Categoria: Islametro 2

L’Iran e la rivoluzione (islamica)

Per ricordare a tutti che la retorica della rivoluzione islamica è uno dei pilastri della propaganda iraniana consustanziale alla nascita dell’Iran contemporaneo. Nei primi giorni della rivolta in Tunisia, nel […]

PKK: arnese per “sirianizzare” la Turchia ?

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Il PKK e la “sirianizzazione” della Turchia

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Il PKK e la “sirianizzazione” della Turchia

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Il PKK e la “sirianizzazione” della Turchia

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Il PKK e la “sirianizzazione” della Turchia

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Le nere maree…

mcc43 Non un vaticinio, ma un monito. Clima Psiche Salute  assediati dalle nere maree: Conflitti Xenofobia Razzismo Manipolazione delle notizie Squilibri economici Avventurismo scientifico Diseguaglianze dei diritti Svuotamento dei principi ….. Google+    Archiviato in:Uncategorized

Le nere maree…

mcc43 Non un vaticinio, ma un monito. Clima Psiche Salute  assediati dalle nere maree: Conflitti Xenofobia Razzismo Manipolazione delle notizie Squilibri economici Avventurismo scientifico Diseguaglianze dei diritti Svuotamento dei principi ….. Google+    Archiviato in:Uncategorized

Le nere maree…

mcc43 Non un vaticinio, ma un monito. Clima Psiche Salute  assediati dalle nere maree: Conflitti Xenofobia Razzismo Manipolazione delle notizie Squilibri economici Avventurismo scientifico Diseguaglianze dei diritti Svuotamento dei principi ….. Google+    Archiviato in:Uncategorized

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mcc43 Non un vaticinio, ma un monito. Clima Psiche Salute  assediati dalle nere maree: Conflitti Xenofobia Razzismo Manipolazione delle notizie Squilibri economici Avventurismo scientifico Diseguaglianze dei diritti Svuotamento dei principi ….. Google+    Archiviato in:Uncategorized

Maktub blog, analisi del 2015

I Folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2015 per questo blog. Ricevo sempre con piacere il rapportino dei Folletti perché non espone solamente quantità, permette d’individuare quali miei interessi sono condivisi  dal pubblico. Avanti con i numeri: 58 articoli pubblicati, 33.000 visite. Comparando col 2014, 107 articoli e 44.000 visite, risulta un […]

Maktub blog, analisi del 2015

I Folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2015 per questo blog. Ricevo sempre con piacere il rapportino dei Folletti perché non espone solamente quantità, permette d’individuare quali miei interessi sono condivisi  dal pubblico. Avanti con i numeri: 58 articoli pubblicati, 33.000 visite. Comparando col 2014, 107 articoli e 44.000 visite, risulta un […]

Maktub blog, analisi del 2015

I Folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2015 per questo blog. Ricevo sempre con piacere il rapportino dei Folletti perché non espone solamente quantità, permette d’individuare quali miei interessi sono condivisi  dal pubblico. Avanti con i numeri: 58 articoli pubblicati, 33.000 visite. Comparando col 2014, 107 articoli e 44.000 visite, risulta un […]

Maktub blog, analisi del 2015

I Folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2015 per questo blog. Ricevo sempre con piacere il rapportino dei Folletti perché non espone solamente quantità, permette d’individuare quali miei interessi sono condivisi  dal pubblico. Avanti con i numeri: 58 articoli pubblicati, 33.000 visite. Comparando col 2014, 107 articoli e 44.000 visite, risulta un […]

Bibi e Obama, così i due alleati si spiavano a vicenda

In pubblico le strette di mano, qualche sorriso e più di uno screzio. In privato si spiavano a vicenda con un’intensità inaudita. Il primo registrando le conversazioni tra il premier con i suoi alti ufficiali, con i deputati del Congresso Usa e i leader dei più influenti gruppi ebraici americani nel tentativo di bloccare qualsiasi […]

Bibi e Obama, così i due alleati si spiavano a vicenda

In pubblico le strette di mano, qualche sorriso e più di uno screzio. In privato si spiavano a vicenda con un’intensità inaudita. Il primo registrando le conversazioni tra il premier con i suoi alti ufficiali, con i deputati del Congresso Usa e i leader dei più influenti gruppi ebraici americani nel tentativo di bloccare qualsiasi […]

Bibi e Obama, così i due alleati si spiavano a vicenda

In pubblico le strette di mano, qualche sorriso e più di uno screzio. In privato si spiavano a vicenda con un’intensità inaudita. Il primo registrando le conversazioni tra il premier con i suoi alti ufficiali, con i deputati del Congresso Usa e i leader dei più influenti gruppi ebraici americani nel tentativo di bloccare qualsiasi […]

