Categoria: Islametro 2

Ici Casablanca, La musica è cambiata Sam*

Ritornare a casa per un migrante costituisce una seconda migrazione. E come in ogni migrazione, il primo spaesamento con il quale il migrante/autoctono si deve confrontare è quello linguistico. Basta un viaggio breve al quale siamo sempre impreparati per passare da una dimensione linguistica all’altra, con tutto ciò che questo passaggio implica dal punto di vista … Continua a leggere

Ici Casablanca, La musica è cambiata Sam*

Ritornare a casa per un migrante costituisce una seconda migrazione. E come in ogni migrazione, il primo spaesamento con il quale il migrante/autoctono si deve confrontare è quello linguistico. Basta un viaggio breve al quale siamo sempre impreparati per passare da una dimensione linguistica all’altra, con tutto ciò che questo passaggio implica dal punto di vista … Continua a leggere

Ici Casablanca, La musica è cambiata Sam*

Ritornare a casa per un migrante costituisce una seconda migrazione. E come in ogni migrazione, il primo spaesamento con il quale il migrante/autoctono si deve confrontare è quello linguistico. Basta un viaggio breve al quale siamo sempre impreparati per passare da una dimensione linguistica all’altra, con tutto ciò che questo passaggio implica dal punto di vista … Continua a leggere

Ici Casablanca, La musica è cambiata Sam*

Ritornare a casa per un migrante costituisce una seconda migrazione. E come in ogni migrazione, il primo spaesamento con il quale il migrante/autoctono si deve confrontare è quello linguistico. Basta un viaggio breve al quale siamo sempre impreparati per passare da una dimensione linguistica all’altra, con tutto ciò che questo passaggio implica dal punto di vista … Continua a leggere

Conversioni e retroversioni

Avevamo appena accettato l’idea del middlename confessionale di Magdi [Cristiano] Allam.In pompa magna, giusto 5 anni fa, si era fatto cattolico, ma oggi fa un passo indietro spiegando a “Il Giornale” che la chiesa cattolica è “debole con l’isla…

Birmania: buddisti vs musulmani

I buddisti sono pochi, buoni, e soprattutto nonviolenti.Questi sono gli assunti su cui si basa uno stereotipo che – a ben vedere – è stato costruito – e nessuno ne ha colpa – attorno ad alcuni incontrovertibili realtà: i buddisti vengono …

Il medioriente tribale

In principio c’era Gulf/2000, un progetto sponsorizzato dalla Sipa – la School of International and Public Affairs della Columbia University –  che aveva l’obiettivo di fornire un servizio di informazione a “studiosi, funzionari governativi, uomin…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione popoli sottomessi da sanguinari tiranni. Guerre che invece hanno portato sì alla morte del tiranno e a una apparente pluralità politica ma mai, mai alla fine della tirannia. Mentre il petrolio è passato subito in mano alle multinazionali, la libertà e la pace, i due popoli, la vedono allontanarsi ogni giorno un po’ di più.

ScreenHunter 02 Mar. 20 01.51Il 19 marzo 2003, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, con la partecipazione simbolica di un esiguo numero di nazioni, decidono di lanciare l’attacco contro l’Iraq. La nazione dei due fiumi era accusata di costruire di nascosto armi di distruzione di massa. Di fronte all’assemblea delle Nazioni Unite, l’allora segretario di Stato Usa, Collin Powell, aveva mostrato una boccetta “contenente” le prove della colpevolezza di Saddam. Nei fatti, il buon Collin, non dimostrò assolutamente niente e non diede nessun altro dettaglio. Ma bastò la sua parola perché tutta la stampa internazionale credesse o facesse finta di credere alla veracità di quei fatti. Il tempo dimostrò che era una pura operetta comica e che quella boccetta non contena altro che aria di Manhattan. Una aria sicuramente un po’ inquinata ma non al punto di essere dichiarata arma non convenzionale. Dieci anni dopo l’invasione dell’Iraq, delle armi di distruzione di massa non si trova ancora nessuna traccia.

Ma la stessa stampa continua a credere, o a far finta di credere, alla parola dei dirigenti delle potenze della Nato, ogni volta che dichiarano che, mentre tutte le altre non lo erano, la guerra invece che stanno per dichiarare è inevitabile.

In effetti, quando il 19 marzo 2011, la Francia decise di lanciare un attacco senza preavvisi contro l’esercito libico, tutti hanno ripetuto all’infinito che fosse per salvare i civili da uno sterminio certo. Fonti inverificabili avevano dichiarato a una stampa che non aveva nessuna voglia di verificare, che le forze di Gheddafi avvevano massacrato 10.000 civili. Sì, 10.000! Una cifra enorme. E il fatto che oggi nessuno ritrova nessun luogo dove sarebbe stata seppellita questa montagna di corpi no sciocca assolutamente nessuno. Eppure non c’è un giornalista di una certa esperienza che non fosse a conoscenza della ormai vecchia barzelletta dei 60.000 civili che Nicolai Ceaucescu, già nel lontano 1989, avrebbe massacrato per reprimere una fantomatica rivoluzione romena. Nonostante quello e una moltitudine di eventi simili, si continua ancora e sempre a riprendere le fonti vicine ai servizi dei paesi della NATO come fonti attendibili. Anzi, attendibilissime (a prescindere) e a non chiedere nessuna prova concreta, a non fare nessuna verifica, come invece lo richiede la deontologia dell’informazione.

L’Iraq e la Libia, oggi sono costretti in una sorta di non-stato in cui gli unici posti sicuri sembrano essere le aree intorno ai pozzi di petrolio. Il resto dei due paesi è immerso in un caos in cui ogni piccolo gruppo tribale, religioso o culturale ha la sua milizia e in mezzo ai quali circolano in tutta libertà individui barbuti e armati fino ai denti che, secondo le circostanze, sono chiamati militanti di Al Qaeda o salafiti armati. Secondo le circostanze, perchè questi Alqaeda/Salafiti sono valutati in modo diverso da una circostanza all’altra: prima amici poi nemici in Afganistan. Nemici in Iraq ma amici in Siria. Amici in Libia e nemici in Mali.

La questione dei salafiti amici/nemici e il fatto che gli interventi umanitari diventano indispensabili sempre e comunque laddove si gioca una importante partita per la dominazione delle risorse energetiche del pianeta non sembrano mai creare nessun dubbio nella mente del giornalista disciplinato nelle redazioni della stampa libera del mondo libero.

In questi giorni, dopo il Mali, l’obiettivo di alcuni membri della Nato sembra essere l’intervento in Siria. Non più intervento diretto secondo il modello iracheno ma intervento indiretto, secondo quello Libico. Con fondi, armi, mercenari, esperti e campi di addestramento sulle frontiere da fornire ai ribelli. Magari con qualche sostegno aereo ogni tanto e la copertura stampa omaggio della casa.

Mentre la Francia e la Gran Bretagna insistono per fornire armi all’opposizione, viene a gala come per magia la questione delle armi di distruzione di massa. Una misteriosa rocchetta a testa chimica che sarebbe caduta sul territorio. I due campi si accusano a vicenda, ma né i leader francesi e britannici né Obama, in visita nella regione, sembrano avere dubbi. Non sanno se sia vero o meno, ma escludono in partenza che possa provenire dall’opposizione.

Non sappiamo se chiederanno a Powell in prestito la sua boccetta vuota o se ricorreranno ad un altro sotterfugio. Ma Vogliamo scommettere che qualche sia la “prova” che produrranno, nessuno andrà a chiedere di vederne il contenuto da vicino?

Questi dieci anni di guerra infinita hanno dimostrato di non risolvere i problemi dei paesi coinvolti ma di aggravarli. Hanno dimostrato persino che non servono nemmeno ad arricchire i paesi occupanti, anzi costano cifre astronomiche alle loro casse. Gli unici che si arricchiscono sono dei privati: sempre gli stessi.

Dieci anni di esperienza negativa che, a vedere da come si continua a soffiare sul fuoco della guerra in Siria, non ci hanno insegnato proprio nulla.

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione popoli sottomessi da sanguinari tiranni. Guerre che invece hanno portato sì alla morte del tiranno e a una apparente pluralità politica ma mai, mai alla fine della tirannia. Mentre il petrolio è passato subito in mano alle multinazionali, la libertà e la pace, i due popoli, la vedono allontanarsi ogni giorno un po’ di più.

ScreenHunter 02 Mar. 20 01.51Il 19 marzo 2003, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, con la partecipazione simbolica di un esiguo numero di nazioni, decidono di lanciare l’attacco contro l’Iraq. La nazione dei due fiumi era accusata di costruire di nascosto armi di distruzione di massa. Di fronte all’assemblea delle Nazioni Unite, l’allora segretario di Stato Usa, Collin Powell, aveva mostrato una boccetta “contenente” le prove della colpevolezza di Saddam. Nei fatti, il buon Collin, non dimostrò assolutamente niente e non diede nessun altro dettaglio. Ma bastò la sua parola perché tutta la stampa internazionale credesse o facesse finta di credere alla veracità di quei fatti. Il tempo dimostrò che era una pura operetta comica e che quella boccetta non contena altro che aria di Manhattan. Una aria sicuramente un po’ inquinata ma non al punto di essere dichiarata arma non convenzionale. Dieci anni dopo l’invasione dell’Iraq, delle armi di distruzione di massa non si trova ancora nessuna traccia.

Ma la stessa stampa continua a credere, o a far finta di credere, alla parola dei dirigenti delle potenze della Nato, ogni volta che dichiarano che, mentre tutte le altre non lo erano, la guerra invece che stanno per dichiarare è inevitabile.

In effetti, quando il 19 marzo 2011, la Francia decise di lanciare un attacco senza preavvisi contro l’esercito libico, tutti hanno ripetuto all’infinito che fosse per salvare i civili da uno sterminio certo. Fonti inverificabili avevano dichiarato a una stampa che non aveva nessuna voglia di verificare, che le forze di Gheddafi avvevano massacrato 10.000 civili. Sì, 10.000! Una cifra enorme. E il fatto che oggi nessuno ritrova nessun luogo dove sarebbe stata seppellita questa montagna di corpi no sciocca assolutamente nessuno. Eppure non c’è un giornalista di una certa esperienza che non fosse a conoscenza della ormai vecchia barzelletta dei 60.000 civili che Nicolai Ceaucescu, già nel lontano 1989, avrebbe massacrato per reprimere una fantomatica rivoluzione romena. Nonostante quello e una moltitudine di eventi simili, si continua ancora e sempre a riprendere le fonti vicine ai servizi dei paesi della NATO come fonti attendibili. Anzi, attendibilissime (a prescindere) e a non chiedere nessuna prova concreta, a non fare nessuna verifica, come invece lo richiede la deontologia dell’informazione.

L’Iraq e la Libia, oggi sono costretti in una sorta di non-stato in cui gli unici posti sicuri sembrano essere le aree intorno ai pozzi di petrolio. Il resto dei due paesi è immerso in un caos in cui ogni piccolo gruppo tribale, religioso o culturale ha la sua milizia e in mezzo ai quali circolano in tutta libertà individui barbuti e armati fino ai denti che, secondo le circostanze, sono chiamati militanti di Al Qaeda o salafiti armati. Secondo le circostanze, perchè questi Alqaeda/Salafiti sono valutati in modo diverso da una circostanza all’altra: prima amici poi nemici in Afganistan. Nemici in Iraq ma amici in Siria. Amici in Libia e nemici in Mali.

La questione dei salafiti amici/nemici e il fatto che gli interventi umanitari diventano indispensabili sempre e comunque laddove si gioca una importante partita per la dominazione delle risorse energetiche del pianeta non sembrano mai creare nessun dubbio nella mente del giornalista disciplinato nelle redazioni della stampa libera del mondo libero.

In questi giorni, dopo il Mali, l’obiettivo di alcuni membri della Nato sembra essere l’intervento in Siria. Non più intervento diretto secondo il modello iracheno ma intervento indiretto, secondo quello Libico. Con fondi, armi, mercenari, esperti e campi di addestramento sulle frontiere da fornire ai ribelli. Magari con qualche sostegno aereo ogni tanto e la copertura stampa omaggio della casa.

Mentre la Francia e la Gran Bretagna insistono per fornire armi all’opposizione, viene a gala come per magia la questione delle armi di distruzione di massa. Una misteriosa rocchetta a testa chimica che sarebbe caduta sul territorio. I due campi si accusano a vicenda, ma né i leader francesi e britannici né Obama, in visita nella regione, sembrano avere dubbi. Non sanno se sia vero o meno, ma escludono in partenza che possa provenire dall’opposizione.

Non sappiamo se chiederanno a Powell in prestito la sua boccetta vuota o se ricorreranno ad un altro sotterfugio. Ma Vogliamo scommettere che qualche sia la “prova” che produrranno, nessuno andrà a chiedere di vederne il contenuto da vicino?

Questi dieci anni di guerra infinita hanno dimostrato di non risolvere i problemi dei paesi coinvolti ma di aggravarli. Hanno dimostrato persino che non servono nemmeno ad arricchire i paesi occupanti, anzi costano cifre astronomiche alle loro casse. Gli unici che si arricchiscono sono dei privati: sempre gli stessi.

Dieci anni di esperienza negativa che, a vedere da come si continua a soffiare sul fuoco della guerra in Siria, non ci hanno insegnato proprio nulla.

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

19 marzo: festa della guerra infinita

Non si sa se è un caso della storia o uno strano calcolo astrologico che ha condizionato la scelta di questa data, ma il 19 marzo è una data comune a due delle guerre dette umanitarie di questo nuovo secolo. Due guerre che dovevano portare alla liberazione…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

From civilian to fighter – YouTube

Ayham and Wasseem have been fighting as members of the Free Syrian Army since the beginning of the revolution. Before the Syrian uprising, Ayham was a student while Wasseem was a tailor. Both have abandoned their lives to fight against the troops of Ba…

La donna oggetto in assenza di democrazia

Altrove mi ero esercitato sul tema dei diritti in assenza di democrazia, in particolare nei paesi del Golfo. Potete trovare le mie riflessioni qui. La teoria è molto semplice. Diversi temi – il clima, l’islamofobia, i diritti delle donne, la…

Le fonti di Marinella e Pierangela

Marinella Correggia e Pierangela Zanzottera firmano un articolo di Nena-News da titolo: “Siria, come la stampa manipola i massacri“. Mi concentrerò sulle fonti usate dalle due autrici. Scrivono che ci sono stati due eventi catastrofici “in perfetta coincidenza con un…

AFRICOM in due mosse

Giusto per tenerlo a mente, ecco le due cose che sono successe in contesto AFRICOM dall’offensiva francese in Mali: aperta una base per droni in Niger; accolta a Stoccarda una delegazione Nigeriana composta di militari e di attori media  …

Valentino da Terni e Islam percepito

Scrivevo, altrove, che il San Valentino in terre d’Islam, è espressione dell’avanzata di questa nostra monociviltà mondiale. Da loro si chiama “Valentine’s”, come negli Stati Uniti. Fanno le cose che si fanno negli Stati Uniti, molto più di quanto se…

Sociopatia di un’associazione fascista

Non so in quanti siano ma so che sono fascisti, perché lo dicono. Dicono di esserlo sia politicamente che spiritualmente. E sono per Asad, ovviamente. Quindi succede che scrivano un articolo in cui spiegano che Il patrimonio storico-culturale siriano depredato…

Le frontiere del caos

Se digitate “caos” e “tunisia” su google troverete 996.000 occorrenze. Il fatto è che questo “caos” è nelle menti di scrive “caos”, non in Tunisia. Non si capisce bene ciò che succede e quindi si scrive “caos”. La categoria del…

Paura e delirio a Palazzo Corigliano

Pensavo che le vette della fuffa le avesse raggiunte Repubblica con quel divertentissimo reportage sui Fratelli Musulmani in Italia così ben commentato da Karim Metref su A.L.M.A. Invece oggi ho trovato di meglio sul Tempo. Trattasi di un articolo che,…

Timbuktu e i suoi manoscritti

Quando studiavo i manoscritti arabi di Zanzibar c’era un grande affaccendarsi attorno al loro reperimento, in città e in archivio. Un gruppo di 2-300 era arrivato da un istituto ormai chiuso e attendeva di essere “riconsiderato”, elenchi alla mano. Si…

La ragazza russa dell’Esercito Siriano Libero

L. scrive un e-mail circolare per una traduzione dal russo. Vorrebbe capire cosa dice la ragazza in questo video. Siamo al 25 gennaio scorso. Qualche giorno dopo, il 28, arriva la traduzione di C. Eccola: Sono una cittadina della Federazione…

La favola del piccolo Hollande che salvò i negretti dall’orco Alqaeda

Ecco. Fatto! Svanita anche la speranza Hollande.

É vero che la classe politica mondiale, quella che dirige, o almeno fa finta di dirigere, questo mondo, non assomiglia tanto ad una riviera di diamanti. Anzi dall’odore che emana dalle sue azioni si avvicina più al letamaio. Eppure di ‘fior’, a dispetto del poeta, da questo letamaio velenoso della politica, non ne vengono fuori mai, ma mai. Nemmeno una. Ogni tanto ci sembra di scorgere un germoglio ma poi va a finire sempre nel marciume più assoluto.

HollandeEppure rimane tutto un popolo di sinistra che continua ad andare a votare con la speranza di cambiare le cose. Ci ha creduto in Zapatero, quel popolo. E questo ha svenduto il suo paese alla finanza e al cemento. Poi ha creduto ancora più saldamente in Obama. Oh sììì… Quanto ci hanno creduto in Obama! Era nero, bello, giovane. Sapeva parlare. Mamma mia, come sapeva parlare. Incarnava nella sua storia personale il percorso, le sofferenze e i sogni di milioni di neri. Di tutti i popoli oppressi. Di tutti noi!

Poi quando anche lui, come tutti, ha cominciato a macellare pezzi di terzo mondo per darli in pasto alle lobby, l”hanno lasciato da parte per seguire altre speranze. Ultima tra queste speranze…  lui: François Hollande!

Con il suo fisico da uomo qualsiasi, la sua faccia da postino buono. Con i suoi occhi dolci, che si inumidivano quando lanciava i suoi slogan. Con le sue parole coraggiose, sembrava il piccolo sarto della fiaba che va a caccia di giganti. Lavoratori, giovani, donne, immigrati, “blancs, blacks, beurs”, come si dice oltralpe, gay, pacifisti… Tutti ad abbracciarsi e a congratularsi doipo la vittoria. Il demonio Sarkozy è sconfitto. Vedrete che grandi cambiamenti adesso!

Ed eccoli qui i cambiamenti arrivare. Aveva promesso di riportare la crescita durante la sua campagna elettorale (quella maledetta crescita che fa sognare tutti ma poi frega tutti) senza mai precisare come. “Avrà nel sacco qualche piano innovativo?”, ci si chiedeva. Ed ecco che questi giorni arriva la risposta. Sì! Un piano, il buon François ce l’ha, di sicuro. Ma niente di molto innovativo. Si tratta della buona vecchia ricetta delle guerre coloniali. Ricetta che, si sa, alla Francia ha portato tanta, ma tanta crescita.

Se Sarkozy ha bombardato la Libia solo poche ore dopo una risoluzione dell’ONU che ne ipotizzava la possibilità, Hollande si lancia contro i gihadisti in Nord Mali senza l’ombra di un mandato internazionale e senza nemmeno consultare i suoi alleati. Il Sahel è zona sotto controllo francese e l’uomo che poche settimane fa andava ad Algeri a scusarsi per i crimini del colonialismo, ci tiene a sottolinearlo a colpi di missili aria-terra. Quelle scuse e quelle lacrime di coccodrillo ad Algeri, dunque, erano solo la moneta di scambio contro il nullaosta di Algeri per quest’attacco. Che grande giocatore, il piccolo François!  

 

La fiaba infinita e lo spaventapopoli

Bisogna dire, però, che tutto il merito non è suo. Il cibo gli è stato ben preparato da prima, lui adesso deve solo masticare e buttare giù.

C’è stata tutta la cultura delle guerre umanitarie coltivata con cura e forza fertilizzanti mediatici. C’è stato il recupero politico-mediatico-militare delle rivolte dei giovani arabi. Un lavoro da orafo. C’è stata la riconquista della libia da parte del suo predecessore e degli alleati. C’è stata la costruzione di una galassia di gruppi armati di criminali, trafficanti, barbuti che sono genericamente definiti come Al Qaeda e che sono certe volte definiti come alleato strategico -vedere alla voce guerra in Bosnia, Kossovo, Libia e Siria- e certe altre come nemico perfetto quello da combattere a tutti i costi e che serve a giustificare interventi armati, guerre umanitarie, uccisioni preventive, bombardamenti a tappeto… Lo spauracchio ideale. Lo spaventapopoli per antonomasia. Se non dormite chiamo Al Qaeda, dice mamma stato.

Ma le altre mamme, poi alla fine, se il bambino rifiuta di dormire non chiamano mai il lupo cattivo o l’orco mangia bambini. Mentre le mafie/governi che gestiscono ormai questo nostro mondo, se un popolo rifiuta di dormire, loro chiamano per davvero lo spaventapopoli, l’orco Al Qaeda. E come per magia il paese diventa un pullulare di barbuti armati che sparano e sgozzano tutto quello che si muove.

«Da dove arrivano? Come fanno ad avere le quantità ingenti di denaro e armamenti che sfoggiano ovunque?», chiede il popolino impaurito.

«E’ perchè l’Orcomaggiore, il capo di tutti gli orchi, un tale Binladen, è miliardario, e tiene tantissimi soldi nei paradisi fiscali.» , rispondono le mammine con la loro voce più soave, la stampa.

«Cosa sono i paradisi fiscali, mamma? Chi li ha creati, l’orco Binladen? Perché papà NATO che combatte i cattivi ovunque non li bombarda questi paradisi fiscali?

“Adesso basta con le domande! Chiudi gli occhi e fai la nanna e basta.”

Peccato che le mammine non vogliono raccontarci come mai che, oggi che l’Orcomaggiore è ufficialmente morto, i barbuti continuano ad essere sempre più ricchi. Come mai che prima dell’inizio delle rivolte arabe erano quasi scomparsi. Non se ne parlava quasi più. E che improvvisamente hanno ricominciato a proliferare come blatte in un ambiente caldo e umido.

 

Il nemico perfetto, anzi l’alleato…

Anzi, con la guerra in Libia si è riscoperto un legame che non si ammetteva più dai tempi della guerra d’Afghanistan. La prima. Quella con i russi.

Agosto del 2011, la città di Tripoli è presa d’assalto da un vero e proprio esercito uscito dal nulla. Le milizie di Jebel Nefusa. Alla testa di queste milizie un veterano dell’Afghanistan, Abdelhakim Belhadj.

Il “Comandante Hakim”, come lo chiamano con affetto i suoi uomini, è un vecchio amico degli USA e della NATO in quanto combattente in Afghanistan con … Al Qaeda. Poi dopo l’11 settembre diventò ufficialmente nemico della Nato-USA e fu arrestato e trasferito a Guantanamo, in quanto militante di … AlQaeda. Poi di nuovo è ridiventato amico della Nato-USA in quanto oppositore contro Gheddafi e militante di… Al Qaeda. E così fu armato e finanziato per instaurare la democrazia, che lui considera una eresia. Semplice, no?

Belhadj è entrato a Tripoli alla testa di un folto gruppo di giovani, armati e addestrati da militari USA e con le tasche piene di soldi del Qattar e dell’Arabia Saudita. Attualmente è l’uomo forte di Tripoli e, oltre a mandare i suoi giovani a instaurare la democrazia anche in Siria, fa di questa città il nuovo Eldorado dei Gihadisti di ogni dove. Non a caso, secondo alcuni reparti dei servizi segreti algerini (e attraverso il giornale Liberté vicinissimo ad alcuni dei generali più potenti di Algeri) sostengono che la riunione per l’attacco contro la base BP di In Amenas si è tenuta proprio lì, a Tripoli.

 

Altro legame con la “primavera araba” si trova nell’improvvisa proliferazione di gruppi armati barbuti. Fino all’inizio delle rivolte dei giovani nei paesi arabi, Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI per gli amici) era una piccola banda di criminali. Schegge residue della sporca guerra algerina degli anni 90 mescolate ai trafficanti del deserto. Praticavano un po’ (anzi tanto) traffico di tutto quello che si può trafficare, e ogni tanto quando qualcuno aveva bisogno dei loro servizi o quando si presentava l’occasione rapivano qualche turista o operatore umanitario per mettere un po’ di carne sul fuoco dei media.

Si sa che se massacri un intero villaggio di maliani o di mauritani, al limite ottieni qualche riga di lancio dell’AFP che andrà a perdersi tra tante informazioni molto più importanti, come il numero di contatti sul clip-video di Gagnam Style e l’ultima torta da 2 tonnellate iscritta al Guiness dei record.

Se invece becchi un qualsiasi testa di min… con il passaporto giusto, intanto fai la prima su tutti i giornali del mondo, poi becchi tanti di quei soldi che ti bastano per vivere da nababbo per anni.

Il business era fiorente, droga, armi, esseri umani. Di disperati da trafficare nella zona non mancano e di persone sequestrabili bastava beccarne qualcuna/o ogni tanto.

I governi dell’area sono tutti corruttibili a piacere. Con gli eserciti si facevano buoni affari. E a tutti faceva piacere questa presenza. Ai regimi per chiudere ogni spazio di libertà; agli eserciti per chiedere sempre più soldi, mezzi e poteri; alle potenze occidentali per giustificare una futura invasione di questa vasta parte dell’Africa che, quasi ormai unica al mondo, è priva di basi militari Nato; per creare e rafforzare cose tipo l’Africa Corp, per allargare le basi militari intorno al mediterraneo -vedere Dal Molin e compagnia bella- per comprare e vendere un mucchio di armi… Insomma per la buona salute del business della guerra.

Era la dolce vita per tutti. 

Ma ecco che appena cominciano le rivolte arabe, che presto contagiano anche altre parti del mondo, i gruppi armati nel deserto diventano molti di più. Gli Aqmi non si contano più. Poi c’è il Mujao, che molti chiamano organizzazione di narco-terroristi. Poi c’è Iyad Ag Ghali un ex combattente per la liberazione dell’Azawad, all’epoca in cui la Francia sosteneva e manipolava il movimento Tuareg, poi ex funzionario dello stato maliano e ex diplomatico nei paesi del golfo. Poi alla fine del 2011, si lascia crescere la barba, si orna con un nome di guerra: Abū al-Faḍl , e lancia il suo movimento: Ansar Al Islam, che un po’ si avvicina All’Aqmi e vuole istaurare la Sharia, un po’ fa l’occhiolino al Movimento di liberazione dell’Azawad e dice di non essere amico di Al Qaeda e dei terroristi…

Tutti questi gruppi si animano nello stesso tempo. All’improvviso arrivano uomini, mezzi e petrodollari da tutte le parti. E ben presto quella area vastissima che è ai limiti sud del Sahara diventa un vero e proprio nido di vipere.

 

Chi lo vuole un Azawad libero?

 

ScreenHunter_44-Jan.-23-00.43.jpgMa le connessioni, con il fenomeno del risveglio delle coscienze nel mondo arabo, e oltre, non finiscono qui. Chi conosce bene la zona lo vede chiaramente che i gruppi armati sono arrivati per temprare una rivolta del popolo tuareg che rischiava di contaminare altre nazioni e altre popolazioni della zona. In un articolo precedente ho raccontato come i guerriglieri del Movimento di Liberazione dell’Azawad siano tornati dalla Libia, dopo anni di esilio, con armi e bagagli e si ritrovano a conquistare quasi senza combattimento un paese dove l’esercito si era trasformato in una banda di trafficanti-estorsori che è scappato via dalle caserme ai primi spari.

