Bella?

– Vive in esilio da molti anni ormai. – rispondo io, cercando già di guardare altrove.

– Ma è ancora popolare in Algeria? Cosa ne pensi?

E lì… inevitabilmente mi trovo in difficoltà…

– Mah… sa, ormai sono passati molti anni. I giovani non sanno nemmeno chi è. Invece quelli della mia generazione se lo ricordano. Per noi era un nome. Un nome per chiamare qualcosa di non molto definito… Sono successe molte cose…Hum hum.

Quando avevo diciotto anni se qualcuno mi mostrava una icona e diceva: Questo è Santo questo o santo quello, e che è capace di questi o quei miracoli… avrei detto: Che me ne frega, a me. Io non credo nei santi e ancora meno nei miracoli.

Ma il tempo, i viaggi e l’esperienza mi hanno insegnato a rispettare le icone. Soprattutto quelle degli altri. Ho capito che per molti credenti le icone sono ancora più importanti della lettera stessa della fede. E che rimetterle in causa li offende profondamente… E chi sono io per andare a offendere le persone nelle loro convinzioni? O per pretendere che solo le mie siano degne di essere dette e ascoltate.? Allora ho imparato anche a spostare la discussione dal senso religioso dell’icona al valore artistico e materiale dell’oggetto.

Che bella! È pittura ad olio? È bronzo? Di che epoca è l’opera? Interessante. Ah… è un pezzo unico? Bello! Proprio bello.

E ci si ritrova a parlare di arte e di storia e ci si allontana così dal terreno scivoloso della fede, dove spesso ci vuole tempo, calma, riflessione, ascolto e approfondimento… tutte cose impossibili in una chiacchierata occasionale di poche battute.

E una altra cosa che mi ha insegnato il tempo è che persone come Ben Bella -almeno in Italia- hanno da tempo lasciato la casa dell’analisi storico politica razionale per abitare quella dell’iconografia e della simbologia mistica.

Simbolo di un sogno di giustizia, dei Davide che sconfiggono i Golia, del trionfo del bene sul male, di una emancipazione dei popoli sottomessi e della fine dell’oppressione coloniale e neocoloniale… cioè di un sogno impossibile.

 

 

Chi era Ben Bella e cosa ne pensa l’algerino medio?

 

É sempre difficile rispondere a una domanda come questa. Cosa può ben pensare un popolo così grande, così diverso, così diviso su molte cose, su una sola persona? Fosse anche un personaggio storico.

La cosa di cui sono sicuro, per aver fatto l’insegnante per 10 anni nel mio paese, è che le nuove generazioni se hanno sentito il nome, perché ufficialmente primo Presidente della Repubblica Algerina, non ne pensano assolutamente nulla. Né bene né male.

Su quelli un po’ più grandi invece è più complicato. È complicato come lo sono tutte le faccende legate alla guerra di liberazione nazionale algerina. Perché ancora 50 anni dopo non si riesce a raccontare con un minimo di distanza e di distacco. Sembra ancora tutto lì: dolori, sofferenze, lutti, alleanze, coraggio, eroismo e lealtà, paure, divisioni, vigliaccherie e tradimenti… tutto ancora vivo, anche se le donne e gli uomini che l’hanno fatta sono ormai rimasti molto pochi, almeno quelli veri.

Se, per l’Italiano medio over 50 di sinistra, la guerra di liberazione nazionale algerina vuol dire battaglia di Algeri e Ben Bella, per gli Algerini questi due elementi sono tra i più marginali di quella storia. Se chiedi ad un Algerino della mia generazione o di quelle precedenti di dire 3 nomi rappresentativi della rivoluzione, sono pronto a scommettere che in 99% dei casi Ben Bella non verrà citato. Ma sono anche sicuro che la classifica sarà molto diversa tra una persona e un’altra.

Questo è dovuto al fatto che la lotta per l’indipendenza algerina non ha mai avuto una icona unica, mai una forma gerarchica molto forte, soprattutto fin che era veramente rivoluzionaria, prima della presa di potere da parte dei militari.

 

6-9-22 leader rivoluzionari

Dopo anni di lotta politica e di partecipazioni elettorali alle quali l’amministrazione coloniale ha risposto con disprezzo, frodi, corruzione, menzogne e soprattutto violenza, tanta violenza… al ritorno dal fronte della II° guerra mondiale molti soldati del Centro e Est del paese hanno trovato le loro famiglie decimate dai massacri del 8 maggio 1945 conosciuti come i fatti di Setif, Guelma e Kherrata. Decine di miglia di civili massacrati in una settimana per aver osato manifestare e chiedere più diritti, più pane, più dignità. Già da quell’anno, i primi ribelli decisero di prendere la strada della macchia. Ma l’apparato del Partito del Popolo Algerino (PPA) che diventerà poi, dopo la messa al bando di questa prima sigla, Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche(MTLD), partito indipendentista molto popolare in quelli anni, era diviso sull’opportunità o meno di intraprendere la via della lotta armata. Il suo leader, Messali Elhadj, era invecchiato e il suo carisma non bastava più a tenere unito il movimento.

Nel 1945 il PPA è più che mai squartato tra le posizioni della sua ala rivoluzionaria denominata Comitato Rivoluzionario per L’Unità e l’Azione (CRUA) e i “Centristi” raggruppati intorno al vecchio leader. La parte più attiva del CRUA da un colpo definitivo alla morte annunciata del vecchio partito e chiama tutte le forze patriottiche a raggiungere un fronte comune, il Fronte di Liberazione Nazionale, per la lotta armata. I firmatari sono 6, sei uomini di terreno, alcuni già in montagna da anni: Krim Belkacem, Mostefa Ben Boulaïd, Larbi Ben M’Hidi, Mohamed Boudiaf , Rabah Bitat e Didouche Mourad.

Dai sei, il nuovo fronte che nasce dall’appello, passa a 22 leader storici: Mohamed Boudiaf, Mustapha Benboulaïd, Larbi Ben M’hidi, Mourad Didouche, Rabah Bitat, Othmane Belouizdad, Mohamed Merzougui, Zoubir Bouadjadj, Lyes Derriche, Boudjema Souidani, Ahmed Bouchaïb, Abdelhafid Boussouf, Ramdane Benabdelmalek, Mohamed Mechati, Abdesslam Habachi, Rachid Mellah, Saïd Bouali, Youcef Zighoud, Lakhdar Bentobbal, Amar Benaouda, Mokhtar Badji, Abdelkader Lamoudi. Un anno dopo, Krim Belkacem convince un giovane intellettuale di sinistra, Abbane Ramdhane, di raggiungere il Fronte. Il giovane Abbane diventa il teorico del Fronte e facilità con il suo programma politico moderno, laico e lucido la confluenza sia dei partiti della piccola borghesia colta come l’Union démocratique du manifeste algérien (UDMA) di Ferhat Abbas e il Movimento islamico moderato dell’Unione degli Ulema Algerini dell’Imam Abdelhamid Ibn Badis sia il Partito Comunista Algerino di Bachir Hadj Ali e il potente sindacato UGTA di Aissat Idir.

Come si vede di Ben Bella anche in questa fase di confluenza di sigle e di leaders non c’è traccia. Eppure il giovane militante fa parte da tempo del movimento indipendentista. Ma non ha mai avuto ruoli di commando. Era uno dei 9 nomi in vista del CRUA, ma alla proclamazione della guerra d’indipendenza era latitante all’estero e rimase tra i 3 assenti. Perse così il primo appuntamento con il treno della storia.

 

Chi è Ben Bella?

 

Nato nel 1916 nella cittadina di Maghnia (Provincia di Orano), Ahmed Ben Bella ha avuto una vita lunga e piena. Figlio di genitori originari dall’Alto Atlante in Marocco emigrati in Algeria, come fecero molti contadini poveri, per lavorare come braccianti nelle tenute dei coloni europei nelle ricche terre dell’ovest dell’Algeria. Il padre, però, dopo un po’, migliorò sensibilmente la situazione economica della famiglia diventando commerciante. Ciò permise al giovane Ahmed di arrivare agli studi superiori, cosa rara all’epoca.

Ha combattuto nella seconda guerra mondiale con l’esercito francese, dove fu decorato per fatti d’armi e ferite riportate durante le varie battaglie alle quali prese parte tra cui quella di Monte Cassino.

Al ritorno come molti trovò l’Algeria sotto lo choc dei massacri del maggio 1945 e come molti si arruolò nel Partito del Popolo Algerino.

Presto entrò a far parte dell’ala rivoluzionaria e nel 1949, per conto del CRUA, partecipa alla rapina della posta di Orano. Pochi mesi dopo è arrestato. Evade di carcere nel 1952 e fugge in Egitto per raggiungere altri latitanti che formeranno poi la delegazione del Fronte di Liberazione all’estero.

Nel 1956 doveva recarsi dal Marocco in Tunisia su un aereo di Linea marocchino, insieme a 5 altri dirigenti del Fronte all’estero, il pilota francese dell’aereo ottempera all’ordine dell’esercito francese e atterra in terra algerina permettendo l’arresto dei leader rivoluzionari. Rimane in carcere fino al risultato del referendum per l’autodeterminazione nel 1961, perdendo per la seconda volta il treno della storia.

 

Inizio e fine di una brevissima leggenda

Nel 1962, riesce per la prima e l’ultima volta della sua lunga vita a beccare quel famoso treno della storia che è sempre partito senza di lui. Lo prende entrando trionfale insieme all’Esercito delle Frontiere, con quelli che la guerra non l’hanno mai fatta. I partigiani dell’interno non riescono a opporsi. L’Esercito delle Frontiere nato nei campi profughi di Oujda in Marocco e Saghiet Sidi Yusef in Tunisia è formato da giovani ben armati, ben vestiti, attrezzati con artiglieria e veicoli blindati e ben addestrati da consiglieri militari accorsi da tutto il blocco socialista di allora. I combattenti dell’interno erano rimasti 5 gatti sfiniti da uno dei conflitti più violenti della storia: 1 milione di morti su 8 milioni di abitanti. Il nuovo esercito è forte anche del consenso delle nazioni arabe e del blocco socialista. Ma non dispiace nemmeno troppo all’occidente.

L’unico tra i leader storici pronto a mettere la faccia per dare un minimo di legittimità a questo golpe è il meno storico dei leader storici: Mohammed Ben Bella. Gli altri, quelli veri, si ritrovano prima marginalizzati nel tentativo di assemblea costituente. Poi arrestati, mandati in esilio o addiritura assassinati…

 

In quei momenti così drammatici, sbarcavano ad Algeri i fricchettoni di mezzo mondo per festeggiare la vittoria della rivoluzione dei poveri e trovarono ad accogliergli la faccia sorridente e paffutella di Ahmed Ben Bella. Così quel sorriso nella mente di milioni di giovani del mondo fu associato alla vittoria storica del FLN.  Lui anche non si privò dall’esibirsi in pubblico per un sì e per un no. Amava tanto i bagni di folla, i lunghi discorsi, pieni di slogan e di emozione … e vuoti di contenuti, e la compagnia delle star del terzomondismo.

L’idillio del neo-presidente con i colonelli non durò a lungo e tre anni dopo la sua nomina fu rovesciato dal più potente e deciso di questi, Houari Boumedienne, finora capo dello Stato Maggiore e ministro della diffesa. Il colonello, per 14 anni, sostituì su giornali e sugli schermi delle tv del mondo il sorriso da bambinone mai cresciuto di Ben Bella con il suo ghigno e la sua grinta da lupo affamato.

Da lì, pian pianino, il vecchio rivoluzionario pantofolaio ritornò nell’anonimato dal quale, forse -non avendo lasciato né pensiero degno di essere condiviso, né particolari azioni degne di essere ricordate-, forse, non avrebbe mai dovuto uscire.

 

Riposa in pace, vecchio signore simpatico e sorridente. Comunque sia, insieme alla tua generazione di giovani degli anni 50, nonostante tutto, avete preso le vostre responsabilità in mano e avevate deciso di cambiare il destino di tutto un popolo. Riposa in pace. Che la terra ti sia lieve. 

Ahmed Benbella: morte di una icona dimenticata

Benbella.jpgIn questi giorni è morto all’età di 96 anni Ahmed Ben Bella, il primo presidente della Repubblica Democratica e Popolare Algerina. Ben Bella, per tutta una generazione di Italiani è una icona assoluta. Simbolo della vittoria dei popoli contro il colonialismo. Invece è morto dimenticato da tutti, sia in patria che all’estero.

 

L’icona di una generazione

 

C’è tutta una generazione di over 50 italiani, di sinistra, per la quale la sola parola Algeria fa brillare gli occhi. Quanti ricordi, quanti ricordi! La vittoria del bene sul male. Il trionfo di una rivoluzione popolare sull’imperialismo. Il film di Pontecorvo, le esperienze di autogestione dell’industria e dell’agricoltura, il paese che per più di 15 anni diventa meta di tutti i rivoluzionari del mondo: Che Guevara, Fidel Castro, Ho Chi Minh, Malcolm X, le Black Panters che si ribellano in un carcere di alta sicurezza, sequestrano le guardie e chiedono un aereo per andare… a Algeri, Nelson Mandella, Il festival Panafricano dove ci sono tutti i movimenti di liberazione dell’Africa, tutte le, allora giovani, star della rinascita musicale africana, C’è il più grande tra tutti: the president, Fela Kuti, c’è un giovanissimo Manu Di Bango con il suo già potente sax…e c’è anche Miriam Makeba che canta sulla piazza principale di Algeri, Mamma Africa e Patipata… Gli occhi si inumidiscono, fissano immagini che sembrano riemergere dalla nebbia del tempo… che bello, che bello! E poi? E poi niente! L’Algeria è scomparsa. Il paese ha avuto altre gatte da pelare e il mondo pure.

 

Una domanda imbarazzante

 

Dopo queste rievocazioni, una domanda sorge quasi sempre, spontanea:

– Che fine ha fatto quello lì… l’ex presidente, Ben Bella?

– Vive in esilio da molti anni ormai. – rispondo io, cercando già di guardare altrove.

– Ma è ancora popolare in Algeria? Cosa ne pensi?

E lì… inevitabilmente mi trovo in difficoltà…

– Mah… sa, ormai sono passati molti anni. I giovani non sanno nemmeno chi è. Invece quelli della mia generazione se lo ricordano. Per noi era un nome. Un nome per chiamare qualcosa di non molto definito… Sono successe molte cose…Hum hum.

Quando avevo diciotto anni se qualcuno mi mostrava una icona e diceva: Questo è Santo questo o santo quello, e che è capace di questi o quei miracoli… avrei detto: Che me ne frega, a me. Io non credo nei santi e ancora meno nei miracoli.

Ma il tempo, i viaggi e l’esperienza mi hanno insegnato a rispettare le icone. Soprattutto quelle degli altri. Ho capito che per molti credenti le icone sono ancora più importanti della lettera stessa della fede. E che rimetterle in causa li offende profondamente… E chi sono io per andare a offendere le persone nelle loro convinzioni? O per pretendere che solo le mie siano degne di essere dette e ascoltate.? Allora ho imparato anche a spostare la discussione dal senso religioso dell’icona al valore artistico e materiale dell’oggetto.

Che bella! È pittura ad olio? È bronzo? Di che epoca è l’opera? Interessante. Ah… è un pezzo unico? Bello! Proprio bello.

E ci si ritrova a parlare di arte e di storia e ci si allontana così dal terreno scivoloso della fede, dove spesso ci vuole tempo, calma, riflessione, ascolto e approfondimento… tutte cose impossibili in una chiacchierata occasionale di poche battute.

E una altra cosa che mi ha insegnato il tempo è che persone come Ben Bella -almeno in Italia- hanno da tempo lasciato la casa dell’analisi storico politica razionale per abitare quella dell’iconografia e della simbologia mistica.

Simbolo di un sogno di giustizia, dei Davide che sconfiggono i Golia, del trionfo del bene sul male, di una emancipazione dei popoli sottomessi e della fine dell’oppressione coloniale e neocoloniale… cioè di un sogno impossibile.

 

 

Chi era Ben Bella e cosa ne pensa l’algerino medio?

 

É sempre difficile rispondere a una domanda come questa. Cosa può ben pensare un popolo così grande, così diverso, così diviso su molte cose, su una sola persona? Fosse anche un personaggio storico.

La cosa di cui sono sicuro, per aver fatto l’insegnante per 10 anni nel mio paese, è che le nuove generazioni se hanno sentito il nome, perché ufficialmente primo Presidente della Repubblica Algerina, non ne pensano assolutamente nulla. Né bene né male.