Bibi e Obama, così i due alleati si spiavano a vicenda

In pubblico le strette di mano, qualche sorriso e più di uno screzio. In privato si spiavano a vicenda con un’intensità inaudita. Il primo registrando le conversazioni tra il premier con i suoi alti ufficiali, con i deputati del Congresso Usa e i leader dei più influenti gruppi ebraici americani nel tentativo di bloccare qualsiasi […]

Bibi e Obama, così i due alleati si spiavano a vicenda

In pubblico le strette di mano, qualche sorriso e più di uno screzio. In privato si spiavano a vicenda con un’intensità inaudita. Il primo registrando le conversazioni tra il premier con i suoi alti ufficiali, con i deputati del Congresso Usa e i leader dei più influenti gruppi ebraici americani nel tentativo di bloccare qualsiasi […]

Bibi e Obama, così i due alleati si spiavano a vicenda

In pubblico le strette di mano, qualche sorriso e più di uno screzio. In privato si spiavano a vicenda con un’intensità inaudita. Il primo registrando le conversazioni tra il premier con i suoi alti ufficiali, con i deputati del Congresso Usa e i leader dei più influenti gruppi ebraici americani nel tentativo di bloccare qualsiasi […]

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Bibi e Obama, così i due alleati si spiavano a vicenda

In pubblico le strette di mano, qualche sorriso e più di uno screzio. In privato si spiavano a vicenda con un’intensità inaudita. Il primo registrando le conversazioni tra il premier con i suoi alti ufficiali, con i deputati del Congresso Usa e i leader dei più influenti gruppi ebraici americani nel tentativo di bloccare qualsiasi […]

La Libia e i giochi di prestigio dell’Onu

mcc43 “Il primo connotato della democrazia è un’assemblea parlamentare eletta a suffragio universale. Quando di assemblee ve ne sono due non è più democrazia ma caos.” Dalle contestate elezioni di giugno 2014 in Libia legiferavano due Parlamenti: il nuovo, eletto in giugno, migrato a Tobruk “per ragioni di sicurezza” e dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale, quello vecchio riconvocato a Tripoli. Più di […]

La Libia e i giochi di prestigio dell’Onu

mcc43 “Il primo connotato della democrazia è un’assemblea parlamentare eletta a suffragio universale. Quando di assemblee ve ne sono due non è più democrazia ma caos.” Dalle contestate elezioni di giugno 2014 in Libia legiferavano due Parlamenti: il nuovo, eletto in giugno, migrato a Tobruk “per ragioni di sicurezza” e dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale, quello vecchio riconvocato a Tripoli. Più di […]

La Libia e i giochi di prestigio dell’Onu

mcc43 “Il primo connotato della democrazia è un’assemblea parlamentare eletta a suffragio universale. Quando di assemblee ve ne sono due non è più democrazia ma caos.” Dalle contestate elezioni di giugno 2014 in Libia legiferavano due Parlamenti: il nuovo, eletto in giugno, migrato a Tobruk “per ragioni di sicurezza” e dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale, quello vecchio riconvocato a Tripoli. Più di […]

Tra Gaza e il mondo c’è Rafah. Parte seconda: Israele ed Egitto carcerieri

mcc43 La Striscia di Gaza non ha aeroporto, l’uscita via mare è preclusa; via terra i valichi verso Israele sono agibili a discrezione del governo di Tel Aviv e a Rafah – punto di uscita verso l’Egitto –  vige l’arbitrio congiunto delle autorità egiziane e israeliane con la connivenza internazionale. Prigione a cielo aperto per 1.800.000 […]

Tra Gaza e il mondo c’è Rafah. Parte seconda: Israele ed Egitto carcerieri

mcc43 La Striscia di Gaza non ha aeroporto, l’uscita via mare è preclusa; via terra i valichi verso Israele sono agibili a discrezione del governo di Tel Aviv e a Rafah – punto di uscita verso l’Egitto –  vige l’arbitrio congiunto delle autorità egiziane e israeliane con la connivenza internazionale. Prigione a cielo aperto per 1.800.000 […]

Tra Gaza e il mondo c’è Rafah. Parte seconda: Israele ed Egitto carcerieri

mcc43 La Striscia di Gaza non ha aeroporto, l’uscita via mare è preclusa; via terra i valichi verso Israele sono agibili a discrezione del governo di Tel Aviv e a Rafah – punto di uscita verso l’Egitto –  vige l’arbitrio congiunto delle autorità egiziane e israeliane con la connivenza internazionale. Prigione a cielo aperto per 1.800.000 […]