Quella della liberazione dell’Azawad era in qualche modo una delle vittorie dei popoli nelle rivolte degli ultimi anni. Quelli del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad sono militanti laici e non alleati con nessuno. Che siano indipendenti, o a dirla tutta non sostenuti da nessuno, lo dimostra la loro estrema povertà. Nel verbale dell’ultima assemblea generale ordinaria il MNLA scrive: « Considerando le disfunzioni dovute al carattere etnico e tribale dell’esercito del MNLA e al fatto che che la quasi totalità del materiale e armamento militare appartiene a certi combattenti . »

Un movimento senza mezzi ma ancora pieno di ideali che raccomanda di superare lo «sfruttamento abusivo della diversità etnica e tribale della nostra popolazione opponendole le une alle altre fin dall’era coloniale. » e chiama al «rafforzamento della coesione sociale tramite incontri inter e intra-comunitari e insiste sulla necessità di preservare i legami storici tra le nostre comunità.» (leggere il comunicato– fr).

Niente quindi a che fare con le orde di banditi e mercenari più o meno integralisti e più o meno gihadisti con i quali la stampa internazionale li ha sempre mescolati, come fossero un tutt’uno.

 Un movimento che, dal 14 dicembre scorso dopo un incontro ospitato nella capitale Abuja e mediato dal presidente della repubblica Federale del Nigeria, Goodluck Jonathan, ha accettato di entrare in negoziazione con il governo del Mali e di contribuire alla lotta «contro i gruppi armati di terroristi e di narcotrafficanti.» (comunicato N° 43 del Comitato Transitorio dello Stato dell’Azawad -CTEA – fr )

Le vie per un isolamento progressivo delle forze integraliste e criminali c’erano. Una via mediata, negoziata tra le componenti della società maliana e i loro vicini diretti (che certo nemmeno loro sono degli angeli). Una via che avrebbe ridatto dignità sia al Nord che al Sud del Mali.

 

Dopo Benalì anche Traore? Mais non alors! 

ScreenHunter_45-Jan.-23-00.43.jpgPerché allora la Francia si è affrettata di colpire, senza chiedere il parere di nessuno? Perché l’anticolonialista Hollande ha mandato con tanta leggerezza i suoi Para a fare pulizia nel paese del Sahel?

Hollande dice che è il presidente ad interim Dioncounda Traoré che lo ha sollecitato ufficialmente. Che bella la solidarietà internazionale! Che bello lo spirito di sacrificio con cui la madre Francia manda i suoi soldatini bianchi a morire per salvare dei poveri negretti…

Invece la stampa locale racconta un’altra storia , storia confermata tra altro dalla radio Voice of America (dico bene, Voice of America, la radio ufficiale del governo statunitense) ci racconta che il governo ad interim era in difficoltà non tanto per l’avanzata delle milizie gihadiste ma soprattutto per la rivolta popolare in corso a Bamako. Rivolta che l’ha portato alla chiusura di tutte le scuole e ad uno stato di quasi coprifuoco. Una specie di mini primavera nell’inverno di Bamako .

 

Potrebbe essere questa la causa della fretta del caro François? Sarkozy non ha reagito abbastanza velocemente per salvare l’amico Ben Ali e oggi il governo della Tunisia sono altri ad averlo in tasca. Allora il nostro Hollande si da da fare per non far perdere alla Francia (o almeno alle sue multinazionali) un altro governo “amico”.

Comunque c’è il fatto che i militari Francesi presidiano già la sicurezza dei giacimenti di Uranio nel Nord del Niger, rafforzare una presenza militare (che non se ne andrà via domani mattina. Scommettiamo?) anche nel Nord Mali permette a “Marianne” di partire con un bel po’ di anticipo sulla perfida Albione, sullo zio Sam e su tutti gli altri nella corsa al controllo della regione e delle sue infinite risorse naturali. Bel colpo del bravo piccolo sarto, no? Et vive la République! 

 

PS. Nei prossimi giorni tenterò di raccontarvi l’assalto alla base di In Amenas. Spero di riuscire ad uscire sano di mente dal groviglio di versioni contradittorie che stanno spuntando come funghi dopo la pioggia. 

La favola del piccolo Hollande che salvò i negretti dall'orco Alqaeda

La favola del piccolo Hollande che salvò i negretti dall’orco Alqaeda

Ecco. Fatto! Svanita anche la speranza Hollande.

É vero che la classe politica mondiale, quella che dirige, o almeno fa finta di dirigere, questo mondo, non assomiglia tanto ad una riviera di diamanti. Anzi dall’odore che emana dalle sue azioni si avvicina più al letamaio. Eppure di ‘fior’, a dispetto del poeta, da questo letamaio velenoso della politica, non ne vengono fuori mai, ma mai. Nemmeno una. Ogni tanto ci sembra di scorgere un germoglio ma poi va a finire sempre nel marciume più assoluto.

HollandeEppure rimane tutto un popolo di sinistra che continua ad andare a votare con la speranza di cambiare le cose. Ci ha creduto in Zapatero, quel popolo. E questo ha svenduto il suo paese alla finanza e al cemento. Poi ha creduto ancora più saldamente in Obama. Oh sììì… Quanto ci hanno creduto in Obama! Era nero, bello, giovane. Sapeva parlare. Mamma mia, come sapeva parlare. Incarnava nella sua storia personale il percorso, le sofferenze e i sogni di milioni di neri. Di tutti i popoli oppressi. Di tutti noi!

Poi quando anche lui, come tutti, ha cominciato a macellare pezzi di terzo mondo per darli in pasto alle lobby, l”hanno lasciato da parte per seguire altre speranze. Ultima tra queste speranze…  lui: François Hollande!

Con il suo fisico da uomo qualsiasi, la sua faccia da postino buono. Con i suoi occhi dolci, che si inumidivano quando lanciava i suoi slogan. Con le sue parole coraggiose, sembrava il piccolo sarto della fiaba che va a caccia di giganti. Lavoratori, giovani, donne, immigrati, “blancs, blacks, beurs”, come si dice oltralpe, gay, pacifisti… Tutti ad abbracciarsi e a congratularsi doipo la vittoria. Il demonio Sarkozy è sconfitto. Vedrete che grandi cambiamenti adesso!

Ed eccoli qui i cambiamenti arrivare. Aveva promesso di riportare la crescita durante la sua campagna elettorale (quella maledetta crescita che fa sognare tutti ma poi frega tutti) senza mai precisare come. “Avrà nel sacco qualche piano innovativo?”, ci si chiedeva. Ed ecco che questi giorni arriva la risposta. Sì! Un piano, il buon François ce l’ha, di sicuro. Ma niente di molto innovativo. Si tratta della buona vecchia ricetta delle guerre coloniali. Ricetta che, si sa, alla Francia ha portato tanta, ma tanta crescita.

Se Sarkozy ha bombardato la Libia solo poche ore dopo una risoluzione dell’ONU che ne ipotizzava la possibilità, Hollande si lancia contro i gihadisti in Nord Mali senza l’ombra di un mandato internazionale e senza nemmeno consultare i suoi alleati. Il Sahel è zona sotto controllo francese e l’uomo che poche settimane fa andava ad Algeri a scusarsi per i crimini del colonialismo, ci tiene a sottolinearlo a colpi di missili aria-terra. Quelle scuse e quelle lacrime di coccodrillo ad Algeri, dunque, erano solo la moneta di scambio contro il nullaosta di Algeri per quest’attacco. Che grande giocatore, il piccolo François!  

 

La fiaba infinita e lo spaventapopoli

Bisogna dire, però, che tutto il merito non è suo. Il cibo gli è stato ben preparato da prima, lui adesso deve solo masticare e buttare giù.

C’è stata tutta la cultura delle guerre umanitarie coltivata con cura e forza fertilizzanti mediatici. C’è stato il recupero politico-mediatico-militare delle rivolte dei giovani arabi. Un lavoro da orafo. C’è stata la riconquista della libia da parte del suo predecessore e degli alleati. C’è stata la costruzione di una galassia di gruppi armati di criminali, trafficanti, barbuti che sono genericamente definiti come Al Qaeda e che sono certe volte definiti come alleato strategico -vedere alla voce guerra in Bosnia, Kossovo, Libia e Siria- e certe altre come nemico perfetto quello da combattere a tutti i costi e che serve a giustificare interventi armati, guerre umanitarie, uccisioni preventive, bombardamenti a tappeto… Lo spauracchio ideale. Lo spaventapopoli per antonomasia. Se non dormite chiamo Al Qaeda, dice mamma stato.

Ma le altre mamme, poi alla fine, se il bambino rifiuta di dormire non chiamano mai il lupo cattivo o l’orco mangia bambini. Mentre le mafie/governi che gestiscono ormai questo nostro mondo, se un popolo rifiuta di dormire, loro chiamano per davvero lo spaventapopoli, l’orco Al Qaeda. E come per magia il paese diventa un pullulare di barbuti armati che sparano e sgozzano tutto quello che si muove.

«Da dove arrivano? Come fanno ad avere le quantità ingenti di denaro e armamenti che sfoggiano ovunque?», chiede il popolino impaurito.

«E’ perchè l’Orcomaggiore, il capo di tutti gli orchi, un tale Binladen, è miliardario, e tiene tantissimi soldi nei paradisi fiscali.» , rispondono le mammine con la loro voce più soave, la stampa.

«Cosa sono i paradisi fiscali, mamma? Chi li ha creati, l’orco Binladen? Perché papà NATO che combatte i cattivi ovunque non li bombarda questi paradisi fiscali?

“Adesso basta con le domande! Chiudi gli occhi e fai la nanna e basta.”

Peccato che le mammine non vogliono raccontarci come mai che, oggi che l’Orcomaggiore è ufficialmente morto, i barbuti continuano ad essere sempre più ricchi. Come mai che prima dell’inizio delle rivolte arabe erano quasi scomparsi. Non se ne parlava quasi più. E che improvvisamente hanno ricominciato a proliferare come blatte in un ambiente caldo e umido.

 

Il nemico perfetto, anzi l’alleato…

Anzi, con la guerra in Libia si è riscoperto un legame che non si ammetteva più dai tempi della guerra d’Afghanistan. La prima. Quella con i russi.

Agosto del 2011, la città di Tripoli è presa d’assalto da un vero e proprio esercito uscito dal nulla. Le milizie di Jebel Nefusa. Alla testa di queste milizie un veterano dell’Afghanistan, Abdelhakim Belhadj.

Il “Comandante Hakim”, come lo chiamano con affetto i suoi uomini, è un vecchio amico degli USA e della NATO in quanto combattente in Afghanistan con … Al Qaeda. Poi dopo l’11 settembre diventò ufficialmente nemico della Nato-USA e fu arrestato e trasferito a Guantanamo, in quanto militante di … AlQaeda. Poi di nuovo è ridiventato amico della Nato-USA in quanto oppositore contro Gheddafi e militante di… Al Qaeda. E così fu armato e finanziato per instaurare la democrazia, che lui considera una eresia. Semplice, no?

Belhadj è entrato a Tripoli alla testa di un folto gruppo di giovani, armati e addestrati da militari USA e con le tasche piene di soldi del Qattar e dell’Arabia Saudita. Attualmente è l’uomo forte di Tripoli e, oltre a mandare i suoi giovani a instaurare la democrazia anche in Siria, fa di questa città il nuovo Eldorado dei Gihadisti di ogni dove. Non a caso, secondo alcuni reparti dei servizi segreti algerini (e attraverso il giornale Liberté vicinissimo ad alcuni dei generali più potenti di Algeri) sostengono che la riunione per l’attacco contro la base BP di In Amenas si è tenuta proprio lì, a Tripoli.

 

Altro legame con la “primavera araba” si trova nell’improvvisa proliferazione di gruppi armati barbuti. Fino all’inizio delle rivolte dei giovani nei paesi arabi, Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI per gli amici) era una piccola banda di criminali. Schegge residue della sporca guerra algerina degli anni 90 mescolate ai trafficanti del deserto. Praticavano un po’ (anzi tanto) traffico di tutto quello che si può trafficare, e ogni tanto quando qualcuno aveva bisogno dei loro servizi o quando si presentava l’occasione rapivano qualche turista o operatore umanitario per mettere un po’ di carne sul fuoco dei media.

Si sa che se massacri un intero villaggio di maliani o di mauritani, al limite ottieni qualche riga di lancio dell’AFP che andrà a perdersi tra tante informazioni molto più importanti, come il numero di contatti sul clip-video di Gagnam Style e l’ultima torta da 2 tonnellate iscritta al Guiness dei record.

Se invece becchi un qualsiasi testa di min… con il passaporto giusto, intanto fai la prima su tutti i giornali del mondo, poi becchi tanti di quei soldi che ti bastano per vivere da nababbo per anni.

Il business era fiorente, droga, armi, esseri umani. Di disperati da trafficare nella zona non mancano e di persone sequestrabili bastava beccarne qualcuna/o ogni tanto.

I governi dell’area sono tutti corruttibili a piacere. Con gli eserciti si facevano buoni affari. E a tutti faceva piacere questa presenza. Ai regimi per chiudere ogni spazio di libertà; agli eserciti per chiedere sempre più soldi, mezzi e poteri; alle potenze occidentali per giustificare una futura invasione di questa vasta parte dell’Africa che, quasi ormai unica al mondo, è priva di basi militari Nato; per creare e rafforzare cose tipo l’Africa Corp, per allargare le basi militari intorno al mediterraneo -vedere Dal Molin e compagnia bella- per comprare e vendere un mucchio di armi… Insomma per la buona salute del business della guerra.

Era la dolce vita per tutti. 

Ma ecco che appena cominciano le rivolte arabe, che presto contagiano anche altre parti del mondo, i gruppi armati nel deserto diventano molti di più. Gli Aqmi non si contano più. Poi c’è il Mujao, che molti chiamano organizzazione di narco-terroristi. Poi c’è Iyad Ag Ghali un ex combattente per la liberazione dell’Azawad, all’epoca in cui la Francia sosteneva e manipolava il movimento Tuareg, poi ex funzionario dello stato maliano e ex diplomatico nei paesi del golfo. Poi alla fine del 2011, si lascia crescere la barba, si orna con un nome di guerra: Abū al-Faḍl , e lancia il suo movimento: Ansar Al Islam, che un po’ si avvicina All’Aqmi e vuole istaurare la Sharia, un po’ fa l’occhiolino al Movimento di liberazione dell’Azawad e dice di non essere amico di Al Qaeda e dei terroristi…

Tutti questi gruppi si animano nello stesso tempo. All’improvviso arrivano uomini, mezzi e petrodollari da tutte le parti. E ben presto quella area vastissima che è ai limiti sud del Sahara diventa un vero e proprio nido di vipere.

 

Chi lo vuole un Azawad libero?

 

ScreenHunter_44-Jan.-23-00.43.jpgMa le connessioni, con il fenomeno del risveglio delle coscienze nel mondo arabo, e oltre, non finiscono qui. Chi conosce bene la zona lo vede chiaramente che i gruppi armati sono arrivati per temprare una rivolta del popolo tuareg che rischiava di contaminare altre nazioni e altre popolazioni della zona. In un articolo precedente ho raccontato come i guerriglieri del Movimento di Liberazione dell’Azawad siano tornati dalla Libia, dopo anni di esilio, con armi e bagagli e si ritrovano a conquistare quasi senza combattimento un paese dove l’esercito si era trasformato in una banda di trafficanti-estorsori che è scappato via dalle caserme ai primi spari.

Quella della liberazione dell’Azawad era in qualche modo una delle vittorie dei popoli nelle rivolte degli ultimi anni. Quelli del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad sono militanti laici e non alleati con nessuno. Che siano indipendenti, o a dirla tutta non sostenuti da nessuno, lo dimostra la loro estrema povertà. Nel verbale dell’ultima assemblea generale ordinaria il MNLA scrive: « Considerando le disfunzioni dovute al carattere etnico e tribale dell’esercito del MNLA e al fatto che che la quasi totalità del materiale e armamento militare appartiene a certi combattenti . »

Un movimento senza mezzi ma ancora pieno di ideali che raccomanda di superare lo «sfruttamento abusivo della diversità etnica e tribale della nostra popolazione opponendole le une alle altre fin dall’era coloniale. » e chiama al «rafforzamento della coesione sociale tramite incontri inter e intra-comunitari e insiste sulla necessità di preservare i legami storici tra le nostre comunità.» (leggere il comunicato– fr).

Niente quindi a che fare con le orde di banditi e mercenari più o meno integralisti e più o meno gihadisti con i quali la stampa internazionale li ha sempre mescolati, come fossero un tutt’uno.

 Un movimento che, dal 14 dicembre scorso dopo un incontro ospitato nella capitale Abuja e mediato dal presidente della repubblica Federale del Nigeria, Goodluck Jonathan, ha accettato di entrare in negoziazione con il governo del Mali e di contribuire alla lotta «contro i gruppi armati di terroristi e di narcotrafficanti.» (comunicato N° 43 del Comitato Transitorio dello Stato dell’Azawad -CTEA – fr )

Le vie per un isolamento progressivo delle forze integraliste e criminali c’erano. Una via mediata, negoziata tra le componenti della società maliana e i loro vicini diretti (che certo nemmeno loro sono degli angeli). Una via che avrebbe ridatto dignità sia al Nord che al Sud del Mali.

 

Dopo Benalì anche Traore? Mais non alors! 

ScreenHunter_45-Jan.-23-00.43.jpgPerché allora la Francia si è affrettata di colpire, senza chiedere il parere di nessuno? Perché l’anticolonialista Hollande ha mandato con tanta leggerezza i suoi Para a fare pulizia nel paese del Sahel?

Hollande dice che è il presidente ad interim Dioncounda Traoré che lo ha sollecitato ufficialmente. Che bella la solidarietà internazionale! Che bello lo spirito di sacrificio con cui la madre Francia manda i suoi soldatini bianchi a morire per salvare dei poveri negretti…

Invece la stampa locale racconta un’altra storia , storia confermata tra altro dalla radio Voice of America (dico bene, Voice of America, la radio ufficiale del governo statunitense) ci racconta che il governo ad interim era in difficoltà non tanto per l’avanzata delle milizie gihadiste ma soprattutto per la rivolta popolare in corso a Bamako. Rivolta che l’ha portato alla chiusura di tutte le scuole e ad uno stato di quasi coprifuoco. Una specie di mini primavera nell’inverno di Bamako .

 

Potrebbe essere questa la causa della fretta del caro François? Sarkozy non ha reagito abbastanza velocemente per salvare l’amico Ben Ali e oggi il governo della Tunisia sono altri ad averlo in tasca. Allora il nostro Hollande si da da fare per non far perdere alla Francia (o almeno alle sue multinazionali) un altro governo “amico”.

Comunque c’è il fatto che i militari Francesi presidiano già la sicurezza dei giacimenti di Uranio nel Nord del Niger, rafforzare una presenza militare (che non se ne andrà via domani mattina. Scommettiamo?) anche nel Nord Mali permette a “Marianne” di partire con un bel po’ di anticipo sulla perfida Albione, sullo zio Sam e su tutti gli altri nella corsa al controllo della regione e delle sue infinite risorse naturali. Bel colpo del bravo piccolo sarto, no? Et vive la République! 

 

PS. Nei prossimi giorni tenterò di raccontarvi l’assalto alla base di In Amenas. Spero di riuscire ad uscire sano di mente dal groviglio di versioni contradittorie che stanno spuntando come funghi dopo la pioggia. 

La favola del piccolo Hollande che salvò i negretti dall'orco Alqaeda

False flag (2)

Non si capisce bene cosa stia succedendo nel sito in cui “Coloro che si firmano col sangue” hanno fatto i loro ostaggi. Semplicemente non sappiamo niente. Gli americani ripetono fino quasi a morirne che l’attacco è orchestrato da al-Qa’ida. Al-Qa’ida…

False flag

I francesi bombardano il Mali ma al-Qa’ida nel Maghreb Islamico (AQIM) colpisce in Algeria. I jihadisti non avevano neanche quasi fatto in tempo a dichiarare che l’occidente avrebbe pagato il conto per l’attacco francese, le cancellerie occidentali non avevano neanche…

Dal Mali alla Siria

Limes ha dedicato un intero numero alla guerra in preparazione in Mali. Fra gli interventi più interessanti c’è quello di Jeremy H. Keenan, professore associato di ricerca presso la School of Oriental and African Studies della London University. E’ da…

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

ScreenHunter_43-Dec.-21-19.20.jpgIl neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa. Ma questa visita è carica di significati e di attese. E qualcosa ha portato. Ma, come sempre accade in politica, non tutte le promesse saranno mantenute.

 La prima in assoluto fu la visita di Giscard D’Estaing nel 1975. Là, le cose erano molto più complicate. La memoria della guerra d’indipendenza era ancora fresca nelle menti dei due popoli. Quello algerino non aveva del tutto finito di leccare le profonde ferite lasciate dal conflitto. 

La visita avveniva anche soltanto 4 anni dopo il 1971, anno in cui il presidente Houari Boumedienne aveva deciso di nazionalizzare tutte le risorse naturali del paese. La Francia tentò un embargo economico sul giovane stato ma in vano. Erano altri tempi. Il ritiro delle competenze francesi fu subito dopo colmato con l’arrivo di tecnici e ingegneri russi, polacchi, cecoslovacchi…  Il boicottaggio dei vini algerini (fino a quell’anno l’Algeria era il primo produttore mondiale di vino) da parte degli importatori francesi portò semplicemente il governo algerino a eliminare molte delle monoculture imposte dall’economia coloniale e ad introdurre al loro posto altri tipi di produzioni.

L’ex potenza coloniale si rese presto conto che l’Algeria non era Cuba. Era un paese grande come tutta l’Europa, con molte terre fertili e un sottosuolo che faceva venire l’acquolina in bocca a molti. La visita di Giscard era una specie di riconoscimento mutuo.

Dopo quell’anno, ogni presidente francese ha visitato l’Algeria nei primi mesi della sua investitura. Anche se le relazioni non sono mai state molto cordiali. Ma da nessuna delle due parti c’era interesse per una rottura definitiva. Business must go on.

 

Una decolonizzazione dolorosa

Uno dei problemi più spinosi tra le due sponde è sicuramente quella della fase di decolonizzazione.

Dopo la seconda guerra mondiale il grande vincitore: gli Stati Uniti, aveva esortato i suoi alleati ad uscire dal vecchio modello coloniale. Per praticare quello più sofisticato che loro già praticavano da più di un secolo in America Latina: il neocolonialismo. De Gaulle, verso il 1952, pochi anni dopo, fece il giro delle colonie e dichiarò loro la fine prossima dell’era coloniale. Ma ne approfittò anche per designare chi avrebbe gestito il dopo Indipendenza. Ciò avvenne per tutta l’Africa. Ma non poteva avverarsi in Algeria senza dolori. L’Algeria era diversa da tutti gli altri. Perché non era un protettorato né una semplice colonia militare. In Algeria c’era un milione di Europei mandati a occupare il territorio. Era, come il Sudafrica, quello che si chiama un colonialismo di popolazione. Ma gli europei erano 1 milione su 10 milioni. Una minoranza che aveva assolutamente bisogno della potenza militare della madre patria per mantenere i suoi privilegi.

La guerra d’indipendenza durò 7 anni e costò centinaia di migliaia di morti. La storia ufficiale algerina parla di un milione e mezzo. Cifra assolutamente esagerata. Ma quella reale mai stabilita con esattezza, che si aggira comunque sopra il mezzo milione è altrettanto spaventosa.

La guerra a livello militare fu un vero e proprio massacro di combattenti e civili algerini. Ma al livello politico, invece, portò il Fronte di Liberazione Algerino ad una eclatante vittoria che obbligò la Francia ad accettare l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione di cui il risultato era scontato. 1962 le truppe francesi lasciano il suolo algerino. Dietro di loro, il milione di francesi d’Algeria prese paura e si trasferì in massa verso la metropoli. Un altro dramma nel dramma. 

 

I fantasmi del passato

Dopo l’indipendenza però la Francia non riconobbe mai che quello che si svolse in Algeria fu una guerra e continuò a chiamarla “Gli eventi”. Niente riconoscimento dei massacri, niente riconoscimento del sistema di tipo apartheid che era in vigore. Negazione totale della tortura e dei metodi illegali usati durante la guerra. Il quasi milione di persone scomparse in quelli anni si sarebbe evaporato da solo.

Nell’ottobre del 1961, il FLN decide di portare la protesta a Parigi, nel cuore dell’impero. La polizia di Maurice Papon, ex collaborazionista con i nazisti riciclato da De Gaulle, non esita a compiere una vera e propria macelleria. Centinaia di manifestanti inermi sono uccisi a brucia pelo, annegati nel fiume, picchiati a morte… Ancora una volta Parigi si benda gli occhi e rifiuta di vedere (Leggere un mio post precedente sul 17 ottobre 1961).

In tutti questi anni nessuna alta carica dello stato francese aveva osato rompere i tabù e riconoscere quello che è stato. Eppure tutti i presidenti francesi non erano di destra. C’è stato anche il socialista François Mitterrand. Ma per il Mitterrand, che faceva il ministro della giustizia durante i primi anni della guerra, si trattava di riconoscere le proprie colpe in una repressione di cui è stato spesso l’eminenza grigia.

Tutto questo per arrivare alla straordinarietà delle parole pronunciate da François Hollande prima e soprattutto durante la sua visita ad Algeri.

 

Un discorso tanti tabù

Nel discorso pronunciato di fronte ai parlamentari algerini, Hollande ha detto:

“Per 132 anni la popolazione algerina è stata esposta ad un sistema profondamente ingiusto e brutale e questo sistema ha un nome : a colonizzazione. E riconosco qui le sofferenze che la colonizzazione ha inflitto al popolo algerino. Tra queste sofferenze ci sono stati i massacri di Setif, Guelma e Kherata, che so essere rimasti vivi nella coscienza algerina. Ma anche dei francesi. Perché a Setif nel 1945, mentre il mondo trionfava contro la barbarie, la Francia mancava ai suoi valori universali. La verità deve essere detta anche sulle circostanze nelle quali l’Algeria è stata liberata dal sistema coloniale. Questa guerra che a lungo non ha detto il suo nome in Francia: La guerra d’Algeria. Ecco. Abbiamo il diritto di verità sulla memoria, su tutte le memorie, dobbiamo la verità sulle ingiustizie, sulle violenze, sui massacri e sulle torture. Conoscere e stabilire la verità è il dovere sia dei francesi che degli Algerini. Ed è per questo che gli archivi devono essere aperti agli esperti e che si deve avviare in tal senso una cooperazione tra i due paesi. ” (ascoltare il discorso integrale)

Ingiustizia, violenza, massacri, guerra, tortura. Mai così tanti tabù furono rotti tutti insieme nella terra di Robespierre. Forse è proprio per quello che Hollande ha aspettato proprio di mettere piede ad Algeri per pronunciarli tutti insieme.

Ma François Hollande non è Jean Paul Sartre. È prima di tutto il presidente della repubblica Francese. E fin che non sarà fondato il mondo migliore che tutti speriamo, la grandezza della repubblica francese è in gran parte fondata sulla mungitura dell’Africa. E quindi più di tanto non può fare in un momento in cui i terreni di caccia della sua nazione in Africa sono sempre di più contesi e da più di un nuovo cacciatore. François Hollande è andato in Algeria e ha teso la mano al regime algerino. Regime che, pur composto da una maggioranza di gente che non l’hanno fatta, fonda la sua legittimità sulla guerra d’indipendenza. Ma non ha teso la mano né al popolo algerino né tanto meno alle opposizioni sempre più laminate dalla repressione e dalle manipolazioni.

