Cinque matti alle crociate: un islamista e un medievista provano a capirci qualcosa

di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas

(Il dialogo aiuta. Ci siamo messi a parlare, ci siamo dati una grammatica. Che poi da piccoli volevamo essere Wu-Ming pure noi. Di recente abbiamo scoperto che invece eravamo Arya Stark, ma non ci abbiamo più l’età per fondare un collettivo)

Lorenzo. Stavolta l’assassino ha detto “Allah akbar” proprio alla fine, prima di venire ucciso. Beveva, amava la salsa, non faceva il digiuno, nessuno l’ha mai visto in moschea, a Nizza. Era un violento che picchiava la moglie, era stato in prigione per reati comuni, aveva debiti. Ciò che lo lega all”integralismo islamico” sarebbe suo padre. Il quale, rivelano, in Tunisia è iscritto a Ennahda, cioè quel partito che dopo la rivoluzione del 2011 ha governato la Tunisia per qualche anno, ha perso le elezioni, è passato all’opposizione, ha formato un governo di coalizione coi vincitori, ha sancito nelle ultime settimane la propria separazione dalla famiglia dell’islam politico, da cui proviene. O sarebbero non meglio identificati “parenti” – con i quali non aveva più rapporti da anni – che “sarebbero stati condannati durante il regime di Ben Alì, e avrebbero poi approfittato dell’amnistia per uscire di prigione” (cit.). Incidentalmente dal padre dell’assassino veniamo a sapere qualcosa che un padre generalmente sa: suo figlio era un depresso. Forse avremo contezza di cosa c’era in casa sua, nel suo computer. Troveremo certamente qualcosa che riguarda lo Stato Islamico, il suo “percorso di radicalizzazione” che, ancora da quanto dichiarava ieri Cazeneuve, sarebbe avvenuto “très rapidement”.

Anatole. Il profàilin del terrorista che emergeva già nelle prime ore di venerdì da un articolo del Guardian lascia in effetti piuttosto disorientati. Innanzitutto non si capisce bene se Lahouaiej Bouhlel fosse cittadino francese di nascita tunisina o tunisino con permesso di lavoro in Francia. Secondo poi emerge che trattavasi di avvenente criminale da strapazzo, vagamente somigliante a Clooney, con una confermata passione per la salsa e la figa. In terza istanza, ma forse è il dettaglio fondamentale, scopriamo anche che “non salutava mai”, anzi era spesso piuttosto imbronciato.

Lorenzo. Né la cosa ha preso un aspetto più spiegabile col tempo. Alla fine si è capito che era tunisino con ex-moglie francese di origini tunisine. Divorziato e incazzato per questo. Ma appunto diciamo che il profilo non cambia di molto. Capiamo che andare a vedere cosa diceva nel 1938 il fratello di suo nonno non porta a granché, cioè, non viene fuori il ritratto morale di Saladino tracciato da Ibn Shaddad nel Nawadir Sultaniyya, diciamo. Forse serve a rafforzare il pregiudizio di conferma di qualche islamofobo. Certo potremo provare a farne letteratura, a un certo punto, con risultati sicuramente discutibili. È la sindrome del cronista che voleva fare lo scrittore di gialli hard boiled.

Anatole. Nel disperato tentativo di collegare questo personaggio equivoco al Califfato, a poche ore dai fatti e senza alcuna rivendicazione pervenuta, Le Figaro si affretta a spiegarci che «en septembre 2014, un important cadre de l’Etat islamique appelait ses partisans à utiliser n’importe quel moyen pour tuer, y compris des véhicules-béliers». Quello che a noi sembrava una versione sbroccata debbrutto di GTA San Andreas, è in realtà quasi una fatwa di un importante “quadro” dello Stato Islamico, che con tutta probabilità scoatta pure lui al celebre videogioco sul telefonone. La notizia è l’Isis e ce lo devi mettere per forza, roba che davvero, paradossale quanto possa sembrare, Guglielmo di Tiro nel XII secolo mantiene margini di maggiore obiettività deontologica, fin dal titolo, forse proprio perché mette i fatti in prospettiva storica.