Su quelli un po’ più grandi invece è più complicato. È complicato come lo sono tutte le faccende legate alla guerra di liberazione nazionale algerina. Perché ancora 50 anni dopo non si riesce a raccontare con un minimo di distanza e di distacco. Sembra ancora tutto lì: dolori, sofferenze, lutti, alleanze, coraggio, eroismo e lealtà, paure, divisioni, vigliaccherie e tradimenti… tutto ancora vivo, anche se le donne e gli uomini che l’hanno fatta sono ormai rimasti molto pochi, almeno quelli veri.

Se, per l’Italiano medio over 50 di sinistra, la guerra di liberazione nazionale algerina vuol dire battaglia di Algeri e Ben Bella, per gli Algerini questi due elementi sono tra i più marginali di quella storia. Se chiedi ad un Algerino della mia generazione o di quelle precedenti di dire 3 nomi rappresentativi della rivoluzione, sono pronto a scommettere che in 99% dei casi Ben Bella non verrà citato. Ma sono anche sicuro che la classifica sarà molto diversa tra una persona e un’altra.

Questo è dovuto al fatto che la lotta per l’indipendenza algerina non ha mai avuto una icona unica, mai una forma gerarchica molto forte, soprattutto fin che era veramente rivoluzionaria, prima della presa di potere da parte dei militari.

 

6-9-22 leader rivoluzionari

Dopo anni di lotta politica e di partecipazioni elettorali alle quali l’amministrazione coloniale ha risposto con disprezzo, frodi, corruzione, menzogne e soprattutto violenza, tanta violenza… al ritorno dal fronte della II° guerra mondiale molti soldati del Centro e Est del paese hanno trovato le loro famiglie decimate dai massacri del 8 maggio 1945 conosciuti come i fatti di Setif, Guelma e Kherrata. Decine di miglia di civili massacrati in una settimana per aver osato manifestare e chiedere più diritti, più pane, più dignità. Già da quell’anno, i primi ribelli decisero di prendere la strada della macchia. Ma l’apparato del Partito del Popolo Algerino (PPA) che diventerà poi, dopo la messa al bando di questa prima sigla, Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche(MTLD), partito indipendentista molto popolare in quelli anni, era diviso sull’opportunità o meno di intraprendere la via della lotta armata. Il suo leader, Messali Elhadj, era invecchiato e il suo carisma non bastava più a tenere unito il movimento.

Nel 1945 il PPA è più che mai squartato tra le posizioni della sua ala rivoluzionaria denominata Comitato Rivoluzionario per L’Unità e l’Azione (CRUA) e i “Centristi” raggruppati intorno al vecchio leader. La parte più attiva del CRUA da un colpo definitivo alla morte annunciata del vecchio partito e chiama tutte le forze patriottiche a raggiungere un fronte comune, il Fronte di Liberazione Nazionale, per la lotta armata. I firmatari sono 6, sei uomini di terreno, alcuni già in montagna da anni: Krim Belkacem, Mostefa Ben Boulaïd, Larbi Ben M’Hidi, Mohamed Boudiaf , Rabah Bitat e Didouche Mourad.

Dai sei, il nuovo fronte che nasce dall’appello, passa a 22 leader storici: Mohamed Boudiaf, Mustapha Benboulaïd, Larbi Ben M’hidi, Mourad Didouche, Rabah Bitat, Othmane Belouizdad, Mohamed Merzougui, Zoubir Bouadjadj, Lyes Derriche, Boudjema Souidani, Ahmed Bouchaïb, Abdelhafid Boussouf, Ramdane Benabdelmalek, Mohamed Mechati, Abdesslam Habachi, Rachid Mellah, Saïd Bouali, Youcef Zighoud, Lakhdar Bentobbal, Amar Benaouda, Mokhtar Badji, Abdelkader Lamoudi. Un anno dopo, Krim Belkacem convince un giovane intellettuale di sinistra, Abbane Ramdhane, di raggiungere il Fronte. Il giovane Abbane diventa il teorico del Fronte e facilità con il suo programma politico moderno, laico e lucido la confluenza sia dei partiti della piccola borghesia colta come l’Union démocratique du manifeste algérien (UDMA) di Ferhat Abbas e il Movimento islamico moderato dell’Unione degli Ulema Algerini dell’Imam Abdelhamid Ibn Badis sia il Partito Comunista Algerino di Bachir Hadj Ali e il potente sindacato UGTA di Aissat Idir.

Come si vede di Ben Bella anche in questa fase di confluenza di sigle e di leaders non c’è traccia. Eppure il giovane militante fa parte da tempo del movimento indipendentista. Ma non ha mai avuto ruoli di commando. Era uno dei 9 nomi in vista del CRUA, ma alla proclamazione della guerra d’indipendenza era latitante all’estero e rimase tra i 3 assenti. Perse così il primo appuntamento con il treno della storia.

 

Chi è Ben Bella?

 

Nato nel 1916 nella cittadina di Maghnia (Provincia di Orano), Ahmed Ben Bella ha avuto una vita lunga e piena. Figlio di genitori originari dall’Alto Atlante in Marocco emigrati in Algeria, come fecero molti contadini poveri, per lavorare come braccianti nelle tenute dei coloni europei nelle ricche terre dell’ovest dell’Algeria. Il padre, però, dopo un po’, migliorò sensibilmente la situazione economica della famiglia diventando commerciante. Ciò permise al giovane Ahmed di arrivare agli studi superiori, cosa rara all’epoca.

Ha combattuto nella seconda guerra mondiale con l’esercito francese, dove fu decorato per fatti d’armi e ferite riportate durante le varie battaglie alle quali prese parte tra cui quella di Monte Cassino.

Al ritorno come molti trovò l’Algeria sotto lo choc dei massacri del maggio 1945 e come molti si arruolò nel Partito del Popolo Algerino.

Presto entrò a far parte dell’ala rivoluzionaria e nel 1949, per conto del CRUA, partecipa alla rapina della posta di Orano. Pochi mesi dopo è arrestato. Evade di carcere nel 1952 e fugge in Egitto per raggiungere altri latitanti che formeranno poi la delegazione del Fronte di Liberazione all’estero.

Nel 1956 doveva recarsi dal Marocco in Tunisia su un aereo di Linea marocchino, insieme a 5 altri dirigenti del Fronte all’estero, il pilota francese dell’aereo ottempera all’ordine dell’esercito francese e atterra in terra algerina permettendo l’arresto dei leader rivoluzionari. Rimane in carcere fino al risultato del referendum per l’autodeterminazione nel 1961, perdendo per la seconda volta il treno della storia.

 

Inizio e fine di una brevissima leggenda

Nel 1962, riesce per la prima e l’ultima volta della sua lunga vita a beccare quel famoso treno della storia che è sempre partito senza di lui. Lo prende entrando trionfale insieme all’Esercito delle Frontiere, con quelli che la guerra non l’hanno mai fatta. I partigiani dell’interno non riescono a opporsi. L’Esercito delle Frontiere nato nei campi profughi di Oujda in Marocco e Saghiet Sidi Yusef in Tunisia è formato da giovani ben armati, ben vestiti, attrezzati con artiglieria e veicoli blindati e ben addestrati da consiglieri militari accorsi da tutto il blocco socialista di allora. I combattenti dell’interno erano rimasti 5 gatti sfiniti da uno dei conflitti più violenti della storia: 1 milione di morti su 8 milioni di abitanti. Il nuovo esercito è forte anche del consenso delle nazioni arabe e del blocco socialista. Ma non dispiace nemmeno troppo all’occidente.

L’unico tra i leader storici pronto a mettere la faccia per dare un minimo di legittimità a questo golpe è il meno storico dei leader storici: Mohammed Ben Bella. Gli altri, quelli veri, si ritrovano prima marginalizzati nel tentativo di assemblea costituente. Poi arrestati, mandati in esilio o addiritura assassinati…

 

In quei momenti così drammatici, sbarcavano ad Algeri i fricchettoni di mezzo mondo per festeggiare la vittoria della rivoluzione dei poveri e trovarono ad accogliergli la faccia sorridente e paffutella di Ahmed Ben Bella. Così quel sorriso nella mente di milioni di giovani del mondo fu associato alla vittoria storica del FLN.  Lui anche non si privò dall’esibirsi in pubblico per un sì e per un no. Amava tanto i bagni di folla, i lunghi discorsi, pieni di slogan e di emozione … e vuoti di contenuti, e la compagnia delle star del terzomondismo.

L’idillio del neo-presidente con i colonelli non durò a lungo e tre anni dopo la sua nomina fu rovesciato dal più potente e deciso di questi, Houari Boumedienne, finora capo dello Stato Maggiore e ministro della diffesa. Il colonello, per 14 anni, sostituì su giornali e sugli schermi delle tv del mondo il sorriso da bambinone mai cresciuto di Ben Bella con il suo ghigno e la sua grinta da lupo affamato.

Da lì, pian pianino, il vecchio rivoluzionario pantofolaio ritornò nell’anonimato dal quale, forse -non avendo lasciato né pensiero degno di essere condiviso, né particolari azioni degne di essere ricordate-, forse, non avrebbe mai dovuto uscire.

 

Riposa in pace, vecchio signore simpatico e sorridente. Comunque sia, insieme alla tua generazione di giovani degli anni 50, nonostante tutto, avete preso le vostre responsabilità in mano e avevate deciso di cambiare il destino di tutto un popolo. Riposa in pace. Che la terra ti sia lieve. 

Il silenzio della vergogna

La settimana scorsa viene reso pubblico nel blog ” l’angolo del patriota” un articolo con titolo   Lei non mi rappresenta, articolo che criticava la candidata al consiglio comunale , Samira Zalteni. Dopo solo un giorno dalla pubblicazione dell’articolo, l’amministratore del blog riceve, via web e via telefono, feroci critiche dai sostenitori accorsi in difesa alla candidata Zalteni, ma soprattutto insulti telefonici da parte della sorella Minore , Refka Zalteni. Insulti che descrivevano il giovane Blogger tunisino come ”un venduto  un invidioso e diffamatore” ma sopratutto , durante l’accesa conversazione telefonica,sono partite minacce di diffamazione verso Rabih, minacciato più volte di essere dipinto davanti a tutti come un ex complice del regime dittatoriale di Ben Ali.  Il giovane blogger risponde pubblicamente ( tramite un video ) alle feroci accuse dei sostenitori della candidata, sfidandola ad un dibattito pubblico con moderatore neutrale e con spettatori gli elettori palermitani e le comunità immigrate di Palermo. 


Visto il silenzio della candidata di fronte il comportamento anti-democratico tenuto dai suoi sostenitori verso qualsiasi tipo di critica , ecco a voi alcune delle domande  destinate ad essere formulate nel dibattito tra il giovane Blogger  Rabih Bouallegue e la candidata al consiglio comunale, Samira Zalteni.



In seguito alla storica deposizione di Ben Ali, la città di Palermo è stata testimone di moltissimi eventi legati alla Rivoluzione tunisina e al nuovo scenario politico della Tunisia organizzate dalla nuova comunità tunisina, perche non vi ha mai partecipato?  


Durante l’emergenza dell’anno scorso , centinaia di giovani tunisini, rilasciati dai vari centri d’accoglienza di Trapani e di passaggio dalla stazione centrale di Palermo, furono assistiti materialmente e psicologicamente da cittadini palermitani e stranieri. Perche non ha mai partecipato a questa magnifica manifestazione di solidarietà verso i nostri connazionali ? 


Perche ha sistematicamente ignorato la possibilità di unirsi alla nuova comunità tunisina pro rivoluzione ? 



Ci parli del suo passato nel RCD ( raggruppamento costituzionale democratico-partito fondato da Ben Ali ) e dei suoi rapporti con i noti militanti palermitani del partito sciolto? 


Perche ha preferito sottrarsi alle critiche riparandosi dietro il linguaggio volgare dei suoi sostenitori rifiutando qualsiasi tipo d’incontro pubblico? 


Perche non ha mai organizzato un incontro di discussione della sua candidatura e del suo programma elettorale con la comunità tunisina di Palermo ?  Riavvicinandosi alla sua comunità avrebbe ottenuto maggiore consenso e maggiore notorietà tra gli elettori palermitani….























Il silenzio della vergogna

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Visto il silenzio della candidata di fronte il comportamento anti-democratico tenuto dai suoi sostenitori verso qualsiasi tipo di critica , ecco a voi alcune delle domande  destinate ad essere formulate nel dibattito tra il giovane Blogger  Rabih Bouallegue e la candidata al consiglio comunale, Samira Zalteni.



In seguito alla storica deposizione di Ben Ali, la città di Palermo è stata testimone di moltissimi eventi legati alla Rivoluzione tunisina e al nuovo scenario politico della Tunisia organizzate dalla nuova comunità tunisina, perche non vi ha mai partecipato?  


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Perche ha preferito sottrarsi alle critiche riparandosi dietro il linguaggio volgare dei suoi sostenitori rifiutando qualsiasi tipo d’incontro pubblico? 


Perche non ha mai organizzato un incontro di discussione della sua candidatura e del suo programma elettorale con la comunità tunisina di Palermo ?  Riavvicinandosi alla sua comunità avrebbe ottenuto maggiore consenso e maggiore notorietà tra gli elettori palermitani….























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Dott. la Martire: proposte di lavori per seminario Šarī‘a, Stato e maṣlaḥa nel pensiero islamico contemporaneo

Seminario: Šarī‘a, Stato e maṣlaḥa nel pensiero islamico contemporaneo in  STORIA CONTEMPORANEA DELL’ECONOMIA DEL MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA A.a. 2011-2012 Proposte per i lavori degli studenti • Presentazione dei lavori…
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E’ nato un nuovo stato Africano? (1° puntata) Storia e attualità dell’insurrezione dei Tuareg nel Nord del Mali

tuareg.jpgMi ricordo quando ero piccolo che il Mali era indicato nei telegiornali, dell’unico canale televisivo algerino, come paese fratello. Le visite del presidente Moussa Traore, salito al potere dopo il colpo di stato del 1968 (un anno appena dopo la mia nascita) hanno accompagnato gli anni della mia infanzia, poi quelle dell’adolescenza. Nei palazzi di Algeri, il Traore era come a casa sua. Soprattutto nell’era di Chadli Benjdid (1979-1992). Oltre alle regolari visite del suo dittatore, di informazioni da quel paese non ci arrivava niente. Per noi era un paese dell’Africa Nera come gli altri. Non sapevamo nemmeno che ci fosse in Mali, Niger e Burkina Faso tutta una parte Nord abitata a maggioranza da Tuareg ma anche da arabi e mauri.

 

Da dove arriva questa ribellione?

Quando nel 1990 nel nord del Mali e del Niger inizia la grande insurrezione dei Tuareg, I mezzi d’informazione nel Nord Africa la ignorarono completamente. Io personalmente scoprì l’esistenza del conflitto soltanto arrivando a Tamanarasset nell’estremo sud dell’Algeria per passarci le vacanze invernali e trovai la tranquilla città turistica sommersa da profughi Tuareg et Peul scappati dai due paesi vicini. Da lì ho preso coscienza del dramma che colpiva questi paesi e in modo particolare i Tuareg.

Fino a quel momento, per me, come per l’occidentale medio, i tuareg erano solo una cosa esotica. Uomini coperti dalla testa ai piedi che viaggiavano sui mehari, i dromedari più veloci del deserto. Scoprì la tragedia di un popolo abituato a spostarsi liberamente su una superficie più grande dell’Europa che vive tagliato su 5 nazioni che, come quasi tutte le nazioni africane, furono inventate dal colonialismo europeo: Mali, Burkina Faso, Niger, Libia, Algeria.

I Tuareg sono uno tra le componenti della popolazione berbera del Nordafrica. In berbero si chiamano ‘Imuchagh’ e la loro lingua è il ‘Tamachek’. È un popolo di circa 6 milioni di anime sparse su un territorio per lo più desertico che, se fosse stato riconosciuto come stato, sarebbe il più grande dell’Africa. Ma nella situazione ereditata dalla gestione coloniale sono una minoranza molto piccola in tutti i 5 paesi dove si ritrovano. La divisione del loro territorio in 5 parti anche se dagli anni 50 hanno rivendicato il diritto ad una nazione autonoma è dovuta probabilmente ad una rappresaglia per il fatto che è stato l’ultimo popolo africano a deporre le armi contro il colonialismo francese. Mentre tutta l’Africa era colonizzata da un secolo, il territorio Tuareg è stato definitivamente “pacificato” soltanto negli anni 30 del secolo scorso.