 

Fare i conti con il presente

 

c'é mon tourPrima della sua partenza un gruppo di associazioni e movimenti sia algerine che francesi l’hanno supplicato di usare la sua statura per richiamare il suo omologo algerino al rispetto dei diritti delle opposizioni, dei difensori dei diritti dell’uomo e dei sindacati. Ma in vano. Il presidente ha fatto (ed è il caso di dirlo) orecchie da mercante. Infatti era lì per vendere. Una tra tante, la nuova fabbrica della Renault in Algeria. La prima fabbrica del genere in un paese che ha un mercato estremamente appetibile e che ha visto il suo parco automobile moltiplicato per dieci in poco più di un decennio. Poi treni Alstom per il nostro presidente che fa la concorrenza con il vicino Re del Marocco a chi ce l’ha più bello e più veloce. Energia, probabilmente vuole piazzare lì il nucleare di Areva che fa sempre più paura ai francesi. E poi gas, petrolio, miniere… E, ovviamente, sotto sotto, ci sta pure qualche cacciabombardiere. Ci mancherebbe. 

Allora non è sorprendente se nel suo discorso ha avuto solo elogi per quello che l’Algeria è diventata oggi. E non ha fatto nessun accenno alle gravi violazioni in corso in Algeria, non ha detto una parola sulle madri dei desaparecidos degli anni 90 che ancora aspettano notizie dei loro figli. Parlando delle lingue dell’Algeria ha citato l’Arabo e il Francese, tagliando fuori più di un 40 % di Algerini che si riconoscono nella lingua berbera. Non ha accennato alle aspirazioni dei giovani algerini a più libertà, democrazia e giustizia sociale… Nulla. 

Ma forse era troppo chiedere da un presidente straniero. In modo particolare dal presidente della Francia. Hollande era già portatore del pesante fardello della riapertura del dialogo sulla storia. Un passo da gigante rispetto ai suoi predecessori. Il dialogo sul presente, forse, tocca ad altri.

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

ScreenHunter_43-Dec.-21-19.20.jpgIl neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa. Ma questa visita è carica di significati e di attese. E qualcosa ha portato. Ma, come sempre accade in politica, non tutte le promesse saranno mantenute.

 La prima in assoluto fu la visita di Giscard D’Estaing nel 1975. Là, le cose erano molto più complicate. La memoria della guerra d’indipendenza era ancora fresca nelle menti dei due popoli. Quello algerino non aveva del tutto finito di leccare le profonde ferite lasciate dal conflitto. 

La visita avveniva anche soltanto 4 anni dopo il 1971, anno in cui il presidente Houari Boumedienne aveva deciso di nazionalizzare tutte le risorse naturali del paese. La Francia tentò un embargo economico sul giovane stato ma in vano. Erano altri tempi. Il ritiro delle competenze francesi fu subito dopo colmato con l’arrivo di tecnici e ingegneri russi, polacchi, cecoslovacchi…  Il boicottaggio dei vini algerini (fino a quell’anno l’Algeria era il primo produttore mondiale di vino) da parte degli importatori francesi portò semplicemente il governo algerino a eliminare molte delle monoculture imposte dall’economia coloniale e ad introdurre al loro posto altri tipi di produzioni.

L’ex potenza coloniale si rese presto conto che l’Algeria non era Cuba. Era un paese grande come tutta l’Europa, con molte terre fertili e un sottosuolo che faceva venire l’acquolina in bocca a molti. La visita di Giscard era una specie di riconoscimento mutuo.

Dopo quell’anno, ogni presidente francese ha visitato l’Algeria nei primi mesi della sua investitura. Anche se le relazioni non sono mai state molto cordiali. Ma da nessuna delle due parti c’era interesse per una rottura definitiva. Business must go on.

 

Una decolonizzazione dolorosa

Uno dei problemi più spinosi tra le due sponde è sicuramente quella della fase di decolonizzazione.

Dopo la seconda guerra mondiale il grande vincitore: gli Stati Uniti, aveva esortato i suoi alleati ad uscire dal vecchio modello coloniale. Per praticare quello più sofisticato che loro già praticavano da più di un secolo in America Latina: il neocolonialismo. De Gaulle, verso il 1952, pochi anni dopo, fece il giro delle colonie e dichiarò loro la fine prossima dell’era coloniale. Ma ne approfittò anche per designare chi avrebbe gestito il dopo Indipendenza. Ciò avvenne per tutta l’Africa. Ma non poteva avverarsi in Algeria senza dolori. L’Algeria era diversa da tutti gli altri. Perché non era un protettorato né una semplice colonia militare. In Algeria c’era un milione di Europei mandati a occupare il territorio. Era, come il Sudafrica, quello che si chiama un colonialismo di popolazione. Ma gli europei erano 1 milione su 10 milioni. Una minoranza che aveva assolutamente bisogno della potenza militare della madre patria per mantenere i suoi privilegi.

La guerra d’indipendenza durò 7 anni e costò centinaia di migliaia di morti. La storia ufficiale algerina parla di un milione e mezzo. Cifra assolutamente esagerata. Ma quella reale mai stabilita con esattezza, che si aggira comunque sopra il mezzo milione è altrettanto spaventosa.

La guerra a livello militare fu un vero e proprio massacro di combattenti e civili algerini. Ma al livello politico, invece, portò il Fronte di Liberazione Algerino ad una eclatante vittoria che obbligò la Francia ad accettare l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione di cui il risultato era scontato. 1962 le truppe francesi lasciano il suolo algerino. Dietro di loro, il milione di francesi d’Algeria prese paura e si trasferì in massa verso la metropoli. Un altro dramma nel dramma. 

 

I fantasmi del passato

Dopo l’indipendenza però la Francia non riconobbe mai che quello che si svolse in Algeria fu una guerra e continuò a chiamarla “Gli eventi”. Niente riconoscimento dei massacri, niente riconoscimento del sistema di tipo apartheid che era in vigore. Negazione totale della tortura e dei metodi illegali usati durante la guerra. Il quasi milione di persone scomparse in quelli anni si sarebbe evaporato da solo.

Nell’ottobre del 1961, il FLN decide di portare la protesta a Parigi, nel cuore dell’impero. La polizia di Maurice Papon, ex collaborazionista con i nazisti riciclato da De Gaulle, non esita a compiere una vera e propria macelleria. Centinaia di manifestanti inermi sono uccisi a brucia pelo, annegati nel fiume, picchiati a morte… Ancora una volta Parigi si benda gli occhi e rifiuta di vedere (Leggere un mio post precedente sul 17 ottobre 1961).

In tutti questi anni nessuna alta carica dello stato francese aveva osato rompere i tabù e riconoscere quello che è stato. Eppure tutti i presidenti francesi non erano di destra. C’è stato anche il socialista François Mitterrand. Ma per il Mitterrand, che faceva il ministro della giustizia durante i primi anni della guerra, si trattava di riconoscere le proprie colpe in una repressione di cui è stato spesso l’eminenza grigia.

Tutto questo per arrivare alla straordinarietà delle parole pronunciate da François Hollande prima e soprattutto durante la sua visita ad Algeri.

 

Un discorso tanti tabù

Nel discorso pronunciato di fronte ai parlamentari algerini, Hollande ha detto:

“Per 132 anni la popolazione algerina è stata esposta ad un sistema profondamente ingiusto e brutale e questo sistema ha un nome : a colonizzazione. E riconosco qui le sofferenze che la colonizzazione ha inflitto al popolo algerino. Tra queste sofferenze ci sono stati i massacri di Setif, Guelma e Kherata, che so essere rimasti vivi nella coscienza algerina. Ma anche dei francesi. Perché a Setif nel 1945, mentre il mondo trionfava contro la barbarie, la Francia mancava ai suoi valori universali. La verità deve essere detta anche sulle circostanze nelle quali l’Algeria è stata liberata dal sistema coloniale. Questa guerra che a lungo non ha detto il suo nome in Francia: La guerra d’Algeria. Ecco. Abbiamo il diritto di verità sulla memoria, su tutte le memorie, dobbiamo la verità sulle ingiustizie, sulle violenze, sui massacri e sulle torture. Conoscere e stabilire la verità è il dovere sia dei francesi che degli Algerini. Ed è per questo che gli archivi devono essere aperti agli esperti e che si deve avviare in tal senso una cooperazione tra i due paesi. ” (ascoltare il discorso integrale)

Ingiustizia, violenza, massacri, guerra, tortura. Mai così tanti tabù furono rotti tutti insieme nella terra di Robespierre. Forse è proprio per quello che Hollande ha aspettato proprio di mettere piede ad Algeri per pronunciarli tutti insieme.

Ma François Hollande non è Jean Paul Sartre. È prima di tutto il presidente della repubblica Francese. E fin che non sarà fondato il mondo migliore che tutti speriamo, la grandezza della repubblica francese è in gran parte fondata sulla mungitura dell’Africa. E quindi più di tanto non può fare in un momento in cui i terreni di caccia della sua nazione in Africa sono sempre di più contesi e da più di un nuovo cacciatore. François Hollande è andato in Algeria e ha teso la mano al regime algerino. Regime che, pur composto da una maggioranza di gente che non l’hanno fatta, fonda la sua legittimità sulla guerra d’indipendenza. Ma non ha teso la mano né al popolo algerino né tanto meno alle opposizioni sempre più laminate dalla repressione e dalle manipolazioni.

 

Fare i conti con il presente

 

c'é mon tourPrima della sua partenza un gruppo di associazioni e movimenti sia algerine che francesi l’hanno supplicato di usare la sua statura per richiamare il suo omologo algerino al rispetto dei diritti delle opposizioni, dei difensori dei diritti dell’uomo e dei sindacati. Ma in vano. Il presidente ha fatto (ed è il caso di dirlo) orecchie da mercante. Infatti era lì per vendere. Una tra tante, la nuova fabbrica della Renault in Algeria. La prima fabbrica del genere in un paese che ha un mercato estremamente appetibile e che ha visto il suo parco automobile moltiplicato per dieci in poco più di un decennio. Poi treni Alstom per il nostro presidente che fa la concorrenza con il vicino Re del Marocco a chi ce l’ha più bello e più veloce. Energia, probabilmente vuole piazzare lì il nucleare di Areva che fa sempre più paura ai francesi. E poi gas, petrolio, miniere… E, ovviamente, sotto sotto, ci sta pure qualche cacciabombardiere. Ci mancherebbe. 

Allora non è sorprendente se nel suo discorso ha avuto solo elogi per quello che l’Algeria è diventata oggi. E non ha fatto nessun accenno alle gravi violazioni in corso in Algeria, non ha detto una parola sulle madri dei desaparecidos degli anni 90 che ancora aspettano notizie dei loro figli. Parlando delle lingue dell’Algeria ha citato l’Arabo e il Francese, tagliando fuori più di un 40 % di Algerini che si riconoscono nella lingua berbera. Non ha accennato alle aspirazioni dei giovani algerini a più libertà, democrazia e giustizia sociale… Nulla. 

Ma forse era troppo chiedere da un presidente straniero. In modo particolare dal presidente della Francia. Hollande era già portatore del pesante fardello della riapertura del dialogo sulla storia. Un passo da gigante rispetto ai suoi predecessori. Il dialogo sul presente, forse, tocca ad altri.

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

Gli strani sultani del Cairo

C’è motivo di credere che la bozza di Costituzione presentata dall’Assemblea costituente (dalla quale si erano dimessi tutti i membri “laici”) verrà approvata con il referendum in corso. Le ragioni sono molto semplici: i votanti non hanno avuto il tempo…

Le armi chimiche della Siria

Riporto qui un post di Valerio Peverelli, apparso su “Tutto in 30 secondi” il 25 luglio scorso. Ritengo sia fondamentale per intavolare un discorso ragionevole sulla questione “armi chimiche in Siria”, al di là della retorica della “pistola fumante“, di…

Siria: il peggior finale possibile

Sembra che gli americani si apprestino ad armare apertamente i ribelli siriani. Fino ad oggi lo hanno fatto limitatamente e non apertamente. Sembra che, allo stesso tempo, gli americani si apprestino a dichiarare la Jabhat al-nusra, una formazione jihadista siriana,…

Il terrorista quantico

Netanyahu per combattere “i terroristi” a Gaza bombarda Gaza. Al-Asad per combattere “i terroristi” in Siria bombarda la Siria. I terroristi sono della stessa matrice ma Netanyahu è imperialista mentre Al-Asad è antimperialista: Netanyahu aggredisce un territorio non suo, al-Asad…

Islam del mercato e rivolte arabe

Altrove ho criticato un libro di Daniele Atzori (“Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?”, il Mulino, 2010) per averlo trovato poco maturo (la ricerca sottostante mi era sembrata, però, ben strutturata e approfondita). Incontro di nuovo Atzori…

La memoria rivoluzionaria di Shari‘ Mohamed Mahmoud

Specialmente in questi anni, in cui l’informazione è così saturante, si fa fatica anche solo a ricordare ciò che è successo ieri. Si entra nel grande tubo della rete, si fa “un’esperienza” molto piena e coinvolgente, il giorno dopo rimane…

Bani Walid mon amour

 

gheddafiIo non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata permanente in cui il regime di Gheddafi aveva costretto a vivere il suo popolo.

Odiavo il regime libico e odio quelli che dicono che era giusto. Odio quelli che raccontano che Gheddafi era un grande leader africano e che aveva un piano per unificare l’Africa e farla uscire dal sottosviluppo e altre pagliacciate di questo genere.

 

Odio Gheddafi, Saddam Hussein, Bashar Al Assad e i loro rispettivi regimi: razzisti, corrotti, violenti, oscurantisti e distruttivi. Odiavo Bani Walid e Sirte, Tikrit , fedele a Saddam e Tartous, città degli Assad. Odio quella logica di chi costruisce il proprio potere sulla corruzione, sul clientelismo e sulle relazioni familiari e tribali. Ma questo odio è rivolto a quello che questi luoghi rappresentano e non verso i singoli abitanti.

Oggi che la città di Bani Walid e la popolazione appartenente alla tribù dei Warfalla, che erano rimasti fino all’ultimo momento fedeli al regime di Gheddafi (quando molti di quelle che li attaccano oggi hanno girato gabbana all’ultimo minuto), sta subendo un vero e proprio sterminio, e che il mondo intero guarda da tutt’altra parte, non sento che tristezza e affetto. Tristezza per la popolazione che subisce e per noi che stiamo a guardare (o a non guardare) senza saper cosa fare. Affetto per questi bambine, bambini, donne e uomini che muoiono o soffrono nell’indifferenza generale.

 

È iniziato tutto nel mese di luglio scorso, con il rapimento di Omran Shaaban, il 22enne, considerato dalle nuove forze al potere come l’eroe della cattura e del linciaggio di Muamar Gheddafi. Il giovane è quello immortalato da tutti i media del mondo tenendo in mano la pistola d’oro del Rais, ricevuta come premio per aver giocato un ruolo di primo piano nella cattura del ex-dittatore.

 

Omran Shaaban era di passaggio nella provincia di Bani Ewalid quando fu catturato da un gruppo di miliziani pro gheddafi. Ferito, detenuto in pessime condizioni e probabilmente torturato, viene restituito all’autorità nazionale dopo 50 giorni di sequestro. Evacuato sull’ospedale americano di Parigi, non ce la fa e muore il 25 settembre scorso.

Pochi giorni dopo i funerali del “eroe”, una spedizione punitiva, composta dalle milizie di Misurata, Zintan e altre parti varie e non identificate, parte verso Bani Walid. Il Congresso Nazionale che ha poco controllo sulle milizie, lascia fare. L’8 ottobre un appello lanciato dall’ospedale di Bani walid parla di massacro e di sintomi di intossicazioni con i gas.

Il 26 ottobre Al Jazira e i media vicini alle milizie annunciavano la presa della città, la fine delle ostilità e il ritorno alla normalità. Nei filmati di questi servizi si vede un esercito libico regolare ordinato e calmo che fa il suo ingresso in una città, dicono, che lo accoglie come liberatore. Ma la realtà descritta da altri osservatori non sembra corrispondere a questa versione. Se la città non è stata effettivamente liberata dalle milizie pro-Gheddafi, oggi, è sottomessa anche a quelle anti-Gheddafi e esecuzioni, saccheggi, aggressioni e altri misfatti sembrano essere all’ordine del giorno, oltre al continuità dei combattimenti.

 

Purtroppo il silenzio dei media internazionali e delle grosse ONG su Baniwalid, così come fu anche di fronte al massacro di Falluja all’epoca, ci porta veramente poche notizie e spesso veicolate da blog, youtube, facebook e altri strumenti utili ma difficili da verificare. Non che io consideri più affidabile ciò che viene dichiarato dai grandi media, ma quando di una cosa si parla apertamente in genere si può rintracciare più fonti e più versioni.

I pochi attivisti che riescono a entrare in contatto con abitanti di Bani Walid parlano di un milizie.jpgvero e proprio massacro e di una emergenza umanitaria. Le milizie continuano a praticare la legge del taglione senza nessuna interferenza né dall’autorità nazionale, né dalla comunità internazionale. Molte famiglie sarebbero scappate di casa per sfuggire agli attacchi e ai bombardamenti indiscriminati e buona parte sarebbe ancora accampata in mezzo al deserto senza una adeguata assistenza e in balia a attacchi e rapine dei gruppi armati.

Forse qualcuno, lì in mezzo al deserto si chiede dov’è oggi, quella comunità internazionale, dove sono la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che si erano tanto commossi per la sorte dei civili libici quando c’era da intervenire militarmente per abbattere l’ex amico Gheddafi, ormai diventato ingombrante e imbarazzante.

Oggi che è successo tutto questo, quella città che fino a un anno fa rappresentava ciò che più al mondo odiavo, mi diventa cara e nella mia mente una frase gira come un ritornello: Bani Walid mon amour.

Bani Walid mon amour

Bani Walid mon amour

 

gheddafiIo non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata permanente in cui il regime di Gheddafi aveva costretto a vivere il suo popolo.

Odiavo il regime libico e odio quelli che dicono che era giusto. Odio quelli che raccontano che Gheddafi era un grande leader africano e che aveva un piano per unificare l’Africa e farla uscire dal sottosviluppo e altre pagliacciate di questo genere.

 

Odio Gheddafi, Saddam Hussein, Bashar Al Assad e i loro rispettivi regimi: razzisti, corrotti, violenti, oscurantisti e distruttivi. Odiavo Bani Walid e Sirte, Tikrit , fedele a Saddam e Tartous, città degli Assad. Odio quella logica di chi costruisce il proprio potere sulla corruzione, sul clientelismo e sulle relazioni familiari e tribali. Ma questo odio è rivolto a quello che questi luoghi rappresentano e non verso i singoli abitanti.

Oggi che la città di Bani Walid e la popolazione appartenente alla tribù dei Warfalla, che erano rimasti fino all’ultimo momento fedeli al regime di Gheddafi (quando molti di quelle che li attaccano oggi hanno girato gabbana all’ultimo minuto), sta subendo un vero e proprio sterminio, e che il mondo intero guarda da tutt’altra parte, non sento che tristezza e affetto. Tristezza per la popolazione che subisce e per noi che stiamo a guardare (o a non guardare) senza saper cosa fare. Affetto per questi bambine, bambini, donne e uomini che muoiono o soffrono nell’indifferenza generale.

 

È iniziato tutto nel mese di luglio scorso, con il rapimento di Omran Shaaban, il 22enne, considerato dalle nuove forze al potere come l’eroe della cattura e del linciaggio di Muamar Gheddafi. Il giovane è quello immortalato da tutti i media del mondo tenendo in mano la pistola d’oro del Rais, ricevuta come premio per aver giocato un ruolo di primo piano nella cattura del ex-dittatore.

 

Omran Shaaban era di passaggio nella provincia di Bani Ewalid quando fu catturato da un gruppo di miliziani pro gheddafi. Ferito, detenuto in pessime condizioni e probabilmente torturato, viene restituito all’autorità nazionale dopo 50 giorni di sequestro. Evacuato sull’ospedale americano di Parigi, non ce la fa e muore il 25 settembre scorso.

Pochi giorni dopo i funerali del “eroe”, una spedizione punitiva, composta dalle milizie di Misurata, Zintan e altre parti varie e non identificate, parte verso Bani Walid. Il Congresso Nazionale che ha poco controllo sulle milizie, lascia fare. L’8 ottobre un appello lanciato dall’ospedale di Bani walid parla di massacro e di sintomi di intossicazioni con i gas.

Il 26 ottobre Al Jazira e i media vicini alle milizie annunciavano la presa della città, la fine delle ostilità e il ritorno alla normalità. Nei filmati di questi servizi si vede un esercito libico regolare ordinato e calmo che fa il suo ingresso in una città, dicono, che lo accoglie come liberatore. Ma la realtà descritta da altri osservatori non sembra corrispondere a questa versione. Se la città non è stata effettivamente liberata dalle milizie pro-Gheddafi, oggi, è sottomessa anche a quelle anti-Gheddafi e esecuzioni, saccheggi, aggressioni e altri misfatti sembrano essere all’ordine del giorno, oltre al continuità dei combattimenti.

 

Purtroppo il silenzio dei media internazionali e delle grosse ONG su Baniwalid, così come fu anche di fronte al massacro di Falluja all’epoca, ci porta veramente poche notizie e spesso veicolate da blog, youtube, facebook e altri strumenti utili ma difficili da verificare. Non che io consideri più affidabile ciò che viene dichiarato dai grandi media, ma quando di una cosa si parla apertamente in genere si può rintracciare più fonti e più versioni.

I pochi attivisti che riescono a entrare in contatto con abitanti di Bani Walid parlano di un milizie.jpgvero e proprio massacro e di una emergenza umanitaria. Le milizie continuano a praticare la legge del taglione senza nessuna interferenza né dall’autorità nazionale, né dalla comunità internazionale. Molte famiglie sarebbero scappate di casa per sfuggire agli attacchi e ai bombardamenti indiscriminati e buona parte sarebbe ancora accampata in mezzo al deserto senza una adeguata assistenza e in balia a attacchi e rapine dei gruppi armati.

Forse qualcuno, lì in mezzo al deserto si chiede dov’è oggi, quella comunità internazionale, dove sono la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che si erano tanto commossi per la sorte dei civili libici quando c’era da intervenire militarmente per abbattere l’ex amico Gheddafi, ormai diventato ingombrante e imbarazzante.

Oggi che è successo tutto questo, quella città che fino a un anno fa rappresentava ciò che più al mondo odiavo, mi diventa cara e nella mia mente una frase gira come un ritornello: Bani Walid mon amour.

Bani Walid mon amour

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

L’incendio di Aleppo

Il testo che segue, pubblicato in arabo da un anonimo sul sito All4syria.info (all4syria.info/Archive/56755) e poi ripreso su vari siti (ad esempio qui) e Facebook è importante per diversi motivi. Ci dice molto: su un evento riportato dai media in…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace.

Il vecchio Alfred Bernhard Nobel, dichiarava nel suo testamento: 

(…) il capitale, dai miei esecutori testamentari impiegato in sicuri investimenti, dovrà costituire un fondo i cui interessi si distribuiranno annualmente in forma di premio a coloro che, durante l’anno precedente, più abbiano contribuito al benessere dell’umanità. Detto interesse verrà suddiviso in cinque parti uguali da distribuirsi nel modo seguente: una parte alla persona che abbia fatto la scoperta o l’invenzione più importante nel campo della fisica; una (…) nell’ambito della chimica; una (…)nel campo della fisiologia o della medicina; una (…)nell’ambito della letteratura, (…) una parte infine alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione di eserciti permanenti e per la formazione e l’incremento di congressi per la pace.

Il buon vecchio Alfred era un grande scienziato ma una persona molto ingenua dal punto di vista politico, sembra. Lo dimostrò una prima volta inventando un potente esplosivo non pensando ai possibili usi militari, e una seconda volta affidando la sua eredità ad istituzioni espressione delle monarchie scandinave per promuovere niente meno che la pace nel mondo.

Nella mia lingua si dice che un giorno il pastorello andò a trovare lo sciacallo e gli disse: “senti, io devo andare in viaggio e ti chiedo di sorvegliare le mie pecore in mia assenza.” Il povero sciacallo si mise a piangere. “Ma perchè piangi”-chiese il pastorello. – “Ho paura che sia solo uno scherzo.” – rispose lo sciacallo singhiozzando.

Il premio è molto presto diventato uno strumento politico in mano alle potenze occidentali. La pace intesa dalla giuria di Stoccolma era una specie di Pax romana che va sempre a favore del loro campo. Potente strumento di propaganda durante la guerra fredda. Oggi si è messa al servizio della guerra infinità andando a premiare persone più che discutibili come Kissinger, Anwar El Sadat, Menachem Begin, Yasser Arafat, Shimon Peres, Yitzhak Rabin, Martti Ahtisaari e Barack Obama.

Oggi la comissione premia la Comunità Europea, con la motivazione che «Il lavoro della UE rappresenta la “fratellanza tra le nazioni”…».

Ma forse il breve comunicato stampa della Fondazione non è abbastanza dettagliato e molti di noi avrebbe bisogno di una rinfrescatina per capire quale lavoro è stato un esempio di Fratellanza. Per cui ecco qui sotto un elenco di azioni degne di un Nobel, essendo il Nobel quello che è diventato:

– per aver fatto finta di decolonizzare e poi istituito in Asia e Africa un sistema neocoloniale ancora più criminale;

– Per le sue multinazionali che hanno sfruttato, distrutto, avvelenato il suolo africano e per aver fomentato massacri, genocidi, guerre dette tribali o etniche per proteggere i loro interessi nel continente;

– Per aver contribuito attivamente alla corsa all’armamento e all’inquinamento nucleare del pianeta;

– Per aver partecipato a rianimare e finanziare i nazionalismi e l’estremismo religioso in Europa dell’est et in vari paesi socialisti o non allineati;

– Per aver contribuito generosamente alle guerre dette “contro il terrore” delle multinazionali del petrolio in Medio Oriente;

– Per il sostegno anche militare a vari dittatori sanguinari attraverso il mondo;

– Per la sua florida industria bellica;

– Per i traffici di rifiuti tossici;

– Per il contributo delle sue banche nel gioco da strozzino nei confronti del terzo mondo e non solo;

– Per i muri, il filo spinato e l’esercito alzati di fronte ai migranti, che hanno prodotto centinaia di migliaia di morti nei mari, nelle montagne e nei deserti;

– Per aver favorito l’erosione di capitali dal pubblico verso il privato, la speculazione e i paradisi fiscali;

– Per la pesantezza e l’inutilità della sua burocrazia;

– Per le decine migliaia di funzionari strapagati a fare un bel niente;

– Per gli sprechi delle sue sedi a Bruxelles e a Strasburgo;

– E in fine per essersi completamente sottomessa alla logica delle banche e della speculazione finanziaria…

E tante altre cose ancora che potremo enumerare per giorni e giorni…

 

A questo punto, se questo Nobel lo prendono tutti, Dall’Africa, Dall’Asia e Dall’America latina arriva un grido di indignazione che cresce sempre di più. Vogliamo anche noi i nostri premi Nobel per la pace e li vogliamo subito. Abbiamo anche noi dei candidati da presentare. Candidati che hanno credenziali migliori di tutti quelli finora premiati.

 

Vogliamo il Premio postumo per Pinochet, per il Cile, lo vogliamo anche per Rafael Trujillo per San Domingo, lo vogliamo per i generali argentini degli anni 70 e 80, per quelli del Brasile, lo vogliamo per le Farc, i narcos e i paramilitari in Colombia.

 

Vogliamo molte premiazioni per l’Asia, Polpot e i generali della Birmania in testa. Saddam e L’Ayatollah Khomeini.