Lorenzo. Di sicuro se in Francia fosse in ruolo il reato di “integralismo islamico” così come viene definito da Meloni&friends in una petizione popolare che avrebbe l’ambizione di essere discussa in parlamento, propagandata in pompa magna con tanto di poster giusto il 14 luglio, non avremmo evitato la strage. Certamente avremmo dato un argomento in più a uno come Mohamed Lahouaiej Bouhlel. Avrebbe pensato che questa sua radicalizzazione lampo poteva avere ancora più senso. Avesse connotati di realtà, a fronte di un crimine che stava per commettere.

Anatole. Comunque la Francia, nel suo tentativo di voler somigliare all’idea che la Francia vorrebbe avere di sé stessa, se ne avesse una, coniuga la Marianne con Luigi IX, in un sincretismo che definirlo postmoderno è riduttivo. Secondo la scaletta della narrazione a una certa Méssier le Presidànt deve orientare lo storitèllin dei tragici fatti, spiegandoci nei seguenti termini come un corriere sui trent’anni alla guida di un TIR abbia ammazzato circa ottanta persone: «la France a été frappée le jour de sa fête nationale, le 14-Juillet, symbole de la liberté, parce que les droits de l’homme sont niés par les fanatiques et que la France est forcément leur cible». Siamo già apertamente nel campo dello scontro di civiltà, anzi, della civiltà conquistata liberando la Bastiglia, contro la barbarie di chi nega la validità della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Fa seguito un rinnovato appello allo stato di emergenza, prolungato oltre il 26 luglio: «j’ai également décidé de faire appel à la réserve opérationnelle, c’est-à-dire à tous ceux qui à un moment ont été sous les drapeaux ou dans les effectifs de la gendarmerie pour venir soulager les effectifs de policiers et de gendarmes, a-t-il ajouté». Ad esso si abbina con pertinenza veramente labile un discorso sulla sicurezza delle frontiere: «nous pourrons les déployer sur tous les lieux où nous avons besoin d’eux et en particulier pour le contrôle des frontières». Pareva infatti di capire che l’attentatore avesse regolare permesso di lavoro, mentre quelli quelli operativi contro Charlie Hebdo, al Bataclan, al Carillon, allo Stade de France avevano proprio il passaporto. Sennonché, con tutta evidenza, l’associazione tra il terrorismo dell’Isis e l’emergenza dei profughi che scappano dalla guerra in Siria è troppo ghiotta perché anche il presidente di uno degli stati più potenti del mondo possa sottrarsi. È questo il trampolino logico che Hollande impiega per tuffarsi nel proclama della guerra santa: «nous allons renforcer nos actions en Syrie et en Irak». Sottolineando che «nous allons continuer à frapper ceux qui nous attaquent dans leur repaire», ci ricorda che noi europei stiamo facendo questa cosa da un bel po’ di tempo, così da aver qualcosa da dire quando ci domandano cosa si stia facendo per impedire che ottanta persone trovatesi là per caso muoiano così, senza un vero motivo che le riguardasse davvero, neanche remotamente, come d’altra parte centinaia di migliaia di altre in ogni parte del globo terraqueo, soprattutto in Siria e in Iraq. E bisognerebbe ricordare a Hollande che Luigi IX avrà anche conquistato Damietta, ma è morto di diarrea nel 1270, dando battaglia all’emirato di Tunisi per dar retta a Carlo d’Angiò.

Lorenzo. E chiaro che la Francia, nonostante le mutatissime caratteristiche di questo suo popolo, non è riuscita a definirsi mai altro che una Nazione compatta e coesa su ideali e concetti cristallizzatisi ormai da troppo tempo: patriottismo, laicité ecc. Il coro francese era già stonato dopo Charlie Hebdo, quando alcuni facevano notare che in certe aree di Parigi, e anche altrove, le marsigliesi non risuonavano affatto e le retoriche unitarie proprio non facevano breccia. In questa cosa Hollande o Figaro sono uguali. E spasmodicamente cercano in qualche paffuto criminale che si diverte a fare i Bignami del terrore una conferma al loro argomento. Il ché finisce per dare un rilievo gigantesco al criminale stesso, il quale poi se la ride sapendo che domani potrà ruttare su Twitter trovando un certo riscontro. E comunque tutto ciò non significa che abbia ragione chi dice che questa non conformità debba essere cancellata. Significa invece che occorrerebbe uscire da un vicolo cieco in cui gli unici a giocare sono i Le Pen e i terroristi.