Storicamente sono sempre stati autonomi. Nessun regno africano li ha mai inglobati. Hanno vissuto di commercio collegando con le loro carovane il nord dell’Africa alla parte subsahariana, trasportando sale, oro, spezie, datteri, pelli, legni preziosi, avorio… Ma periodicamente, spinti dalla siccità o da qualche faida, le loro razzie hanno terrorizzato i popoli che vivevano sia a nord che a sud del loro territorio. Guerrieri orgogliosi e temuti sia a nord che a sud del Sahara, si consideravano una casta superiore e non praticavano altro mestiere che la guerra, la pastorizia e il commercio. I lavori considerati umili erano lasciati a popoli che sono venuti a vivere sul loro territorio sia per costrizione come le tribù di tuareg neri chiamati ‘kel Aklan’ (in berbero letteralmente: clan degli schiavi) o per bisogno come le tribù arabizzate dei ‘harratin’ (in arabo: aratori o coltivatori). E da qui si può immaginare la frustrazione di un popolo così fiero quando la diabolica divisione coloniale dell’Africa lo lascia sottomesso proprio a maggioranze di Aklan e di Harratin.

 

Ma se il popolo tuareg come tutti gli altri ha i suoi razzismi e le sue colpe negli scontri che lo hanno opposto ad altre componenti del mosaico africano, non si può dire che non ha fatto sforzi per convivere in seno ad una nazione multietnica.

In realtà le varie insurrezioni (1962, 1990, 2006…) che li hanno opposti ai regimi del Mali e del Niger sono state su base di rivendicazioni sociali all’inizio: scuole, elettricità, acqua, giustizia sociale, partecipazionealla gestione… Ma hanno avuto come risposta da parte dei regimi solo repressione, campi, massacri, esecuzioni sommarie, raid dell’esercito e dei gruppi paramilitari… con spesso veri e propri crimini contro l’umanità commessi nei loro confronti nel silenzio generale della comunità internazionale. Le varie intermediazioni, dell’Algeria e della Francia in primis, hanno prodotto dei trattati di pace che poi non sono mai stati rispettati. E poco a poco il movimento è andato radicalizzandosi per arrivare a rivendicare l’autonomia dell’Azawad, la parte sud occidentale della terra dei Tamachek. É da questo lungo percorso che arriva l’insurrezione di questi mesi dei guerriglieri tamachek del MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad).

 

Ma da dove esce questa armata che ha messo a sacco le caserme dell’esercito regolare maliano?

Il MNLA è una larga alleanza tra vari movimenti politici e militari dell’Azawad. Di sicuro le componenti principali sono il Mouvement National de l’Azawad (MNA), un grouppo politico composto in maggioranza da giovani attivisti di classe media colta e ci sono i vecchi guerriglieri dell’ex-Alliance Touareg Niger Mali (ATNM), che sono stati in prima linea durante l’insurrezione del 2006 e che sconfitti nel 2009 si sono rifugiati in Libia dove Muammar Kaddafi gli ha arruolati nel suo esercito, armandoli con armi moderne e formando con loro una unità speciale per i combattimenti nel deserto. Ma i portavoce ufficiali dichiarano che “il MNLA è l’emanazione delle aspirazioni dei tuareg et di una buona parte dei Songhaï, Peul et Mauri dell’Azawad per l’autonomia”. Approfittando della caduta del regime di Tripoli i soldati tuareg hanno lasciato il suolo libico portando con loro armi e attrezzature e hanno lanciato questa nuova offensiva. Il Mali indebolito dal lungo regno di Amadou Toumani Touré, che ha dato le dimissioni ieri dopo un copo di stato, al potere apertamente o dietro le quinte da quando fece cadere la dittatura di Moussa Traore nel lontano 1991, anche lui in un colpo di stato (chi di spada ferisce…) sostituendola con un nuovo sistema salutato da tutti come una transizione democratica ma che altro non era che una oligarchia dove i militari hanno sempre fatto la pioggia e il bel tempo. 50 anni di potere militare in uno dei paesi più poveri del pianeta portano l’esercito a diventare una specie di associazione a delinquere che si occupa più dell’arricchimento personale degli ufficiali che dell’ordine o della sicurezza. Il nord del paese è da vari decenni diventato una vera e propria autostrada di tutti i traffici, armi, droga e esseri umani compresi e ciò con complicità altolocate nell’esercito maliano. É chiaro che in una situazione del genere, alla prima allerta cade tutto a pezzi. Ed è proprio quello che è successo appena i reparti dell’esercito a nord si sono scontrati non più con dilettanti armati di kalashnikov ma con vere unità militari addestrate, organizzate e dotate di armi pesanti e di mezzi di trasporto veloci.

Da lì al colpo di stato, ai disordini e saccheggi, alla fuga delle unità regolari dal nord del paese e la presa di potere del MNLA in una parte del Nord e di un altro gruppo descritto come vicino a Al Qaeda in un altra parte c’è stato solo un passo che è stato fatto in pochi giorni.

… continua

 

 

Clicc qui per leggere la 2° puntata: Scenari futuri, regionali e internazionali: Paesi limitrofi, comunità internazionale, Al Qaida, cosa implica la caduta del Nord del Mali in mano ai ribelli?

Lei non mi rappresenta….

Brevi riflessioni di un migrante tunisino residente a Palermo…



Come può una persona parlare a nome delle comunità immigrate residenti nella città di Palermo, quando non è riuscita a ritagliarsi uno spazio nella propria comunità ?  Dal 15 Gennaio 2011,  data del primo e storico sit-in pro-rivoluzione  organizzato dalla ”nuova ” comunità tunisina di Palermo ( la prima di una lunga serie di fronte il consolato di Piazza Ignazio Florio ) ai diversi incontri organizzati dalla nuova comunità tunisina anti Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico-partito del deposto Ben Ali ) alle nottate passate per assistere moralmente e materialmente i migranti tunisini di passaggio dalla stazione centrale di Palermo, alle prime e delicate elezioni storiche della nuova Tunisia organizzate in Sicilia e il successivo arrivo in Italia della delegazione dei familiari dei giovani migranti tunisini scomparsi, in nessuno di questi eventi legati alla Tunisia, sua terra d’origine, la candidata al consiglio comunale, Samira Zalteni  era presente, lei che con grande ipocrisia dice di voler rappresentare tutte le comunità immigrate al consiglio comunale, compresa la nuova comunità tunisina , quando non ha fatto nulla per avvicinarsi ad essa, sopra tutto dopo la storica deposizione di Ben Ali, ignorando sistematicamente le nostre lotte preferendo la noncuranza al dialogo con i propri connazionali….

Come può pretendere di rappresentarmi quando non ha mai appoggiato nessuna delle mie lotte a favore della nostra terra e dei compatrioti più sfortunati ? 

Lei non mi rappresenta….

Brevi riflessioni di un migrante tunisino residente a Palermo…



Come può una persona parlare a nome delle comunità immigrate residenti nella città di Palermo, quando non è riuscita a ritagliarsi uno spazio nella propria comunità ?  Dal 15 Gennaio 2011,  data del primo e storico sit-in pro-rivoluzione  organizzato dalla ”nuova ” comunità tunisina di Palermo ( la prima di una lunga serie di fronte il consolato di Piazza Ignazio Florio ) ai diversi incontri organizzati dalla nuova comunità tunisina anti Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico-partito del deposto Ben Ali ) alle nottate passate per assistere moralmente e materialmente i migranti tunisini di passaggio dalla stazione centrale di Palermo, alle prime e delicate elezioni storiche della nuova Tunisia organizzate in Sicilia e il successivo arrivo in Italia della delegazione dei familiari dei giovani migranti tunisini scomparsi, in nessuno di questi eventi legati alla Tunisia, sua terra d’origine, la candidata al consiglio comunale, Samira Zalteni  era presente, lei che con grande ipocrisia dice di voler rappresentare tutte le comunità immigrate al consiglio comunale, compresa la nuova comunità tunisina , quando non ha fatto nulla per avvicinarsi ad essa, sopra tutto dopo la storica deposizione di Ben Ali, ignorando sistematicamente le nostre lotte preferendo la noncuranza al dialogo con i propri connazionali….

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Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??

Assediata l’ambasciata italiana a Tunisi, centinaia di famiglie disperate e assettate di verità urlano all’ambasciatore italiano la seguente domanda : Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??




Giornata di fuoco per l’ambasciatore italiano Pietro Benassi , un centinaio di familiari dei migranti dispersi hanno assediato la sede diplomatica urlando il seguente slogan ” Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ?  Una mattinata all’insegna delle grida e dei pianti delle madri, disperate e desiderose di conoscere la sorte dei loro figli dispersi in seguito al loro arrivo nell’isola di Lampedusa. Dopo solo mezz’ora dall’inizio del sit-in , la polizia e l’esercito si appostano in difesa dell’edificio diplomatico, qualche barbuto salafita cerca di provocare la rissa insultando i giovani scomparsi definendoli dei ”criminali fuggiti alla giustizia”. Un padre, disperato urla insulti e minacce all’Italia e agli italiani e una madre avverte : se da qui a Maggio non riceviamo risposte concrete dal governo italiano circa il riscontro delle impronte digitali , la nostra rabbia si ripercuoterà sui turisti che verranno  in vacanza in Tunisia, ora che ho perso mio figlio non temo la galera. Tra i passanti si avvicina qualche curioso che viene malamente cacciato da un agente di polizia appostato in difesa dell’ambasciata. Le ore passano e dall’ambasciata  ancora nessuna risposta, le famiglie iniziano ad urlare disperate,lanciando insulti contro l’ambasciatore Pietro Benassi, un giovane , fratello maggiore di un disperso urla in un italiano mediocre ” perche un italiano può andare e venire quando vuole in Tunisia in piena sicurezza mentre un tunisino quando cerca di arrivare in Italia viene fatto scomparire ?? La tensione e alle stelle, qualcuno esce dall’ambasciata, sembra un ispettore di polizia in borghese, dice che l’ambasciatore è pronto a ricevere una delegazione delle famiglie per chiarire la situazione. La tensione sale quando l’ispettore  impedisce a Hamadi Zribi, attivista italo-tunisino impegnato nella vicenda, di essere presente con la delegazione durante l’incontro . Nel frattempo alcuni passanti incuriositi osservano irritati , qualcuno si permette di insultare pesantemente le madri che protestano, commentando ad alta voce ” prima danno del denaro ai propri figli per bruciare le frontiere e dopo si lamentano della loro scomparsa ??”. In attesa che la delegazione finisca il loro incontro con l’ambasciatore Benassi, un pugno di agenti spintonano alcune madri per allontanarle dal filo spinato di fronte l’ingresso, provocando la collerica reazione dei mariti e dei figli presenti. Dopo una lunga attesa la delegazione esce, dicono di aver parlato con un funzionario che ha riferito il seguente messaggio a nome dell’ambasciatore.

” Il governo italiano non può risolvere la situazione senza la collaborazione del governo tunisino. La Tunisia non ha inviato le impronte digitali, abbiamo più volte fatto pressione all’ambasciata tunisina a Roma senza ricevere alcuna risposta. Finche il governo tunisino non invierà le impronte digitali l’Italia non potrà dare una risposta definitiva alla vicenda”


Dopo questa dichiarazione le famiglie hanno deciso di organizzare una protesta per Lunedi mattina di fronte la sede dell’assemblea costituente, in attesa di una risposta del governo tunisino….



Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??

Assediata l’ambasciata italiana a Tunisi, centinaia di famiglie disperate e assettate di verità urlano all’ambasciatore italiano la seguente domanda : Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??




Giornata di fuoco per l’ambasciatore italiano Pietro Benassi , un centinaio di familiari dei migranti dispersi hanno assediato la sede diplomatica urlando il seguente slogan ” Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ?  Una mattinata all’insegna delle grida e dei pianti delle madri, disperate e desiderose di conoscere la sorte dei loro figli dispersi in seguito al loro arrivo nell’isola di Lampedusa. Dopo solo mezz’ora dall’inizio del sit-in , la polizia e l’esercito si appostano in difesa dell’edificio diplomatico, qualche barbuto salafita cerca di provocare la rissa insultando i giovani scomparsi definendoli dei ”criminali fuggiti alla giustizia”. Un padre, disperato urla insulti e minacce all’Italia e agli italiani e una madre avverte : se da qui a Maggio non riceviamo risposte concrete dal governo italiano circa il riscontro delle impronte digitali , la nostra rabbia si ripercuoterà sui turisti che verranno  in vacanza in Tunisia, ora che ho perso mio figlio non temo la galera. Tra i passanti si avvicina qualche curioso che viene malamente cacciato da un agente di polizia appostato in difesa dell’ambasciata. Le ore passano e dall’ambasciata  ancora nessuna risposta, le famiglie iniziano ad urlare disperate,lanciando insulti contro l’ambasciatore Pietro Benassi, un giovane , fratello maggiore di un disperso urla in un italiano mediocre ” perche un italiano può andare e venire quando vuole in Tunisia in piena sicurezza mentre un tunisino quando cerca di arrivare in Italia viene fatto scomparire ?? La tensione e alle stelle, qualcuno esce dall’ambasciata, sembra un ispettore di polizia in borghese, dice che l’ambasciatore è pronto a ricevere una delegazione delle famiglie per chiarire la situazione. La tensione sale quando l’ispettore  impedisce a Hamadi Zribi, attivista italo-tunisino impegnato nella vicenda, di essere presente con la delegazione durante l’incontro . Nel frattempo alcuni passanti incuriositi osservano irritati , qualcuno si permette di insultare pesantemente le madri che protestano, commentando ad alta voce ” prima danno del denaro ai propri figli per bruciare le frontiere e dopo si lamentano della loro scomparsa ??”. In attesa che la delegazione finisca il loro incontro con l’ambasciatore Benassi, un pugno di agenti spintonano alcune madri per allontanarle dal filo spinato di fronte l’ingresso, provocando la collerica reazione dei mariti e dei figli presenti. Dopo una lunga attesa la delegazione esce, dicono di aver parlato con un funzionario che ha riferito il seguente messaggio a nome dell’ambasciatore.

” Il governo italiano non può risolvere la situazione senza la collaborazione del governo tunisino. La Tunisia non ha inviato le impronte digitali, abbiamo più volte fatto pressione all’ambasciata tunisina a Roma senza ricevere alcuna risposta. Finche il governo tunisino non invierà le impronte digitali l’Italia non potrà dare una risposta definitiva alla vicenda”


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” Il governo italiano non può risolvere la situazione senza la collaborazione del governo tunisino. La Tunisia non ha inviato le impronte digitali, abbiamo più volte fatto pressione all’ambasciata tunisina a Roma senza ricevere alcuna risposta. Finche il governo tunisino non invierà le impronte digitali l’Italia non potrà dare una risposta definitiva alla vicenda”


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” Il governo italiano non può risolvere la situazione senza la collaborazione del governo tunisino. La Tunisia non ha inviato le impronte digitali, abbiamo più volte fatto pressione all’ambasciata tunisina a Roma senza ricevere alcuna risposta. Finche il governo tunisino non invierà le impronte digitali l’Italia non potrà dare una risposta definitiva alla vicenda”


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Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??

Assediata l’ambasciata italiana a Tunisi, centinaia di famiglie disperate e assettate di verità urlano all’ambasciatore italiano la seguente domanda : Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??




Giornata di fuoco per l’ambasciatore italiano Pietro Benassi , un centinaio di familiari dei migranti dispersi hanno assediato la sede diplomatica urlando il seguente slogan ” Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ?  Una mattinata all’insegna delle grida e dei pianti delle madri, disperate e desiderose di conoscere la sorte dei loro figli dispersi in seguito al loro arrivo nell’isola di Lampedusa. Dopo solo mezz’ora dall’inizio del sit-in , la polizia e l’esercito si appostano in difesa dell’edificio diplomatico, qualche barbuto salafita cerca di provocare la rissa insultando i giovani scomparsi definendoli dei ”criminali fuggiti alla giustizia”. Un padre, disperato urla insulti e minacce all’Italia e agli italiani e una madre avverte : se da qui a Maggio non riceviamo risposte concrete dal governo italiano circa il riscontro delle impronte digitali , la nostra rabbia si ripercuoterà sui turisti che verranno  in vacanza in Tunisia, ora che ho perso mio figlio non temo la galera. Tra i passanti si avvicina qualche curioso che viene malamente cacciato da un agente di polizia appostato in difesa dell’ambasciata. Le ore passano e dall’ambasciata  ancora nessuna risposta, le famiglie iniziano ad urlare disperate,lanciando insulti contro l’ambasciatore Pietro Benassi, un giovane , fratello maggiore di un disperso urla in un italiano mediocre ” perche un italiano può andare e venire quando vuole in Tunisia in piena sicurezza mentre un tunisino quando cerca di arrivare in Italia viene fatto scomparire ?? La tensione e alle stelle, qualcuno esce dall’ambasciata, sembra un ispettore di polizia in borghese, dice che l’ambasciatore è pronto a ricevere una delegazione delle famiglie per chiarire la situazione. La tensione sale quando l’ispettore  impedisce a Hamadi Zribi, attivista italo-tunisino impegnato nella vicenda, di essere presente con la delegazione durante l’incontro . Nel frattempo alcuni passanti incuriositi osservano irritati , qualcuno si permette di insultare pesantemente le madri che protestano, commentando ad alta voce ” prima danno del denaro ai propri figli per bruciare le frontiere e dopo si lamentano della loro scomparsa ??”. In attesa che la delegazione finisca il loro incontro con l’ambasciatore Benassi, un pugno di agenti spintonano alcune madri per allontanarle dal filo spinato di fronte l’ingresso, provocando la collerica reazione dei mariti e dei figli presenti. Dopo una lunga attesa la delegazione esce, dicono di aver parlato con un funzionario che ha riferito il seguente messaggio a nome dell’ambasciatore.