 

Vogliamo il trofeo del premio nobel sempre in Africa come la coppa Jules Rimet rimasta per sempre in Brasile. Abbiamo dal nostro continente un lunghissimo elenco di persone da premiare:

Idi Amin Dada dall’Uganda, Charles Taylor per la Liberia, Jean Kambanda per il Rwanda, i generali algerini della guerra sporca ex aequo con gli Emiri dei Gruppi Islamici Armati. Vogliamo un premio per Joseph Kony in Uganda ma soprattutto lo vogliamo per l’imperatore Bocassa Primo e ultimo.

 

L'Imperatore Bocassa I°

L’Imperatore Bocassa I°

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace.

Il vecchio Alfred Bernhard Nobel, dichiarava nel suo testamento: 

(…) il capitale, dai miei esecutori testamentari impiegato in sicuri investimenti, dovrà costituire un fondo i cui interessi si distribuiranno annualmente in forma di premio a coloro che, durante l’anno precedente, più abbiano contribuito al benessere dell’umanità. Detto interesse verrà suddiviso in cinque parti uguali da distribuirsi nel modo seguente: una parte alla persona che abbia fatto la scoperta o l’invenzione più importante nel campo della fisica; una (…) nell’ambito della chimica; una (…)nel campo della fisiologia o della medicina; una (…)nell’ambito della letteratura, (…) una parte infine alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione di eserciti permanenti e per la formazione e l’incremento di congressi per la pace.

Il buon vecchio Alfred era un grande scienziato ma una persona molto ingenua dal punto di vista politico, sembra. Lo dimostrò una prima volta inventando un potente esplosivo non pensando ai possibili usi militari, e una seconda volta affidando la sua eredità ad istituzioni espressione delle monarchie scandinave per promuovere niente meno che la pace nel mondo.

Nella mia lingua si dice che un giorno il pastorello andò a trovare lo sciacallo e gli disse: “senti, io devo andare in viaggio e ti chiedo di sorvegliare le mie pecore in mia assenza.” Il povero sciacallo si mise a piangere. “Ma perchè piangi”-chiese il pastorello. – “Ho paura che sia solo uno scherzo.” – rispose lo sciacallo singhiozzando.

Il premio è molto presto diventato uno strumento politico in mano alle potenze occidentali. La pace intesa dalla giuria di Stoccolma era una specie di Pax romana che va sempre a favore del loro campo. Potente strumento di propaganda durante la guerra fredda. Oggi si è messa al servizio della guerra infinità andando a premiare persone più che discutibili come Kissinger, Anwar El Sadat, Menachem Begin, Yasser Arafat, Shimon Peres, Yitzhak Rabin, Martti Ahtisaari e Barack Obama.

Oggi la comissione premia la Comunità Europea, con la motivazione che «Il lavoro della UE rappresenta la “fratellanza tra le nazioni”…».

Ma forse il breve comunicato stampa della Fondazione non è abbastanza dettagliato e molti di noi avrebbe bisogno di una rinfrescatina per capire quale lavoro è stato un esempio di Fratellanza. Per cui ecco qui sotto un elenco di azioni degne di un Nobel, essendo il Nobel quello che è diventato:

– per aver fatto finta di decolonizzare e poi istituito in Asia e Africa un sistema neocoloniale ancora più criminale;

– Per le sue multinazionali che hanno sfruttato, distrutto, avvelenato il suolo africano e per aver fomentato massacri, genocidi, guerre dette tribali o etniche per proteggere i loro interessi nel continente;

– Per aver contribuito attivamente alla corsa all’armamento e all’inquinamento nucleare del pianeta;

– Per aver partecipato a rianimare e finanziare i nazionalismi e l’estremismo religioso in Europa dell’est et in vari paesi socialisti o non allineati;

– Per aver contribuito generosamente alle guerre dette “contro il terrore” delle multinazionali del petrolio in Medio Oriente;

– Per il sostegno anche militare a vari dittatori sanguinari attraverso il mondo;

– Per la sua florida industria bellica;

– Per i traffici di rifiuti tossici;

– Per il contributo delle sue banche nel gioco da strozzino nei confronti del terzo mondo e non solo;

– Per i muri, il filo spinato e l’esercito alzati di fronte ai migranti, che hanno prodotto centinaia di migliaia di morti nei mari, nelle montagne e nei deserti;

– Per aver favorito l’erosione di capitali dal pubblico verso il privato, la speculazione e i paradisi fiscali;

– Per la pesantezza e l’inutilità della sua burocrazia;

– Per le decine migliaia di funzionari strapagati a fare un bel niente;

– Per gli sprechi delle sue sedi a Bruxelles e a Strasburgo;

– E in fine per essersi completamente sottomessa alla logica delle banche e della speculazione finanziaria…

E tante altre cose ancora che potremo enumerare per giorni e giorni…

 

A questo punto, se questo Nobel lo prendono tutti, Dall’Africa, Dall’Asia e Dall’America latina arriva un grido di indignazione che cresce sempre di più. Vogliamo anche noi i nostri premi Nobel per la pace e li vogliamo subito. Abbiamo anche noi dei candidati da presentare. Candidati che hanno credenziali migliori di tutti quelli finora premiati.

 

Vogliamo il Premio postumo per Pinochet, per il Cile, lo vogliamo anche per Rafael Trujillo per San Domingo, lo vogliamo per i generali argentini degli anni 70 e 80, per quelli del Brasile, lo vogliamo per le Farc, i narcos e i paramilitari in Colombia.

 

Vogliamo molte premiazioni per l’Asia, Polpot e i generali della Birmania in testa. Saddam e L’Ayatollah Khomeini.

 

Vogliamo il trofeo del premio nobel sempre in Africa come la coppa Jules Rimet rimasta per sempre in Brasile. Abbiamo dal nostro continente un lunghissimo elenco di persone da premiare:

Idi Amin Dada dall’Uganda, Charles Taylor per la Liberia, Jean Kambanda per il Rwanda, i generali algerini della guerra sporca ex aequo con gli Emiri dei Gruppi Islamici Armati. Vogliamo un premio per Joseph Kony in Uganda ma soprattutto lo vogliamo per l’imperatore Bocassa Primo e ultimo.

 

L'Imperatore Bocassa I°

L’Imperatore Bocassa I°

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Vogliamo un premio Nobel Postumo per Bocassa I

La venerabile casa di Stoccolma ha di nuovo pubblicato il suo verdetto. Premio Nobel per vari contributi nel campo della scienza, un premio nobel per la letteratura e uno nel campo della politica detto Premio Nobel per la Pace. Il vecchio Alfred Bernha…

Siria: chattando dall’inferno

siriaEcco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando
di nuovo di scappare dalla Siria.

Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi
diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio su Facebook. “Torno in Siria”. Non posso stare a guardare in TV quello che succede nel mio
paese.”

 

A quella epoca, Damasco, la sua città, era ancora fuori dalle zone di combattimento e si sperava potesse in qualche modo esserci una soluzione pacifica. Ora, mi dice, è tutto precipitato. É di
nuovo disperato e dice che non ha più un posto in quel macello.

Mi annuncia che è sul confine con la Turchia, in una cittadina tutta distrutta e disertata dai suoi abitanti. Chatta da un portatile con Sim Card turca.

Una breve chiacchierata in cui mi dice che la sua famiglia è salva ma la casa di suo padre, in un quartiere limitrofo del campo profughi del Yarmouk, a Damasco, è stata rasa al suolo.

In mente mi ritornano le belle serate che abbiamo passato in quella casa. Le “mezzé” della mamma Khaoula accompagnate da fiumi di araq. Le risate, i canti, le storie di quelle serate echeggiano
ancora nella mia memoria. Tutto quello è crollato. La casa è distrutta e la banda di folli che ci si divertiva è dispersa per sempre. Alcuni cercano dove nascondersi, altri, forse i più
fortunati, sono morti.

descrive un paese con città intere distrutte, gente che gira senza trovare via di scampo e forze armate, una più criminale dell’altra, che giocano ad una specie di macabro gioco del gatto e del
topo. Gruppi armati che entrano nei quartieri abitati. Sparano da lì sull’esercito che risponde con i bombardamenti a tappeto. Una macabra logica del caos, che cerca di chiudere definitivamente
la strada a qualsiasi soluzione pacifica. Un paese dove a comandare è la forza di fuoco. Punto e basta.

Poche battute amare, piene di disperazione “Amico mio, siamo arrivati ad augurarci la morte.” Poche informazioni. Poi scompare di nuovo. “Hamed… Ci sei ancora?” Silenzio. Resto solo con la
paura per lui… speriamo fino alla prossima comunicazione.

 

Qui di seguito la traduzione del testo integrale della nostra chat.

Poi sotto il testo originale in arabo.

 

 

Hamed: Marhaba, amico mio

 

Karim Metref: Marhaba Hamed!

 

Hamed: Come stai?

 

Karim Metref: Ben. E tu come te la stai cavando in Turchia?

 

Hamed: Io sono in Siria di nuovo.  Ieri i Turchi ci hanno cacciati via.

 

Karim Metref: No!!!ا

 

Hamed: Te lo giuro.

 

Karim Metref: perché? Dove eri? In un campo?

 

Hamed: A Kilis. Non ci hanno fatto entrare nel campo. Abbiamo dormito due notti sotto le stelle, poi ci hanno cacciati via. Adesso siamo a Marea

 

Karim Metref: Marea? Dov’è? Sul confine?

 

Hamed Sì. Ma domani tenterò di nuovo di entrare per andare a Istambul questa volta

 

Karim Metref Ok. Speriamo che ce la farai.

 

Hamed  Amico mio, siamo arrivati ad augurarci la morte.

 

Karim Metref  Ho un amico Turco che vive a Torino. Gli chiedo se può trovarti qualche aiuto a Istambul.

 

Hamed  Ti ringrazio. Io ti sto stancando con me. Però che fare?

 

Karim Metref  Per quel poco che posso fare, non c’è problema. Avrei voluto poter fare di più.

 

Hamed  Grazie della solidarietà. Questo è il più important. Sul serio. Noi siamo soprattutto stanchi moralmente. Non sono i problemi materiali quelli peggiori

 

Karim Metref  Lo so. E la tua famiglia come sta?

 

 Hamed Si stanno bene. Solo che hanno dovuto scappare. Ti ricordi la casa di mio padre? Ebbene non c’è più.

 

Karim Metref  Sì me la ricordo. Nooo!  Dove sono adesso?

 

Hamed  Nelle scuole dentro al campo. Il Campo profughi del Yarmouk. Nella parte che non è distrutta.

 

Karim Metref Vuol dire che anche Il Yarmouk è diventato campo di battaglia?

 

Hamed  Lametà più o meno. Il complesso scolastico e Via Al Yarmouk finora sono sicuri.

 

Karim Metref  E le scuole in cui sono chi le sorveglia? L’esercito regolare o gli altri?

 

Hamed  Non pensare che l’esercito libero è meglio dell’esercito di Assad. Le due parti usano la popolazione civile come scudo.

 

Karim Metref  Non ti preoccupare. Non ho questa idea. Io non credo che possa nascere un movimento pulito finanziato da soldi sporchi.

 

Hamed

 

Ok. Per il momento nel campo ci sono dei comitati popolari che assicurano la protezione

 

Karim Metref  Armati?

 

Hamed  Certo, armati!

C’è nel campo circa 200.000 civili siriani che si sono rifugiati. Perchè nei primi giorni di Ramadhan l’esercito libero è entrato nel campo. La gente non ha voluto scontrarsi con loro. Loro hanno
sfruttato questa neutralità e hanno cominciato a sparare dalle case civili sulle forze regolari.

L’esercito a cominciato ha risposto al fuoco con bombardamenti.

 

Karim Metref  Ho capito

 

Hamed  Uno più bastardo dell’altro. Capisci.

 

Karim Metref  Certo.

 

Hamed  E poi sono portatori di una ideologia salafista wahhabista.

 

 Karim Metref  E i comitati popolari nel campo sono misti o solo palestinesi?

 

Hamed  No, sono palestinesi dei movimenti di sinistra (tipo FPLP, FDLP) e liberali (Fattah). Come sai al Yarmouk c’è una forte resistenza contro l’integralismo.

 

Karim Metref  Lo so lo so. Ma questo potrebbe portare a scontri con l’esercito libero?

 

Hamed  C’è stato un poì’ di scontro ma non importante. Per ora né l’esercito libero vuole scontrarsi con loro né loro con l’esercito libero. Vogliono solo far arrivare il
messaggio che è vietato usare i quartieri abitati come base d’attacco. Perché poi l’esercito regolare si vendica dalla popolazione civile senza pietà. Ti è chiaro?

 

Karim Metref  Chiaro.

 

Hamed  La situazione più difficile in Siria è quella della sinistra.

 

Karim Metref  Lo so.

 

Hamed  Perché i due campi attaccano senza pietà. Io sono ricercato da tutti e due.

 

Karim Metref  Ti avevo raccontato che noi in Algeria abbiamo vissuto la stessa cosa. Non con la stessa violenza. Ma eravamo anche noi tra due fuochi. Di qua criminali di là
peggio.

 

Hamed  Abbiamo due flagelli: di qua il nazionalismo arabo e di là l’islamismo.

 

Karim Metref  Ma l’esercito libero, perchè ce l’ha con te?

 

Hamed  Non c’è nessun esercito libero. Ci sono gruppi armati disseminati sul territorio. E ognuno di loro è uno stato a parte.

 

Karim Metref  Ok

 

Hamed  Il legame tra loro è il radicalismo religioso e l’odio del regime perchp non in mano ai sunniti. Ma di democrazia e libertà non parla più nessuno.

 

Karim Metref  Certo.

 

Hamed  Io ho deciso di lasciare il paese perchè non ho più un posto. Non voglio scegliere tra l’ingiustizia in nome del nazionalismo e quella in nome dell’integralismo.

 

Karim Metref  Vero.  Ma la città dove sei è tranquilla?

 

Hamed  Non c’è più una città è tutto un rudere.

Per non preoccuparti per me, ti dico che sono circa 5000 persone qua che aspettano di entrare in Turchia. Quindi male condiviso è un male a metà.

 

Karim Metref  E da dove stai scrivendo adesso?

 

Hamed  C’è un ragazzo qua che ha un Laptop e una sim turca. Qui si prende la rete turca.

 

Karim Metref  Ho capito. Per questo riesci a scrivere liberamente.

 

Hamed  Sì. Certo. Però quando ho sparlato dell’esercito libero il ragazzo era lontano. Perchè se leggesse quello che ho detto potrei essere preso per una spia e essere
denunciato a loro.

 

Karim Metref  MA chi controlla quella zona dove sei? L’esercito o l’opposizione?

 

Hamed  Ho l’impressione che l’esercito ha volutamente lasciato questa zona libera. Perché ha delle postazioni molto vicine e può in qualsiasi momento bombardare o attaccare.

Però è come se volessero far vedere al mondo il rapporto tra gli insorti e la turchia.

 

Karim Metref  Ma la mia impressione è che la Turchia, che è più furba, sta usando voi sfollati per cercare di affrettare un intervento militare.

 

Karim Metref  Ci sei ancora?

 

….  dilenzio. 

 

 

 

La chat originale in arabo

 

circa un’ora fa Hamed

مرحبا يا صديقي

 

circa un’ora faKarim Metref

Marhaba Hamed!

 

circa un’ora fa Hamed

كيف الحال

 

circa un’ora faKarim Metref

منيح

و انت كيف مدبر حالك في تركيا؟

 

circa un’ora faHamed

انا حاليا بسورية مبارح رجعونا الاتراك

قال ما في مكان للاقامة

 

circa un’ora faKarim Metref

لااااا

 

circa un’ora faHamed

اي والله

 

circa un’ora faKarim Metref

ليش انت وين كنت؟ في مخيم؟

 

circa un’ora faHamed

بكلس

ما سمحولنا نفوت على المخيم نمنا يومين تحت الشجر

حاليا بمارع

 

56 minuti faKarim Metref

مارع وين؟ على الحدود التركية؟

 

56 minuti faHamed

اي بس بكرة رح اجرب افوت

و على اسطنبول هاي المرة

 

55 minuti faKarim Metref

أوكي.

انشالله تنجح

 

54 minuti faHamed

يا صديقي صار الواحد يتمنى الموت

 

53 minuti faKarim Metref

عندي صديقي تركي عايش هون راح أسأله اذا ممكن يلقالك مساعدة في سطمبول

 

53 minuti faHamed

يا ريت انا عم اغلبك معي

بس انا اسف

 

50 minuti faKarim Metref

الي في يدي و ممكن أعمله ما فيه مشكل

يا ريت كان بيدي أكثر من هيك

 

49 minuti faHamed

شكرا على التعاطف اولا هاد اهم

عن جد احنا تعبنى نفسي اكتر ما يكون مادي

 

48 minuti faKarim Metref

عارف

و عايلتك كلها بخير؟

 

47 minuti faHamed

نعم بس اتهجرو

بتزكر بيت اهلي ؟

راح

 

47 minuti faKarim Metref

نعم

لااااا

وين هجروهم؟

 

46 minuti faHamed

على المدارس

 

46 minuti faKarim Metref

يعني مخيم اليرموك صار ميدان معركة كله؟

 

45 minuti faHamed

نصفو تقريبا

وتجمع المدارس وشارع اليرموك امن حتى الان

لا تفكر انو الجيش الحر احسن من النظام

 

44 minuti faKarim Metref

و المدارس الي هني فيها مين الي يحرسها؟ الجيش و الا الأخرين؟

 

43 minuti faHamed

الطرفين بيستعملو المدنيين دروع بشرية

 

43 minuti faKarim Metref

لا ما عندي ه الفكرة

أنا ما أضن أنه ممكن تقوم حركة نضيفة بمصاري وسخة

 

43 minuti faHamed

حاليا صار في لجان شعبية بالمخيم لمنع الجيش الحر من دخول المخيم

 

42 minuti faKarim Metref

مسلحين؟

 

42 minuti faHamed

حاليا عدد السوريين الي لجأو للمخيم من المناطق المجاورة اكثر من 200 الف

طبعا الجان مسلحة

لانو باول رمضان فات الجيش الحر على المخيم

الشعب ما راد الاشتباك معهم

بس استغلو هالموضوع وصارو يقصفو الجيش النضامي من بين البيوت السكنية

قام الجيش النظامي بالرد على مصادر النيران

 

39 minuti faKarim Metref

فاهم

 

39 minuti faHamed

الطرفين اوسخ من بعض

 

38 minuti faKarim Metref

أكيد

 

38 minuti faHamed

بعدين حاملين عقيدة سلفية وهابية

 

38 minuti faKarim Metref

و اللجان الشعبية في المخيم مختلطة؟

و الا فلسطينيين؟

 

37 minuti faHamed

لا فلسطينية من التنظيمات الشيوعية واليسارية وليبرالية (فتح)ء

في حركة ضد الاسلاميين قوية باليرموك

 

38 minuti faKarim Metref

عارف. هذا ممكن يخلي فيه تشابكات مع الجيش الحر

 

37 minuti faHamed

صار شوية تشابك بس غير جدي الجيش الحر ما بدو يشتبك معهم

ولا هنى يريدو ولكن فصدهم اوصال رسالة انو ممنوع استخدام الاماكن السكنية للهجوم على الجيش النظامي

لانو الجيش النظامي بينتقم من السكان بلا رحمة

وضحت الصورة ؟

 

34 minuti faKarim Metref

فاهم

 

34 minuti faHamed

اصعب وضع بسوريا وضع اليسار

 

34 minuti faKarim Metref

عارف

 

34 minuti faHamed

لانو الطرفين بيهاجمو بلا رحمة

يعني انا تمت ملاحقتي من الطرفين

 

33 minuti faKarim Metref

مش بهاي الشدة بس عشنا نفس الوضع في الجزائر و انت عارف

ما بين نارين

من هون مجرمين و من هون أكثر

 

32 minuti faHamed

يا رجل احنا عنا بلائين الاسلام والقومية العربية

النظام قومي والمعارضة المسلحة اسلامية كما الجزائر

 

32 minuti faKarim Metref

الجيش الحر شو عنده معك؟

 

30 minuti faHamed

مافي شي اسمو الجيش الحر على ارض الواقع

مجموعات متعددة

كل مجموعة دولة

 

30 minuti faKarim Metref

أوكي

 

29 minuti faHamed

جامع بينها التدين وكره النظام لانو نظام غير سني

بس موضوعات الحرية والدولة الديمقراطية ليست ضمن الاهتمامات

 

28 minuti faKarim Metref

أكيد

 

28 minuti faHamed

انا قررت اغادر البلد لانو مالي مكان

شو الفرق بين الظلم لاسباب قومجية او الظلم لاسباب دينية

الظلم بيضل ظلم من اي مكان صدر

 

25 minuti faKarim Metref

صح

المدينة الي أنت فيها هسا

ما فيها حرب؟

 

24 minuti faHamed

ما في مدينة اطلال

انا رح انام تحت شجرة زيتون

عشان ما تزعل علي في هون حوالي الخمسة الاف عم ينتظرو الحكومة التركية حتى تسمح لهم بالدخول

يعني التشارك بالمصيبة بيهون

 

22 minuti faKarim Metref

طب من وين بتكتب هسا؟

أنت في مركز للانترنت؟ و الا وين؟

 

21 minuti faHamed

باللاب توب تبع شاب هون

خط تركي استعارة

هون الشبكة التركية شغالة

 

21 minuti faKarim Metref

اوكي

فهمتك

عشان هيك ممكن تحكي براحتك

 

20 minuti faHamed

اي طبعا

بس لما شتمت الجيش الحر كنت بعيد عنو لانو لو سمعني عم اشتم الجيش الحر بروح فيها بيعتبروني عميل للنظام

 

19 minuti faKarim Metref

هناك, وين انت مين المسيطر؟ المتلحيين و الا الحكومة؟

و الا تركوا كلهم المنطقة؟

 

18 minuti faHamed

انا حاسس انو الجيش النظامي عن قصد تارك النطقة لانو الو قطع عسكرية قريبة

باي وقت بيريد بيقصف وبيداهم

بس يبدو انو النظام حابب يورجي العالم مين المسلحين

ويجيب مشاكل لتركيا

 

14 minuti faKarim Metref

بس تركيا بنت شرموطة أكثر منهم. حاليا بتستعمل اللاجئين للضغط من أجل تدخل عسكري

أضن عشان هيك رجعوكم. قالوا أنه مش قادرين يستقبلوا أكثر و انه لازم خلق منطقة محمية من طرف جيوش الناطو

 

12 minuti faKarim Metref

ألو. حامد.

وينك؟

 

…..

Siria: chattando dall’inferno

siriaEcco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando
di nuovo di scappare dalla Siria.

Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi
diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio su Facebook. “Torno in Siria”. Non posso stare a guardare in TV quello che succede nel mio
paese.”

 

A quella epoca, Damasco, la sua città, era ancora fuori dalle zone di combattimento e si sperava potesse in qualche modo esserci una soluzione pacifica. Ora, mi dice, è tutto precipitato. É di
nuovo disperato e dice che non ha più un posto in quel macello.

Mi annuncia che è sul confine con la Turchia, in una cittadina tutta distrutta e disertata dai suoi abitanti. Chatta da un portatile con Sim Card turca.

Una breve chiacchierata in cui mi dice che la sua famiglia è salva ma la casa di suo padre, in un quartiere limitrofo del campo profughi del Yarmouk, a Damasco, è stata rasa al suolo.

In mente mi ritornano le belle serate che abbiamo passato in quella casa. Le “mezzé” della mamma Khaoula accompagnate da fiumi di araq. Le risate, i canti, le storie di quelle serate echeggiano
ancora nella mia memoria. Tutto quello è crollato. La casa è distrutta e la banda di folli che ci si divertiva è dispersa per sempre. Alcuni cercano dove nascondersi, altri, forse i più
fortunati, sono morti.

descrive un paese con città intere distrutte, gente che gira senza trovare via di scampo e forze armate, una più criminale dell’altra, che giocano ad una specie di macabro gioco del gatto e del
topo. Gruppi armati che entrano nei quartieri abitati. Sparano da lì sull’esercito che risponde con i bombardamenti a tappeto. Una macabra logica del caos, che cerca di chiudere definitivamente
la strada a qualsiasi soluzione pacifica. Un paese dove a comandare è la forza di fuoco. Punto e basta.

Poche battute amare, piene di disperazione “Amico mio, siamo arrivati ad augurarci la morte.” Poche informazioni. Poi scompare di nuovo. “Hamed… Ci sei ancora?” Silenzio. Resto solo con la
paura per lui… speriamo fino alla prossima comunicazione.

 

Qui di seguito la traduzione del testo integrale della nostra chat.

Poi sotto il testo originale in arabo.

 

 

Hamed: Marhaba, amico mio

 

Karim Metref: Marhaba Hamed!

 

Hamed: Come stai?

 

Karim Metref: Ben. E tu come te la stai cavando in Turchia?

 

Hamed: Io sono in Siria di nuovo.  Ieri i Turchi ci hanno cacciati via.

 

Karim Metref: No!!!ا

 

Hamed: Te lo giuro.

 

Karim Metref: perché? Dove eri? In un campo?

 

Hamed: A Kilis. Non ci hanno fatto entrare nel campo. Abbiamo dormito due notti sotto le stelle, poi ci hanno cacciati via. Adesso siamo a Marea

 

Karim Metref: Marea? Dov’è? Sul confine?

 

Hamed Sì. Ma domani tenterò di nuovo di entrare per andare a Istambul questa volta

 

Karim Metref Ok. Speriamo che ce la farai.

 

Hamed  Amico mio, siamo arrivati ad augurarci la morte.

 

Karim Metref  Ho un amico Turco che vive a Torino. Gli chiedo se può trovarti qualche aiuto a Istambul.

 

Hamed  Ti ringrazio. Io ti sto stancando con me. Però che fare?

 

Karim Metref  Per quel poco che posso fare, non c’è problema. Avrei voluto poter fare di più.

 

Hamed  Grazie della solidarietà. Questo è il più important. Sul serio. Noi siamo soprattutto stanchi moralmente. Non sono i problemi materiali quelli peggiori

 

Karim Metref  Lo so. E la tua famiglia come sta?

 

 Hamed Si stanno bene. Solo che hanno dovuto scappare. Ti ricordi la casa di mio padre? Ebbene non c’è più.

 

Karim Metref  Sì me la ricordo. Nooo!  Dove sono adesso?

 

Hamed  Nelle scuole dentro al campo. Il Campo profughi del Yarmouk. Nella parte che non è distrutta.

 

Karim Metref Vuol dire che anche Il Yarmouk è diventato campo di battaglia?

 

Hamed  Lametà più o meno. Il complesso scolastico e Via Al Yarmouk finora sono sicuri.

 

Karim Metref  E le scuole in cui sono chi le sorveglia? L’esercito regolare o gli altri?

 

Hamed  Non pensare che l’esercito libero è meglio dell’esercito di Assad. Le due parti usano la popolazione civile come scudo.

 

Karim Metref  Non ti preoccupare. Non ho questa idea. Io non credo che possa nascere un movimento pulito finanziato da soldi sporchi.

 

Hamed

 

Ok. Per il momento nel campo ci sono dei comitati popolari che assicurano la protezione

 

Karim Metref  Armati?

 

Hamed  Certo, armati!

C’è nel campo circa 200.000 civili siriani che si sono rifugiati. Perchè nei primi giorni di Ramadhan l’esercito libero è entrato nel campo. La gente non ha voluto scontrarsi con loro. Loro hanno
sfruttato questa neutralità e hanno cominciato a sparare dalle case civili sulle forze regolari.

L’esercito a cominciato ha risposto al fuoco con bombardamenti.

 

Karim Metref  Ho capito

 

Hamed  Uno più bastardo dell’altro. Capisci.

 

Karim Metref  Certo.

 

Hamed  E poi sono portatori di una ideologia salafista wahhabista.

 

 Karim Metref  E i comitati popolari nel campo sono misti o solo palestinesi?