Anatole. Certo i picchi di svalvolamento che si toccano in Italia, da nessuna parte mai. Esempio top è il mirabile scambio twitter tra Paola Ferrari, giornalista sportiva, e Rita Dalla Chiesa, presentatrice e giornalista, forse, pure lei. La prima delle due s’inalbera affermando che “loro fanno a pezzi donne e bambini, noi rispondiamo con le cerbottane”. Loro chi? Gli “slamici”? Noi chi? Veramente boh… Poi arriva a proporre di revocare il passaporto europeo ai magrebini arrivati negli ultimi vent’anni, figli compresi, senza che sia chiaro cosa sia il passaporto europeo (ogni Stato rilascia un passaporto nazionale, poi l’accordo di Schengen regola il transito transfrontaliero), né quando e in quale paese europeo si sia deciso di conferire così, scialla, la cittadinanza a un magrebino sopraggiunto negli ultimi vent’anni. È il paradigmatico caso raccontato da Guzzanti nel famoso sketch de Il caso Scafroglia, al telefono col solito ascoltatore che confonde una parola per l’altra, nel caso specifico “la Fallaci” con l’ipotesi che la guerra al terrorismo “la fa l’ACI” (ma anche le “leggi laziali” invece che “razziali” in altro meraviglioso analogo sketch).

Lorenzo. Se anche volessimo prendere per buoni questi vaneggiamenti, che peraltro riecheggiano cose dette da Donald Trump, se cioè anche ci si mettesse con la tigna a cacciare tutti i musulmani o supposti tali dall’Europa ci ritroveremo un tedesco squilibrato che accoltella gente nella metropolitana di Monaco urlando “Allah akbar”. E allora, forse, procederemmo alla eliminazione di qualsiasi “contenuto islamico” (qualsiasi cosa ciò voglia dire) dal web, dal mondo dell’informazione, dai libri. Bandiremmo qualsiasi cosa che potenzialmente serve a una donna per coprirsi la testa, anche. Non so, fate voi, il fatto è che così non si va da nessuna parte, o meglio: si dà ragione a una infame banda di criminali che ha capito come farsi pubblicità a gratis. E, in cambio, si diventa Israele.

Anatole. Ad ogni modo, non si fa in tempo a provare tutto lo scoramento del caso che, fermi tutti, alle 12:30 arriva a Uno Mattina l’intervista al classico “italiano a Nizza”. Secondo la sua rivelazione scùp pare che non sia per niente bello trovarsi inseguiti da un TIR guidato da uno che spara, mettendo sotto chiunque trovi sulla sua strada. E comunque, se non ce ne fossimo accorti, la polizia è intervenuta male e in ritardo. Grazie, era venuto anche a noi il sospetto che altrimenti il “camion della morte”, già così battezzato a quel punto, difficilmente sarebbe arrivato sulla Promenade des Anglais durante la festa del 14 luglio (dopo averla perlustrata col camion nei giorni precedenti, come si scopre in seguito) così, andando a passeggio, in una città che il sindaco ha trasformato nella casa del Grande Fratello, installando 1000 telecamere. Dopodiché, nel pomeriggio, il sistema infomediatico ci giudica pronti per le analisi sociogeopolitologicomilitari, tra le quali merita certamente una menzione Bremmer, che intervistato dal Corriere della Sera, ci spiega come «circa l’8% della popolazione non si sente francese». Viene fatto di pensare che a Castropignano, invece, si sentano tutti molto molisani e per questo nessuno ammazzi ottanta persone alla festa del santo patrono col trattore.