” Il governo italiano non può risolvere la situazione senza la collaborazione del governo tunisino. La Tunisia non ha inviato le impronte digitali, abbiamo più volte fatto pressione all’ambasciata tunisina a Roma senza ricevere alcuna risposta. Finche il governo tunisino non invierà le impronte digitali l’Italia non potrà dare una risposta definitiva alla vicenda”


Dopo questa dichiarazione le famiglie hanno deciso di organizzare una protesta per Lunedi mattina di fronte la sede dell’assemblea costituente, in attesa di una risposta del governo tunisino….



Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??

Assediata l’ambasciata italiana a Tunisi, centinaia di famiglie disperate e assettate di verità urlano all’ambasciatore italiano la seguente domanda : Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??




Giornata di fuoco per l’ambasciatore italiano Pietro Benassi , un centinaio di familiari dei migranti dispersi hanno assediato la sede diplomatica urlando il seguente slogan ” Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ?  Una mattinata all’insegna delle grida e dei pianti delle madri, disperate e desiderose di conoscere la sorte dei loro figli dispersi in seguito al loro arrivo nell’isola di Lampedusa. Dopo solo mezz’ora dall’inizio del sit-in , la polizia e l’esercito si appostano in difesa dell’edificio diplomatico, qualche barbuto salafita cerca di provocare la rissa insultando i giovani scomparsi definendoli dei ”criminali fuggiti alla giustizia”. Un padre, disperato urla insulti e minacce all’Italia e agli italiani e una madre avverte : se da qui a Maggio non riceviamo risposte concrete dal governo italiano circa il riscontro delle impronte digitali , la nostra rabbia si ripercuoterà sui turisti che verranno  in vacanza in Tunisia, ora che ho perso mio figlio non temo la galera. Tra i passanti si avvicina qualche curioso che viene malamente cacciato da un agente di polizia appostato in difesa dell’ambasciata. Le ore passano e dall’ambasciata  ancora nessuna risposta, le famiglie iniziano ad urlare disperate,lanciando insulti contro l’ambasciatore Pietro Benassi, un giovane , fratello maggiore di un disperso urla in un italiano mediocre ” perche un italiano può andare e venire quando vuole in Tunisia in piena sicurezza mentre un tunisino quando cerca di arrivare in Italia viene fatto scomparire ?? La tensione e alle stelle, qualcuno esce dall’ambasciata, sembra un ispettore di polizia in borghese, dice che l’ambasciatore è pronto a ricevere una delegazione delle famiglie per chiarire la situazione. La tensione sale quando l’ispettore  impedisce a Hamadi Zribi, attivista italo-tunisino impegnato nella vicenda, di essere presente con la delegazione durante l’incontro . Nel frattempo alcuni passanti incuriositi osservano irritati , qualcuno si permette di insultare pesantemente le madri che protestano, commentando ad alta voce ” prima danno del denaro ai propri figli per bruciare le frontiere e dopo si lamentano della loro scomparsa ??”. In attesa che la delegazione finisca il loro incontro con l’ambasciatore Benassi, un pugno di agenti spintonano alcune madri per allontanarle dal filo spinato di fronte l’ingresso, provocando la collerica reazione dei mariti e dei figli presenti. Dopo una lunga attesa la delegazione esce, dicono di aver parlato con un funzionario che ha riferito il seguente messaggio a nome dell’ambasciatore.

” Il governo italiano non può risolvere la situazione senza la collaborazione del governo tunisino. La Tunisia non ha inviato le impronte digitali, abbiamo più volte fatto pressione all’ambasciata tunisina a Roma senza ricevere alcuna risposta. Finche il governo tunisino non invierà le impronte digitali l’Italia non potrà dare una risposta definitiva alla vicenda”


Dopo questa dichiarazione le famiglie hanno deciso di organizzare una protesta per Lunedi mattina di fronte la sede dell’assemblea costituente, in attesa di una risposta del governo tunisino….



Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??

Assediata l’ambasciata italiana a Tunisi, centinaia di famiglie disperate e assettate di verità urlano all’ambasciatore italiano la seguente domanda : Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??




Giornata di fuoco per l’ambasciatore italiano Pietro Benassi , un centinaio di familiari dei migranti dispersi hanno assediato la sede diplomatica urlando il seguente slogan ” Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ?  Una mattinata all’insegna delle grida e dei pianti delle madri, disperate e desiderose di conoscere la sorte dei loro figli dispersi in seguito al loro arrivo nell’isola di Lampedusa. Dopo solo mezz’ora dall’inizio del sit-in , la polizia e l’esercito si appostano in difesa dell’edificio diplomatico, qualche barbuto salafita cerca di provocare la rissa insultando i giovani scomparsi definendoli dei ”criminali fuggiti alla giustizia”. Un padre, disperato urla insulti e minacce all’Italia e agli italiani e una madre avverte : se da qui a Maggio non riceviamo risposte concrete dal governo italiano circa il riscontro delle impronte digitali , la nostra rabbia si ripercuoterà sui turisti che verranno  in vacanza in Tunisia, ora che ho perso mio figlio non temo la galera. Tra i passanti si avvicina qualche curioso che viene malamente cacciato da un agente di polizia appostato in difesa dell’ambasciata. Le ore passano e dall’ambasciata  ancora nessuna risposta, le famiglie iniziano ad urlare disperate,lanciando insulti contro l’ambasciatore Pietro Benassi, un giovane , fratello maggiore di un disperso urla in un italiano mediocre ” perche un italiano può andare e venire quando vuole in Tunisia in piena sicurezza mentre un tunisino quando cerca di arrivare in Italia viene fatto scomparire ?? La tensione e alle stelle, qualcuno esce dall’ambasciata, sembra un ispettore di polizia in borghese, dice che l’ambasciatore è pronto a ricevere una delegazione delle famiglie per chiarire la situazione. La tensione sale quando l’ispettore  impedisce a Hamadi Zribi, attivista italo-tunisino impegnato nella vicenda, di essere presente con la delegazione durante l’incontro . Nel frattempo alcuni passanti incuriositi osservano irritati , qualcuno si permette di insultare pesantemente le madri che protestano, commentando ad alta voce ” prima danno del denaro ai propri figli per bruciare le frontiere e dopo si lamentano della loro scomparsa ??”. In attesa che la delegazione finisca il loro incontro con l’ambasciatore Benassi, un pugno di agenti spintonano alcune madri per allontanarle dal filo spinato di fronte l’ingresso, provocando la collerica reazione dei mariti e dei figli presenti. Dopo una lunga attesa la delegazione esce, dicono di aver parlato con un funzionario che ha riferito il seguente messaggio a nome dell’ambasciatore.

” Il governo italiano non può risolvere la situazione senza la collaborazione del governo tunisino. La Tunisia non ha inviato le impronte digitali, abbiamo più volte fatto pressione all’ambasciata tunisina a Roma senza ricevere alcuna risposta. Finche il governo tunisino non invierà le impronte digitali l’Italia non potrà dare una risposta definitiva alla vicenda”


Dopo questa dichiarazione le famiglie hanno deciso di organizzare una protesta per Lunedi mattina di fronte la sede dell’assemblea costituente, in attesa di una risposta del governo tunisino….



Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??

Assediata l’ambasciata italiana a Tunisi, centinaia di famiglie disperate e assettate di verità urlano all’ambasciatore italiano la seguente domanda : Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ??




Giornata di fuoco per l’ambasciatore italiano Pietro Benassi , un centinaio di familiari dei migranti dispersi hanno assediato la sede diplomatica urlando il seguente slogan ” Ambasciatore ! Dove sono i nostri figli ?  Una mattinata all’insegna delle grida e dei pianti delle madri, disperate e desiderose di conoscere la sorte dei loro figli dispersi in seguito al loro arrivo nell’isola di Lampedusa. Dopo solo mezz’ora dall’inizio del sit-in , la polizia e l’esercito si appostano in difesa dell’edificio diplomatico, qualche barbuto salafita cerca di provocare la rissa insultando i giovani scomparsi definendoli dei ”criminali fuggiti alla giustizia”. Un padre, disperato urla insulti e minacce all’Italia e agli italiani e una madre avverte : se da qui a Maggio non riceviamo risposte concrete dal governo italiano circa il riscontro delle impronte digitali , la nostra rabbia si ripercuoterà sui turisti che verranno  in vacanza in Tunisia, ora che ho perso mio figlio non temo la galera. Tra i passanti si avvicina qualche curioso che viene malamente cacciato da un agente di polizia appostato in difesa dell’ambasciata. Le ore passano e dall’ambasciata  ancora nessuna risposta, le famiglie iniziano ad urlare disperate,lanciando insulti contro l’ambasciatore Pietro Benassi, un giovane , fratello maggiore di un disperso urla in un italiano mediocre ” perche un italiano può andare e venire quando vuole in Tunisia in piena sicurezza mentre un tunisino quando cerca di arrivare in Italia viene fatto scomparire ?? La tensione e alle stelle, qualcuno esce dall’ambasciata, sembra un ispettore di polizia in borghese, dice che l’ambasciatore è pronto a ricevere una delegazione delle famiglie per chiarire la situazione. La tensione sale quando l’ispettore  impedisce a Hamadi Zribi, attivista italo-tunisino impegnato nella vicenda, di essere presente con la delegazione durante l’incontro . Nel frattempo alcuni passanti incuriositi osservano irritati , qualcuno si permette di insultare pesantemente le madri che protestano, commentando ad alta voce ” prima danno del denaro ai propri figli per bruciare le frontiere e dopo si lamentano della loro scomparsa ??”. In attesa che la delegazione finisca il loro incontro con l’ambasciatore Benassi, un pugno di agenti spintonano alcune madri per allontanarle dal filo spinato di fronte l’ingresso, provocando la collerica reazione dei mariti e dei figli presenti. Dopo una lunga attesa la delegazione esce, dicono di aver parlato con un funzionario che ha riferito il seguente messaggio a nome dell’ambasciatore.

” Il governo italiano non può risolvere la situazione senza la collaborazione del governo tunisino. La Tunisia non ha inviato le impronte digitali, abbiamo più volte fatto pressione all’ambasciata tunisina a Roma senza ricevere alcuna risposta. Finche il governo tunisino non invierà le impronte digitali l’Italia non potrà dare una risposta definitiva alla vicenda”


Dopo questa dichiarazione le famiglie hanno deciso di organizzare una protesta per Lunedi mattina di fronte la sede dell’assemblea costituente, in attesa di una risposta del governo tunisino….



Seminario: pensiero sunnita radicale, moderato e riformista. Šarī‘a, Stato e maṣlaḥa nel pensiero islamico contemporaneo

DAAM- Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo UNIOR- Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”   Šarī‘a, Stato e maṣlaha nel pensiero islamico contemporaneo   Il seminario avrà una durata complessiva…
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Intervista a un attivista scappato dall’inferno siriano

siriaQualche mese fa, sulla rivista El-Ghibli, scrivevo del mio amico siriano Hamed, di cui non riuscivo ad avere notizie. Ora sulla sua sorte sono più tranquillo. Mi ha contattato lui per dirmi che è fuori pericolo. È riuscito a scappare in un altro paese arabo. Per Hamed sono rassicurato, ma per la Siria sono più preoccupato che mai.

 

Dopo le domande d’uso sulla sua salute e la famiglia. Comincio subito a chiedere notizie di altri amici siriani e palestinesi residenti in Siria. Tutta gente impegnata politicamente e culturalmente. Oppositori da sempre al regime ignorante e violento degli Assad. Le notizie non sono delle più belle. Sia lui, Hamed, che tutti gli altri hanno conosciuto il carcere le torture, le umiliazioni. Poi, mi dice che Muhannad e il suo fratello Salìm sono morti sotto tortura. Gli altri si nascondono o sono anche loro scappati all’estero. Chi in Giordania, chi in Turchia.. ch in qualche altro paese.

Mi tornano in mente le immagini di Muhannad e Salìm. Due ragazzi di Deir ez-Zor. Dolci come il miele. Mi ricordo la loro simpatia, la loro generosa ospitalità. Muhannad faceva il giornalista ed era una persona di grande cultura. Pur leggendo solo l’arabo, citava a memoria autori e filosofi di varie culture. Era sinceramente credente ma la sua profonda fede musulmana non gli impediva di essere un libero pensatore e un amante dichiarato dei piaceri della carne, della coppa e dell’umorismo. Salìm era invece l’artista, attore pieno di talento e cantante emerito, era ateo e non mancava nelle sue operette improvvisate, immancabilmente dopo il 4 o 5° bicchiere di arak, di prendere in giro gli islamisti più rigorosi e la crescente ipocrisia religiosa nelle società musulmane.

Ho conosciuto il gruppo dopo la breve primavera di Damasco del 2005. Si erano buttati in una nuova avventura politica e ne stavano pagando il prezzo con arresti, licenziamenti, pressioni di ogni genere. Ma non avevano mai perso il gusto di vivere e di divertirsi.

Dopo lo sfogo iniziale faccio a Hamed qualche domanda per capirci un po’ di più sulla situazione.

 

Come sei andato via, Hamed? Sei passato legalmente ala frontiera?

 

Ma che legalmente? Da quando sono uscito di carcere circa sette mesi fa, ho dormito a casa una settimana. Poi mi sono dileguato. Ogni notte dormivo in un luogo diverso. Sono entrato in clandestinità perché sapevo che mi avrebbero ripreso. Quando ho saputo della morte di Mohannad e Salim, mi era chiaro che non potevo più nemmeno andare a prendere la mia roba a casa.

Sono riuscito a passare la frontiera pagando una piccola fortuna. É la prima volta che ero contento che il regime sia così corrotto.

 

Come hai lasciato la situazione nel paese?

 

“khara!”, merda. Non ci capiamo più niente. Era iniziato tutto bene. Come in tutti i paesi della zona. Per strada c’erano studenti, giovani, lavoratori, donne, giovani, adulti, famiglie. Movimenti di sinistra, un po’ di fratelli musulmani, nazionalisti siriani… d’un colpo sono apparsi dal nulla i salafiti pieni di armi e di soldi e la situazione è degenerata. Non si capisce più niente. Si muore come mosche da una parte e dall’altra.

Le altre tendenze si sono ritrovate prese tra due fuochi. Minacciati dallo stato e dai gruppi armati. In molte città si racconta che i gruppi del così detto Esercito Libero si sono comportati peggio del governo con torture, mutilazioni e uccisioni in pubblico di persone presentate come collaborazionisti.

 

Ma secondo te, essendo che l’opposizione armata è a maggioranza espressione della popolazione araba sunnita, c’è un rischio di deriva “etnica”?

 

Ma in fatti. Il fatto che questi siano tutti arabi sunniti e con una forte tendenza islamista radicale, e che a sostenergli sono gli sponsor tradizionali dell’integralismo: i paesi del golfo persico, che stranamente sono anche i tradizionali amici dell’occidente, questo crea uno stato di ansia nella gente laica o appartenente ad altri gruppi culturali o religiosi.

Molti dicono che se questi qua vengono e vogliono imporci le loro leggi, allora anche noi ci armiamo. Qua se cade il governo in questo momento e in queste condizioni, quello che è successo in Iraq sembrerà alla fine una passeggiata rispetto a quello che rischia di succedere da noi.

Cristiani, Alaouiti, ismaeliti, sciiti e Curdi non accetteranno il diktat di una sola componente del mosaico siriano. Anche tra gli amici profughi palestinesi la situazione è tesa. La Siria era l’ultimo rifugio della sinistra palestinese. Una vittoria dei salafiti vorrà dire uno scontro frontale per l’imposizione del controllo dei campi profughi da parte diHamas e il Jihad islamico, il che vorrà dire per il Fronte Democratico Palestinese e il Fronte Popolare Palestinese la ripreesa delle armi per difendere l’ultimo spazio vitale.