 

Hamed  No, sono palestinesi dei movimenti di sinistra (tipo FPLP, FDLP) e liberali (Fattah). Come sai al Yarmouk c’è una forte resistenza contro l’integralismo.

 

Karim Metref  Lo so lo so. Ma questo potrebbe portare a scontri con l’esercito libero?

 

Hamed  C’è stato un poì’ di scontro ma non importante. Per ora né l’esercito libero vuole scontrarsi con loro né loro con l’esercito libero. Vogliono solo far arrivare il
messaggio che è vietato usare i quartieri abitati come base d’attacco. Perché poi l’esercito regolare si vendica dalla popolazione civile senza pietà. Ti è chiaro?

 

Karim Metref  Chiaro.

 

Hamed  La situazione più difficile in Siria è quella della sinistra.

 

Karim Metref  Lo so.

 

Hamed  Perché i due campi attaccano senza pietà. Io sono ricercato da tutti e due.

 

Karim Metref  Ti avevo raccontato che noi in Algeria abbiamo vissuto la stessa cosa. Non con la stessa violenza. Ma eravamo anche noi tra due fuochi. Di qua criminali di là
peggio.

 

Hamed  Abbiamo due flagelli: di qua il nazionalismo arabo e di là l’islamismo.

 

Karim Metref  Ma l’esercito libero, perchè ce l’ha con te?

 

Hamed  Non c’è nessun esercito libero. Ci sono gruppi armati disseminati sul territorio. E ognuno di loro è uno stato a parte.

 

Karim Metref  Ok

 

Hamed  Il legame tra loro è il radicalismo religioso e l’odio del regime perchp non in mano ai sunniti. Ma di democrazia e libertà non parla più nessuno.

 

Karim Metref  Certo.

 

Hamed  Io ho deciso di lasciare il paese perchè non ho più un posto. Non voglio scegliere tra l’ingiustizia in nome del nazionalismo e quella in nome dell’integralismo.

 

Karim Metref  Vero.  Ma la città dove sei è tranquilla?

 

Hamed  Non c’è più una città è tutto un rudere.

Per non preoccuparti per me, ti dico che sono circa 5000 persone qua che aspettano di entrare in Turchia. Quindi male condiviso è un male a metà.

 

Karim Metref  E da dove stai scrivendo adesso?

 

Hamed  C’è un ragazzo qua che ha un Laptop e una sim turca. Qui si prende la rete turca.

 

Karim Metref  Ho capito. Per questo riesci a scrivere liberamente.

 

Hamed  Sì. Certo. Però quando ho sparlato dell’esercito libero il ragazzo era lontano. Perchè se leggesse quello che ho detto potrei essere preso per una spia e essere
denunciato a loro.

 

Karim Metref  MA chi controlla quella zona dove sei? L’esercito o l’opposizione?

 

Hamed  Ho l’impressione che l’esercito ha volutamente lasciato questa zona libera. Perché ha delle postazioni molto vicine e può in qualsiasi momento bombardare o attaccare.

Però è come se volessero far vedere al mondo il rapporto tra gli insorti e la turchia.

 

Karim Metref  Ma la mia impressione è che la Turchia, che è più furba, sta usando voi sfollati per cercare di affrettare un intervento militare.

 

Karim Metref  Ci sei ancora?

 

….  dilenzio. 

 

 

 

La chat originale in arabo

 

circa un’ora fa Hamed

مرحبا يا صديقي

 

circa un’ora faKarim Metref

Marhaba Hamed!

 

circa un’ora fa Hamed

كيف الحال

 

circa un’ora faKarim Metref

منيح

و انت كيف مدبر حالك في تركيا؟

 

circa un’ora faHamed

انا حاليا بسورية مبارح رجعونا الاتراك

قال ما في مكان للاقامة

 

circa un’ora faKarim Metref

لااااا

 

circa un’ora faHamed

اي والله

 

circa un’ora faKarim Metref

ليش انت وين كنت؟ في مخيم؟

 

circa un’ora faHamed

بكلس

ما سمحولنا نفوت على المخيم نمنا يومين تحت الشجر

حاليا بمارع

 

56 minuti faKarim Metref

مارع وين؟ على الحدود التركية؟

 

56 minuti faHamed

اي بس بكرة رح اجرب افوت

و على اسطنبول هاي المرة

 

55 minuti faKarim Metref

أوكي.

انشالله تنجح

 

54 minuti faHamed

يا صديقي صار الواحد يتمنى الموت

 

53 minuti faKarim Metref

عندي صديقي تركي عايش هون راح أسأله اذا ممكن يلقالك مساعدة في سطمبول

 

53 minuti faHamed

يا ريت انا عم اغلبك معي

بس انا اسف

 

50 minuti faKarim Metref

الي في يدي و ممكن أعمله ما فيه مشكل

يا ريت كان بيدي أكثر من هيك

 

49 minuti faHamed

شكرا على التعاطف اولا هاد اهم

عن جد احنا تعبنى نفسي اكتر ما يكون مادي

 

48 minuti faKarim Metref

عارف

و عايلتك كلها بخير؟

 

47 minuti faHamed

نعم بس اتهجرو

بتزكر بيت اهلي ؟

راح

 

47 minuti faKarim Metref

نعم

لااااا

وين هجروهم؟

 

46 minuti faHamed

على المدارس

 

46 minuti faKarim Metref

يعني مخيم اليرموك صار ميدان معركة كله؟

 

45 minuti faHamed

نصفو تقريبا

وتجمع المدارس وشارع اليرموك امن حتى الان

لا تفكر انو الجيش الحر احسن من النظام

 

44 minuti faKarim Metref

و المدارس الي هني فيها مين الي يحرسها؟ الجيش و الا الأخرين؟

 

43 minuti faHamed

الطرفين بيستعملو المدنيين دروع بشرية

 

43 minuti faKarim Metref

لا ما عندي ه الفكرة

أنا ما أضن أنه ممكن تقوم حركة نضيفة بمصاري وسخة

 

43 minuti faHamed

حاليا صار في لجان شعبية بالمخيم لمنع الجيش الحر من دخول المخيم

 

42 minuti faKarim Metref

مسلحين؟

 

42 minuti faHamed

حاليا عدد السوريين الي لجأو للمخيم من المناطق المجاورة اكثر من 200 الف

طبعا الجان مسلحة

لانو باول رمضان فات الجيش الحر على المخيم

الشعب ما راد الاشتباك معهم

بس استغلو هالموضوع وصارو يقصفو الجيش النضامي من بين البيوت السكنية

قام الجيش النظامي بالرد على مصادر النيران

 

39 minuti faKarim Metref

فاهم

 

39 minuti faHamed

الطرفين اوسخ من بعض

 

38 minuti faKarim Metref

أكيد

 

38 minuti faHamed

بعدين حاملين عقيدة سلفية وهابية

 

38 minuti faKarim Metref

و اللجان الشعبية في المخيم مختلطة؟

و الا فلسطينيين؟

 

37 minuti faHamed

لا فلسطينية من التنظيمات الشيوعية واليسارية وليبرالية (فتح)ء

في حركة ضد الاسلاميين قوية باليرموك

 

38 minuti faKarim Metref

عارف. هذا ممكن يخلي فيه تشابكات مع الجيش الحر

 

37 minuti faHamed

صار شوية تشابك بس غير جدي الجيش الحر ما بدو يشتبك معهم

ولا هنى يريدو ولكن فصدهم اوصال رسالة انو ممنوع استخدام الاماكن السكنية للهجوم على الجيش النظامي

لانو الجيش النظامي بينتقم من السكان بلا رحمة

وضحت الصورة ؟

 

34 minuti faKarim Metref

فاهم

 

34 minuti faHamed

اصعب وضع بسوريا وضع اليسار

 

34 minuti faKarim Metref

عارف

 

34 minuti faHamed

لانو الطرفين بيهاجمو بلا رحمة

يعني انا تمت ملاحقتي من الطرفين

 

33 minuti faKarim Metref

مش بهاي الشدة بس عشنا نفس الوضع في الجزائر و انت عارف

ما بين نارين

من هون مجرمين و من هون أكثر

 

32 minuti faHamed

يا رجل احنا عنا بلائين الاسلام والقومية العربية

النظام قومي والمعارضة المسلحة اسلامية كما الجزائر

 

32 minuti faKarim Metref

الجيش الحر شو عنده معك؟

 

30 minuti faHamed

مافي شي اسمو الجيش الحر على ارض الواقع

مجموعات متعددة

كل مجموعة دولة

 

30 minuti faKarim Metref

أوكي

 

29 minuti faHamed

جامع بينها التدين وكره النظام لانو نظام غير سني

بس موضوعات الحرية والدولة الديمقراطية ليست ضمن الاهتمامات

 

28 minuti faKarim Metref

أكيد

 

28 minuti faHamed

انا قررت اغادر البلد لانو مالي مكان

شو الفرق بين الظلم لاسباب قومجية او الظلم لاسباب دينية

الظلم بيضل ظلم من اي مكان صدر

 

25 minuti faKarim Metref

صح

المدينة الي أنت فيها هسا

ما فيها حرب؟

 

24 minuti faHamed

ما في مدينة اطلال

انا رح انام تحت شجرة زيتون

عشان ما تزعل علي في هون حوالي الخمسة الاف عم ينتظرو الحكومة التركية حتى تسمح لهم بالدخول

يعني التشارك بالمصيبة بيهون

 

22 minuti faKarim Metref

طب من وين بتكتب هسا؟

أنت في مركز للانترنت؟ و الا وين؟

 

21 minuti faHamed

باللاب توب تبع شاب هون

خط تركي استعارة

هون الشبكة التركية شغالة

 

21 minuti faKarim Metref

اوكي

فهمتك

عشان هيك ممكن تحكي براحتك

 

20 minuti faHamed

اي طبعا

بس لما شتمت الجيش الحر كنت بعيد عنو لانو لو سمعني عم اشتم الجيش الحر بروح فيها بيعتبروني عميل للنظام

 

19 minuti faKarim Metref

هناك, وين انت مين المسيطر؟ المتلحيين و الا الحكومة؟

و الا تركوا كلهم المنطقة؟

 

18 minuti faHamed

انا حاسس انو الجيش النظامي عن قصد تارك النطقة لانو الو قطع عسكرية قريبة

باي وقت بيريد بيقصف وبيداهم

بس يبدو انو النظام حابب يورجي العالم مين المسلحين

ويجيب مشاكل لتركيا

 

14 minuti faKarim Metref

بس تركيا بنت شرموطة أكثر منهم. حاليا بتستعمل اللاجئين للضغط من أجل تدخل عسكري

أضن عشان هيك رجعوكم. قالوا أنه مش قادرين يستقبلوا أكثر و انه لازم خلق منطقة محمية من طرف جيوش الناطو

 

12 minuti faKarim Metref

ألو. حامد.

وينك؟

 

…..

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Siria: chattando dall’inferno

Ecco è riapparso di nuovo. Il mio amico Hamed è vivo e sta cercando di nuovo di scappare dalla Siria. Qualche mese fa avevo pubblicato l’intervista in cui mi diceva che era in Algeria. Ha girato un po’ in Algeria e dopo un po’ mi ha lasciato un messaggio…

Un fine ramadan da miscredente

meissonierOh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza si sente più diverso che mai.

 

Non sapevo fosse Venerdì. Ero sceso dalle mie montagne per passare i due ultimi giorni nella capitale, prima di ritornare in Italia. Io Algeri non la amo. È una città che non ho mai amato… Ma durante il mese di ramadan la odio francamente. In campagna il mese sacro musulmano cambia poche cose. I ritmi si rallentano un pochino, i prezzi degli alimentari salgono un po’, qualche insolita bancarella di dolciumi fa la sua apparizione… e poi verso fine giornata vedi qualche fumatore in astinenza fare i 100 passi davanti a casa, come un animale in gabbia. E poi basta. Ma in città è tutto esaltato al massimo.

Non sapevo fosse venerdì. Sono arrivato in fine mattinata e mi sono diretto verso il centro città in cerca di qualche regalo per la mia compagna. Guardavo intorno a me senza capire veramente perché la città fosse così calma, così vuota. Tutti i negozi chiusi. “Sarà per il Ramadan. È l’ora della siesta.” pensai tra me e me. Ma non era solo per il ramadan. Era soprattutto perché era l’ora della preghiera del venerdì durante il mese di ramadan. Me ne accorsi quando salendo dall’Avenue Hassiba Benbouali, mi trovai di fronte alla moschea di Meissonier, una bella ex-cattedrale in architettura neogotica sfregiata con estensioni e restauri di pessimo gusto. Stavo guardando e valutando l’entità dei danni superando la moschea e andando oltre quando mi accorsi della situazione dove mi trovavo. Sembrava che tutta la città fosse diretta verso la preghiera. Tutti tranne me. Camminavano trascinando le loro ciabatte sull’asfalto rovente di quel torrido pomeriggio di luglio, con un tappetino sulla spalla e con una faccia da funerale. Non bevono da 8 ore e sanno di avere altre 8 ore davanti. Io invece cammino in senso contrario, zaino sulle spalle, aria da turista, cammino con la testa nelle nuvole mi guardo intorno, ammiro le decorazioni barocche della città… Il mattino ho fatto colazione come al solito. E prima di uscire mi sono scolato mezza bottiglia di succo di albicocche Ngaous.

Io cammino e loro mi vengono incontro, o contro, sento su di me i loro sguardi solitamente inquisitori, incattiviti dalla fame, dalla sete e dalla mancanza di tabacco. “Questa è la storia della mia vita.” pensai, “sempre a remare contro corrente.”

Quella onda contraria che mi veniva addosso, quegli sguardi… mi ricordarono quanto odio il mese di ramadan e perché da quando sono in Italia ho sempre cercato di evitare di trovarmi in Algeria in quel periodo dell’anno.

In Italia odio il periodo di natale, le sue ondate di consumismo sfrenato, i canti sdolcinati, la bontà finta, la carità di circostanza. Ma per fortuna dura poco più di una settimana. In Algeria il ramadan è la stessa cosa, anzi ancora peggio, ma dura un mese.

Arrivo alla stazione della metro e apro un giornale. Un vero bollettino di guerra. Ufficialmente il mese sacro musulmano è un mese di sobrietà e di misericordia. Nella realtà è diventato con la società moderna una vera calamità naturale. L’inflazione sale in freccia e il carovita arriva a picchi irraggiungibili. Ciò nonostante la gente compra di tutto. Il giorno dopo le pattumiere sono piene di cibo. Aumentano le truffe e la vendita di merci avariate. Aumentano le rapine, i furti, le aggressioni. La gente è nervosa allora aumentano le risse, i feriti, i morti.

Le emergenze degli ospedali sono prese d’assalto. Tra quelli che svengono per la sete, per le ipoglicemie e altre anemie e vertigini varie durante il giorno e quelli che la sera sono colpiti da indigestione, iperglicemia, incidenti cardiovascolari a causa del troppo cibo, troppo grasso, troppo zucchero.

Poi ci sono gli incidenti stradali, una vera e propria falcidia. Il nervosismo rende ancora più aggressiva la guida “sportiva” degli algeresi. Ma la vera strage si svolge intorno all’ora della rottura del digiuno. Perché la gente va in giro e si inventa mille cose da fare in fine giornata… “bach ngibu lmaghrib”, per portare il maghrib, il tramonto, si dice da noi. Poi quando si rende conto di essersi allontanata troppo, quella stessa gente guida come pazza, per arrivare giusto giusto con l’appello del muezzin. Ed è lì che succede la strage. Qui c’è la strage del sabato sera, lì abbiamo la strage del maghrib.

Ma la cosa che più disturba chi, come me, non è sensibile alla “magia” del ramadan è l’iperconformismo che si instaura nella società intorno a quel periodo. Non so se funziona uguale ovunque, ma in Algeria puoi fare di tutto: rubare, spacciare, sporcare, inquinare, corrompere e essere corrotto… la gente non ti toglie nemmeno il saluto. Ma se “mangi il ramadan” allora Dio smette di essere misericordioso. .

Mi ricordo tanti anni fa, tornavo dalla Tunisia. Nei Freeshop di Tunisi presi qualche bottiglia di buon Whisky irlandese. All’aeroporto di Algeri un doganiere mi fece aprire i bagagli. All’epoca era pratica sistematica. Vedendo le bottiglie allontanò le mani per non toccarle e mi chiese: “Ma sei algerino?”,

“Sì!”, risposi, io.

“Ma come mai che porti Whisky in pieno ramadan?”

“Ma secondo lei, questi giorni si è fermato il sistema della ‘cippa’? (nome popolare che designa le mazzette)- chiesi abbassando la voce per non farmi sentire dai suoi colleghi.

“No no. Continua, continua.” -rispose, anche lui a bassa voce.

“Ma allora perché non dovrei portare Whisky.”

La sua risposta mi lasciò senza voce. – “Ma insomma… perché è ramadan!”

Del resto sullo stesso giornale lessi che qualche giovane è stato pestato da un gruppo di poliziotti per aver fumato in pubblico. Tre anni fa erano stati arrestati alcune persone in Cabilia, ma siccome la mobilitazione dei difensori delle libertà e della laicità dello stato hanno ricordato ai giudici che nessuna legge algerina punisce una persona per non pratica di una religione o di una altra, furono assolti. Allora i poliziotti adesso fanno la giustizia da sé. Perché il problema del paese non è la corruzione dilagante, la violenza e la disonestà ovunque… è il ramadan. Se tutti lo fanno, o per lo meno fanno finta, tutto andrà per il verso giusto.

Addirittura due anni fa, ero in un kebbab di Via Nizza, una signora marocchina visibilmente praticante del più vecchio mestiere del mondo chiede se può sedersi al mio tavolo. Rispondo di sì in arabo e le faccio spazio. Lei tenta subito di attaccare bottone. Parliamo del più e del meno, poi a un certo momento mi dice: “Meno male che ramadan è alle porte.”

“Io di ramadan non me ne frega proprio niente.” dico io, credendo di trovare in lei una potenziale alleata.

“Ma come? Non fai ramadan, tu?” mi chiese lei, con faccia inorridita.

“No”-rispondo- “non starai per farmi la morale, tu? Voglio dire…”

“Cosa io? Io ho avuto problemi nella mia vita è per questo che faccio quello che faccio. Ma sono una musulmana e il ramadan, io, lo faccio come si deve.” Si alzò e cambiò tavolo.

Ecco perché mi sento a disaggio durante il ramadan, perché lo odio. E perché sono contento quando finisce. Perché quando finisce io, e tutte le persone che la pensano come me, smettiamo di essere peggio di una puttana. (salvo il rispetto per le prostitute).

 

Felice Aid ai credenti-praticanti e ai praticanti-noncredenti 

Felice ritorno alla normalità ai non credenti e ai non praticanti

Un fine ramadan da miscredente

meissonierOh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza si sente più diverso che mai.

 

Non sapevo fosse Venerdì. Ero sceso dalle mie montagne per passare i due ultimi giorni nella capitale, prima di ritornare in Italia. Io Algeri non la amo. È una città che non ho mai amato… Ma durante il mese di ramadan la odio francamente. In campagna il mese sacro musulmano cambia poche cose. I ritmi si rallentano un pochino, i prezzi degli alimentari salgono un po’, qualche insolita bancarella di dolciumi fa la sua apparizione… e poi verso fine giornata vedi qualche fumatore in astinenza fare i 100 passi davanti a casa, come un animale in gabbia. E poi basta. Ma in città è tutto esaltato al massimo.

Non sapevo fosse venerdì. Sono arrivato in fine mattinata e mi sono diretto verso il centro città in cerca di qualche regalo per la mia compagna. Guardavo intorno a me senza capire veramente perché la città fosse così calma, così vuota. Tutti i negozi chiusi. “Sarà per il Ramadan. È l’ora della siesta.” pensai tra me e me. Ma non era solo per il ramadan. Era soprattutto perché era l’ora della preghiera del venerdì durante il mese di ramadan. Me ne accorsi quando salendo dall’Avenue Hassiba Benbouali, mi trovai di fronte alla moschea di Meissonier, una bella ex-cattedrale in architettura neogotica sfregiata con estensioni e restauri di pessimo gusto. Stavo guardando e valutando l’entità dei danni superando la moschea e andando oltre quando mi accorsi della situazione dove mi trovavo. Sembrava che tutta la città fosse diretta verso la preghiera. Tutti tranne me. Camminavano trascinando le loro ciabatte sull’asfalto rovente di quel torrido pomeriggio di luglio, con un tappetino sulla spalla e con una faccia da funerale. Non bevono da 8 ore e sanno di avere altre 8 ore davanti. Io invece cammino in senso contrario, zaino sulle spalle, aria da turista, cammino con la testa nelle nuvole mi guardo intorno, ammiro le decorazioni barocche della città… Il mattino ho fatto colazione come al solito. E prima di uscire mi sono scolato mezza bottiglia di succo di albicocche Ngaous.

Io cammino e loro mi vengono incontro, o contro, sento su di me i loro sguardi solitamente inquisitori, incattiviti dalla fame, dalla sete e dalla mancanza di tabacco. “Questa è la storia della mia vita.” pensai, “sempre a remare contro corrente.”

Quella onda contraria che mi veniva addosso, quegli sguardi… mi ricordarono quanto odio il mese di ramadan e perché da quando sono in Italia ho sempre cercato di evitare di trovarmi in Algeria in quel periodo dell’anno.

In Italia odio il periodo di natale, le sue ondate di consumismo sfrenato, i canti sdolcinati, la bontà finta, la carità di circostanza. Ma per fortuna dura poco più di una settimana. In Algeria il ramadan è la stessa cosa, anzi ancora peggio, ma dura un mese.

Arrivo alla stazione della metro e apro un giornale. Un vero bollettino di guerra. Ufficialmente il mese sacro musulmano è un mese di sobrietà e di misericordia. Nella realtà è diventato con la società moderna una vera calamità naturale. L’inflazione sale in freccia e il carovita arriva a picchi irraggiungibili. Ciò nonostante la gente compra di tutto. Il giorno dopo le pattumiere sono piene di cibo. Aumentano le truffe e la vendita di merci avariate. Aumentano le rapine, i furti, le aggressioni. La gente è nervosa allora aumentano le risse, i feriti, i morti.

Le emergenze degli ospedali sono prese d’assalto. Tra quelli che svengono per la sete, per le ipoglicemie e altre anemie e vertigini varie durante il giorno e quelli che la sera sono colpiti da indigestione, iperglicemia, incidenti cardiovascolari a causa del troppo cibo, troppo grasso, troppo zucchero.

Poi ci sono gli incidenti stradali, una vera e propria falcidia. Il nervosismo rende ancora più aggressiva la guida “sportiva” degli algeresi. Ma la vera strage si svolge intorno all’ora della rottura del digiuno. Perché la gente va in giro e si inventa mille cose da fare in fine giornata… “bach ngibu lmaghrib”, per portare il maghrib, il tramonto, si dice da noi. Poi quando si rende conto di essersi allontanata troppo, quella stessa gente guida come pazza, per arrivare giusto giusto con l’appello del muezzin. Ed è lì che succede la strage. Qui c’è la strage del sabato sera, lì abbiamo la strage del maghrib.

Ma la cosa che più disturba chi, come me, non è sensibile alla “magia” del ramadan è l’iperconformismo che si instaura nella società intorno a quel periodo. Non so se funziona uguale ovunque, ma in Algeria puoi fare di tutto: rubare, spacciare, sporcare, inquinare, corrompere e essere corrotto… la gente non ti toglie nemmeno il saluto. Ma se “mangi il ramadan” allora Dio smette di essere misericordioso. .

Mi ricordo tanti anni fa, tornavo dalla Tunisia. Nei Freeshop di Tunisi presi qualche bottiglia di buon Whisky irlandese. All’aeroporto di Algeri un doganiere mi fece aprire i bagagli. All’epoca era pratica sistematica. Vedendo le bottiglie allontanò le mani per non toccarle e mi chiese: “Ma sei algerino?”,

“Sì!”, risposi, io.

“Ma come mai che porti Whisky in pieno ramadan?”

“Ma secondo lei, questi giorni si è fermato il sistema della ‘cippa’? (nome popolare che designa le mazzette)- chiesi abbassando la voce per non farmi sentire dai suoi colleghi.

“No no. Continua, continua.” -rispose, anche lui a bassa voce.

“Ma allora perché non dovrei portare Whisky.”

La sua risposta mi lasciò senza voce. – “Ma insomma… perché è ramadan!”

Del resto sullo stesso giornale lessi che qualche giovane è stato pestato da un gruppo di poliziotti per aver fumato in pubblico. Tre anni fa erano stati arrestati alcune persone in Cabilia, ma siccome la mobilitazione dei difensori delle libertà e della laicità dello stato hanno ricordato ai giudici che nessuna legge algerina punisce una persona per non pratica di una religione o di una altra, furono assolti. Allora i poliziotti adesso fanno la giustizia da sé. Perché il problema del paese non è la corruzione dilagante, la violenza e la disonestà ovunque… è il ramadan. Se tutti lo fanno, o per lo meno fanno finta, tutto andrà per il verso giusto.

Addirittura due anni fa, ero in un kebbab di Via Nizza, una signora marocchina visibilmente praticante del più vecchio mestiere del mondo chiede se può sedersi al mio tavolo. Rispondo di sì in arabo e le faccio spazio. Lei tenta subito di attaccare bottone. Parliamo del più e del meno, poi a un certo momento mi dice: “Meno male che ramadan è alle porte.”

“Io di ramadan non me ne frega proprio niente.” dico io, credendo di trovare in lei una potenziale alleata.

“Ma come? Non fai ramadan, tu?” mi chiese lei, con faccia inorridita.

“No”-rispondo- “non starai per farmi la morale, tu? Voglio dire…”

“Cosa io? Io ho avuto problemi nella mia vita è per questo che faccio quello che faccio. Ma sono una musulmana e il ramadan, io, lo faccio come si deve.” Si alzò e cambiò tavolo.

Ecco perché mi sento a disaggio durante il ramadan, perché lo odio. E perché sono contento quando finisce. Perché quando finisce io, e tutte le persone che la pensano come me, smettiamo di essere peggio di una puttana. (salvo il rispetto per le prostitute).

 

Felice Aid ai credenti-praticanti e ai praticanti-noncredenti 

Felice ritorno alla normalità ai non credenti e ai non praticanti

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

Un fine ramadan da miscredente

Oh finalmente è finito! Uuuf. Passato anche questo. Domani è l’Aid piccolo (festa della rottura del digiuno) finisce il mese di Ramadan. Il mese in cui i musulmani si sentono più musulmani. Ma anche il mese in cui chi la pensa diversamente dalla maggioranza…

E’ nato un nuovo stato Africano? (2° puntata) Interessi regionali e internazionali. Scenari possibili

Questa è la seconda puntata. Clicca qui per leggere la prima parte

 

tuaregL’azione del Mnla ha portato alla presa di tutta la parte del paese che si trova a Nord del fiume Niger. In seguito il Movimento di Liberazione proclamò l’indipendenza. Proclamazione non ancora riconosciuta da nessuno stato sovrano. Pochi giorni dopo quella proclamazione, Alcuni gruppi armati che dichiarano di appartenere direttamente o di essere vicini ad Al Qaeda aumentano l’intensità delle loro azioni e conquistano anche loro una parte del territorio.

Anche se i media internazionali hanno spesso fatto l’amalgama, bisogna fare la parte delle cose però. Un conto è Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) un conto sono i ribelli del MNLA.