Lorenzo. Ma dice che bisogna fare qualcosa, sennò non sai cosa ti puoi aspettare quando esci di casa. Ma come fai a prevenire il fatto che magari uno, a una certa, decide di andarsi a suicidare in maniera stragista chissà dove? Semplice: lo devi integrare. Integra l’integralista. A forza proprio: adesso ti integro, faccio proprio una legge, speculare rispetto a quella che vuole Meloni. Che così arriviamo a fare come in Israele: “un Paese democratico dove però popoli di diversa origine vivono in modo separato” (cit.). Stranissima idea di integrazione, ma se ci evita di morire sotto un TIR, e non lo so se funziona eh, che ti devo dire, stiamoci…

Anatole. … (riflette)

Lorenzo. Altri ancora riportano che il modello israeliano “va per la maggiore”. Dopo gli attentati di Bruxelles il mantra era la debolezza del Belgio, stato fallito che fa finta di essere Europa. Stavolta il coniglio dal cappello è il “modello Israele”. Come dice l’esperto di sicurezza Carlo Biffani, “bisogna sviluppare una mentalità diversa per la propria sicurezza, proprio come avviene in Israele”. Diciamo che di fronte al rischio Eurabia si paventa un rimedio: Eusraele. Ma davvero?

Anatole. Ad ogni modo, a concludere questo delirante percorso nell’infotainment di un comune venerdì estivo, uno dei tanti possibili nella giungla digitale, tutti ugualmente deliranti, ecco che arriva il video di quando la polizia spara il terrorista, presentato con entusiasmo dal New York Post, ma probabilmente da infinite altre testate di analogo spessore in giro per il mondo.

Lorenzo. … (riflette)

Anatole. Quando tutti hanno detto tutto, cioè praticamente niente, e si profila l’arrivo della sera, con l’inevitabile profluvio di demenza politica televisiva, ecco che provvidenzialmente piove la notizia del colpo di stato in Turchia. È come quando stai per rassegnarti al Processo del lunedì e invece scopri che la Roma gioca il posticipo. Folle che sia, pare che la cronaca permanente sta sostituendo l’approfondimento giornalistico e la politica. È una continua emergenza, alla quale non si fa neanche a tempo a rispondere. Dacca, Brexit, Nizza, la Turchia e adesso qualcosa d’altro, speriamo, così da poter evitare di pensare. Mentre a quel punto si rincorrono le speculazioni sul colpo di stato turco, si rimane di fatto con l’impressione che si aveva ieri o l’altrieri, o il giorno prima e quello prima ancora, almeno da quando abbiamo scoperto che potevano spararti per strada mente cazzeggiavi così con una birra in mano, al Carillon, per esempio. Che cioè questo terrorismo, forse tutto il terrorismo, funziona che il terrorista afferma una cosa non vera sparando a qualcuno o tirando giù un palazzo con una bomba o un aereo o in tutti quei modi molto terroristici. Se nell’ambito del consesso democratico colpito dall’azione terroristica si fosse tutti d’accordo che la cosa affermata dal terrorista è falsa, non perché affermata in maniera terroristica, ma perché proprio falsa, si potrebbe catturare il terrorista, punirlo secondo la legge e la cosa con grande probabilità finirebbe là. Invece all’interno del consesso democratico comincia un dibattito surreale tale che, paradossalmente, quelli che si presentano come i maggiori avversari del terrorista sostengono che il terrorista abbia ragione.

Lorenzo. E qui torniamo a Meloni. Seguendo la sua fine logica giuridica potremmo promuovere una legge sul reato di Meloni. Torniamo anche a Trump, le cui immaginate espulsioni di nonsisacchì, sono auspicate dal portavoce del Neocaliffo proprio per eliminare tutto quello che c’è in mezzo fra Trump e Stato Islamico, cioè noi. Come dice Francesco Strazzari: ”Vogliono fare di tutto l’Occidente un gigantesco Israele”. E noi che facciamo? Diciamo: “Sì, in effetti è una buona idea”. Ma questa visione del terrorista che vuole israelizzare il mondo è una cosa mezza matta, come se il terrore avesse come scopo il terrore e basta, la vendetta magari. Da GTA San Andreas a Game of Thrones, praticamente.

Anatole. Certo, tanto da questo dibattito il terrorista è completamente escluso, non solo come interlocutore, la qual cosa è inevitabile, ma anche come soggetto portatore di un argomento dotato di una qualche concreta validità, o meno. All’interno del consesso democratico che era originariamente l’obiettivo del terrorismo si creano due partiti che configgono tra di loro. Da una parte si schierano quelli che danno ragione al terrorista, anche se in apparenza sembrerebbe che stiano dandogli contro, dall’altra quelli che dicono tutto il resto, qualunque cosa pensino, ma vengono etichettati come coloro che sono dalla parte del terrorista, anche se dicono che ha torto.