Mettici pure la mano di tutti quelli che non vogliono una Siria forte e unita: Arabia Saudita, Turchia, Israele… ti ritrovi con un vero e proprio macello.

Informalmente ci sono contatti tra forze progressiste appartenenti alle diverse parti per cercare di evitare di cadere nella divisione. Ma non si sa quanto un accordo tra opposizioni costrette alla clandestinità possa reggere di fronte invece ad un incendio su cui soffiano in così tanti.

 

Cosa si pensa internamente di quello che è presentato al mondo come la voce dell’opposizione siriana?

 

Ma alle persone politicizzate viene da ridere, di una risata amara, quando si sentono i nomi dei pseudo oppositori del Consiglio Nazionale Siriano. Piccoli affaristi come bassam Jaarar, oppure gente che non ha mai fatto politica e che oggi si scopre opposizione accanita. Si sta ricalcando esattamente lo scenario iracheno in cui si racimola un pugno di opportunisti e di spie, e le si dichiara opposizione e si riporta al paese come nuova élite dirigenziale.

Il Comitato di Coordinamento Nazionale è già più serio. Ci sono persone che hanno sempre detto di no. Pur sempre con le loro contraddizioni interne, che sono poi quelle della società siriana. Ma almeno parliamo per lo più di gente non compromessa e pulita. Non è un caso che i media occidentali hanno adottato quasi esclusivamente il Consiglio Nazionale come fonte.

Poi all’interno, queste due realtà rappresentano ben poco. Non gli riconosce quasi nessuno, nemmeno questo Esercito Libero che loro festeggiano come eroico.

 

Quali sono le prospettive secondo te?

 

“Senariuhat el mostaqbal akhra min halla” . Gli scenari possibili per il futuro sono ancora più “merdosi” di adesso. O vince il governo e siamo partiti per altri 20 anni di leggi di emergenza. O si impone una soluzione negoziata e nello stato attuale delle cose vorrà dire che il regime sarà obbligato a spartire il potere con i gruppi armati e con i salafiti. Oppure la cosa peggiore è che cade il regime e lascia un paese in preda ad una violenza incontrollabile. E lì sinceramente non so quanto può durare una guerra civile in Siria e quali ripercussioni può avere sui paesi vicini: Libano e Iraq in modo particolare.

 

Hamed mi chiede scusa perché deve riattaccare. Il Cyber-café da dove parlava sta per chiudere. Ci salutiamo in fretta. Pur essendo sempre immerso mentalmente nelle sue sofferenze e nelle sofferenze del suo popolo, il mio amico comincia già ad affrontare un nuovo problema nella su vita, quello della sopravvivenza da clandestino in un paese straniero.

 

INTERVALLO 9 con dedica

Nel suo trattato “La perla preziosa. La vita dopo la morte”, Abū Ḥāmid al-Ġazālī (m. 1111) si sofferma con dovizia di particolari su ciò che attende l’uomo nel momento solenne…
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Ali Seriati, da traditore a salvatore della nazione?


Ali Seriati, ex capo della guardia presidenziale, accusato di essere stato il consigliere di Ben Ali nella repressione della rivolta , ha rivelato durante il processo di mercoledi 21 marzo 2012 tenutosi a Tunisi,  dei retroscena al quanto interessanti circa la fuga di Ben Ali, avvenuta il 14 Gennaio 2011,  affermando di aver costretto il dittatore a lasciare il paese per evitare il bagno di sangue.

Ali Seriati durante il processo del 21 Marzo 2012
 ” Ho impedito che il paese si trasformasse in un bagno di sangue, ero terrorizzato dall’idea che Ben Ali venisse arrestato, ero sopratutto terrorizzato da un eventuale e violenta reazione della Libia di Gheddafi di fronte  ad un possibile colpo di stato militare contro il regime di Ben Ali, allora organizzai la sua fuga facendolo scortare sino all’aeroporto dell’Aouina. L’ex presidente sembrava completamente scollegato dalla realtà, ad un certo punto , dopo l’ennesima telefonata che lo aggiornava circa la pesante situazione creatasi di fronte il ministero dell’interno, si rivolse a me dicendomi ”Ali, devo provvedere a come mettere al sicuro 
i miei figli, i miei figli sono più importanti della Tunisia” . E fu li che ho capito tutto, feci di tutto per convincerlo a partire,gli proposi di allontanarsi dal paese per un paio di giorni e applicare l’articolo 56 della costituzione tunisina, aggiornandolo sulla situazione telefonicamente. Quando l’aereo presidenziale decollò contattai Mohamed Ghannouci, primo ministro tunisino e gli spiegai tutta la faccenda, chiedendogli di organizzare un discorso alla nazione . Con questo piano pensai di aiutare Ben Ali a mantenere il potere e fare arrestare la famiglia Trabelsi che nel frattempo tentò di fuggire dall’aeroporto internazionale Tunisi -Cartagine, credetti di aver salvato la mia patria, invece qualcosa andò storto, l’esercito sotto il controllo di Rachid Ammar assaltò il palazzo presidenziale e dopo averci costretto ad un intensa sparatoria, ci mise agli arresti”

L’articolo 56 della costituzione tunisina prevede il passaggio temporaneo dei poteri presidenziali al primo ministro. Questo in caso di temporanea incapacità al governo del presidente in carica.


Ali Seriati, da traditore a salvatore della nazione?


Ali Seriati, ex capo della guardia presidenziale, accusato di essere stato il consigliere di Ben Ali nella repressione della rivolta , ha rivelato durante il processo di mercoledi 21 marzo 2012 tenutosi a Tunisi,  dei retroscena al quanto interessanti circa la fuga di Ben Ali, avvenuta il 14 Gennaio 2011,  affermando di aver costretto il dittatore a lasciare il paese per evitare il bagno di sangue.

Ali Seriati durante il processo del 21 Marzo 2012
 ” Ho impedito che il paese si trasformasse in un bagno di sangue, ero terrorizzato dall’idea che Ben Ali venisse arrestato, ero sopratutto terrorizzato da un eventuale e violenta reazione della Libia di Gheddafi di fronte  ad un possibile colpo di stato militare contro il regime di Ben Ali, allora organizzai la sua fuga facendolo scortare sino all’aeroporto dell’Aouina. L’ex presidente sembrava completamente scollegato dalla realtà, ad un certo punto , dopo l’ennesima telefonata che lo aggiornava circa la pesante situazione creatasi di fronte il ministero dell’interno, si rivolse a me dicendomi ”Ali, devo provvedere a come mettere al sicuro 
i miei figli, i miei figli sono più importanti della Tunisia” . E fu li che ho capito tutto, feci di tutto per convincerlo a partire,gli proposi di allontanarsi dal paese per un paio di giorni e applicare l’articolo 56 della costituzione tunisina, aggiornandolo sulla situazione telefonicamente. Quando l’aereo presidenziale decollò contattai Mohamed Ghannouci, primo ministro tunisino e gli spiegai tutta la faccenda, chiedendogli di organizzare un discorso alla nazione . Con questo piano pensai di aiutare Ben Ali a mantenere il potere e fare arrestare la famiglia Trabelsi che nel frattempo tentò di fuggire dall’aeroporto internazionale Tunisi -Cartagine, credetti di aver salvato la mia patria, invece qualcosa andò storto, l’esercito sotto il controllo di Rachid Ammar assaltò il palazzo presidenziale e dopo averci costretto ad un intensa sparatoria, ci mise agli arresti”

L’articolo 56 della costituzione tunisina prevede il passaggio temporaneo dei poteri presidenziali al primo ministro. Questo in caso di temporanea incapacità al governo del presidente in carica.


Ali Seriati, da traditore a salvatore della nazione?


Ali Seriati, ex capo della guardia presidenziale, accusato di essere stato il consigliere di Ben Ali nella repressione della rivolta , ha rivelato durante il processo di mercoledi 21 marzo 2012 tenutosi a Tunisi,  dei retroscena al quanto interessanti circa la fuga di Ben Ali, avvenuta il 14 Gennaio 2011,  affermando di aver costretto il dittatore a lasciare il paese per evitare il bagno di sangue.

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 ” Ho impedito che il paese si trasformasse in un bagno di sangue, ero terrorizzato dall’idea che Ben Ali venisse arrestato, ero sopratutto terrorizzato da un eventuale e violenta reazione della Libia di Gheddafi di fronte  ad un possibile colpo di stato militare contro il regime di Ben Ali, allora organizzai la sua fuga facendolo scortare sino all’aeroporto dell’Aouina. L’ex presidente sembrava completamente scollegato dalla realtà, ad un certo punto , dopo l’ennesima telefonata che lo aggiornava circa la pesante situazione creatasi di fronte il ministero dell’interno, si rivolse a me dicendomi ”Ali, devo provvedere a come mettere al sicuro 
i miei figli, i miei figli sono più importanti della Tunisia” . E fu li che ho capito tutto, feci di tutto per convincerlo a partire,gli proposi di allontanarsi dal paese per un paio di giorni e applicare l’articolo 56 della costituzione tunisina, aggiornandolo sulla situazione telefonicamente. Quando l’aereo presidenziale decollò contattai Mohamed Ghannouci, primo ministro tunisino e gli spiegai tutta la faccenda, chiedendogli di organizzare un discorso alla nazione . Con questo piano pensai di aiutare Ben Ali a mantenere il potere e fare arrestare la famiglia Trabelsi che nel frattempo tentò di fuggire dall’aeroporto internazionale Tunisi -Cartagine, credetti di aver salvato la mia patria, invece qualcosa andò storto, l’esercito sotto il controllo di Rachid Ammar assaltò il palazzo presidenziale e dopo averci costretto ad un intensa sparatoria, ci mise agli arresti”

L’articolo 56 della costituzione tunisina prevede il passaggio temporaneo dei poteri presidenziali al primo ministro. Questo in caso di temporanea incapacità al governo del presidente in carica.


Ali Seriati, da traditore a salvatore della nazione?


Ali Seriati, ex capo della guardia presidenziale, accusato di essere stato il consigliere di Ben Ali nella repressione della rivolta , ha rivelato durante il processo di mercoledi 21 marzo 2012 tenutosi a Tunisi,  dei retroscena al quanto interessanti circa la fuga di Ben Ali, avvenuta il 14 Gennaio 2011,  affermando di aver costretto il dittatore a lasciare il paese per evitare il bagno di sangue.

Ali Seriati durante il processo del 21 Marzo 2012
 ” Ho impedito che il paese si trasformasse in un bagno di sangue, ero terrorizzato dall’idea che Ben Ali venisse arrestato, ero sopratutto terrorizzato da un eventuale e violenta reazione della Libia di Gheddafi di fronte  ad un possibile colpo di stato militare contro il regime di Ben Ali, allora organizzai la sua fuga facendolo scortare sino all’aeroporto dell’Aouina. L’ex presidente sembrava completamente scollegato dalla realtà, ad un certo punto , dopo l’ennesima telefonata che lo aggiornava circa la pesante situazione creatasi di fronte il ministero dell’interno, si rivolse a me dicendomi ”Ali, devo provvedere a come mettere al sicuro 
i miei figli, i miei figli sono più importanti della Tunisia” . E fu li che ho capito tutto, feci di tutto per convincerlo a partire,gli proposi di allontanarsi dal paese per un paio di giorni e applicare l’articolo 56 della costituzione tunisina, aggiornandolo sulla situazione telefonicamente. Quando l’aereo presidenziale decollò contattai Mohamed Ghannouci, primo ministro tunisino e gli spiegai tutta la faccenda, chiedendogli di organizzare un discorso alla nazione . Con questo piano pensai di aiutare Ben Ali a mantenere il potere e fare arrestare la famiglia Trabelsi che nel frattempo tentò di fuggire dall’aeroporto internazionale Tunisi -Cartagine, credetti di aver salvato la mia patria, invece qualcosa andò storto, l’esercito sotto il controllo di Rachid Ammar assaltò il palazzo presidenziale e dopo averci costretto ad un intensa sparatoria, ci mise agli arresti”

L’articolo 56 della costituzione tunisina prevede il passaggio temporaneo dei poteri presidenziali al primo ministro. Questo in caso di temporanea incapacità al governo del presidente in carica.


Ali Seriati, da traditore a salvatore della nazione?


Ali Seriati, ex capo della guardia presidenziale, accusato di essere stato il consigliere di Ben Ali nella repressione della rivolta , ha rivelato durante il processo di mercoledi 21 marzo 2012 tenutosi a Tunisi,  dei retroscena al quanto interessanti circa la fuga di Ben Ali, avvenuta il 14 Gennaio 2011,  affermando di aver costretto il dittatore a lasciare il paese per evitare il bagno di sangue.

Ali Seriati durante il processo del 21 Marzo 2012
 ” Ho impedito che il paese si trasformasse in un bagno di sangue, ero terrorizzato dall’idea che Ben Ali venisse arrestato, ero sopratutto terrorizzato da un eventuale e violenta reazione della Libia di Gheddafi di fronte  ad un possibile colpo di stato militare contro il regime di Ben Ali, allora organizzai la sua fuga facendolo scortare sino all’aeroporto dell’Aouina. L’ex presidente sembrava completamente scollegato dalla realtà, ad un certo punto , dopo l’ennesima telefonata che lo aggiornava circa la pesante situazione creatasi di fronte il ministero dell’interno, si rivolse a me dicendomi ”Ali, devo provvedere a come mettere al sicuro 
i miei figli, i miei figli sono più importanti della Tunisia” . E fu li che ho capito tutto, feci di tutto per convincerlo a partire,gli proposi di allontanarsi dal paese per un paio di giorni e applicare l’articolo 56 della costituzione tunisina, aggiornandolo sulla situazione telefonicamente. Quando l’aereo presidenziale decollò contattai Mohamed Ghannouci, primo ministro tunisino e gli spiegai tutta la faccenda, chiedendogli di organizzare un discorso alla nazione . Con questo piano pensai di aiutare Ben Ali a mantenere il potere e fare arrestare la famiglia Trabelsi che nel frattempo tentò di fuggire dall’aeroporto internazionale Tunisi -Cartagine, credetti di aver salvato la mia patria, invece qualcosa andò storto, l’esercito sotto il controllo di Rachid Ammar assaltò il palazzo presidenziale e dopo averci costretto ad un intensa sparatoria, ci mise agli arresti”

L’articolo 56 della costituzione tunisina prevede il passaggio temporaneo dei poteri presidenziali al primo ministro. Questo in caso di temporanea incapacità al governo del presidente in carica.


La storia del Newroz

E’ ufficiale, è primavera. Ieri era la data ufficiale del passaggio dalla stagione freda alla stagione della fioritura, In asia minore nei vasti territori che furono una volta sotto l’impero persiano, dove sono rimaste forti radici zoroastriane. Il primo…

Appello alle coscienze


Traduzione dell’ Appello di Imed Soltani , portavoce della delegazione delle famiglie dei scomparsi arrivata in Italia lo scorso 28 Gennaio 2012.