 

 

Il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad è un movimento di liberazione che viene da una lunga storia di lotta per l’indipendenza del popolo tuareg. Questo popolo che è stato macellato dalla divisione coloniale dell’Africa in cinque porzioni spartite tra Algeria, Libia, Niger, Mali e Burkina Faso. I Tuareg hanno sempre avuto una religiosità molto particolare, mai rigida. Le donne Tuareg godono di potere e di libertà come o forse più dei maschi. Probabilmente la società fino al recente incontro con le religioni monoteiste è stata di stampo matriarcale. Il movimento di liberazione Tuareg anche se spesso accusato dai francesi di estremismo religioso, accusa che rivolgevano del resto a tutti i ribelli in Nord Africa, è sempre stata di stampo laico.

Al Qaeda nel Magreb Islamico invece è un elemento estraneo alla terra dei Tuareg e a tutta la zona dello Sahel dove si muove, traffica, combatte e complotta da ormai una decina di anni. L’AQMI è una eredità della guerra civile algerina. I suoi leader storici, Hassan Hettab e Amari Saïfi (Abdel Razak El Para) sono “ex” ufficiali dei reparti di élite dell’esercito algerino. Entrambi arrestati poi liberati (messi sotto controllo giudiziario-dice la giustizia algerina) senza nessuna forma seria di processo. Così sarebbe anche l’attuale leader dell’Aqmi Abdelmalek Droukdal, secondo molte fonti.

L’AQMI non sarebbe altro, secondo la ricercatrice Hélène Claudot-Hawad del CNRS (il sito delll’agenzia Touareg “Tamoust” sul quale è stato pubblicato non funziona più, leggerne una copia su quest’altro sito), che una invenzione in join-venture algero-statunitense per creare disordini nella zona dello Sahel e giustificarne la militarizzazione.

Secondo elemento importante la prossimità del Sud del Niger, le cui lotte sono storicamente legate a quelle del Sud Mali. E chi dice Sud Niger dice uranio e chi dice uranio in Africa dice Areva, il colosso francese del nucleare. E per gli interessi delle sue multinazionali, Parigi ha fomentato più di un golpe e più di un massacro “interetnico”. Uno di più uno di meno non cambierebbe molto nel suo bilancio.

Perché se sopra il Sahel sembra tutta sabbia, dentro le sue viscere cela tesori enormi ancora tutti da sfruttare.

 

È in questa situazione caotica che accade la separazione del Nord del Mali dalla parte Sud. La proclamazione del nuovo stato dell’Azawad libero non è stata riconosciuta da nessuno. Perché nessuno sa che posizione conviene prendere. Lo stato maliano è in uno stato avanzato di putrefazione. La classe politica è discreditata. I gruppi di militari più corrotti gli uni degli altri si sparano a vista in pieno centro di Bamako, la capitale. I soldati hanno buttato le armi e sono scapati dal nord. In molte città i ribelli sono entrati senza combattimento.

L’altra formazione è quella di “Ansar Eddine” (i partigiani della religione) del mercenario di origine tuareg Iyad Ag Ghali. Un uomo dal passato buio che ha preso parte alla ribellione del 1990 ed era uno dei leader più in vista nella firma degli accordi di Tamanraset. Ma in seguito perse sempre di più contatto con la sua gente e si avvicinò di più dai cerchi del potere maliano e poi dopo aver esercitato la funzione di ambasciatore in Arabia Saudita cominciò la sua deriva integralista con relazioni e finanziamenti da non molto ben identificate reti internazionali.

 

La presenza di questi gruppi integralisti che stanno scatenando l’esasperazione della popolazione locale, con l’adozione di regole assurde che vietano tutto e le conversioni forzate dei cristiani e la distruzione di mausolei e luoghi di culto non conformi alla loro nozione di religiosità… Questa presenza pesante sta minando fortemente l’immagine del MNLA soprattutto che la stampa internazionale non fa niente per spiegare bene le forze in campo. Un amalgama che potrebbe, se sarà necessario giustificare un intervento militare internazionale per salvare l’Azawad dal solito Al Qaeda, nemico in certi casi e alleato in altri.

 

Ma perché l’autonomia dell’Azawad crea così tanto imbarazzo?

Una delle ragioni è dovuta alla situazione dell’Africa. Il continente nero è stato diviso amministrativamente dalle potenze coloniali. Vedendo la divisione con il senno di oggi, si capisce che chi l’ha fatta l’ha proprio pensata come un regalo avvelenato. Le linee rette tracciate con il righello dai geometri degli eserciti francese, inglese, spagnolo, belga e portoghese, e in seguito ufficializzate durante il Congresso di Berlino del 1884-1885, tagliano popolazioni intere e le spartiscono a piccoli gruppi in nazioni che spesso non hanno nessuna base storica.

All’indipendenza dei paesi africani all’inizio degli anni 60′, ci si rese conto di essere in un vero e proprio rompi capo, che se rimesso in causa avrebbe creato disordine e guerre senza fine. Per ciò gli stati africani membri dell’Organizzazione dell’Unità Africana, nel 1964, firmarono un trattato che sancisce l’intangibilità delle frontiere ereditate dal colonialismo.

Questo principio rispettato a lungo, nonostante si sia svelato spesso una specie di gabbia nella quale era difficile trovare soluzioni a certi conflitti detti etnici, è stato a pena superato con la divisione dell’ex più grande nazione africana il Sudan in due nazioni indipendenti Nord-Sudan e Sud-Sudan.

La liberazione dell’Azawad, regione a maggioranza Tuareg e Peul potrebbe portare i Tuareg sparsi sui 4 altri paesi (Niger, Libia, Algeria e Burkina Faso) a voler farne altrettanto.

E inoltre il riconoscimento di una spartizione ottenuta da un movimento di liberazione potrebbe dare fuoco a tutti i movimenti di liberazione presenti sul continente. Per questo la posizione dell’Unione Africana è senza ombra di dubbio a favore di un intervento militare internazionale per ristabilire “ la sovranità nazionale”.

L’MNLA ha provato la via della negoziazione con gli integralisti, “per evitare un conflitto fratricida”, dando l’occasione alle agenzie internazionali di parlare di fusione. Così facendo ha dao prova di grande ingenuità politica. Perché bisogna essere ingenui per pensare di poter negoziare qualcosa di durevole con un movimento indefinibile e incomprensibile come Al Qaeda. La seconda mossa se si conferma è stata un attimo più intelligente. Si è parlato di un incontro informale in cui elementi dell’esercito Maliano, organizzazione della società civile e il Mnla si sarebbero incontrati per risolvere la situazione della presenza degli elementi integralisti sul territorio. Incontro ispirato probabilmente alle manifestazioni sempre più numerose di insofferenza della popolazione nei confronti dei Jihadisti. (vedere sopra la manifestazione di donne a Kidal)

 

Il futuro della zona dipenderà un po’ dalla gestione di questa crisi e molto dalla comunità internazionale. Questa crisi potrebbe portare ad un miglioramento della situazione dei Tuareg e dei popoli del Nord del Sahel, come potrebbe portare ad un ennesima guerra di sterminio.

Per questo è importante restare attenti e seguire quello che succede in Mali, anche quando i riflettori dei media ci invitano a guardare tutti altrove. Non bisogna lasciare i popoli della regione soli in mano ai terroristi, alle spie, ai mercenari e alle multinazionali.

E’ nato un nuovo stato Africano? (2° puntata) Interessi regionali e internazionali. Scenari possibili

Questa è la seconda puntata. Clicca qui per leggere la prima parte

 

tuaregL’azione del Mnla ha portato alla presa di tutta la parte del paese che si trova a Nord del fiume Niger. In seguito il Movimento di Liberazione proclamò l’indipendenza. Proclamazione non ancora riconosciuta da nessuno stato sovrano. Pochi giorni dopo quella proclamazione, Alcuni gruppi armati che dichiarano di appartenere direttamente o di essere vicini ad Al Qaeda aumentano l’intensità delle loro azioni e conquistano anche loro una parte del territorio.

Anche se i media internazionali hanno spesso fatto l’amalgama, bisogna fare la parte delle cose però. Un conto è Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) un conto sono i ribelli del MNLA.

 

 

Il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad è un movimento di liberazione che viene da una lunga storia di lotta per l’indipendenza del popolo tuareg. Questo popolo che è stato macellato dalla divisione coloniale dell’Africa in cinque porzioni spartite tra Algeria, Libia, Niger, Mali e Burkina Faso. I Tuareg hanno sempre avuto una religiosità molto particolare, mai rigida. Le donne Tuareg godono di potere e di libertà come o forse più dei maschi. Probabilmente la società fino al recente incontro con le religioni monoteiste è stata di stampo matriarcale. Il movimento di liberazione Tuareg anche se spesso accusato dai francesi di estremismo religioso, accusa che rivolgevano del resto a tutti i ribelli in Nord Africa, è sempre stata di stampo laico.

Al Qaeda nel Magreb Islamico invece è un elemento estraneo alla terra dei Tuareg e a tutta la zona dello Sahel dove si muove, traffica, combatte e complotta da ormai una decina di anni. L’AQMI è una eredità della guerra civile algerina. I suoi leader storici, Hassan Hettab e Amari Saïfi (Abdel Razak El Para) sono “ex” ufficiali dei reparti di élite dell’esercito algerino. Entrambi arrestati poi liberati (messi sotto controllo giudiziario-dice la giustizia algerina) senza nessuna forma seria di processo. Così sarebbe anche l’attuale leader dell’Aqmi Abdelmalek Droukdal, secondo molte fonti.

L’AQMI non sarebbe altro, secondo la ricercatrice Hélène Claudot-Hawad del CNRS (il sito delll’agenzia Touareg “Tamoust” sul quale è stato pubblicato non funziona più, leggerne una copia su quest’altro sito), che una invenzione in join-venture algero-statunitense per creare disordini nella zona dello Sahel e giustificarne la militarizzazione.

Secondo elemento importante la prossimità del Sud del Niger, le cui lotte sono storicamente legate a quelle del Sud Mali. E chi dice Sud Niger dice uranio e chi dice uranio in Africa dice Areva, il colosso francese del nucleare. E per gli interessi delle sue multinazionali, Parigi ha fomentato più di un golpe e più di un massacro “interetnico”. Uno di più uno di meno non cambierebbe molto nel suo bilancio.

Perché se sopra il Sahel sembra tutta sabbia, dentro le sue viscere cela tesori enormi ancora tutti da sfruttare.

 

È in questa situazione caotica che accade la separazione del Nord del Mali dalla parte Sud. La proclamazione del nuovo stato dell’Azawad libero non è stata riconosciuta da nessuno. Perché nessuno sa che posizione conviene prendere. Lo stato maliano è in uno stato avanzato di putrefazione. La classe politica è discreditata. I gruppi di militari più corrotti gli uni degli altri si sparano a vista in pieno centro di Bamako, la capitale. I soldati hanno buttato le armi e sono scapati dal nord. In molte città i ribelli sono entrati senza combattimento.

L’altra formazione è quella di “Ansar Eddine” (i partigiani della religione) del mercenario di origine tuareg Iyad Ag Ghali. Un uomo dal passato buio che ha preso parte alla ribellione del 1990 ed era uno dei leader più in vista nella firma degli accordi di Tamanraset. Ma in seguito perse sempre di più contatto con la sua gente e si avvicinò di più dai cerchi del potere maliano e poi dopo aver esercitato la funzione di ambasciatore in Arabia Saudita cominciò la sua deriva integralista con relazioni e finanziamenti da non molto ben identificate reti internazionali.

 

La presenza di questi gruppi integralisti che stanno scatenando l’esasperazione della popolazione locale, con l’adozione di regole assurde che vietano tutto e le conversioni forzate dei cristiani e la distruzione di mausolei e luoghi di culto non conformi alla loro nozione di religiosità… Questa presenza pesante sta minando fortemente l’immagine del MNLA soprattutto che la stampa internazionale non fa niente per spiegare bene le forze in campo. Un amalgama che potrebbe, se sarà necessario giustificare un intervento militare internazionale per salvare l’Azawad dal solito Al Qaeda, nemico in certi casi e alleato in altri.

 

Ma perché l’autonomia dell’Azawad crea così tanto imbarazzo?

Una delle ragioni è dovuta alla situazione dell’Africa. Il continente nero è stato diviso amministrativamente dalle potenze coloniali. Vedendo la divisione con il senno di oggi, si capisce che chi l’ha fatta l’ha proprio pensata come un regalo avvelenato. Le linee rette tracciate con il righello dai geometri degli eserciti francese, inglese, spagnolo, belga e portoghese, e in seguito ufficializzate durante il Congresso di Berlino del 1884-1885, tagliano popolazioni intere e le spartiscono a piccoli gruppi in nazioni che spesso non hanno nessuna base storica.

All’indipendenza dei paesi africani all’inizio degli anni 60′, ci si rese conto di essere in un vero e proprio rompi capo, che se rimesso in causa avrebbe creato disordine e guerre senza fine. Per ciò gli stati africani membri dell’Organizzazione dell’Unità Africana, nel 1964, firmarono un trattato che sancisce l’intangibilità delle frontiere ereditate dal colonialismo.

Questo principio rispettato a lungo, nonostante si sia svelato spesso una specie di gabbia nella quale era difficile trovare soluzioni a certi conflitti detti etnici, è stato a pena superato con la divisione dell’ex più grande nazione africana il Sudan in due nazioni indipendenti Nord-Sudan e Sud-Sudan.

La liberazione dell’Azawad, regione a maggioranza Tuareg e Peul potrebbe portare i Tuareg sparsi sui 4 altri paesi (Niger, Libia, Algeria e Burkina Faso) a voler farne altrettanto.

E inoltre il riconoscimento di una spartizione ottenuta da un movimento di liberazione potrebbe dare fuoco a tutti i movimenti di liberazione presenti sul continente. Per questo la posizione dell’Unione Africana è senza ombra di dubbio a favore di un intervento militare internazionale per ristabilire “ la sovranità nazionale”.

L’MNLA ha provato la via della negoziazione con gli integralisti, “per evitare un conflitto fratricida”, dando l’occasione alle agenzie internazionali di parlare di fusione. Così facendo ha dao prova di grande ingenuità politica. Perché bisogna essere ingenui per pensare di poter negoziare qualcosa di durevole con un movimento indefinibile e incomprensibile come Al Qaeda. La seconda mossa se si conferma è stata un attimo più intelligente. Si è parlato di un incontro informale in cui elementi dell’esercito Maliano, organizzazione della società civile e il Mnla si sarebbero incontrati per risolvere la situazione della presenza degli elementi integralisti sul territorio. Incontro ispirato probabilmente alle manifestazioni sempre più numerose di insofferenza della popolazione nei confronti dei Jihadisti. (vedere sopra la manifestazione di donne a Kidal)

 

Il futuro della zona dipenderà un po’ dalla gestione di questa crisi e molto dalla comunità internazionale. Questa crisi potrebbe portare ad un miglioramento della situazione dei Tuareg e dei popoli del Nord del Sahel, come potrebbe portare ad un ennesima guerra di sterminio.

Per questo è importante restare attenti e seguire quello che succede in Mali, anche quando i riflettori dei media ci invitano a guardare tutti altrove. Non bisogna lasciare i popoli della regione soli in mano ai terroristi, alle spie, ai mercenari e alle multinazionali.

Spie e giornalisti. Le ragioni dei silenzi… tutti i silenzi

Foto Saed Saleem ShahzadSulla rivista Internazionale (N. 950 25/30 maggio) è stato ripreso un ormai vecchio articolo del giornalista statunitense Dexter Filkins, vincitore del premio Pulizer 2009. L’articolo di Filkins, una lunga inchiesta sull’uccisione di Sayed Saleem Shahzad, un giornalista pakistano specializzato nelle questioni di sicurezza e terrorismo, era uscito sul New Yorker nel mese di settembre 2011 sotto il titolo THE JOURNALIST AND THE SPIES.

 

Un lungo lavoro d’inchiesta con testimonianze di colleghi, parenti e amici della vittima. Oltre a fonti dei servizi segreti pakistani e statunitensi. Scopriamo in Saleem Shahzad un giornalista freelance che navigava in acque poco sicure, in quella zona grigia dove è difficile distinguere la spia dal criminale e dal terrorista.

Shahzad era andato varie volte nel cuore del Waziristan pakistano, la terra dei talebani e ha intervistato vari esponenti di spicco della guerriglia dei mullah e della così detta rete Al Qaeda. Ha scritto molti pezzi molto imbarazzanti per i servizi segreti e per l’esercito Pakistano. Ma forse l’ha fatto, come si capisce dall’articolo di Filkins, perché era appoggiato da esponenti dello stesso esercito pakistano o di qualche servizio di intelligence straniero. Fatto sta che uno di questi suoi articoli, probabilmente l’ultimo sull’attacco terroristico a una base della marina pachistana, gli è costato la vita.

 

«At other times, like many Pakistani journalists, he seemed to spare the intelligence services from the most damning details in his notebooks.» – scrive Fiilkins. Cioè: “Altre volte, come molti giornalisti pakistani, sembrava sorvolare volutamente sui dettagli più compromettenti per i servizi segreti.”

Notare il tono sottilmente paternalista con il quale il premio Pulizer sottolinea la sottomissione dei giornalisti del paese del terzo mondo nei confronti delle loro autorità. Sottomissione che sicuramente contrasta con la grande libertà dei giornalisti del primo mondo.

Nel suo articolo, Filkins parla, usando spesso informazioni raccolte dallo stesso Shahzad, di collusioni gravi tra l’ISI, i servizi segreti pachistani, e i gruppi armati di matrice islamo-jihadista. Molti dei quali secondo lui sarebbero stati addirittura creati di sana pianta da questi servizi. Cosa nota ai più. Tra questi molti, vi sono anche i Talebani. Anche questa è una cosa nota ai più.

Ma la cosa nota a molta gente anche quelle ma che il signor Filkins non dice mai è che tante volte (troppe) i gruppi armati creati, finanziati, e addestrati dai “pakis” lo erano stati in subapalto per interessi dei servizi britannici e statunitensi.

La cosa più imbarazzante detta nei confronti della Cia è che, forse qualche volta, usa informazioni ottenute con la tortura. Tortura ovviamente praticata da servizi di paesi barbari (amici ma barbari comunque) come il Pakistan e l’Egitto.

 

Ora l’ottimo articolo del signor Filkins , che racconta la sorte riservata a Chahzad dopo il suo pezzo incriminato, ci spiega benissimo perché molti giornalisti pachistani non osano mettere in imbarazzo i servizi segreti del loro paese. Ma non ci dice niente su perché i loro colleghi appartenenti ai paesi anglosassoni osano ancora meno con i servizi dello Zio Sam e quelli della sua graziosissima maestà britannica.

Spie e giornalisti. Le ragioni dei silenzi… tutti i silenzi

Foto Saed Saleem ShahzadSulla rivista Internazionale (N. 950 25/30 maggio) è stato ripreso un ormai vecchio articolo del giornalista statunitense Dexter Filkins, vincitore del premio Pulizer 2009. L’articolo di Filkins, una lunga inchiesta sull’uccisione di Sayed Saleem Shahzad, un giornalista pakistano specializzato nelle questioni di sicurezza e terrorismo, era uscito sul New Yorker nel mese di settembre 2011 sotto il titolo THE JOURNALIST AND THE SPIES.

 

Un lungo lavoro d’inchiesta con testimonianze di colleghi, parenti e amici della vittima. Oltre a fonti dei servizi segreti pakistani e statunitensi. Scopriamo in Saleem Shahzad un giornalista freelance che navigava in acque poco sicure, in quella zona grigia dove è difficile distinguere la spia dal criminale e dal terrorista.

Shahzad era andato varie volte nel cuore del Waziristan pakistano, la terra dei talebani e ha intervistato vari esponenti di spicco della guerriglia dei mullah e della così detta rete Al Qaeda. Ha scritto molti pezzi molto imbarazzanti per i servizi segreti e per l’esercito Pakistano. Ma forse l’ha fatto, come si capisce dall’articolo di Filkins, perché era appoggiato da esponenti dello stesso esercito pakistano o di qualche servizio di intelligence straniero. Fatto sta che uno di questi suoi articoli, probabilmente l’ultimo sull’attacco terroristico a una base della marina pachistana, gli è costato la vita.

 

«At other times, like many Pakistani journalists, he seemed to spare the intelligence services from the most damning details in his notebooks.» – scrive Fiilkins. Cioè: “Altre volte, come molti giornalisti pakistani, sembrava sorvolare volutamente sui dettagli più compromettenti per i servizi segreti.”

Notare il tono sottilmente paternalista con il quale il premio Pulizer sottolinea la sottomissione dei giornalisti del paese del terzo mondo nei confronti delle loro autorità. Sottomissione che sicuramente contrasta con la grande libertà dei giornalisti del primo mondo.

Nel suo articolo, Filkins parla, usando spesso informazioni raccolte dallo stesso Shahzad, di collusioni gravi tra l’ISI, i servizi segreti pachistani, e i gruppi armati di matrice islamo-jihadista. Molti dei quali secondo lui sarebbero stati addirittura creati di sana pianta da questi servizi. Cosa nota ai più. Tra questi molti, vi sono anche i Talebani. Anche questa è una cosa nota ai più.

Ma la cosa nota a molta gente anche quelle ma che il signor Filkins non dice mai è che tante volte (troppe) i gruppi armati creati, finanziati, e addestrati dai “pakis” lo erano stati in subapalto per interessi dei servizi britannici e statunitensi.

La cosa più imbarazzante detta nei confronti della Cia è che, forse qualche volta, usa informazioni ottenute con la tortura. Tortura ovviamente praticata da servizi di paesi barbari (amici ma barbari comunque) come il Pakistan e l’Egitto.

 

Ora l’ottimo articolo del signor Filkins , che racconta la sorte riservata a Chahzad dopo il suo pezzo incriminato, ci spiega benissimo perché molti giornalisti pachistani non osano mettere in imbarazzo i servizi segreti del loro paese. Ma non ci dice niente su perché i loro colleghi appartenenti ai paesi anglosassoni osano ancora meno con i servizi dello Zio Sam e quelli della sua graziosissima maestà britannica.

Elezioni in Algeria.“Sketch sciorba” prima di Ramadhan

elezioni-Algeria.jpg

     Il 10 maggio prossimo, in Algeria si terranno le quinte elezioni legislative “plurali” della giovane storia del paese. L’amministrazione e i politici si preparano per il torneo elettorale che vedrà in lizza 44 partiti e 25.800 candidati per 462 posti da parlamentari. 

Ma il paese pensa ad altro. In un clima teso e forti frustrazioni dovute all’altissimo tasso di disoccupazione e una inflazione record che rende quasi intoccabili molti beni di consumo, l’affluenza rischia di essere bassissima. Quindi le sorprese, che ci saranno sicuramente, saranno dettate dagli accordi dietro le quinte.

 

 

Sketch sciorba elettorale

 

La tv algerina è solita trasmettere durante il mese di Ramadhan, all’ora della rottura del digiuno, delle breve operette comiche. Il piatto nazionale per rompere il digiuno è una minestra molto leggera a base di verdure, erbe aromatiche e piccoli pezzi di carne di agnello, chiamata genericamente sciorba. Da qui il nome popolare di queste operette, gli “sketch Sciorba”. 

Alcuni di questi sketch sono molto popolari e continuano a far ridere la gente molto oltre il mese di Ramadhan. Ma quest’anno la stagione delle sketch è iniziata molto prima della sciorba.

Sono le elezioni elettorali che danno da ridere al popolo algerino alle prese con il rincaro record dei prodotti di prima necessità, le verdure in modo particolare, e le patate sopra tutto. Tra € 1 e € 1, 50 per 1 kilo del popolare tubero di origine andina. Su Facebook spopolano i gruppi di barzellette e parodie sulla penuria di patate. Una delle più popolari è la canzone del videoblogger comico Irban Irban, “We love batata”, sulla musica e le immagini di “We are the world”. 

Altro motivo di barzellette e satira popolare è la prossima gara elettorale. Tutti sanno che chi vincerà è già designato, mentre la scena politica è inondata da 44 partiti politici di cui 23 creati a posta per questa elezione. È una tradizione in Algeria. I servizi hanno sempre creato una marea di partitini ‘usa e getta’ per dare una illusione di pluralità. 

Tra i partiti più anziani stupisce la partecipazione del Fronte delle Forze Socialste (FFS), decano dei partiti dell’opposizione (secondo per data di creazione soltanto al sempre verde FLN, al potere dal 1962), che tradizionalmente ha sempre boicottato queste farse elettorali. La sua presenza nella gara vuol dire che le intenzioni del governo sono diverse dal solito. 

Non si sa che garanzie hanno ricevuto i dirigenti del FFS. Ma una cosa è sicura, il suo leader storico, Hocine Ait Ahmed, è troppo furbo e sperimentato per lasciarsi ingannare facilmente. Dalla loro partecipazione qualcosa avranno in cambio. Forse una parte importante del regime Algerino vuole approfittare delle pressioni della primavera araba per modernizzare un po’ il sistema e, non dico aprire del tutto il campo politico, ma rilasciare un po’ la morsa. 

 

Tra islamisti e dinosauri 

Ma comunque la presenza o meno del FFS da solo credibilità a livello internazionale, non ha un grande peso sulle sorti del paese. Il partito socialista è presente in forza solo in Cabilia e in alcune circoscrizioni della capitale. Il resto del paese si giocherà come al solito tra il Fronte di Liberazione Nazionale(FLN), Il Raduno Nazionale per la Democrazia (RND) i due partiti (il secondo nato da una costola del primo) che si dividono il potere dal 1997 e gli islamisti che si presentano divisi n 7 partiti ma nei quali due sono veramente rappresentativi: Il Movimento per la Società e la Pace (MSP – Ex Hamas) e Al-Adala, La giustizia (ex Ennahda). Entrambe correnti dell’islamismo politico “moderato” da anni presenti nella scena politica senza aver mai ceduto alle sirene del Jihadismo.. L’MSP più liberale e vicino agli ambienti degli affari fa parte della maggioranza al governo da molti anni e h avuto a gestire vari ministeri. 

La partecipazione dell’opposizione tradizionale e la presenza di osservatori internazionali durante le elezioni di cui alcuni rappresentanti dell’Unione Europea, potrebbe indicare che in alto luogo (forse anche internazionale) è stato negoziato il fatto che la coppia FLN/ RND dovrà contare soltanto sulla loro più grande disponibilità di mezzi e la migliore visibilità e copertura mediatica e non sui soliti brogli e falsificazioni. 

Questa vorrà dire che non ci saranno le pressioni e le truffe massive nelle grandi città, nei piccoli centri rurali del paese profondo continuerà, non è facile debellare una tradizione lunga 50 anni. I partiti al potere e le formazioni islamiste si aggiudicheranno la maggioranza assoluta. Gli islamisti del MSP potrebbero anche prendere la maggioranza relativa, come l’hanno sempre presa dal 1997, se non ci fossero stati pesanti brogli. Una delle probabilità è che ci si ritroverà con governo islamista che sarà condizionato però dall’alleanza con i due altri per tenere la maggioranza al parlamento. Un impasto perfetto per arrivare ad una situazione alla marocchina. Mettere gli islamisti a gestire la crisi, la disoccupazione, la corruzione, le ingiustizie sociali e l’assenza di prospettive economiche mentre il potere vero rimane in mano agli stessi. 

I comici Mustafa e Hazim del Teatro Nazionale di Orano, le star assolute delle sketch Sciorba, non avrebbero potuto scrivere una barzelletta migliore. 

 

L’ombra dell’astensione

  Ma la vera incognita di queste elezioni viene dalla partecipazione popolare. Gli Algerini “normali” in molti pensano di non andare a votare. Sui social network si moltiplicano gli appelli al boicottaggio. “Il10 maggio, tutti al mare”, recita la presentazione di un gruppo su Facebook. 

Ai microfoni di France 24 un operaio dice: “Non ho mai votato e non andrò mai a votare fin che non finisce questo film. “ Un film visto e rivisto fino alla nausea. 