Lorenzo. I leggendari buonisti. Il cancro dell’Occidente. Quelli che Breivik vuole genocidare avendo già dato prova di saperlo fare. Oggi su Facebook mi è capitata una tipa che, sotto sotto, mi riteneva responsabile del massacro di Nizza perché ho scritto un libro divulgativo sull’Islam. Le spiegavo che nel libro si racconta dei primi attentati suicidi ma niente, era fissa su Nizza, anche osare un argomento rimontante al giorno prima era per lei una specie di dichiarazione di colpevolezza, di correità. Come se non avesse senso ragionare su come tutto ciò ha avuto inizio. Come se il terrorista non lo si debba studiare, per provare a sconfiggerlo bene. Sempre che il vero nemico continui ad essere il terrorista, perché dopo un tot, quando la minaccia si abbassa, viene più spontaneo prendersela col buonista.

Anatole. Il terrorista, volendosi mettere per un istante dalla parte sua, se non altro per capire come possa confrontarsi con questa paradossale situazione, non aveva naturalmente capito nulla del consesso democratico che egli ambisce a terrorizzare, che cioè si trattasse in ultima istanza una gabbia di matti, ed è altamente probabile che rimanga molto disorientato lui stesso. Sulla base della reazione ai suoi gesti, può fare una cosa e una sola, cioè ripetere la cosa falsa che aveva detto allo stesso modo in cui l’aveva detta, magari tirando ottanta persone sotto a un camion mentre spara a quelli intorno, alla maniera di uno di quei videogiochi che l’iconoclastia del suo mal recepito credo, ben abbinato, si diceva, alla salsa e alla fica, dovrebbe vietargli, ma, come anche s’è accennato, una botta di GTA San Andreas sul telefonone di sicuro ogni tanto gliela dà. Dagli e dagli, coloro i quali si sono costruiti un personaggio schierandosi ferocemente contro di lui, anche se in realtà gli danno ragione, vincono la battaglia all’interno del consesso democratico, dimostrando, paradossalmente, che l’argomento falso sostenuto dal terrorista è invece vero.

Lorenzo. E quindi va a finire, ripeto, che dobbiamo fare come Israele, Bremmer appunto. Cioè, sempre ammesso che il terrorista abbia davvero come finalità il terrorismo e nient’altro, cioè, non è che gli diciamo “fatti una vita” in qualche modo. No, anzi, gli creiamo il contesto ideale per continuare a fare il suo terrorismo, come se piacesse anche a noi. Cosa che in un certo qual senso è anche vera. Cioè, non a noi, ma a quelli che di casa non vogliono proprio uscire, animati dallo stesso rosico sociale del terrorista nei confronti di chiunque abbia una vita.

Anatole: Certo, il terrorismo è la situazione ideale per quello che “ci aveva judo”, che alla festa non l’avevano invitato. Quindi questa di “e noi fare-emo / come Isdraele”  è una nuova, che va ad aggiungersi alla grandissima al conflitto di civiltà, alle nostre donne da difendere, allo scandalo del velo, all’isolamento delle periferie, all’islam moderato che non si schiera, alla minigonna, al crocefisso in classe e tutti i santi in colonna, alle abitudini alimentari difformi, al colonialismo, al postcolonialismo, al transpostcolonialismo, alla barbetta del profeta, alla tunica e i jeans del ricchissimo armamentario degno di un sussidiario delle elementari degli anni sessanta. Solo noi non avevamo capito che erano chiari indizi di una guerra di religione, che in realtà nessuno sta veramente combattendo. Però suona così facile al pubblico dei canali generalisti, alla gente comune, a coloro i quali, in ultima istanza, non hanno idea di cosa si stia parlando, né gliene frega niente, perché trattasi di fenomeno che riguarda nei fatti solo chi esce di casa sua ogni tanto, cioè pochissimi, che alla fine “vabbene, dai, facciamo che era una guerra di religione e diciamo che la stavamo combattendo davvero”. “Io ero Goffredo di Buglione e tu Pietro l’Eremita, andiamo a liberare il Santo Sepolcro”, anche se non sappiamo chi fossero né l’uno, né l’altro e trattasi di fatti capitati circa mille anni fa’ (“e comunque Pietro l’Eremita fallo te, che io voglio lo spadone +5, tu pigliati la mazzarocca +3 contro gli infedeli o il bastone che diventa un zerpente”).