Tra Gaza e il mondo c’è Rafah. Parte prima: I costi umani

mcc43 Il confine fra la Striscia di Gaza e l’Egitto spacca la città di Rafah, un tempo tutta palestinese. Chiuso da più di cento giorni, il valico è stato riaperto il 4 e 5 dicembre. Nell’urgente necessità di uscire: 25 mila persone. Titolari, in teoria, del diritto: stranieri, studenti, malati in espatrio per cure mediche. […]

Tra Gaza e il mondo c’è Rafah. Parte prima: I costi umani

mcc43 Il confine fra la Striscia di Gaza e l’Egitto spacca la città di Rafah, un tempo tutta palestinese. Chiuso da più di cento giorni, il valico è stato riaperto il 4 e 5 dicembre. Nell’urgente necessità di uscire: 25 mila persone. Titolari, in teoria, del diritto: stranieri, studenti, malati in espatrio per cure mediche. […]

Uri Avnery: Terrorismo Internazionale ed ipocrisia

mcc43 “L’impero dell‘assurdiozia” di Uri Avnery Il cosiddetto “terrorismo internazionale” non esiste. Dichiarare una guerra contro il “terrorismo internazionale” è una cosa del tutto insensata. I politici che lo fanno sono o imbecilli o cinici o probabilmente tutti e due. Il terrorismo è un’arma. Come un cannone. Rideremo in faccia chiunque dichiarerebbe la guerra contro […]

Uri Avnery: Terrorismo Internazionale ed ipocrisia

mcc43 “L’impero dell‘assurdiozia” di Uri Avnery Il cosiddetto “terrorismo internazionale” non esiste. Dichiarare una guerra contro il “terrorismo internazionale” è una cosa del tutto insensata. I politici che lo fanno sono o imbecilli o cinici o probabilmente tutti e due. Il terrorismo è un’arma. Come un cannone. Rideremo in faccia chiunque dichiarerebbe la guerra contro […]

Turkmeni? Esistono! Sebbene i Curdi in Iraq cerchino di farli scomparire

mcc43 Il flusso quotidiano delle news ci raccontano di ciò che è funzionale o ostacolante per i paesi capofila dell’Occidente. Il popolo dei Turkmeni, o Turcomanni, non era fra questi ed è comparso nelle cronache solamente quando la Turchia ha denunciato i bombardamenti russi sulla popolazione civile turkmena di Siria. Eppure milioni di persone, etnicamente […]

Turkmeni? Esistono! Sebbene i Curdi in Iraq cerchino di farli scomparire

mcc43 Il flusso quotidiano delle news ci raccontano di ciò che è funzionale o ostacolante per i paesi capofila dell’Occidente. Il popolo dei Turkmeni, o Turcomanni, non era fra questi ed è comparso nelle cronache solamente quando la Turchia ha denunciato i bombardamenti russi sulla popolazione civile turkmena di Siria. Eppure milioni di persone, etnicamente […]

Le condoglianze dell’imam ai «ai fratelli e sorelle ebrei»

Li chiama «fratelli e sorelle». Chiude il messaggio con una frase in ebraico. Si offre di alleviare – assieme alla sua comunità – le sofferenze di chi, in questo momento, vive i suoi giorni peggiori. Firmato: l’imam. La speranza in mezzo all’orrore. Una piccola candela accesa in mezzo al buio più profondo. Buio che resta […]

Quelle condoglianze dell’imam «ai fratelli e sorelle ebrei»

Li chiama «fratelli e sorelle». Chiude il messaggio con una frase in ebraico. Si offre di alleviare – assieme alla sua comunità – le sofferenze di chi, in questo momento, vive i suoi giorni peggiori. Firmato: l’imam. La speranza in mezzo all’orrore. Una piccola candela accesa in mezzo al buio più profondo. Buio che resta […]

Quelle condoglianze dell’imam «ai fratelli e sorelle ebrei»

Li chiama «fratelli e sorelle». Chiude il messaggio con una frase in ebraico. Si offre di alleviare – assieme alla sua comunità – le sofferenze di chi, in questo momento, vive i suoi giorni peggiori. Firmato: l’imam. La speranza in mezzo all’orrore. Una piccola candela accesa in mezzo al buio più profondo. Buio che resta […]

Quelle condoglianze dell’imam «ai fratelli e sorelle ebrei»

Li chiama «fratelli e sorelle». Chiude il messaggio con una frase in ebraico. Si offre di alleviare – assieme alla sua comunità – le sofferenze di chi, in questo momento, vive i suoi giorni peggiori. Firmato: l’imam. La speranza in mezzo all’orrore. Una piccola candela accesa in mezzo al buio più profondo. Buio che resta […]