Incontro della delegazione con Rashed Ghannouci , leader del partito ” Nahda”

”Voglio fare un appello al governo tunisino, votato dal popolo e che continua ad affermare di voler risolvere tutti i problemi del popolo tunisino. Io gli dico no, voi ( il governo) non siete riusciti a risolvere i problemi di tre persone e pretendete di risolvere quelle di un popolo? Non va bene. Noi siamo quelle tre persone. Io sono Imed Soltani, rappresentante delle famiglie dei dispersi, assieme a Mahrezia e Nourredine sono 20 giorni che siamo in mezzo alla strada senza che nessuno ci abbia ascoltati, se dite di non sapere nulla di noi io vi dico  non è vero. Cominciamo dal sig Rafik Abdslem ( ministro degli esteri tunisino) che a dichiarato al popolo tunisino che la delegazione e tutti questi giovani stanno bene, io gli dico che ciò che ha dichiarato non è vero, noi siamo in mezzo alla strada, se non era per le varie associazioni italiane che ci stanno aiutando e che chi hanno fornito gli avvocati, a quest’ora saremmo in mezzo alla strada. Noi siamo qui , vieni a vederci , vieni a vederci e piangerai. Abitiamo in una stanza per i senza tetto, mentre per il cibo mangiamo solo una volta al giorno, e tutto questo in nome dei nostri ragazzi, e ci rattrista vedere  il nostro stato non aiutarci mentre continua ad affermare di voler risolvere i problemi del popolo tunisino.  Potete chiederci chi siamo? Noi siamo i parenti di coloro che vi hanno riportato la libertà , mettendovi nelle ”sedie” in cui adesso vi trovate, i parenti di coloro che hanno permesso agli esiliati di ritornare in Tunisia , lasciandoli prendere le ”sedie”, sono queste le persone che stiamo cercando, la gioventù che ha mostrato il  proprio petto ai proiettili  in nome della vostra libertà e di quelle ”sedie”, di certo non sono stati coloro che adesso richiedono a viva voce l’estradizione del ” deposto” ( Ben Ali) , ma sono loro ( i dispersi) che voi chiamate ” criminali”, sono loro che hanno combattuto con le pietre, sono loro che hanno attraversato il mare , sono loro che sono annegati e sono loro che stiamo cercando,normalmente dovreste onorarli, e non ignorarli dimenticandoli , facendo di conseguenza impazzire i loro cari. Mi rivolgo anche al segretario di stato Houcine Al jaziri , l’incaricato per gli affari sociali all’estero, noi siamo qui e conosce bene il nostro problema e lo abbiamo contattato telefonicamente facendoglielo presente, ma non ci ha mai ascoltati e non ci ha mai trovato una soluzione per continuare la ricerca dei nostri figli, e nonostante tutte queste intemperie noi non faremo ritorno in Tunisia finche non troveremo i nostri figli. E quando il sig Rashed Ghannouci  leader del partito votato da tutto il popolo tunisino, venne ( a Roma), provammo ad’incontrarlo ma ci disse di non avere tempo. E’ vero ci sono le immagini di un nostro incontro, immagini scattate il giorno dopo un suo congresso,ma lui per paura di una nostro attacco in pubblico ci accolse per non farci ”parlare”, ma quando ci ricevette vide che siamo gente educata e gli avevamo detto che non volevamo fare quello che lui aveva pensato,gli dicemmo vai e mettici la tua parola e discutiamo sulla sorte dei nostri giovani e cerca di portare la nostra parola , racconta cosa stiamo passando qui ( in Italia). Sig Rashed noi non siamo venuti fin qui per passeggiare, il compito che spetta allo stato ( tunisino) lo stiamo facendo noi, senza ricevere nulla, noi vogliamo solamente cercare i nostri figli , vittime del governo precedente ( di El Beji Caid Sebsi) che gli ha aperto le frontiere marittime spingendoli a prendere il largo per avere campo libero E fare quello che vogliono, digli che è un ingiustizia, è un ingiustizia accorgetevi di noi e ascoltateci, stiamo soffrendo qui ed è impensabile che una madre o un padre ritorni ( in Tunisia) quando il sig Abd Rahman Ben Mansour, console di Palermo, gli dice che i suoi figli sono vivi e si trovano nel nord Italia. Come volete che una madre ritorni? Digli di svegliarsi , se non siete riusciti ad aiutare tre persone non immagino che possiate occuparvi della Tunisia. Sveglia sig Al Jaziri, non puoi usarci per attaccare policamente  il Sig Abdouli del partito ”  El Teketol”, questo non è il momento per fare politica , se lui inviandoci  in Italia ha sbagliato, non puoi farci dimenticare e costringerci a dormire per strada solo per dimostrare a tutti che Abdouli ha sbagliato  o come lo stesso Abdouli  che pur di fare uno ” sgarro politico” a Al Jaziri, fa di tutto per rinviare la cacciata di Abd Rahman Ben Mansour console di Palermo, facendo cosi pagare a noi il conto. Digli che non è giusto , voi due ( Abdouli e Al Jaziri) ci state usando per fare politica, non è giusto, dovete lottare per il popolo che vi ha votato e non giocarci come un pallone, non voglio ripetervi di nuovo queste parole, siamo sfiniti non c’e la facciamo più, lasciateci finire abbiamo fatto avviare un indagine, abbiamo fatto arrivare le nostre parole. da quando siamo arrivati ci siamo fatti sentire dagli italiani che ci hanno aiutato, lasciateci continuare in modo che potremmo finalmente trovare i nostri figli. Se voi potete trovare i nostri figli senza di noi, trovateli e fateci ritornare in Tunisia, io ho lasciato casa mia come anche  Mahrezia e  Nourredine, questa responsabilità l’abbiamo presa a nome di tutte le famiglie in Tunisia e dobbiamo lottare per essa, quindi faccio un appello al popolo tunisino in modo che possa parlare con questo governo visto che non abbiamo nessuno che ci ascolti . Infine vogliamo  ringraziare il Sig Rashed Ghannoucci per averci ignorati concedendosi a noi solo per non farci alzare la voce durante il congresso. Non è questo il personaggio che ci aspettavamo , ci aspettavamo qualcuno che difendi i diritti dei musulmani…….”

Touhami Abdouli, segretario di stato presso il ministero degli esteri
( Partito Tekettol) 

Le accuse di Imed non hanno risparmiato neppure il ” cordiale” segretario di stato presso il ministero degli esteri Touhami Abdouli , che Domenica scorsa durante un incontro con le comunità tunisine a Mazara del vallo ha più volte rassicurato tutti circa l’imminente cacciata del console di Palermo ( Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo). Dichiarazione contraddittoria secondo Imed, in quanto lo stesso Abdouli ha più volte ritardato la decisione di cacciare il console, decisione fortemente voluta dal segretario di stato all’emigrazione e i tunisini all’estero , Houcine Al Jaziri, dopo che quest’ultimo è venuto a sapere,in un incontro a Palermo con le comunità tunisine della Sicilia, delle malefatte passate del console Abd Rahman Ben Mansour ( La resa dei conti)  . Sempre secondo Imed, le ragioni che hanno spinto Abdouli a ritardare la cacciata dell’odiato diplomatico, siano state di natura prettamente politica, una sorta di provocazione lanciata da Abdouli ( Partito Teketol) nei confronti del collega Al Jaziri ( Partito Nahda). Di conseguenza Al Jaziri per ”vendicarsi” politicamente ha cercato di dimostrare a tutti le conseguenze dell’errata decisione di Abdouli nell’inviare alcuni familiari dei dispersi in Italia, per dimostrare ciò, ostacolò in tutti i modi possibili la missione della delegazione, spingendo cosi le famiglie a provocare un terremoto mediatico atto a ledere l’immagine di Touhami Abdouli e del ministero degli esteri tunisino fuori e dentro la Tunisia.


Abd Rahman Ben Mansour , Console di Palermo
 
Houcine El Jaziri, segretario di stato all’emigrazione  e i tunisini  all’estero ( Partito Nahda)

Appello alle coscienze


Traduzione dell’ Appello di Imed Soltani , portavoce della delegazione delle famiglie dei scomparsi arrivata in Italia lo scorso 28 Gennaio 2012.

Incontro della delegazione con Rashed Ghannouci , leader del partito ” Nahda”

”Voglio fare un appello al governo tunisino, votato dal popolo e che continua ad affermare di voler risolvere tutti i problemi del popolo tunisino. Io gli dico no, voi ( il governo) non siete riusciti a risolvere i problemi di tre persone e pretendete di risolvere quelle di un popolo? Non va bene. Noi siamo quelle tre persone. Io sono Imed Soltani, rappresentante delle famiglie dei dispersi, assieme a Mahrezia e Nourredine sono 20 giorni che siamo in mezzo alla strada senza che nessuno ci abbia ascoltati, se dite di non sapere nulla di noi io vi dico  non è vero. Cominciamo dal sig Rafik Abdslem ( ministro degli esteri tunisino) che a dichiarato al popolo tunisino che la delegazione e tutti questi giovani stanno bene, io gli dico che ciò che ha dichiarato non è vero, noi siamo in mezzo alla strada, se non era per le varie associazioni italiane che ci stanno aiutando e che chi hanno fornito gli avvocati, a quest’ora saremmo in mezzo alla strada. Noi siamo qui , vieni a vederci , vieni a vederci e piangerai. Abitiamo in una stanza per i senza tetto, mentre per il cibo mangiamo solo una volta al giorno, e tutto questo in nome dei nostri ragazzi, e ci rattrista vedere  il nostro stato non aiutarci mentre continua ad affermare di voler risolvere i problemi del popolo tunisino.  Potete chiederci chi siamo? Noi siamo i parenti di coloro che vi hanno riportato la libertà , mettendovi nelle ”sedie” in cui adesso vi trovate, i parenti di coloro che hanno permesso agli esiliati di ritornare in Tunisia , lasciandoli prendere le ”sedie”, sono queste le persone che stiamo cercando, la gioventù che ha mostrato il  proprio petto ai proiettili  in nome della vostra libertà e di quelle ”sedie”, di certo non sono stati coloro che adesso richiedono a viva voce l’estradizione del ” deposto” ( Ben Ali) , ma sono loro ( i dispersi) che voi chiamate ” criminali”, sono loro che hanno combattuto con le pietre, sono loro che hanno attraversato il mare , sono loro che sono annegati e sono loro che stiamo cercando,normalmente dovreste onorarli, e non ignorarli dimenticandoli , facendo di conseguenza impazzire i loro cari. Mi rivolgo anche al segretario di stato Houcine Al jaziri , l’incaricato per gli affari sociali all’estero, noi siamo qui e conosce bene il nostro problema e lo abbiamo contattato telefonicamente facendoglielo presente, ma non ci ha mai ascoltati e non ci ha mai trovato una soluzione per continuare la ricerca dei nostri figli, e nonostante tutte queste intemperie noi non faremo ritorno in Tunisia finche non troveremo i nostri figli. E quando il sig Rashed Ghannouci  leader del partito votato da tutto il popolo tunisino, venne ( a Roma), provammo ad’incontrarlo ma ci disse di non avere tempo. E’ vero ci sono le immagini di un nostro incontro, immagini scattate il giorno dopo un suo congresso,ma lui per paura di una nostro attacco in pubblico ci accolse per non farci ”parlare”, ma quando ci ricevette vide che siamo gente educata e gli avevamo detto che non volevamo fare quello che lui aveva pensato,gli dicemmo vai e mettici la tua parola e discutiamo sulla sorte dei nostri giovani e cerca di portare la nostra parola , racconta cosa stiamo passando qui ( in Italia). Sig Rashed noi non siamo venuti fin qui per passeggiare, il compito che spetta allo stato ( tunisino) lo stiamo facendo noi, senza ricevere nulla, noi vogliamo solamente cercare i nostri figli , vittime del governo precedente ( di El Beji Caid Sebsi) che gli ha aperto le frontiere marittime spingendoli a prendere il largo per avere campo libero E fare quello che vogliono, digli che è un ingiustizia, è un ingiustizia accorgetevi di noi e ascoltateci, stiamo soffrendo qui ed è impensabile che una madre o un padre ritorni ( in Tunisia) quando il sig Abd Rahman Ben Mansour, console di Palermo, gli dice che i suoi figli sono vivi e si trovano nel nord Italia. Come volete che una madre ritorni? Digli di svegliarsi , se non siete riusciti ad aiutare tre persone non immagino che possiate occuparvi della Tunisia. Sveglia sig Al Jaziri, non puoi usarci per attaccare policamente  il Sig Abdouli del partito ”  El Teketol”, questo non è il momento per fare politica , se lui inviandoci  in Italia ha sbagliato, non puoi farci dimenticare e costringerci a dormire per strada solo per dimostrare a tutti che Abdouli ha sbagliato  o come lo stesso Abdouli  che pur di fare uno ” sgarro politico” a Al Jaziri, fa di tutto per rinviare la cacciata di Abd Rahman Ben Mansour console di Palermo, facendo cosi pagare a noi il conto. Digli che non è giusto , voi due ( Abdouli e Al Jaziri) ci state usando per fare politica, non è giusto, dovete lottare per il popolo che vi ha votato e non giocarci come un pallone, non voglio ripetervi di nuovo queste parole, siamo sfiniti non c’e la facciamo più, lasciateci finire abbiamo fatto avviare un indagine, abbiamo fatto arrivare le nostre parole. da quando siamo arrivati ci siamo fatti sentire dagli italiani che ci hanno aiutato, lasciateci continuare in modo che potremmo finalmente trovare i nostri figli. Se voi potete trovare i nostri figli senza di noi, trovateli e fateci ritornare in Tunisia, io ho lasciato casa mia come anche  Mahrezia e  Nourredine, questa responsabilità l’abbiamo presa a nome di tutte le famiglie in Tunisia e dobbiamo lottare per essa, quindi faccio un appello al popolo tunisino in modo che possa parlare con questo governo visto che non abbiamo nessuno che ci ascolti . Infine vogliamo  ringraziare il Sig Rashed Ghannoucci per averci ignorati concedendosi a noi solo per non farci alzare la voce durante il congresso. Non è questo il personaggio che ci aspettavamo , ci aspettavamo qualcuno che difendi i diritti dei musulmani…….”

Touhami Abdouli, segretario di stato presso il ministero degli esteri
( Partito Tekettol) 

Le accuse di Imed non hanno risparmiato neppure il ” cordiale” segretario di stato presso il ministero degli esteri Touhami Abdouli , che Domenica scorsa durante un incontro con le comunità tunisine a Mazara del vallo ha più volte rassicurato tutti circa l’imminente cacciata del console di Palermo ( Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo). Dichiarazione contraddittoria secondo Imed, in quanto lo stesso Abdouli ha più volte ritardato la decisione di cacciare il console, decisione fortemente voluta dal segretario di stato all’emigrazione e i tunisini all’estero , Houcine Al Jaziri, dopo che quest’ultimo è venuto a sapere,in un incontro a Palermo con le comunità tunisine della Sicilia, delle malefatte passate del console Abd Rahman Ben Mansour ( La resa dei conti)  . Sempre secondo Imed, le ragioni che hanno spinto Abdouli a ritardare la cacciata dell’odiato diplomatico, siano state di natura prettamente politica, una sorta di provocazione lanciata da Abdouli ( Partito Teketol) nei confronti del collega Al Jaziri ( Partito Nahda). Di conseguenza Al Jaziri per ”vendicarsi” politicamente ha cercato di dimostrare a tutti le conseguenze dell’errata decisione di Abdouli nell’inviare alcuni familiari dei dispersi in Italia, per dimostrare ciò, ostacolò in tutti i modi possibili la missione della delegazione, spingendo cosi le famiglie a provocare un terremoto mediatico atto a ledere l’immagine di Touhami Abdouli e del ministero degli esteri tunisino fuori e dentro la Tunisia.


Abd Rahman Ben Mansour , Console di Palermo
 
Houcine El Jaziri, segretario di stato all’emigrazione  e i tunisini  all’estero ( Partito Nahda)

Appello alle coscienze


Traduzione dell’ Appello di Imed Soltani , portavoce della delegazione delle famiglie dei scomparsi arrivata in Italia lo scorso 28 Gennaio 2012.