Lorenzo. Certo, i martiri di Otranto, l’assedio di Vienna, Marco da Aviano, la battaglia di Lepanto, la Lega santa. Tutta roba che ritorna in circolo al netto della critica storiografica, che in questo presente non esiste più (con eccezioni come questa). Se vuoi raccontare una crociata deve essersi svolta una crociata, o almeno dovrà essere in corso, altrimenti devi inventarti una serie di cose che ci somigliano, senza nemmeno sapere come dovrebbe essere una crociata. E se vuoi raccontare una crociata che non c’è, se proprio vuoi cimentarti nell’arte dello storitèllin, almeno leggiti come la raccontavano i professionisti, che ne so, Usama bin Munqidh, Ibn Wasil. Abu Shama al-Maqdisi e così via: c’è la traduzione di Gabrieli per Einaudi, si tratta di aprire un libro, daje…

Anatole.  Ma anche Guglielmo di Tiro, o la sua traduzione francese nel manoscritto francese 22495 della Bibliothèque Nationale de France, ci sono pure le figure. Evidentemente la vulgata postmoderna si figura e rende meglio la crociata come il mischione del videogioco d’azione in cui corri forte sul camion, possibilmente armato, con un’avventura di Dungeons & Dragons narrata male. Forse se te la devi leggere sul telefonone a colori viene meglio così. Certo, se vuoi raccontare una crociata che non c’è senza nemmeno sapere cosa sia, è naturale che fai fatica, ecco. E qui si apre una volta ancora il capitolo dell’emarginazione dei saperi storici dal dibattito su tutto, dunque dello schiacciamento sul presente di ogni riflessione sul presente, esclusivamente spiegato sulla base del presente, col risultato che le minacce del presente certo ci appaiono molto presenti.

Lorenzo. Mmmsì… Effettivamente questa cosa di trovarsi a dover raccontare una crociata che non c’è senza saperla spiega molto dell’affanno giornalistico. La cosa ha a che fare anche coi tempi dell’infotainment e i tempi della storiografia, che sono ormai asincroni. Chi scrive sul giornale, oggi, non si sogna nemmeno di poter fare della storia, la cosa non è alla sua portata, e neanche una sua ambizione. Non era così prima dei telefononi. Quanto ai destinatari della monnezza che ne deriva sono immersi in una situazione paradossale: la globalizzazione li sovrasta, li determina, e loro possono solo incazzarsi con le persone sbagliate, ad esempio i politici, che effettivamente decidono ben poco e quindi, by the way, fanno al massimo storitellin. La scappatoia esistenziale che rimane, quando non ci si vuole raccontare questa verità, è teorizzare complotti. Ma vabbene, questa cosa esula un po’. Bisognerà tornarci però.

Anatole. Si, c’è anche, forse, la questione del genere letterario. La cronaca succede in sostanza quando devi fare storia di fatti contemporanei, presenti. Evidentemente il divorzio tra lo storico e il cronista non viene bene quando devi parlare di crociate, un fatto storico, che ti proietta di necessità dentro la storia. La cosa del genere letterario va approfondita perché anche la cronaca, come tutti gli altri generi, nasce nel medioevo e, come il romanzo, è una degenerazione del racconto storico. Lo storico e il cronista e il romanziere erano tipo la stessa persona. Solo adesso il cronista non sa la storia, e il romanziere non sa niente.

Lorenzo. (dopo una lunga pausa) Vabbene. Pare a questo punto che il colpo di stato in Turchia sia stato sventato. C’è chi inneggia alla democrazia salvaguardata dal popolo, chi invece tifava golpe, chi parla di autocolpodistato (tutta una parola come autogol?), chi suggerisce che sia stato organizzato dal think-tank di Fassino, mentre il Ministro del Lavoro di Erdogan dichiara pubblicamente che sono stati gli amerikani.

Anatole. Per oggi facciamo che stiamo?

Lorenzo. Ci possiamo stare. Il complottismo e anche questa cosa del genere letterario la facciamo quando ci abbiamo un attimo. Mo gna famo, veramente.

Cinque matti alle crociate: un islamista e un medievista provano a capirci qualcosa è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.