Un futuro

Schengen contro Dublino.

La Francia ha chiuso la porta di casa.

Migranti disperati sugli scogli, Ventimiglia.

Inviati speciali, elicotteri, forse anche droni.

Serve un piano europeo, dice Renzi.

Ma intanto l’Italia “ha perso le tracce” di 50.000 persone.

Sono sbarcate in Italia e non si sa dove sono, dove sono andate.

Un certo numero di esse le ritroviamo a Ventimiglia, appunto.

Si sono materializzate lì, prima non c’erano.

In questa contemporaneità fatta di “percorsi” non rintracciamo “strategie”.

Non realizziamo che il tragitto dal sud del nostro paese fino alla frontiera francese non è “un percorso” fatto una volta sola – come in un talent show – da un numero ristretto di migranti.

Non realizziamo che quello è un flusso, che quella strada i migranti la prendono da mesi, anni.

Ci accorgiamo del fatto solo perché il flusso è stato interrotto.

Non ci domandiamo cosa è successo e cosa non è successo nel tragitto.

Ecco cosa è successo: queste persone, sbarcate nel sud Italia, non sono state accolte in Italia.

Hanno pagato una montagna di euro per avere una scheda telefonica, e un’altra montagna per raggiungere la frontiera settentrionale in incognito.

Le autorità italiane hanno lasciato fare. Non hanno applicato il regolamento di Dublino, che prevede l’identificazione e l’eventuale ricezione della domanda di asilo politico.

Le autorità italiane hanno chiuso gli occhi, e alimentato un traffico: andiamo ad affondare le barche in Libia – facendo accordi con alcuni fra i peggiori manigoldi del Mar Mediterraneo – ma non blocchiamo gli scafisti di terra “a casa nostra”.

E questo, secondo la vulgata, sarebbe “gestire” i “nostri interessi”.

Le autorità italiane non hanno fatto tutto questo perché armate di buone intenzioni, perché portano avanti i diritti di quei migranti ad andare dove vogliono, perché hanno a cuore gli “interessi nazionali”.

Lo hanno fatto per scaricare il peso altrove, senza assumersi alcuna responsabilità, e magari portando a casa qualche accordo sotto banco.

Mentre il mondo della politica (da Renzi a Salvini a Berlusconi), parassitando, utilizzava la cronaca delle tragedie per tematizzare un scontro elettorale altrimenti privo di una qualsivoglia tensione.

Perdendo credibilità di fronte a coloro contro cui, in Europa, ora abbaia.

***

Il regolamento di Dublino è un’infamia, va abolito.

I migranti hanno il diritto di usufruire di Schengen, è necessario dirlo.

Ma l’Italia non dice questo, l’Italia sta facendo un gioco sporco, perché nel regolamento di Dublino ci sguazza fino a quando trova la cosa utile.

Poi quel regolamento lo trasgredisce deliberatamente.

La Francia sta reagendo con strumenti altrettanto irrituali – d’accordo – ma codificabili e leggibili: “Se tu non applichi Dublino io non applico Schengen”.

Intanto “il popolo” dice, pilatescamente, “lasciateli andare, accoglieteli in Francia”.

E questo fa gioco, fa gioco a tutti almeno sul brevissimo periodo.

Stupidi egoismi su stupidi egoismi. All’italiana o alla francese, ma il problema non si risolve in questo modo, né si risolverà da solo.

Ci vogliono soldi, strutture, piani. Ci vogliono numeri, statistiche, informazioni.

Bisogna togliere la cosa dalle mani di mafiosi, faccendieri, fascisti.

Qui in Italia, non altrove, o anche altrove ma soprattutto in Italia, perché se i migranti sbarcano qui c’è un motivo: la silenziosa e ipocrita “deroga” al regolamento di Dublino, prima della prossimità geografica.

Una prossimità che viviamo come una specie di sventura, negando chi siamo, dove siamo, qual è la nostra storia, la nostra vocazione, percependoci come pigs e agendo come tali.

Il problema è italiano. Questo è un grossissimo problema italiano.

Non ci vogliono schizofreniche dichiarazioni renziane. Lacrime di coccodrillo e muti ruggiti sullo sfondo di una furbata da italietta con le scarpe di cartone. In cui torme di razzisti nuotano felici, preparandosi a prendersi questo paese (e culturalmente sono già molto avanti).

I migranti arrivano in Italia, dobbiamo sapere chi sono, cosa hanno in mente. Dobbiamo sapere se possiamo aiutarli e, nel caso, dobbiamo aiutarli.

Ad andarsene o a rimanere.

Sì, va bene, dobbiamo “aiutarli a casa loro” ma non basta, non basterebbe.

Le guerre, i tiranni, la fame hanno le nostre facce, non prendiamoci in giro.

E poi gli esseri umani sono nati liberi di muoversi, e basta.

Dobbiamo desiderare che arrivino e anche che si fermino, perché ciò significherebbe che l’Italia è un bel paese in cui stare, in cui immaginare un futuro.

Un futuro cui i migranti pensano ogni giorno, al contrario di noi.

Non ci sono scorciatoie, dobbiamo tenerli qui, i migranti. Io li voglio qui.

Sono la Storia che bussa, sono l’unica vera luminosa possibilità di futuro capitataci in sorte.

Dovremmo ritenerci fortunati, sempre che un futuro ci interessi.

E invece, senza forse nemmeno credere alle nostre stesse parole, ci riscopriamo francofobici – e via con la storia del bidet o altre facezie – sperando che davvero la Francia sia il problema.

Un futuro è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.