Incontro della delegazione con Rashed Ghannouci , leader del partito ” Nahda”

”Voglio fare un appello al governo tunisino, votato dal popolo e che continua ad affermare di voler risolvere tutti i problemi del popolo tunisino. Io gli dico no, voi ( il governo) non siete riusciti a risolvere i problemi di tre persone e pretendete di risolvere quelle di un popolo? Non va bene. Noi siamo quelle tre persone. Io sono Imed Soltani, rappresentante delle famiglie dei dispersi, assieme a Mahrezia e Nourredine sono 20 giorni che siamo in mezzo alla strada senza che nessuno ci abbia ascoltati, se dite di non sapere nulla di noi io vi dico  non è vero. Cominciamo dal sig Rafik Abdslem ( ministro degli esteri tunisino) che a dichiarato al popolo tunisino che la delegazione e tutti questi giovani stanno bene, io gli dico che ciò che ha dichiarato non è vero, noi siamo in mezzo alla strada, se non era per le varie associazioni italiane che ci stanno aiutando e che chi hanno fornito gli avvocati, a quest’ora saremmo in mezzo alla strada. Noi siamo qui , vieni a vederci , vieni a vederci e piangerai. Abitiamo in una stanza per i senza tetto, mentre per il cibo mangiamo solo una volta al giorno, e tutto questo in nome dei nostri ragazzi, e ci rattrista vedere  il nostro stato non aiutarci mentre continua ad affermare di voler risolvere i problemi del popolo tunisino.  Potete chiederci chi siamo? Noi siamo i parenti di coloro che vi hanno riportato la libertà , mettendovi nelle ”sedie” in cui adesso vi trovate, i parenti di coloro che hanno permesso agli esiliati di ritornare in Tunisia , lasciandoli prendere le ”sedie”, sono queste le persone che stiamo cercando, la gioventù che ha mostrato il  proprio petto ai proiettili  in nome della vostra libertà e di quelle ”sedie”, di certo non sono stati coloro che adesso richiedono a viva voce l’estradizione del ” deposto” ( Ben Ali) , ma sono loro ( i dispersi) che voi chiamate ” criminali”, sono loro che hanno combattuto con le pietre, sono loro che hanno attraversato il mare , sono loro che sono annegati e sono loro che stiamo cercando,normalmente dovreste onorarli, e non ignorarli dimenticandoli , facendo di conseguenza impazzire i loro cari. Mi rivolgo anche al segretario di stato Houcine Al jaziri , l’incaricato per gli affari sociali all’estero, noi siamo qui e conosce bene il nostro problema e lo abbiamo contattato telefonicamente facendoglielo presente, ma non ci ha mai ascoltati e non ci ha mai trovato una soluzione per continuare la ricerca dei nostri figli, e nonostante tutte queste intemperie noi non faremo ritorno in Tunisia finche non troveremo i nostri figli. E quando il sig Rashed Ghannouci  leader del partito votato da tutto il popolo tunisino, venne ( a Roma), provammo ad’incontrarlo ma ci disse di non avere tempo. E’ vero ci sono le immagini di un nostro incontro, immagini scattate il giorno dopo un suo congresso,ma lui per paura di una nostro attacco in pubblico ci accolse per non farci ”parlare”, ma quando ci ricevette vide che siamo gente educata e gli avevamo detto che non volevamo fare quello che lui aveva pensato,gli dicemmo vai e mettici la tua parola e discutiamo sulla sorte dei nostri giovani e cerca di portare la nostra parola , racconta cosa stiamo passando qui ( in Italia). Sig Rashed noi non siamo venuti fin qui per passeggiare, il compito che spetta allo stato ( tunisino) lo stiamo facendo noi, senza ricevere nulla, noi vogliamo solamente cercare i nostri figli , vittime del governo precedente ( di El Beji Caid Sebsi) che gli ha aperto le frontiere marittime spingendoli a prendere il largo per avere campo libero E fare quello che vogliono, digli che è un ingiustizia, è un ingiustizia accorgetevi di noi e ascoltateci, stiamo soffrendo qui ed è impensabile che una madre o un padre ritorni ( in Tunisia) quando il sig Abd Rahman Ben Mansour, console di Palermo, gli dice che i suoi figli sono vivi e si trovano nel nord Italia. Come volete che una madre ritorni? Digli di svegliarsi , se non siete riusciti ad aiutare tre persone non immagino che possiate occuparvi della Tunisia. Sveglia sig Al Jaziri, non puoi usarci per attaccare policamente  il Sig Abdouli del partito ”  El Teketol”, questo non è il momento per fare politica , se lui inviandoci  in Italia ha sbagliato, non puoi farci dimenticare e costringerci a dormire per strada solo per dimostrare a tutti che Abdouli ha sbagliato  o come lo stesso Abdouli  che pur di fare uno ” sgarro politico” a Al Jaziri, fa di tutto per rinviare la cacciata di Abd Rahman Ben Mansour console di Palermo, facendo cosi pagare a noi il conto. Digli che non è giusto , voi due ( Abdouli e Al Jaziri) ci state usando per fare politica, non è giusto, dovete lottare per il popolo che vi ha votato e non giocarci come un pallone, non voglio ripetervi di nuovo queste parole, siamo sfiniti non c’e la facciamo più, lasciateci finire abbiamo fatto avviare un indagine, abbiamo fatto arrivare le nostre parole. da quando siamo arrivati ci siamo fatti sentire dagli italiani che ci hanno aiutato, lasciateci continuare in modo che potremmo finalmente trovare i nostri figli. Se voi potete trovare i nostri figli senza di noi, trovateli e fateci ritornare in Tunisia, io ho lasciato casa mia come anche  Mahrezia e  Nourredine, questa responsabilità l’abbiamo presa a nome di tutte le famiglie in Tunisia e dobbiamo lottare per essa, quindi faccio un appello al popolo tunisino in modo che possa parlare con questo governo visto che non abbiamo nessuno che ci ascolti . Infine vogliamo  ringraziare il Sig Rashed Ghannoucci per averci ignorati concedendosi a noi solo per non farci alzare la voce durante il congresso. Non è questo il personaggio che ci aspettavamo , ci aspettavamo qualcuno che difendi i diritti dei musulmani…….”

Touhami Abdouli, segretario di stato presso il ministero degli esteri
( Partito Tekettol) 

Le accuse di Imed non hanno risparmiato neppure il ” cordiale” segretario di stato presso il ministero degli esteri Touhami Abdouli , che Domenica scorsa durante un incontro con le comunità tunisine a Mazara del vallo ha più volte rassicurato tutti circa l’imminente cacciata del console di Palermo ( Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo). Dichiarazione contraddittoria secondo Imed, in quanto lo stesso Abdouli ha più volte ritardato la decisione di cacciare il console, decisione fortemente voluta dal segretario di stato all’emigrazione e i tunisini all’estero , Houcine Al Jaziri, dopo che quest’ultimo è venuto a sapere,in un incontro a Palermo con le comunità tunisine della Sicilia, delle malefatte passate del console Abd Rahman Ben Mansour ( La resa dei conti)  . Sempre secondo Imed, le ragioni che hanno spinto Abdouli a ritardare la cacciata dell’odiato diplomatico, siano state di natura prettamente politica, una sorta di provocazione lanciata da Abdouli ( Partito Teketol) nei confronti del collega Al Jaziri ( Partito Nahda). Di conseguenza Al Jaziri per ”vendicarsi” politicamente ha cercato di dimostrare a tutti le conseguenze dell’errata decisione di Abdouli nell’inviare alcuni familiari dei dispersi in Italia, per dimostrare ciò, ostacolò in tutti i modi possibili la missione della delegazione, spingendo cosi le famiglie a provocare un terremoto mediatico atto a ledere l’immagine di Touhami Abdouli e del ministero degli esteri tunisino fuori e dentro la Tunisia.


Abd Rahman Ben Mansour , Console di Palermo
 
Houcine El Jaziri, segretario di stato all’emigrazione  e i tunisini  all’estero ( Partito Nahda)

Appello alle coscienze


Traduzione dell’ Appello di Imed Soltani , portavoce della delegazione delle famiglie dei scomparsi arrivata in Italia lo scorso 28 Gennaio 2012.

Incontro della delegazione con Rashed Ghannouci , leader del partito ” Nahda”

”Voglio fare un appello al governo tunisino, votato dal popolo e che continua ad affermare di voler risolvere tutti i problemi del popolo tunisino. Io gli dico no, voi ( il governo) non siete riusciti a risolvere i problemi di tre persone e pretendete di risolvere quelle di un popolo? Non va bene. Noi siamo quelle tre persone. Io sono Imed Soltani, rappresentante delle famiglie dei dispersi, assieme a Mahrezia e Nourredine sono 20 giorni che siamo in mezzo alla strada senza che nessuno ci abbia ascoltati, se dite di non sapere nulla di noi io vi dico  non è vero. Cominciamo dal sig Rafik Abdslem ( ministro degli esteri tunisino) che a dichiarato al popolo tunisino che la delegazione e tutti questi giovani stanno bene, io gli dico che ciò che ha dichiarato non è vero, noi siamo in mezzo alla strada, se non era per le varie associazioni italiane che ci stanno aiutando e che chi hanno fornito gli avvocati, a quest’ora saremmo in mezzo alla strada. Noi siamo qui , vieni a vederci , vieni a vederci e piangerai. Abitiamo in una stanza per i senza tetto, mentre per il cibo mangiamo solo una volta al giorno, e tutto questo in nome dei nostri ragazzi, e ci rattrista vedere  il nostro stato non aiutarci mentre continua ad affermare di voler risolvere i problemi del popolo tunisino.  Potete chiederci chi siamo? Noi siamo i parenti di coloro che vi hanno riportato la libertà , mettendovi nelle ”sedie” in cui adesso vi trovate, i parenti di coloro che hanno permesso agli esiliati di ritornare in Tunisia , lasciandoli prendere le ”sedie”, sono queste le persone che stiamo cercando, la gioventù che ha mostrato il  proprio petto ai proiettili  in nome della vostra libertà e di quelle ”sedie”, di certo non sono stati coloro che adesso richiedono a viva voce l’estradizione del ” deposto” ( Ben Ali) , ma sono loro ( i dispersi) che voi chiamate ” criminali”, sono loro che hanno combattuto con le pietre, sono loro che hanno attraversato il mare , sono loro che sono annegati e sono loro che stiamo cercando,normalmente dovreste onorarli, e non ignorarli dimenticandoli , facendo di conseguenza impazzire i loro cari. Mi rivolgo anche al segretario di stato Houcine Al jaziri , l’incaricato per gli affari sociali all’estero, noi siamo qui e conosce bene il nostro problema e lo abbiamo contattato telefonicamente facendoglielo presente, ma non ci ha mai ascoltati e non ci ha mai trovato una soluzione per continuare la ricerca dei nostri figli, e nonostante tutte queste intemperie noi non faremo ritorno in Tunisia finche non troveremo i nostri figli. E quando il sig Rashed Ghannouci  leader del partito votato da tutto il popolo tunisino, venne ( a Roma), provammo ad’incontrarlo ma ci disse di non avere tempo. E’ vero ci sono le immagini di un nostro incontro, immagini scattate il giorno dopo un suo congresso,ma lui per paura di una nostro attacco in pubblico ci accolse per non farci ”parlare”, ma quando ci ricevette vide che siamo gente educata e gli avevamo detto che non volevamo fare quello che lui aveva pensato,gli dicemmo vai e mettici la tua parola e discutiamo sulla sorte dei nostri giovani e cerca di portare la nostra parola , racconta cosa stiamo passando qui ( in Italia). Sig Rashed noi non siamo venuti fin qui per passeggiare, il compito che spetta allo stato ( tunisino) lo stiamo facendo noi, senza ricevere nulla, noi vogliamo solamente cercare i nostri figli , vittime del governo precedente ( di El Beji Caid Sebsi) che gli ha aperto le frontiere marittime spingendoli a prendere il largo per avere campo libero E fare quello che vogliono, digli che è un ingiustizia, è un ingiustizia accorgetevi di noi e ascoltateci, stiamo soffrendo qui ed è impensabile che una madre o un padre ritorni ( in Tunisia) quando il sig Abd Rahman Ben Mansour, console di Palermo, gli dice che i suoi figli sono vivi e si trovano nel nord Italia. Come volete che una madre ritorni? Digli di svegliarsi , se non siete riusciti ad aiutare tre persone non immagino che possiate occuparvi della Tunisia. Sveglia sig Al Jaziri, non puoi usarci per attaccare policamente  il Sig Abdouli del partito ”  El Teketol”, questo non è il momento per fare politica , se lui inviandoci  in Italia ha sbagliato, non puoi farci dimenticare e costringerci a dormire per strada solo per dimostrare a tutti che Abdouli ha sbagliato  o come lo stesso Abdouli  che pur di fare uno ” sgarro politico” a Al Jaziri, fa di tutto per rinviare la cacciata di Abd Rahman Ben Mansour console di Palermo, facendo cosi pagare a noi il conto. Digli che non è giusto , voi due ( Abdouli e Al Jaziri) ci state usando per fare politica, non è giusto, dovete lottare per il popolo che vi ha votato e non giocarci come un pallone, non voglio ripetervi di nuovo queste parole, siamo sfiniti non c’e la facciamo più, lasciateci finire abbiamo fatto avviare un indagine, abbiamo fatto arrivare le nostre parole. da quando siamo arrivati ci siamo fatti sentire dagli italiani che ci hanno aiutato, lasciateci continuare in modo che potremmo finalmente trovare i nostri figli. Se voi potete trovare i nostri figli senza di noi, trovateli e fateci ritornare in Tunisia, io ho lasciato casa mia come anche  Mahrezia e  Nourredine, questa responsabilità l’abbiamo presa a nome di tutte le famiglie in Tunisia e dobbiamo lottare per essa, quindi faccio un appello al popolo tunisino in modo che possa parlare con questo governo visto che non abbiamo nessuno che ci ascolti . Infine vogliamo  ringraziare il Sig Rashed Ghannoucci per averci ignorati concedendosi a noi solo per non farci alzare la voce durante il congresso. Non è questo il personaggio che ci aspettavamo , ci aspettavamo qualcuno che difendi i diritti dei musulmani…….”

Touhami Abdouli, segretario di stato presso il ministero degli esteri
( Partito Tekettol) 

Le accuse di Imed non hanno risparmiato neppure il ” cordiale” segretario di stato presso il ministero degli esteri Touhami Abdouli , che Domenica scorsa durante un incontro con le comunità tunisine a Mazara del vallo ha più volte rassicurato tutti circa l’imminente cacciata del console di Palermo ( Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo). Dichiarazione contraddittoria secondo Imed, in quanto lo stesso Abdouli ha più volte ritardato la decisione di cacciare il console, decisione fortemente voluta dal segretario di stato all’emigrazione e i tunisini all’estero , Houcine Al Jaziri, dopo che quest’ultimo è venuto a sapere,in un incontro a Palermo con le comunità tunisine della Sicilia, delle malefatte passate del console Abd Rahman Ben Mansour ( La resa dei conti)  . Sempre secondo Imed, le ragioni che hanno spinto Abdouli a ritardare la cacciata dell’odiato diplomatico, siano state di natura prettamente politica, una sorta di provocazione lanciata da Abdouli ( Partito Teketol) nei confronti del collega Al Jaziri ( Partito Nahda). Di conseguenza Al Jaziri per ”vendicarsi” politicamente ha cercato di dimostrare a tutti le conseguenze dell’errata decisione di Abdouli nell’inviare alcuni familiari dei dispersi in Italia, per dimostrare ciò, ostacolò in tutti i modi possibili la missione della delegazione, spingendo cosi le famiglie a provocare un terremoto mediatico atto a ledere l’immagine di Touhami Abdouli e del ministero degli esteri tunisino fuori e dentro la Tunisia.


Abd Rahman Ben Mansour , Console di Palermo
 
Houcine El Jaziri, segretario di stato all’emigrazione  e i tunisini  all’estero ( Partito Nahda)

Appello alle coscienze


Traduzione dell’ Appello di Imed Soltani , portavoce della delegazione delle famiglie dei scomparsi arrivata in Italia lo scorso 28 Gennaio 2012.

Incontro della delegazione con Rashed Ghannouci , leader del partito ” Nahda”