Cosa succederà se i centri elettorali rimarranno vuoti e se la partecipazione reale sarà sotto i 20% come è successo nel 2002 (partecipazione ufficiale 42%), con punte in Cabilia e a Algeri di 2%? 

Ci si metterà a ripensare il sistema? Oppure come è successo in altre occasioni si imbastirà un risultato fasullo accertato dagli osservatori internazionali? 

Perché in Algeria c’è troppo petrolio e troppo gas perché la sorte di 35 milioni di persone possa veramente essere importante.

Elezioni in Algeria.“Sketch sciorba” prima di Ramadhan

elezioni-Algeria.jpg

     Il 10 maggio prossimo, in Algeria si terranno le quinte elezioni legislative “plurali” della giovane storia del paese. L’amministrazione e i politici si preparano per il torneo elettorale che vedrà in lizza 44 partiti e 25.800 candidati per 462 posti da parlamentari. 

Ma il paese pensa ad altro. In un clima teso e forti frustrazioni dovute all’altissimo tasso di disoccupazione e una inflazione record che rende quasi intoccabili molti beni di consumo, l’affluenza rischia di essere bassissima. Quindi le sorprese, che ci saranno sicuramente, saranno dettate dagli accordi dietro le quinte.

 

 

Sketch sciorba elettorale

 

La tv algerina è solita trasmettere durante il mese di Ramadhan, all’ora della rottura del digiuno, delle breve operette comiche. Il piatto nazionale per rompere il digiuno è una minestra molto leggera a base di verdure, erbe aromatiche e piccoli pezzi di carne di agnello, chiamata genericamente sciorba. Da qui il nome popolare di queste operette, gli “sketch Sciorba”. 

Alcuni di questi sketch sono molto popolari e continuano a far ridere la gente molto oltre il mese di Ramadhan. Ma quest’anno la stagione delle sketch è iniziata molto prima della sciorba.

Sono le elezioni elettorali che danno da ridere al popolo algerino alle prese con il rincaro record dei prodotti di prima necessità, le verdure in modo particolare, e le patate sopra tutto. Tra € 1 e € 1, 50 per 1 kilo del popolare tubero di origine andina. Su Facebook spopolano i gruppi di barzellette e parodie sulla penuria di patate. Una delle più popolari è la canzone del videoblogger comico Irban Irban, “We love batata”, sulla musica e le immagini di “We are the world”. 

Altro motivo di barzellette e satira popolare è la prossima gara elettorale. Tutti sanno che chi vincerà è già designato, mentre la scena politica è inondata da 44 partiti politici di cui 23 creati a posta per questa elezione. È una tradizione in Algeria. I servizi hanno sempre creato una marea di partitini ‘usa e getta’ per dare una illusione di pluralità. 

Tra i partiti più anziani stupisce la partecipazione del Fronte delle Forze Socialste (FFS), decano dei partiti dell’opposizione (secondo per data di creazione soltanto al sempre verde FLN, al potere dal 1962), che tradizionalmente ha sempre boicottato queste farse elettorali. La sua presenza nella gara vuol dire che le intenzioni del governo sono diverse dal solito. 

Non si sa che garanzie hanno ricevuto i dirigenti del FFS. Ma una cosa è sicura, il suo leader storico, Hocine Ait Ahmed, è troppo furbo e sperimentato per lasciarsi ingannare facilmente. Dalla loro partecipazione qualcosa avranno in cambio. Forse una parte importante del regime Algerino vuole approfittare delle pressioni della primavera araba per modernizzare un po’ il sistema e, non dico aprire del tutto il campo politico, ma rilasciare un po’ la morsa. 

 

Tra islamisti e dinosauri 

Ma comunque la presenza o meno del FFS da solo credibilità a livello internazionale, non ha un grande peso sulle sorti del paese. Il partito socialista è presente in forza solo in Cabilia e in alcune circoscrizioni della capitale. Il resto del paese si giocherà come al solito tra il Fronte di Liberazione Nazionale(FLN), Il Raduno Nazionale per la Democrazia (RND) i due partiti (il secondo nato da una costola del primo) che si dividono il potere dal 1997 e gli islamisti che si presentano divisi n 7 partiti ma nei quali due sono veramente rappresentativi: Il Movimento per la Società e la Pace (MSP – Ex Hamas) e Al-Adala, La giustizia (ex Ennahda). Entrambe correnti dell’islamismo politico “moderato” da anni presenti nella scena politica senza aver mai ceduto alle sirene del Jihadismo.. L’MSP più liberale e vicino agli ambienti degli affari fa parte della maggioranza al governo da molti anni e h avuto a gestire vari ministeri. 

La partecipazione dell’opposizione tradizionale e la presenza di osservatori internazionali durante le elezioni di cui alcuni rappresentanti dell’Unione Europea, potrebbe indicare che in alto luogo (forse anche internazionale) è stato negoziato il fatto che la coppia FLN/ RND dovrà contare soltanto sulla loro più grande disponibilità di mezzi e la migliore visibilità e copertura mediatica e non sui soliti brogli e falsificazioni. 

Questa vorrà dire che non ci saranno le pressioni e le truffe massive nelle grandi città, nei piccoli centri rurali del paese profondo continuerà, non è facile debellare una tradizione lunga 50 anni. I partiti al potere e le formazioni islamiste si aggiudicheranno la maggioranza assoluta. Gli islamisti del MSP potrebbero anche prendere la maggioranza relativa, come l’hanno sempre presa dal 1997, se non ci fossero stati pesanti brogli. Una delle probabilità è che ci si ritroverà con governo islamista che sarà condizionato però dall’alleanza con i due altri per tenere la maggioranza al parlamento. Un impasto perfetto per arrivare ad una situazione alla marocchina. Mettere gli islamisti a gestire la crisi, la disoccupazione, la corruzione, le ingiustizie sociali e l’assenza di prospettive economiche mentre il potere vero rimane in mano agli stessi. 

I comici Mustafa e Hazim del Teatro Nazionale di Orano, le star assolute delle sketch Sciorba, non avrebbero potuto scrivere una barzelletta migliore. 

 

L’ombra dell’astensione

  Ma la vera incognita di queste elezioni viene dalla partecipazione popolare. Gli Algerini “normali” in molti pensano di non andare a votare. Sui social network si moltiplicano gli appelli al boicottaggio. “Il10 maggio, tutti al mare”, recita la presentazione di un gruppo su Facebook. 

Ai microfoni di France 24 un operaio dice: “Non ho mai votato e non andrò mai a votare fin che non finisce questo film. “ Un film visto e rivisto fino alla nausea. 

Cosa succederà se i centri elettorali rimarranno vuoti e se la partecipazione reale sarà sotto i 20% come è successo nel 2002 (partecipazione ufficiale 42%), con punte in Cabilia e a Algeri di 2%? 

Ci si metterà a ripensare il sistema? Oppure come è successo in altre occasioni si imbastirà un risultato fasullo accertato dagli osservatori internazionali? 

Perché in Algeria c’è troppo petrolio e troppo gas perché la sorte di 35 milioni di persone possa veramente essere importante.

Ahmed Benbella: morte di una icona dimenticata

Benbella.jpgIn questi giorni è morto all’età di 96 anni Ahmed Ben Bella, il primo presidente della Repubblica Democratica e Popolare Algerina. Ben Bella, per tutta una generazione di Italiani è una icona assoluta. Simbolo della vittoria dei popoli contro il colonialismo. Invece è morto dimenticato da tutti, sia in patria che all’estero.

 

L’icona di una generazione

 

C’è tutta una generazione di over 50 italiani, di sinistra, per la quale la sola parola Algeria fa brillare gli occhi. Quanti ricordi, quanti ricordi! La vittoria del bene sul male. Il trionfo di una rivoluzione popolare sull’imperialismo. Il film di Pontecorvo, le esperienze di autogestione dell’industria e dell’agricoltura, il paese che per più di 15 anni diventa meta di tutti i rivoluzionari del mondo: Che Guevara, Fidel Castro, Ho Chi Minh, Malcolm X, le Black Panters che si ribellano in un carcere di alta sicurezza, sequestrano le guardie e chiedono un aereo per andare… a Algeri, Nelson Mandella, Il festival Panafricano dove ci sono tutti i movimenti di liberazione dell’Africa, tutte le, allora giovani, star della rinascita musicale africana, C’è il più grande tra tutti: the president, Fela Kuti, c’è un giovanissimo Manu Di Bango con il suo già potente sax…e c’è anche Miriam Makeba che canta sulla piazza principale di Algeri, Mamma Africa e Patipata… Gli occhi si inumidiscono, fissano immagini che sembrano riemergere dalla nebbia del tempo… che bello, che bello! E poi? E poi niente! L’Algeria è scomparsa. Il paese ha avuto altre gatte da pelare e il mondo pure.

 

Una domanda imbarazzante

 

Dopo queste rievocazioni, una domanda sorge quasi sempre, spontanea:

– Che fine ha fatto quello lì… l’ex presidente, Ben Bella?

– Vive in esilio da molti anni ormai. – rispondo io, cercando già di guardare altrove.

– Ma è ancora popolare in Algeria? Cosa ne pensi?

E lì… inevitabilmente mi trovo in difficoltà…

– Mah… sa, ormai sono passati molti anni. I giovani non sanno nemmeno chi è. Invece quelli della mia generazione se lo ricordano. Per noi era un nome. Un nome per chiamare qualcosa di non molto definito… Sono successe molte cose…Hum hum.

Quando avevo diciotto anni se qualcuno mi mostrava una icona e diceva: Questo è Santo questo o santo quello, e che è capace di questi o quei miracoli… avrei detto: Che me ne frega, a me. Io non credo nei santi e ancora meno nei miracoli.

Ma il tempo, i viaggi e l’esperienza mi hanno insegnato a rispettare le icone. Soprattutto quelle degli altri. Ho capito che per molti credenti le icone sono ancora più importanti della lettera stessa della fede. E che rimetterle in causa li offende profondamente… E chi sono io per andare a offendere le persone nelle loro convinzioni? O per pretendere che solo le mie siano degne di essere dette e ascoltate.? Allora ho imparato anche a spostare la discussione dal senso religioso dell’icona al valore artistico e materiale dell’oggetto.

Che bella! È pittura ad olio? È bronzo? Di che epoca è l’opera? Interessante. Ah… è un pezzo unico? Bello! Proprio bello.

E ci si ritrova a parlare di arte e di storia e ci si allontana così dal terreno scivoloso della fede, dove spesso ci vuole tempo, calma, riflessione, ascolto e approfondimento… tutte cose impossibili in una chiacchierata occasionale di poche battute.

E una altra cosa che mi ha insegnato il tempo è che persone come Ben Bella -almeno in Italia- hanno da tempo lasciato la casa dell’analisi storico politica razionale per abitare quella dell’iconografia e della simbologia mistica.

Simbolo di un sogno di giustizia, dei Davide che sconfiggono i Golia, del trionfo del bene sul male, di una emancipazione dei popoli sottomessi e della fine dell’oppressione coloniale e neocoloniale… cioè di un sogno impossibile.

 

 

Chi era Ben Bella e cosa ne pensa l’algerino medio?

 

É sempre difficile rispondere a una domanda come questa. Cosa può ben pensare un popolo così grande, così diverso, così diviso su molte cose, su una sola persona? Fosse anche un personaggio storico.

La cosa di cui sono sicuro, per aver fatto l’insegnante per 10 anni nel mio paese, è che le nuove generazioni se hanno sentito il nome, perché ufficialmente primo Presidente della Repubblica Algerina, non ne pensano assolutamente nulla. Né bene né male.

Su quelli un po’ più grandi invece è più complicato. È complicato come lo sono tutte le faccende legate alla guerra di liberazione nazionale algerina. Perché ancora 50 anni dopo non si riesce a raccontare con un minimo di distanza e di distacco. Sembra ancora tutto lì: dolori, sofferenze, lutti, alleanze, coraggio, eroismo e lealtà, paure, divisioni, vigliaccherie e tradimenti… tutto ancora vivo, anche se le donne e gli uomini che l’hanno fatta sono ormai rimasti molto pochi, almeno quelli veri.

Se, per l’Italiano medio over 50 di sinistra, la guerra di liberazione nazionale algerina vuol dire battaglia di Algeri e Ben Bella, per gli Algerini questi due elementi sono tra i più marginali di quella storia. Se chiedi ad un Algerino della mia generazione o di quelle precedenti di dire 3 nomi rappresentativi della rivoluzione, sono pronto a scommettere che in 99% dei casi Ben Bella non verrà citato. Ma sono anche sicuro che la classifica sarà molto diversa tra una persona e un’altra.

Questo è dovuto al fatto che la lotta per l’indipendenza algerina non ha mai avuto una icona unica, mai una forma gerarchica molto forte, soprattutto fin che era veramente rivoluzionaria, prima della presa di potere da parte dei militari.

 

6-9-22 leader rivoluzionari

Dopo anni di lotta politica e di partecipazioni elettorali alle quali l’amministrazione coloniale ha risposto con disprezzo, frodi, corruzione, menzogne e soprattutto violenza, tanta violenza… al ritorno dal fronte della II° guerra mondiale molti soldati del Centro e Est del paese hanno trovato le loro famiglie decimate dai massacri del 8 maggio 1945 conosciuti come i fatti di Setif, Guelma e Kherrata. Decine di miglia di civili massacrati in una settimana per aver osato manifestare e chiedere più diritti, più pane, più dignità. Già da quell’anno, i primi ribelli decisero di prendere la strada della macchia. Ma l’apparato del Partito del Popolo Algerino (PPA) che diventerà poi, dopo la messa al bando di questa prima sigla, Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche(MTLD), partito indipendentista molto popolare in quelli anni, era diviso sull’opportunità o meno di intraprendere la via della lotta armata. Il suo leader, Messali Elhadj, era invecchiato e il suo carisma non bastava più a tenere unito il movimento.

Nel 1945 il PPA è più che mai squartato tra le posizioni della sua ala rivoluzionaria denominata Comitato Rivoluzionario per L’Unità e l’Azione (CRUA) e i “Centristi” raggruppati intorno al vecchio leader. La parte più attiva del CRUA da un colpo definitivo alla morte annunciata del vecchio partito e chiama tutte le forze patriottiche a raggiungere un fronte comune, il Fronte di Liberazione Nazionale, per la lotta armata. I firmatari sono 6, sei uomini di terreno, alcuni già in montagna da anni: Krim Belkacem, Mostefa Ben Boulaïd, Larbi Ben M’Hidi, Mohamed Boudiaf , Rabah Bitat e Didouche Mourad.

Dai sei, il nuovo fronte che nasce dall’appello, passa a 22 leader storici: Mohamed Boudiaf, Mustapha Benboulaïd, Larbi Ben M’hidi, Mourad Didouche, Rabah Bitat, Othmane Belouizdad, Mohamed Merzougui, Zoubir Bouadjadj, Lyes Derriche, Boudjema Souidani, Ahmed Bouchaïb, Abdelhafid Boussouf, Ramdane Benabdelmalek, Mohamed Mechati, Abdesslam Habachi, Rachid Mellah, Saïd Bouali, Youcef Zighoud, Lakhdar Bentobbal, Amar Benaouda, Mokhtar Badji, Abdelkader Lamoudi. Un anno dopo, Krim Belkacem convince un giovane intellettuale di sinistra, Abbane Ramdhane, di raggiungere il Fronte. Il giovane Abbane diventa il teorico del Fronte e facilità con il suo programma politico moderno, laico e lucido la confluenza sia dei partiti della piccola borghesia colta come l’Union démocratique du manifeste algérien (UDMA) di Ferhat Abbas e il Movimento islamico moderato dell’Unione degli Ulema Algerini dell’Imam Abdelhamid Ibn Badis sia il Partito Comunista Algerino di Bachir Hadj Ali e il potente sindacato UGTA di Aissat Idir.

Come si vede di Ben Bella anche in questa fase di confluenza di sigle e di leaders non c’è traccia. Eppure il giovane militante fa parte da tempo del movimento indipendentista. Ma non ha mai avuto ruoli di commando. Era uno dei 9 nomi in vista del CRUA, ma alla proclamazione della guerra d’indipendenza era latitante all’estero e rimase tra i 3 assenti. Perse così il primo appuntamento con il treno della storia.

 

Chi è Ben Bella?

 

Nato nel 1916 nella cittadina di Maghnia (Provincia di Orano), Ahmed Ben Bella ha avuto una vita lunga e piena. Figlio di genitori originari dall’Alto Atlante in Marocco emigrati in Algeria, come fecero molti contadini poveri, per lavorare come braccianti nelle tenute dei coloni europei nelle ricche terre dell’ovest dell’Algeria. Il padre, però, dopo un po’, migliorò sensibilmente la situazione economica della famiglia diventando commerciante. Ciò permise al giovane Ahmed di arrivare agli studi superiori, cosa rara all’epoca.

Ha combattuto nella seconda guerra mondiale con l’esercito francese, dove fu decorato per fatti d’armi e ferite riportate durante le varie battaglie alle quali prese parte tra cui quella di Monte Cassino.

Al ritorno come molti trovò l’Algeria sotto lo choc dei massacri del maggio 1945 e come molti si arruolò nel Partito del Popolo Algerino.

Presto entrò a far parte dell’ala rivoluzionaria e nel 1949, per conto del CRUA, partecipa alla rapina della posta di Orano. Pochi mesi dopo è arrestato. Evade di carcere nel 1952 e fugge in Egitto per raggiungere altri latitanti che formeranno poi la delegazione del Fronte di Liberazione all’estero.

Nel 1956 doveva recarsi dal Marocco in Tunisia su un aereo di Linea marocchino, insieme a 5 altri dirigenti del Fronte all’estero, il pilota francese dell’aereo ottempera all’ordine dell’esercito francese e atterra in terra algerina permettendo l’arresto dei leader rivoluzionari. Rimane in carcere fino al risultato del referendum per l’autodeterminazione nel 1961, perdendo per la seconda volta il treno della storia.

 

Inizio e fine di una brevissima leggenda

Nel 1962, riesce per la prima e l’ultima volta della sua lunga vita a beccare quel famoso treno della storia che è sempre partito senza di lui. Lo prende entrando trionfale insieme all’Esercito delle Frontiere, con quelli che la guerra non l’hanno mai fatta. I partigiani dell’interno non riescono a opporsi. L’Esercito delle Frontiere nato nei campi profughi di Oujda in Marocco e Saghiet Sidi Yusef in Tunisia è formato da giovani ben armati, ben vestiti, attrezzati con artiglieria e veicoli blindati e ben addestrati da consiglieri militari accorsi da tutto il blocco socialista di allora. I combattenti dell’interno erano rimasti 5 gatti sfiniti da uno dei conflitti più violenti della storia: 1 milione di morti su 8 milioni di abitanti. Il nuovo esercito è forte anche del consenso delle nazioni arabe e del blocco socialista. Ma non dispiace nemmeno troppo all’occidente.

L’unico tra i leader storici pronto a mettere la faccia per dare un minimo di legittimità a questo golpe è il meno storico dei leader storici: Mohammed Ben Bella. Gli altri, quelli veri, si ritrovano prima marginalizzati nel tentativo di assemblea costituente. Poi arrestati, mandati in esilio o addiritura assassinati…

 

In quei momenti così drammatici, sbarcavano ad Algeri i fricchettoni di mezzo mondo per festeggiare la vittoria della rivoluzione dei poveri e trovarono ad accogliergli la faccia sorridente e paffutella di Ahmed Ben Bella. Così quel sorriso nella mente di milioni di giovani del mondo fu associato alla vittoria storica del FLN.  Lui anche non si privò dall’esibirsi in pubblico per un sì e per un no. Amava tanto i bagni di folla, i lunghi discorsi, pieni di slogan e di emozione … e vuoti di contenuti, e la compagnia delle star del terzomondismo.

L’idillio del neo-presidente con i colonelli non durò a lungo e tre anni dopo la sua nomina fu rovesciato dal più potente e deciso di questi, Houari Boumedienne, finora capo dello Stato Maggiore e ministro della diffesa. Il colonello, per 14 anni, sostituì su giornali e sugli schermi delle tv del mondo il sorriso da bambinone mai cresciuto di Ben Bella con il suo ghigno e la sua grinta da lupo affamato.

Da lì, pian pianino, il vecchio rivoluzionario pantofolaio ritornò nell’anonimato dal quale, forse -non avendo lasciato né pensiero degno di essere condiviso, né particolari azioni degne di essere ricordate-, forse, non avrebbe mai dovuto uscire.

 

Riposa in pace, vecchio signore simpatico e sorridente. Comunque sia, insieme alla tua generazione di giovani degli anni 50, nonostante tutto, avete preso le vostre responsabilità in mano e avevate deciso di cambiare il destino di tutto un popolo. Riposa in pace. Che la terra ti sia lieve. 

Ahmed Benbella: morte di una icona dimenticata

Benbella.jpgIn questi giorni è morto all’età di 96 anni Ahmed Ben Bella, il primo presidente della Repubblica Democratica e Popolare Algerina. Ben Bella, per tutta una generazione di Italiani è una icona assoluta. Simbolo della vittoria dei popoli contro il colonialismo. Invece è morto dimenticato da tutti, sia in patria che all’estero.

 

L’icona di una generazione

 

C’è tutta una generazione di over 50 italiani, di sinistra, per la quale la sola parola Algeria fa brillare gli occhi. Quanti ricordi, quanti ricordi! La vittoria del bene sul male. Il trionfo di una rivoluzione popolare sull’imperialismo. Il film di Pontecorvo, le esperienze di autogestione dell’industria e dell’agricoltura, il paese che per più di 15 anni diventa meta di tutti i rivoluzionari del mondo: Che Guevara, Fidel Castro, Ho Chi Minh, Malcolm X, le Black Panters che si ribellano in un carcere di alta sicurezza, sequestrano le guardie e chiedono un aereo per andare… a Algeri, Nelson Mandella, Il festival Panafricano dove ci sono tutti i movimenti di liberazione dell’Africa, tutte le, allora giovani, star della rinascita musicale africana, C’è il più grande tra tutti: the president, Fela Kuti, c’è un giovanissimo Manu Di Bango con il suo già potente sax…e c’è anche Miriam Makeba che canta sulla piazza principale di Algeri, Mamma Africa e Patipata… Gli occhi si inumidiscono, fissano immagini che sembrano riemergere dalla nebbia del tempo… che bello, che bello! E poi? E poi niente! L’Algeria è scomparsa. Il paese ha avuto altre gatte da pelare e il mondo pure.

 

Una domanda imbarazzante

 

Dopo queste rievocazioni, una domanda sorge quasi sempre, spontanea:

– Che fine ha fatto quello lì… l’ex presidente, Ben Bella?

– Vive in esilio da molti anni ormai. – rispondo io, cercando già di guardare altrove.

– Ma è ancora popolare in Algeria? Cosa ne pensi?

E lì… inevitabilmente mi trovo in difficoltà…

– Mah… sa, ormai sono passati molti anni. I giovani non sanno nemmeno chi è. Invece quelli della mia generazione se lo ricordano. Per noi era un nome. Un nome per chiamare qualcosa di non molto definito… Sono successe molte cose…Hum hum.

Quando avevo diciotto anni se qualcuno mi mostrava una icona e diceva: Questo è Santo questo o santo quello, e che è capace di questi o quei miracoli… avrei detto: Che me ne frega, a me. Io non credo nei santi e ancora meno nei miracoli.

Ma il tempo, i viaggi e l’esperienza mi hanno insegnato a rispettare le icone. Soprattutto quelle degli altri. Ho capito che per molti credenti le icone sono ancora più importanti della lettera stessa della fede. E che rimetterle in causa li offende profondamente… E chi sono io per andare a offendere le persone nelle loro convinzioni? O per pretendere che solo le mie siano degne di essere dette e ascoltate.? Allora ho imparato anche a spostare la discussione dal senso religioso dell’icona al valore artistico e materiale dell’oggetto.

Che bella! È pittura ad olio? È bronzo? Di che epoca è l’opera? Interessante. Ah… è un pezzo unico? Bello! Proprio bello.

E ci si ritrova a parlare di arte e di storia e ci si allontana così dal terreno scivoloso della fede, dove spesso ci vuole tempo, calma, riflessione, ascolto e approfondimento… tutte cose impossibili in una chiacchierata occasionale di poche battute.

E una altra cosa che mi ha insegnato il tempo è che persone come Ben Bella -almeno in Italia- hanno da tempo lasciato la casa dell’analisi storico politica razionale per abitare quella dell’iconografia e della simbologia mistica.

Simbolo di un sogno di giustizia, dei Davide che sconfiggono i Golia, del trionfo del bene sul male, di una emancipazione dei popoli sottomessi e della fine dell’oppressione coloniale e neocoloniale… cioè di un sogno impossibile.

 

 

Chi era Ben Bella e cosa ne pensa l’algerino medio?

 

É sempre difficile rispondere a una domanda come questa. Cosa può ben pensare un popolo così grande, così diverso, così diviso su molte cose, su una sola persona? Fosse anche un personaggio storico.

La cosa di cui sono sicuro, per aver fatto l’insegnante per 10 anni nel mio paese, è che le nuove generazioni se hanno sentito il nome, perché ufficialmente primo Presidente della Repubblica Algerina, non ne pensano assolutamente nulla. Né bene né male.

Su quelli un po’ più grandi invece è più complicato. È complicato come lo sono tutte le faccende legate alla guerra di liberazione nazionale algerina. Perché ancora 50 anni dopo non si riesce a raccontare con un minimo di distanza e di distacco. Sembra ancora tutto lì: dolori, sofferenze, lutti, alleanze, coraggio, eroismo e lealtà, paure, divisioni, vigliaccherie e tradimenti… tutto ancora vivo, anche se le donne e gli uomini che l’hanno fatta sono ormai rimasti molto pochi, almeno quelli veri.

Se, per l’Italiano medio over 50 di sinistra, la guerra di liberazione nazionale algerina vuol dire battaglia di Algeri e Ben Bella, per gli Algerini questi due elementi sono tra i più marginali di quella storia. Se chiedi ad un Algerino della mia generazione o di quelle precedenti di dire 3 nomi rappresentativi della rivoluzione, sono pronto a scommettere che in 99% dei casi Ben Bella non verrà citato. Ma sono anche sicuro che la classifica sarà molto diversa tra una persona e un’altra.

Questo è dovuto al fatto che la lotta per l’indipendenza algerina non ha mai avuto una icona unica, mai una forma gerarchica molto forte, soprattutto fin che era veramente rivoluzionaria, prima della presa di potere da parte dei militari.

 

6-9-22 leader rivoluzionari

Dopo anni di lotta politica e di partecipazioni elettorali alle quali l’amministrazione coloniale ha risposto con disprezzo, frodi, corruzione, menzogne e soprattutto violenza, tanta violenza… al ritorno dal fronte della II° guerra mondiale molti soldati del Centro e Est del paese hanno trovato le loro famiglie decimate dai massacri del 8 maggio 1945 conosciuti come i fatti di Setif, Guelma e Kherrata. Decine di miglia di civili massacrati in una settimana per aver osato manifestare e chiedere più diritti, più pane, più dignità. Già da quell’anno, i primi ribelli decisero di prendere la strada della macchia. Ma l’apparato del Partito del Popolo Algerino (PPA) che diventerà poi, dopo la messa al bando di questa prima sigla, Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche(MTLD), partito indipendentista molto popolare in quelli anni, era diviso sull’opportunità o meno di intraprendere la via della lotta armata. Il suo leader, Messali Elhadj, era invecchiato e il suo carisma non bastava più a tenere unito il movimento.

