Un tuffo nel Mar Rosso

Ieri ho fatto un Bartezzaghi in cui il 19 orizzontale era “Tradizionale capo d’abbigliamento femminile nell’Islam”, cinque lettere: BURQA!
Complimenti per la Q a A.Bartezzaghi, un po’ meno a coloro che hanno scritto la definizione.

Ma non è questo il motivo che mi spinge a scrivere. C’è che nelle ultime settimane la comunicazione dell’informazione sui grandi media sembra essere tornata indietro di un decennio: proclami, decapitazioni, coalizioni, bombardamenti più o meno chirurgici, allarmismi. Con il solito armamentario asimmetrico nel dosaggio del sensazionalismo.

Una guerra alle porte dell’Europa, se fatta in nome di un sacrosanto nazionalismo, è meno cruenta, meno pericolosa e il cattivo è semplicemente quello che si vuole ricattare. Se una guerra è fatta per ragioni forse più “sacrosante” ma noi incomprensibili (religione? indipendentismo? semplice lotta per il potere?) diventa una minaccia letale per un intero sistema di valori universali.

Le immagini dello sgozzamento di due “occidentali” cancellano in un lampo le centinaia di migliaia di vittime che negli Stati di Siria e Iraq, nell’ultimo decennio, hanno subito simile o peggior sorte sotto i colpi di bomardamenti governativi, autobombe, faide e vendette più o meno trasversali, rastrellamenti, ecc. (per farsi un’idea: http://iraqbodycount.org).

Ma la chicca è un servizio andato dal settimanale di una testata RAI (Tg1?Tg2? non ricordo, cercatelo voi) su Elat.
Immagino che tutti sappiano cosa sia Elat, ma ci tengo a dare qualche coordinata.

Elat è un punto geografico che dai tempi biblici di Salomone aspira a diventare la porta del Levante sul Mar Rosso, il punto di snodo fra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano, quello che insomma Suez, sull’altro versante della Penisola del Sinai, è diventato per l’Egitto. Insieme alla sua gemella ‘Aqaba però ha sempre condiviso l’infelice posizione di isolamento (ha alle spalle solo montagne desertiche) e la scarsità di risorse, che hanno fatto del vertice di quel golfo un punto il cui valore strategico è più che altro simbolico.

Nel secolo scorso però alcuni avvenimenti hanno cambiato il destino di queste due località. Durante la I Guerra Mondiale la clamorosa presa di ‘Aqaba da parte degli Arabi (arabi veri, verrebbe da dire, Hashemiti) guidati da Lawrence sembrò ridare importanza strategica alla località, mentre all’indomani della II Guerra Mondiale, Elat veniva assegnata allo Stato Ebraico Israele e ‘Aqaba al Regno Hashemita di Giordania.
Qualsiasi aspirazione di un utilizzo strategico dei due porti però è sempre stata vanificata dal fatto che su gran parte delle coste del Golfo di ‘Aqaba si affacciano l’Egitto e l’Arabia Saudita.

Ma ecco che subentra un’altra vocazione naturale per Elat: il turismo balneare. Prima ancora che gli accordi di Camp David del 1977 aprissero le porte allo sviluppo turistico di massa del Sinai, Elat è sempre stata, nel suo piccolo, la spiaggia tropicale degli israeliani.
Poi sono venute Taba, Nuwayba, Sharm el-Shaykh con i loro mega-resort-casinò-diving-club-escursioneconteintendabeduina-natalecondesica ecc..

Il servizio del TG non diceva, ma sottintedeva, che però ogni tanto in queste splendide località egiziane scoppia una bomba, che il Sinai è turbato dalla presenza di riottosi beduini, di infiltrazioni di Hamas da Ghaza (!) e chissà se non anche di al-Qa’ida e (ora addirittura dell’ISIS, sostiene al-Sisi). Quindi quanto è più bello tuffarsi nelle acque israeliane del Mar Rosso, dove per altro gli “indigeni” non sono fastidiosi musulmani, ma secolarizzatissimi ebrei, più o meno come quelli di Manhattan.

Inoltre, mostrava il servizio, il pericolo che un minchietta di razzetto da Ghaza venga a turbare la vacanza dei turisti europei è sventato dalle batterie antimissile dell’Iron Dome schierate tutto intorno alla ridente località.

E in quest’ultima frase ci sono almeno due parole che mi fanno ribollire il sangue: “Ghaza” e “Iron Dome”.

Quest’ultimo infatti, dopo essere stato testato con successo più o meno trasparente nella scorsa estate ha ricevuto ulteriori finanziamenti per il suo sviluppo da parte israelo-americana, con somma soddisfazione degli esperti militari e dei capitani dell’industria bellica avanzata.

Perché Ghaza, con l’operazione “Margine Protettivo”, fra le altre cose è stata una sorta di poligono di tiro per testare nuove armi strategiche.

Ma Ghaza è anche altro.

Ghaza-Elat è un foglio di carta sulle cui pagine la storia ha dipinto a volte giardini e paesaggi da fiaba, a volte arida miseria, ma le due pagine di uno stesso foglio non riescono mai guardarsi in faccia.

Eppure Ghaza è anche altro, molto altro.