”Voglio fare un appello al governo tunisino, votato dal popolo e che continua ad affermare di voler risolvere tutti i problemi del popolo tunisino. Io gli dico no, voi ( il governo) non siete riusciti a risolvere i problemi di tre persone e pretendete di risolvere quelle di un popolo? Non va bene. Noi siamo quelle tre persone. Io sono Imed Soltani, rappresentante delle famiglie dei dispersi, assieme a Mahrezia e Nourredine sono 20 giorni che siamo in mezzo alla strada senza che nessuno ci abbia ascoltati, se dite di non sapere nulla di noi io vi dico  non è vero. Cominciamo dal sig Rafik Abdslem ( ministro degli esteri tunisino) che a dichiarato al popolo tunisino che la delegazione e tutti questi giovani stanno bene, io gli dico che ciò che ha dichiarato non è vero, noi siamo in mezzo alla strada, se non era per le varie associazioni italiane che ci stanno aiutando e che chi hanno fornito gli avvocati, a quest’ora saremmo in mezzo alla strada. Noi siamo qui , vieni a vederci , vieni a vederci e piangerai. Abitiamo in una stanza per i senza tetto, mentre per il cibo mangiamo solo una volta al giorno, e tutto questo in nome dei nostri ragazzi, e ci rattrista vedere  il nostro stato non aiutarci mentre continua ad affermare di voler risolvere i problemi del popolo tunisino.  Potete chiederci chi siamo? Noi siamo i parenti di coloro che vi hanno riportato la libertà , mettendovi nelle ”sedie” in cui adesso vi trovate, i parenti di coloro che hanno permesso agli esiliati di ritornare in Tunisia , lasciandoli prendere le ”sedie”, sono queste le persone che stiamo cercando, la gioventù che ha mostrato il  proprio petto ai proiettili  in nome della vostra libertà e di quelle ”sedie”, di certo non sono stati coloro che adesso richiedono a viva voce l’estradizione del ” deposto” ( Ben Ali) , ma sono loro ( i dispersi) che voi chiamate ” criminali”, sono loro che hanno combattuto con le pietre, sono loro che hanno attraversato il mare , sono loro che sono annegati e sono loro che stiamo cercando,normalmente dovreste onorarli, e non ignorarli dimenticandoli , facendo di conseguenza impazzire i loro cari. Mi rivolgo anche al segretario di stato Houcine Al jaziri , l’incaricato per gli affari sociali all’estero, noi siamo qui e conosce bene il nostro problema e lo abbiamo contattato telefonicamente facendoglielo presente, ma non ci ha mai ascoltati e non ci ha mai trovato una soluzione per continuare la ricerca dei nostri figli, e nonostante tutte queste intemperie noi non faremo ritorno in Tunisia finche non troveremo i nostri figli. E quando il sig Rashed Ghannouci  leader del partito votato da tutto il popolo tunisino, venne ( a Roma), provammo ad’incontrarlo ma ci disse di non avere tempo. E’ vero ci sono le immagini di un nostro incontro, immagini scattate il giorno dopo un suo congresso,ma lui per paura di una nostro attacco in pubblico ci accolse per non farci ”parlare”, ma quando ci ricevette vide che siamo gente educata e gli avevamo detto che non volevamo fare quello che lui aveva pensato,gli dicemmo vai e mettici la tua parola e discutiamo sulla sorte dei nostri giovani e cerca di portare la nostra parola , racconta cosa stiamo passando qui ( in Italia). Sig Rashed noi non siamo venuti fin qui per passeggiare, il compito che spetta allo stato ( tunisino) lo stiamo facendo noi, senza ricevere nulla, noi vogliamo solamente cercare i nostri figli , vittime del governo precedente ( di El Beji Caid Sebsi) che gli ha aperto le frontiere marittime spingendoli a prendere il largo per avere campo libero E fare quello che vogliono, digli che è un ingiustizia, è un ingiustizia accorgetevi di noi e ascoltateci, stiamo soffrendo qui ed è impensabile che una madre o un padre ritorni ( in Tunisia) quando il sig Abd Rahman Ben Mansour, console di Palermo, gli dice che i suoi figli sono vivi e si trovano nel nord Italia. Come volete che una madre ritorni? Digli di svegliarsi , se non siete riusciti ad aiutare tre persone non immagino che possiate occuparvi della Tunisia. Sveglia sig Al Jaziri, non puoi usarci per attaccare policamente  il Sig Abdouli del partito ”  El Teketol”, questo non è il momento per fare politica , se lui inviandoci  in Italia ha sbagliato, non puoi farci dimenticare e costringerci a dormire per strada solo per dimostrare a tutti che Abdouli ha sbagliato  o come lo stesso Abdouli  che pur di fare uno ” sgarro politico” a Al Jaziri, fa di tutto per rinviare la cacciata di Abd Rahman Ben Mansour console di Palermo, facendo cosi pagare a noi il conto. Digli che non è giusto , voi due ( Abdouli e Al Jaziri) ci state usando per fare politica, non è giusto, dovete lottare per il popolo che vi ha votato e non giocarci come un pallone, non voglio ripetervi di nuovo queste parole, siamo sfiniti non c’e la facciamo più, lasciateci finire abbiamo fatto avviare un indagine, abbiamo fatto arrivare le nostre parole. da quando siamo arrivati ci siamo fatti sentire dagli italiani che ci hanno aiutato, lasciateci continuare in modo che potremmo finalmente trovare i nostri figli. Se voi potete trovare i nostri figli senza di noi, trovateli e fateci ritornare in Tunisia, io ho lasciato casa mia come anche  Mahrezia e  Nourredine, questa responsabilità l’abbiamo presa a nome di tutte le famiglie in Tunisia e dobbiamo lottare per essa, quindi faccio un appello al popolo tunisino in modo che possa parlare con questo governo visto che non abbiamo nessuno che ci ascolti . Infine vogliamo  ringraziare il Sig Rashed Ghannoucci per averci ignorati concedendosi a noi solo per non farci alzare la voce durante il congresso. Non è questo il personaggio che ci aspettavamo , ci aspettavamo qualcuno che difendi i diritti dei musulmani…….”

Touhami Abdouli, segretario di stato presso il ministero degli esteri
( Partito Tekettol) 

Le accuse di Imed non hanno risparmiato neppure il ” cordiale” segretario di stato presso il ministero degli esteri Touhami Abdouli , che Domenica scorsa durante un incontro con le comunità tunisine a Mazara del vallo ha più volte rassicurato tutti circa l’imminente cacciata del console di Palermo ( Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo). Dichiarazione contraddittoria secondo Imed, in quanto lo stesso Abdouli ha più volte ritardato la decisione di cacciare il console, decisione fortemente voluta dal segretario di stato all’emigrazione e i tunisini all’estero , Houcine Al Jaziri, dopo che quest’ultimo è venuto a sapere,in un incontro a Palermo con le comunità tunisine della Sicilia, delle malefatte passate del console Abd Rahman Ben Mansour ( La resa dei conti)  . Sempre secondo Imed, le ragioni che hanno spinto Abdouli a ritardare la cacciata dell’odiato diplomatico, siano state di natura prettamente politica, una sorta di provocazione lanciata da Abdouli ( Partito Teketol) nei confronti del collega Al Jaziri ( Partito Nahda). Di conseguenza Al Jaziri per ”vendicarsi” politicamente ha cercato di dimostrare a tutti le conseguenze dell’errata decisione di Abdouli nell’inviare alcuni familiari dei dispersi in Italia, per dimostrare ciò, ostacolò in tutti i modi possibili la missione della delegazione, spingendo cosi le famiglie a provocare un terremoto mediatico atto a ledere l’immagine di Touhami Abdouli e del ministero degli esteri tunisino fuori e dentro la Tunisia.


Abd Rahman Ben Mansour , Console di Palermo
 
Houcine El Jaziri, segretario di stato all’emigrazione  e i tunisini  all’estero ( Partito Nahda)

Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo

Incontro della comunità tunisina di Mazara del Vallo con il segretario di stato presso il ministero degli esteri tunisino, Touhami Abdouli.


Touhami Abdouli , segretario di stato presso il ministero degli esteri tunisino, ha incontrato la comunità tunisina residente a Mazara del Vallo assieme ad alcuni rappresentanti della comunità di Palermo. Durante il faccia a faccia sono stati discussi tutti i problemi riguardanti i diritti dei migranti tunisini a Mazara del Vallo, dai diritti non rispettati dei pescatori tunisini all’elevata disoccupazione dei giovani tunisini nati in Sicilia. Con grande sorpresa non si è presentato all’incontro il console Abd Rahman Ben Mansour, che ha scelto di rimanere ad aspettare  in  macchina in compagnia del suo autista piuttosto che farsi ” sbranare’ una seconda volta dalle comunità tunisine. Il segretario di stato risulta essere molto cordiale e aperto al dialogo, prendendo nota tramite il suo portavoce , delle richieste dei cittadini tunisini presenti all’incontro, consigliando a chi non ha più nessuna possibilità di lavoro in Sicilia, di ritornare in Tunisia in tempo per essere direttamente assistito nei futuri programmi d’aiuto dall’attuale governo tunisino,inoltre ha più volte rassicurato che la tanto attesa cacciata del console Abd Rahman Ben Mansour e del funzionario consolare nonchè ex membro del partito RCD ( Raggruppamento costituzionale democratico) Sami Ben Abdelaali è oramai questione di mesi . Alla fine dell’incontro il segretario di stato ha incaricato i futuri membri dell’associazione ” la voce del migrante tunisino ” di prendere nota delle problematiche dei cittadini tunisini di Palermo e Mazara del Vallo e di fargliele pervenire di persona in Tunisia.  



                                          Galleria d’immagini 05 Marzo 2012


Touhami Abdouli incontra le comunità tunisine











Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo

Incontro della comunità tunisina di Mazara del Vallo con il segretario di stato presso il ministero degli esteri tunisino, Touhami Abdouli.


Touhami Abdouli , segretario di stato presso il ministero degli esteri tunisino, ha incontrato la comunità tunisina residente a Mazara del Vallo assieme ad alcuni rappresentanti della comunità di Palermo. Durante il faccia a faccia sono stati discussi tutti i problemi riguardanti i diritti dei migranti tunisini a Mazara del Vallo, dai diritti non rispettati dei pescatori tunisini all’elevata disoccupazione dei giovani tunisini nati in Sicilia. Con grande sorpresa non si è presentato all’incontro il console Abd Rahman Ben Mansour, che ha scelto di rimanere ad aspettare  in  macchina in compagnia del suo autista piuttosto che farsi ” sbranare’ una seconda volta dalle comunità tunisine. Il segretario di stato risulta essere molto cordiale e aperto al dialogo, prendendo nota tramite il suo portavoce , delle richieste dei cittadini tunisini presenti all’incontro, consigliando a chi non ha più nessuna possibilità di lavoro in Sicilia, di ritornare in Tunisia in tempo per essere direttamente assistito nei futuri programmi d’aiuto dall’attuale governo tunisino,inoltre ha più volte rassicurato che la tanto attesa cacciata del console Abd Rahman Ben Mansour e del funzionario consolare nonchè ex membro del partito RCD ( Raggruppamento costituzionale democratico) Sami Ben Abdelaali è oramai questione di mesi . Alla fine dell’incontro il segretario di stato ha incaricato i futuri membri dell’associazione ” la voce del migrante tunisino ” di prendere nota delle problematiche dei cittadini tunisini di Palermo e Mazara del Vallo e di fargliele pervenire di persona in Tunisia.  



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Touhami Abdouli incontra le comunità tunisine











Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo

Incontro della comunità tunisina di Mazara del Vallo con il segretario di stato presso il ministero degli esteri tunisino, Touhami Abdouli.


Touhami Abdouli , segretario di stato presso il ministero degli esteri tunisino, ha incontrato la comunità tunisina residente a Mazara del Vallo assieme ad alcuni rappresentanti della comunità di Palermo. Durante il faccia a faccia sono stati discussi tutti i problemi riguardanti i diritti dei migranti tunisini a Mazara del Vallo, dai diritti non rispettati dei pescatori tunisini all’elevata disoccupazione dei giovani tunisini nati in Sicilia. Con grande sorpresa non si è presentato all’incontro il console Abd Rahman Ben Mansour, che ha scelto di rimanere ad aspettare  in  macchina in compagnia del suo autista piuttosto che farsi ” sbranare’ una seconda volta dalle comunità tunisine. Il segretario di stato risulta essere molto cordiale e aperto al dialogo, prendendo nota tramite il suo portavoce , delle richieste dei cittadini tunisini presenti all’incontro, consigliando a chi non ha più nessuna possibilità di lavoro in Sicilia, di ritornare in Tunisia in tempo per essere direttamente assistito nei futuri programmi d’aiuto dall’attuale governo tunisino,inoltre ha più volte rassicurato che la tanto attesa cacciata del console Abd Rahman Ben Mansour e del funzionario consolare nonchè ex membro del partito RCD ( Raggruppamento costituzionale democratico) Sami Ben Abdelaali è oramai questione di mesi . Alla fine dell’incontro il segretario di stato ha incaricato i futuri membri dell’associazione ” la voce del migrante tunisino ” di prendere nota delle problematiche dei cittadini tunisini di Palermo e Mazara del Vallo e di fargliele pervenire di persona in Tunisia.  



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Touhami Abdouli incontra le comunità tunisine











Resa dei conti parte seconda : Mazara del Vallo

Incontro della comunità tunisina di Mazara del Vallo con il segretario di stato presso il ministero degli esteri tunisino, Touhami Abdouli.


Touhami Abdouli , segretario di stato presso il ministero degli esteri tunisino, ha incontrato la comunità tunisina residente a Mazara del Vallo assieme ad alcuni rappresentanti della comunità di Palermo. Durante il faccia a faccia sono stati discussi tutti i problemi riguardanti i diritti dei migranti tunisini a Mazara del Vallo, dai diritti non rispettati dei pescatori tunisini all’elevata disoccupazione dei giovani tunisini nati in Sicilia. Con grande sorpresa non si è presentato all’incontro il console Abd Rahman Ben Mansour, che ha scelto di rimanere ad aspettare  in  macchina in compagnia del suo autista piuttosto che farsi ” sbranare’ una seconda volta dalle comunità tunisine. Il segretario di stato risulta essere molto cordiale e aperto al dialogo, prendendo nota tramite il suo portavoce , delle richieste dei cittadini tunisini presenti all’incontro, consigliando a chi non ha più nessuna possibilità di lavoro in Sicilia, di ritornare in Tunisia in tempo per essere direttamente assistito nei futuri programmi d’aiuto dall’attuale governo tunisino,inoltre ha più volte rassicurato che la tanto attesa cacciata del console Abd Rahman Ben Mansour e del funzionario consolare nonchè ex membro del partito RCD ( Raggruppamento costituzionale democratico) Sami Ben Abdelaali è oramai questione di mesi . Alla fine dell’incontro il segretario di stato ha incaricato i futuri membri dell’associazione ” la voce del migrante tunisino ” di prendere nota delle problematiche dei cittadini tunisini di Palermo e Mazara del Vallo e di fargliele pervenire di persona in Tunisia.  



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Touhami Abdouli incontra le comunità tunisine











Si ricomincia da Roma..

Dopo ventidue giorni passati a Palermo, la ricerca della delegazione si sposta a Roma dove questa mattina hanno tentato invano di chiedere udienza all’ambasciatore della Tunisia Naser Mistiri.

Ambasciata della Tunisia a Roma

Il primo giorno di permanenza a Roma della delegazione delle famiglie dei scomparsi si è conclusa senza un nulla di fatto, invano questa mattina hanno chiesto udienza all’ambasciatore tunisino, Naser Mistiri, impegnato in dei incontri con alcuni ministri italiani. Inizio di giornata all’insegna del nervosismo e della confusione, dopo che Imed Soltani , portavoce e membro della delegazione ha ricevuto una telefonata da Adel Laied, direttore della ONG tunisina ” Front National De Concorde”, dove quest’ultimo gli comunicava l’annulamento del loro appuntamento con l’ambasciatore Mistiri per via del sit-in organizzato da Rebecca Kraiem. Nonostante le tensioni la delegazione è stata ricevuta da Chokri Ltaief, vice Ambasciatore. Durante l’incontro il vice ambasciatore ha più volte ribadito la buona volonta dell’ambasciata nella vicenda, affermando che il governo italiano ha chiesto più volte al governo tunisino l’invio delle impronte digitali, secondo alcune fonti nella giornata di oggi sono state inviate 17 impronte digitali appartenenti ad alcuni ” desaparecidos” minorenni. La delegazione è riuscita a strappare un appuntamento con l’ambasciatore per martedi mattina, seguirà una conferenza stampa presso la sede della CGIL e un incontro per mezzogiorno al Viminale. In seguito all’incontro con il vice ambasciatore Chokri Ltaief ,le famiglie sono state intervistate dalla troupe di Rai 3 e presadiretta .Da segnalare anche la presenza di alcuni membri della comunità tunisina residente a Roma. Previsto un Sabato di riposo ed un sorta di sit-in a Piazza San Pietro Domenica mattina, il tutto deciso dalla Rebecca Kraiem dell’associazione G. Verdi

                                              Galleria d’immagini  18-02-2012

Si ricomincia da Roma..

Dopo ventidue giorni passati a Palermo, la ricerca della delegazione si sposta a Roma dove questa mattina hanno tentato invano di chiedere udienza all’ambasciatore della Tunisia Naser Mistiri.

Ambasciata della Tunisia a Roma

Il primo giorno di permanenza a Roma della delegazione delle famiglie dei scomparsi si è conclusa senza un nulla di fatto, invano questa mattina hanno chiesto udienza all’ambasciatore tunisino, Naser Mistiri, impegnato in dei incontri con alcuni ministri italiani. Inizio di giornata all’insegna del nervosismo e della confusione, dopo che Imed Soltani , portavoce e membro della delegazione ha ricevuto una telefonata da Adel Laied, direttore della ONG tunisina ” Front National De Concorde”, dove quest’ultimo gli comunicava l’annulamento del loro appuntamento con l’ambasciatore Mistiri per via del sit-in organizzato da Rebecca Kraiem. Nonostante le tensioni la delegazione è stata ricevuta da Chokri Ltaief, vice Ambasciatore. Durante l’incontro il vice ambasciatore ha più volte ribadito la buona volonta dell’ambasciata nella vicenda, affermando che il governo italiano ha chiesto più volte al governo tunisino l’invio delle impronte digitali, secondo alcune fonti nella giornata di oggi sono state inviate 17 impronte digitali appartenenti ad alcuni ” desaparecidos” minorenni. La delegazione è riuscita a strappare un appuntamento con l’ambasciatore per martedi mattina, seguirà una conferenza stampa presso la sede della CGIL e un incontro per mezzogiorno al Viminale. In seguito all’incontro con il vice ambasciatore Chokri Ltaief ,le famiglie sono state intervistate dalla troupe di Rai 3 e presadiretta .Da segnalare anche la presenza di alcuni membri della comunità tunisina residente a Roma. Previsto un Sabato di riposo ed un sorta di sit-in a Piazza San Pietro Domenica mattina, il tutto deciso dalla Rebecca Kraiem dell’associazione G. Verdi

                                              Galleria d’immagini  18-02-2012

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