Nel 1945 il PPA è più che mai squartato tra le posizioni della sua ala rivoluzionaria denominata Comitato Rivoluzionario per L’Unità e l’Azione (CRUA) e i “Centristi” raggruppati intorno al vecchio leader. La parte più attiva del CRUA da un colpo definitivo alla morte annunciata del vecchio partito e chiama tutte le forze patriottiche a raggiungere un fronte comune, il Fronte di Liberazione Nazionale, per la lotta armata. I firmatari sono 6, sei uomini di terreno, alcuni già in montagna da anni: Krim Belkacem, Mostefa Ben Boulaïd, Larbi Ben M’Hidi, Mohamed Boudiaf , Rabah Bitat e Didouche Mourad.

Dai sei, il nuovo fronte che nasce dall’appello, passa a 22 leader storici: Mohamed Boudiaf, Mustapha Benboulaïd, Larbi Ben M’hidi, Mourad Didouche, Rabah Bitat, Othmane Belouizdad, Mohamed Merzougui, Zoubir Bouadjadj, Lyes Derriche, Boudjema Souidani, Ahmed Bouchaïb, Abdelhafid Boussouf, Ramdane Benabdelmalek, Mohamed Mechati, Abdesslam Habachi, Rachid Mellah, Saïd Bouali, Youcef Zighoud, Lakhdar Bentobbal, Amar Benaouda, Mokhtar Badji, Abdelkader Lamoudi. Un anno dopo, Krim Belkacem convince un giovane intellettuale di sinistra, Abbane Ramdhane, di raggiungere il Fronte. Il giovane Abbane diventa il teorico del Fronte e facilità con il suo programma politico moderno, laico e lucido la confluenza sia dei partiti della piccola borghesia colta come l’Union démocratique du manifeste algérien (UDMA) di Ferhat Abbas e il Movimento islamico moderato dell’Unione degli Ulema Algerini dell’Imam Abdelhamid Ibn Badis sia il Partito Comunista Algerino di Bachir Hadj Ali e il potente sindacato UGTA di Aissat Idir.

Come si vede di Ben Bella anche in questa fase di confluenza di sigle e di leaders non c’è traccia. Eppure il giovane militante fa parte da tempo del movimento indipendentista. Ma non ha mai avuto ruoli di commando. Era uno dei 9 nomi in vista del CRUA, ma alla proclamazione della guerra d’indipendenza era latitante all’estero e rimase tra i 3 assenti. Perse così il primo appuntamento con il treno della storia.

 

Chi è Ben Bella?

 

Nato nel 1916 nella cittadina di Maghnia (Provincia di Orano), Ahmed Ben Bella ha avuto una vita lunga e piena. Figlio di genitori originari dall’Alto Atlante in Marocco emigrati in Algeria, come fecero molti contadini poveri, per lavorare come braccianti nelle tenute dei coloni europei nelle ricche terre dell’ovest dell’Algeria. Il padre, però, dopo un po’, migliorò sensibilmente la situazione economica della famiglia diventando commerciante. Ciò permise al giovane Ahmed di arrivare agli studi superiori, cosa rara all’epoca.

Ha combattuto nella seconda guerra mondiale con l’esercito francese, dove fu decorato per fatti d’armi e ferite riportate durante le varie battaglie alle quali prese parte tra cui quella di Monte Cassino.

Al ritorno come molti trovò l’Algeria sotto lo choc dei massacri del maggio 1945 e come molti si arruolò nel Partito del Popolo Algerino.

Presto entrò a far parte dell’ala rivoluzionaria e nel 1949, per conto del CRUA, partecipa alla rapina della posta di Orano. Pochi mesi dopo è arrestato. Evade di carcere nel 1952 e fugge in Egitto per raggiungere altri latitanti che formeranno poi la delegazione del Fronte di Liberazione all’estero.

Nel 1956 doveva recarsi dal Marocco in Tunisia su un aereo di Linea marocchino, insieme a 5 altri dirigenti del Fronte all’estero, il pilota francese dell’aereo ottempera all’ordine dell’esercito francese e atterra in terra algerina permettendo l’arresto dei leader rivoluzionari. Rimane in carcere fino al risultato del referendum per l’autodeterminazione nel 1961, perdendo per la seconda volta il treno della storia.

 

Inizio e fine di una brevissima leggenda

Nel 1962, riesce per la prima e l’ultima volta della sua lunga vita a beccare quel famoso treno della storia che è sempre partito senza di lui. Lo prende entrando trionfale insieme all’Esercito delle Frontiere, con quelli che la guerra non l’hanno mai fatta. I partigiani dell’interno non riescono a opporsi. L’Esercito delle Frontiere nato nei campi profughi di Oujda in Marocco e Saghiet Sidi Yusef in Tunisia è formato da giovani ben armati, ben vestiti, attrezzati con artiglieria e veicoli blindati e ben addestrati da consiglieri militari accorsi da tutto il blocco socialista di allora. I combattenti dell’interno erano rimasti 5 gatti sfiniti da uno dei conflitti più violenti della storia: 1 milione di morti su 8 milioni di abitanti. Il nuovo esercito è forte anche del consenso delle nazioni arabe e del blocco socialista. Ma non dispiace nemmeno troppo all’occidente.

L’unico tra i leader storici pronto a mettere la faccia per dare un minimo di legittimità a questo golpe è il meno storico dei leader storici: Mohammed Ben Bella. Gli altri, quelli veri, si ritrovano prima marginalizzati nel tentativo di assemblea costituente. Poi arrestati, mandati in esilio o addiritura assassinati…

 

In quei momenti così drammatici, sbarcavano ad Algeri i fricchettoni di mezzo mondo per festeggiare la vittoria della rivoluzione dei poveri e trovarono ad accogliergli la faccia sorridente e paffutella di Ahmed Ben Bella. Così quel sorriso nella mente di milioni di giovani del mondo fu associato alla vittoria storica del FLN.  Lui anche non si privò dall’esibirsi in pubblico per un sì e per un no. Amava tanto i bagni di folla, i lunghi discorsi, pieni di slogan e di emozione … e vuoti di contenuti, e la compagnia delle star del terzomondismo.

L’idillio del neo-presidente con i colonelli non durò a lungo e tre anni dopo la sua nomina fu rovesciato dal più potente e deciso di questi, Houari Boumedienne, finora capo dello Stato Maggiore e ministro della diffesa. Il colonello, per 14 anni, sostituì su giornali e sugli schermi delle tv del mondo il sorriso da bambinone mai cresciuto di Ben Bella con il suo ghigno e la sua grinta da lupo affamato.

Da lì, pian pianino, il vecchio rivoluzionario pantofolaio ritornò nell’anonimato dal quale, forse -non avendo lasciato né pensiero degno di essere condiviso, né particolari azioni degne di essere ricordate-, forse, non avrebbe mai dovuto uscire.

 

Riposa in pace, vecchio signore simpatico e sorridente. Comunque sia, insieme alla tua generazione di giovani degli anni 50, nonostante tutto, avete preso le vostre responsabilità in mano e avevate deciso di cambiare il destino di tutto un popolo. Riposa in pace. Che la terra ti sia lieve. 

E’ nato un nuovo stato Africano? (1° puntata) Storia e attualità dell’insurrezione dei Tuareg nel Nord del Mali

tuareg.jpgMi ricordo quando ero piccolo che il Mali era indicato nei telegiornali, dell’unico canale televisivo algerino, come paese fratello. Le visite del presidente Moussa Traore, salito al potere dopo il colpo di stato del 1968 (un anno appena dopo la mia nascita) hanno accompagnato gli anni della mia infanzia, poi quelle dell’adolescenza. Nei palazzi di Algeri, il Traore era come a casa sua. Soprattutto nell’era di Chadli Benjdid (1979-1992). Oltre alle regolari visite del suo dittatore, di informazioni da quel paese non ci arrivava niente. Per noi era un paese dell’Africa Nera come gli altri. Non sapevamo nemmeno che ci fosse in Mali, Niger e Burkina Faso tutta una parte Nord abitata a maggioranza da Tuareg ma anche da arabi e mauri.

 

Da dove arriva questa ribellione?

Quando nel 1990 nel nord del Mali e del Niger inizia la grande insurrezione dei Tuareg, I mezzi d’informazione nel Nord Africa la ignorarono completamente. Io personalmente scoprì l’esistenza del conflitto soltanto arrivando a Tamanarasset nell’estremo sud dell’Algeria per passarci le vacanze invernali e trovai la tranquilla città turistica sommersa da profughi Tuareg et Peul scappati dai due paesi vicini. Da lì ho preso coscienza del dramma che colpiva questi paesi e in modo particolare i Tuareg.

Fino a quel momento, per me, come per l’occidentale medio, i tuareg erano solo una cosa esotica. Uomini coperti dalla testa ai piedi che viaggiavano sui mehari, i dromedari più veloci del deserto. Scoprì la tragedia di un popolo abituato a spostarsi liberamente su una superficie più grande dell’Europa che vive tagliato su 5 nazioni che, come quasi tutte le nazioni africane, furono inventate dal colonialismo europeo: Mali, Burkina Faso, Niger, Libia, Algeria.

I Tuareg sono uno tra le componenti della popolazione berbera del Nordafrica. In berbero si chiamano ‘Imuchagh’ e la loro lingua è il ‘Tamachek’. È un popolo di circa 6 milioni di anime sparse su un territorio per lo più desertico che, se fosse stato riconosciuto come stato, sarebbe il più grande dell’Africa. Ma nella situazione ereditata dalla gestione coloniale sono una minoranza molto piccola in tutti i 5 paesi dove si ritrovano. La divisione del loro territorio in 5 parti anche se dagli anni 50 hanno rivendicato il diritto ad una nazione autonoma è dovuta probabilmente ad una rappresaglia per il fatto che è stato l’ultimo popolo africano a deporre le armi contro il colonialismo francese. Mentre tutta l’Africa era colonizzata da un secolo, il territorio Tuareg è stato definitivamente “pacificato” soltanto negli anni 30 del secolo scorso.

Storicamente sono sempre stati autonomi. Nessun regno africano li ha mai inglobati. Hanno vissuto di commercio collegando con le loro carovane il nord dell’Africa alla parte subsahariana, trasportando sale, oro, spezie, datteri, pelli, legni preziosi, avorio… Ma periodicamente, spinti dalla siccità o da qualche faida, le loro razzie hanno terrorizzato i popoli che vivevano sia a nord che a sud del loro territorio. Guerrieri orgogliosi e temuti sia a nord che a sud del Sahara, si consideravano una casta superiore e non praticavano altro mestiere che la guerra, la pastorizia e il commercio. I lavori considerati umili erano lasciati a popoli che sono venuti a vivere sul loro territorio sia per costrizione come le tribù di tuareg neri chiamati ‘kel Aklan’ (in berbero letteralmente: clan degli schiavi) o per bisogno come le tribù arabizzate dei ‘harratin’ (in arabo: aratori o coltivatori). E da qui si può immaginare la frustrazione di un popolo così fiero quando la diabolica divisione coloniale dell’Africa lo lascia sottomesso proprio a maggioranze di Aklan e di Harratin.

 

Ma se il popolo tuareg come tutti gli altri ha i suoi razzismi e le sue colpe negli scontri che lo hanno opposto ad altre componenti del mosaico africano, non si può dire che non ha fatto sforzi per convivere in seno ad una nazione multietnica.

In realtà le varie insurrezioni (1962, 1990, 2006…) che li hanno opposti ai regimi del Mali e del Niger sono state su base di rivendicazioni sociali all’inizio: scuole, elettricità, acqua, giustizia sociale, partecipazionealla gestione… Ma hanno avuto come risposta da parte dei regimi solo repressione, campi, massacri, esecuzioni sommarie, raid dell’esercito e dei gruppi paramilitari… con spesso veri e propri crimini contro l’umanità commessi nei loro confronti nel silenzio generale della comunità internazionale. Le varie intermediazioni, dell’Algeria e della Francia in primis, hanno prodotto dei trattati di pace che poi non sono mai stati rispettati. E poco a poco il movimento è andato radicalizzandosi per arrivare a rivendicare l’autonomia dell’Azawad, la parte sud occidentale della terra dei Tamachek. É da questo lungo percorso che arriva l’insurrezione di questi mesi dei guerriglieri tamachek del MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad).

 

Ma da dove esce questa armata che ha messo a sacco le caserme dell’esercito regolare maliano?

Il MNLA è una larga alleanza tra vari movimenti politici e militari dell’Azawad. Di sicuro le componenti principali sono il Mouvement National de l’Azawad (MNA), un grouppo politico composto in maggioranza da giovani attivisti di classe media colta e ci sono i vecchi guerriglieri dell’ex-Alliance Touareg Niger Mali (ATNM), che sono stati in prima linea durante l’insurrezione del 2006 e che sconfitti nel 2009 si sono rifugiati in Libia dove Muammar Kaddafi gli ha arruolati nel suo esercito, armandoli con armi moderne e formando con loro una unità speciale per i combattimenti nel deserto. Ma i portavoce ufficiali dichiarano che “il MNLA è l’emanazione delle aspirazioni dei tuareg et di una buona parte dei Songhaï, Peul et Mauri dell’Azawad per l’autonomia”. Approfittando della caduta del regime di Tripoli i soldati tuareg hanno lasciato il suolo libico portando con loro armi e attrezzature e hanno lanciato questa nuova offensiva. Il Mali indebolito dal lungo regno di Amadou Toumani Touré, che ha dato le dimissioni ieri dopo un copo di stato, al potere apertamente o dietro le quinte da quando fece cadere la dittatura di Moussa Traore nel lontano 1991, anche lui in un colpo di stato (chi di spada ferisce…) sostituendola con un nuovo sistema salutato da tutti come una transizione democratica ma che altro non era che una oligarchia dove i militari hanno sempre fatto la pioggia e il bel tempo. 50 anni di potere militare in uno dei paesi più poveri del pianeta portano l’esercito a diventare una specie di associazione a delinquere che si occupa più dell’arricchimento personale degli ufficiali che dell’ordine o della sicurezza. Il nord del paese è da vari decenni diventato una vera e propria autostrada di tutti i traffici, armi, droga e esseri umani compresi e ciò con complicità altolocate nell’esercito maliano. É chiaro che in una situazione del genere, alla prima allerta cade tutto a pezzi. Ed è proprio quello che è successo appena i reparti dell’esercito a nord si sono scontrati non più con dilettanti armati di kalashnikov ma con vere unità militari addestrate, organizzate e dotate di armi pesanti e di mezzi di trasporto veloci.

Da lì al colpo di stato, ai disordini e saccheggi, alla fuga delle unità regolari dal nord del paese e la presa di potere del MNLA in una parte del Nord e di un altro gruppo descritto come vicino a Al Qaeda in un altra parte c’è stato solo un passo che è stato fatto in pochi giorni.

… continua

 

 

Clicc qui per leggere la 2° puntata: Scenari futuri, regionali e internazionali: Paesi limitrofi, comunità internazionale, Al Qaida, cosa implica la caduta del Nord del Mali in mano ai ribelli?

Intervista a un attivista scappato dall’inferno siriano

siriaQualche mese fa, sulla rivista El-Ghibli, scrivevo del mio amico siriano Hamed, di cui non riuscivo ad avere notizie. Ora sulla sua sorte sono più tranquillo. Mi ha contattato lui per dirmi che è fuori pericolo. È riuscito a scappare in un altro paese arabo. Per Hamed sono rassicurato, ma per la Siria sono più preoccupato che mai.

 

Dopo le domande d’uso sulla sua salute e la famiglia. Comincio subito a chiedere notizie di altri amici siriani e palestinesi residenti in Siria. Tutta gente impegnata politicamente e culturalmente. Oppositori da sempre al regime ignorante e violento degli Assad. Le notizie non sono delle più belle. Sia lui, Hamed, che tutti gli altri hanno conosciuto il carcere le torture, le umiliazioni. Poi, mi dice che Muhannad e il suo fratello Salìm sono morti sotto tortura. Gli altri si nascondono o sono anche loro scappati all’estero. Chi in Giordania, chi in Turchia.. ch in qualche altro paese.

Mi tornano in mente le immagini di Muhannad e Salìm. Due ragazzi di Deir ez-Zor. Dolci come il miele. Mi ricordo la loro simpatia, la loro generosa ospitalità. Muhannad faceva il giornalista ed era una persona di grande cultura. Pur leggendo solo l’arabo, citava a memoria autori e filosofi di varie culture. Era sinceramente credente ma la sua profonda fede musulmana non gli impediva di essere un libero pensatore e un amante dichiarato dei piaceri della carne, della coppa e dell’umorismo. Salìm era invece l’artista, attore pieno di talento e cantante emerito, era ateo e non mancava nelle sue operette improvvisate, immancabilmente dopo il 4 o 5° bicchiere di arak, di prendere in giro gli islamisti più rigorosi e la crescente ipocrisia religiosa nelle società musulmane.

Ho conosciuto il gruppo dopo la breve primavera di Damasco del 2005. Si erano buttati in una nuova avventura politica e ne stavano pagando il prezzo con arresti, licenziamenti, pressioni di ogni genere. Ma non avevano mai perso il gusto di vivere e di divertirsi.

Dopo lo sfogo iniziale faccio a Hamed qualche domanda per capirci un po’ di più sulla situazione.

 

Come sei andato via, Hamed? Sei passato legalmente ala frontiera?

 

Ma che legalmente? Da quando sono uscito di carcere circa sette mesi fa, ho dormito a casa una settimana. Poi mi sono dileguato. Ogni notte dormivo in un luogo diverso. Sono entrato in clandestinità perché sapevo che mi avrebbero ripreso. Quando ho saputo della morte di Mohannad e Salim, mi era chiaro che non potevo più nemmeno andare a prendere la mia roba a casa.

Sono riuscito a passare la frontiera pagando una piccola fortuna. É la prima volta che ero contento che il regime sia così corrotto.

 

Come hai lasciato la situazione nel paese?

 

“khara!”, merda. Non ci capiamo più niente. Era iniziato tutto bene. Come in tutti i paesi della zona. Per strada c’erano studenti, giovani, lavoratori, donne, giovani, adulti, famiglie. Movimenti di sinistra, un po’ di fratelli musulmani, nazionalisti siriani… d’un colpo sono apparsi dal nulla i salafiti pieni di armi e di soldi e la situazione è degenerata. Non si capisce più niente. Si muore come mosche da una parte e dall’altra.

Le altre tendenze si sono ritrovate prese tra due fuochi. Minacciati dallo stato e dai gruppi armati. In molte città si racconta che i gruppi del così detto Esercito Libero si sono comportati peggio del governo con torture, mutilazioni e uccisioni in pubblico di persone presentate come collaborazionisti.

 

Ma secondo te, essendo che l’opposizione armata è a maggioranza espressione della popolazione araba sunnita, c’è un rischio di deriva “etnica”?

 

Ma in fatti. Il fatto che questi siano tutti arabi sunniti e con una forte tendenza islamista radicale, e che a sostenergli sono gli sponsor tradizionali dell’integralismo: i paesi del golfo persico, che stranamente sono anche i tradizionali amici dell’occidente, questo crea uno stato di ansia nella gente laica o appartenente ad altri gruppi culturali o religiosi.

Molti dicono che se questi qua vengono e vogliono imporci le loro leggi, allora anche noi ci armiamo. Qua se cade il governo in questo momento e in queste condizioni, quello che è successo in Iraq sembrerà alla fine una passeggiata rispetto a quello che rischia di succedere da noi.

Cristiani, Alaouiti, ismaeliti, sciiti e Curdi non accetteranno il diktat di una sola componente del mosaico siriano. Anche tra gli amici profughi palestinesi la situazione è tesa. La Siria era l’ultimo rifugio della sinistra palestinese. Una vittoria dei salafiti vorrà dire uno scontro frontale per l’imposizione del controllo dei campi profughi da parte diHamas e il Jihad islamico, il che vorrà dire per il Fronte Democratico Palestinese e il Fronte Popolare Palestinese la ripreesa delle armi per difendere l’ultimo spazio vitale.

Mettici pure la mano di tutti quelli che non vogliono una Siria forte e unita: Arabia Saudita, Turchia, Israele… ti ritrovi con un vero e proprio macello.

Informalmente ci sono contatti tra forze progressiste appartenenti alle diverse parti per cercare di evitare di cadere nella divisione. Ma non si sa quanto un accordo tra opposizioni costrette alla clandestinità possa reggere di fronte invece ad un incendio su cui soffiano in così tanti.

 

Cosa si pensa internamente di quello che è presentato al mondo come la voce dell’opposizione siriana?

 

Ma alle persone politicizzate viene da ridere, di una risata amara, quando si sentono i nomi dei pseudo oppositori del Consiglio Nazionale Siriano. Piccoli affaristi come bassam Jaarar, oppure gente che non ha mai fatto politica e che oggi si scopre opposizione accanita. Si sta ricalcando esattamente lo scenario iracheno in cui si racimola un pugno di opportunisti e di spie, e le si dichiara opposizione e si riporta al paese come nuova élite dirigenziale.

Il Comitato di Coordinamento Nazionale è già più serio. Ci sono persone che hanno sempre detto di no. Pur sempre con le loro contraddizioni interne, che sono poi quelle della società siriana. Ma almeno parliamo per lo più di gente non compromessa e pulita. Non è un caso che i media occidentali hanno adottato quasi esclusivamente il Consiglio Nazionale come fonte.

Poi all’interno, queste due realtà rappresentano ben poco. Non gli riconosce quasi nessuno, nemmeno questo Esercito Libero che loro festeggiano come eroico.

 

Quali sono le prospettive secondo te?

 

“Senariuhat el mostaqbal akhra min halla” . Gli scenari possibili per il futuro sono ancora più “merdosi” di adesso. O vince il governo e siamo partiti per altri 20 anni di leggi di emergenza. O si impone una soluzione negoziata e nello stato attuale delle cose vorrà dire che il regime sarà obbligato a spartire il potere con i gruppi armati e con i salafiti. Oppure la cosa peggiore è che cade il regime e lascia un paese in preda ad una violenza incontrollabile. E lì sinceramente non so quanto può durare una guerra civile in Siria e quali ripercussioni può avere sui paesi vicini: Libano e Iraq in modo particolare.

 

Hamed mi chiede scusa perché deve riattaccare. Il Cyber-café da dove parlava sta per chiudere. Ci salutiamo in fretta. Pur essendo sempre immerso mentalmente nelle sue sofferenze e nelle sofferenze del suo popolo, il mio amico comincia già ad affrontare un nuovo problema nella su vita, quello della sopravvivenza da clandestino in un paese straniero.

 

La storia del Newroz

E’ ufficiale, è primavera. Ieri era la data ufficiale del passaggio dalla stagione freda alla stagione della fioritura, In asia minore nei vasti territori che furono una volta sotto l’impero persiano, dove sono rimaste forti radici zoroastriane. Il primo…

Algeria: anche gli stragisti muiono

Si chiamava Mohamed Lamari. Negli anni 90′ faceva parte del gruppetto di generali più potenti del paese. Quelli che hanno messo l’Algeria a ferro e a fuoco per una quindicina di anni. é morto questa settimana di un arresto cardiaco mentre si trovava nel…

Quando l’etnia assassina porta un passaporto da normale

“L’assassino è stato preso ed è slavo”. L’ha detto la Berlinguer in apertura del Tg3, parlando dell’autista che ha travolto e ucciso un vigile urbano a Milano questa settimana. Certo che quando è la Berlinguer a darti questo tipo di mazzate le senti ancora…

Appello per fermare la reppressione in Siria e in Egitto

BASTA CON LA REPRESSIONE IN EGITTO E IN SIRIA, LIBERTA’ PER I POPOLI ARABI CONTRO OGNI INTERVENTO MILITARE STRANIERO DIRETTO E INDIRETTO NELLA REGIONE Il bisogno di libertà e la tenace lotta per la giustizia delle donne egli uomini del nord Africa e del…

Buon 2012 anche se…

Scrivo questo ultimo post dell’anno 2011, innanzitutto per augurare un buon anno nuovo a chi mi legge. Speriamo che il 2012 confermi le cose belle, le conquiste ottenute nel 2011, ma che nello stesso tempo annulli le cose brutte, tante, che in questo…

Lettera del sacerdote siriano Elia Zaoui alla Francia

Lettera aperta da un sacerdote arabo siriano a Alain Juppé, ministro francese degli Affari esteri … Novembre 2011 (texte français au fond) Signor Ministro, Prete arabo siriano, ho appena appreso, poco fa, la vostra dichiarazione, fatta negli Stati Uniti,…

Mondo arabo: una rivolta. vari scenari

Nel momento in cui scrivo, i morti su Piazza Tahrir, al Cairo, sono decine. I militari egiziani venduti dai media internazionale come alleati dei giovani rivoltosi, stanno massacrando questi ultimi come, o forse più che, all’epoca del vecchio Rais. Quello…

Il Ritiro da solo non basta!

Il Ritiro da solo non basta, dopo il saccheggio e la distruzione del paese Lettera del sindacalista iracheno Falah Halwan a Barack Obama Per quasi nove anni, Le vostre truppe hanno invaso l’Iraq con due pretesti: il primo era l’esistenza di armi di dis…

17 ottobre 1961 – La mattanza degli algerini a Parigi

Quest’anno si commemora il cinquantesimo anniversario della strage del 17 ottobre 1961 a Parigi. La guerra in Algeria tirava verso la fine. Il braccio di ferro militare stava tornando a favore dell’esercito francese, ma al livello politico, il Fronte…

Algeria 5 ottobre 1988, 20 anni prima di Piazza Ettahrir

23 anni fa, al mattino del 5 ottobre 1988, Algeri per prima, poi tutta l’Algeria si sveglia in stato di choc. La dittatura del partito unico, Fronte di Liberazione Nazionale, stava prendendo acqua da tutte le parti. Sommosse, saccheggi, ribellione gene…

Lotta in solitudine a Piazza Selinunte

Ieri, domenica 2 ottobre, a Milano, scendevano , dopo 22 giorni di occupazione, i due immigrati che hanno occupato la torre di Piazzale Selinunte, Zona San Siro. Volevano attirare l’attenzione sulla situazione delle migliaia di vittime della famigerata…

La Françafrique è moribonda, viva la NATOafrica!

“Viva Bengasi, viva la Libia, viva l’amicizia tra la Francia e la Libia!”, ha esultato Sarkozy l’altro ieri di fronte alle migliaia di persone venute ad accoglierlo nella città della Libia orientale come un salvatore. Con la sua patetica imitazione delle…

L’albanese ubriaco e il notiziario razzista

Ieri su una autostrada piemontese si consumava un crimine orribile provocato da un automobilista incosciente. Questa mattina sul tg3 piemonte si consumava un altro crimine: la demonizzazione di tutto un popolo. Ieri notte si consumava sull’autostrada…

Tunisia e Egitto, fine della favola

Questi giorni la piazza Tahrir si è riempita di nuovo di gente e oggi (venerdì 15/07/2011) di fronte ai palazzi della Casba, a Tunisi la polizia ha sparato i lacrimogeni per disperdere una manifestazione. L’amore tra società civile e esercito è durato…

Valsusa: Chiomonte, Piazza Tahrir d’Italia

Dopo le tensioni degli ultimi giorni in Valle di Susa e la campagna mediatica per la criminalizzazione del movimento, sono andato al presidio di Chiomonte per vedere un po’ che aria tira. Breve reportage su un viaggio in quella che potrebbe diventare…

Attenzione al cetriolo mannaro

“Batterio killer” lo chiamano ormai i mezzi di informazione di massa sempre assettati di titoli “ad effetto”. “Il batterio killer uccide ancora”, “Caccia alla matrice del batterio Killer”… Ovviamente come è ormai di tradizione nella cultura moderna…

Torino: brutto tempo per le note di colore

22 candidati di origine straniera si sono presentati alle elezioni amministrative per il comune di Torino e per le circoscrizioni. Nessun eletto. Da nessuna parte. Il meteo politico, per le donne e le minoranze nella prima capitale d’Italia prevede gri…