Quelle condoglianze dell’imam «ai fratelli e sorelle ebrei»

Li chiama «fratelli e sorelle». Chiude il messaggio con una frase in ebraico. Si offre di alleviare – assieme alla sua comunità – le sofferenze di chi, in questo momento, vive i suoi giorni peggiori. Firmato: l’imam. La speranza in mezzo all’orrore. Una piccola candela accesa in mezzo al buio più profondo. Buio che resta […]

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Li chiama «fratelli e sorelle». Chiude il messaggio con una frase in ebraico. Si offre di alleviare – assieme alla sua comunità – le sofferenze di chi, in questo momento, vive i suoi giorni peggiori. Firmato: l’imam. La speranza in mezzo all’orrore. Una piccola candela accesa in mezzo al buio più profondo. Buio che resta […]

Quelle condoglianze dell’imam «ai fratelli e sorelle ebrei»

Li chiama «fratelli e sorelle». Chiude il messaggio con una frase in ebraico. Si offre di alleviare – assieme alla sua comunità – le sofferenze di chi, in questo momento, vive i suoi giorni peggiori. Firmato: l’imam. La speranza in mezzo all’orrore. Una piccola candela accesa in mezzo al buio più profondo. Buio che resta […]

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Quelle condoglianze dell’imam «ai fratelli e sorelle ebrei»

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Quelle condoglianze dell’imam «ai fratelli e sorelle ebrei»

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Li chiama «fratelli e sorelle». Chiude il messaggio con una frase in ebraico. Si offre di alleviare – assieme alla sua comunità – le sofferenze di chi, in questo momento, vive i suoi giorni peggiori. Firmato: l’imam. La speranza in mezzo all’orrore. Una piccola candela accesa in mezzo al buio più profondo. Buio che resta […]

Il ritorno di John Cantlie in Dabiq: le ambiguità dell’Occidente

mcc43 John Cantlie, dopo l’assenza nelle due ultime edizioni, torna nel magazine dello Stato islamico, Dabiq12 pubblicato il 18 novembre, con un articolo intitolato  The Paradigm Shift /II. La prima parte era comparsa in Dabiq8, del mese di marzo, alla quale si può risalire da questo link .   Scriveva allora Cantlie: “Per quanto scomodo possa essere […]

Il ritorno di John Cantlie in Dabiq: le ambiguità dell’Occidente

mcc43 John Cantlie, dopo l’assenza nelle due ultime edizioni, torna nel magazine dello Stato islamico, Dabiq12 pubblicato il 18 novembre, con un articolo intitolato  The Paradigm Shift /II. La prima parte era comparsa in Dabiq8, del mese di marzo, alla quale si può risalire da questo link .   Scriveva allora Cantlie: “Per quanto scomodo possa essere […]

Europa, Terrorismo, Fanatismo: Anno zero, giorno uno

mcc43 Questo è un articolo di Marco Arnaboldi*  pubblicato in CaffèGeopolitico  e in Jihadistan che affronta con lucidità i pre-concetti e i pre-giudizi che troviamo reiterati nelle analisi degli attentati di Parigi il 13 novembre. A una loro trattazione non priva di godibile ironia segue la descrizione dei due principali atteggiamenti psicologici di chi prende coscienza dell’ inadeguatezza […]

Sei anni dopo

Sei anni (e un giorno) fa aprivo questo blog. Senza volerlo, ma solo per fare un compito. E il compito – di uno dei miei tutor alla Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano – era quello di pensare a un tema, avviare uno spazio web e scrivere post che non oscillassero dalle riflessioni sulla […]

Sei anni dopo

Sei anni (e un giorno) fa aprivo questo blog. Senza volerlo, ma solo per fare un compito. E il compito – di uno dei miei tutor alla Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano – era quello di pensare a un tema, avviare uno spazio web e scrivere post che non oscillassero dalle riflessioni sulla […]

Sei anni dopo

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Rogo di una famiglia palestinese e astuzie dello Shin Bet

mcc43 I Fatti  Notte del 31 luglio 2015: ignoti coloni ebrei appiccano il fuoco a una casa palestinese di Duma, Cisgiordania. Ali Dawabsheh, 18 mesi, è arso dalle fiamme, padre e madre muoiono nei giorni seguenti, sopravvive orrendamente ustionato Ahmad, quattro anni. L’indomani, il ministro israeliano della difesa Moshe’ Yaalon arresta Meir Ettinger e altri due giovani […]

Egitto 2015: il lento inabissarsi del carisma di Sisi

mcc43 Anche la verità comincia leggera come un’auretta, poi via via diventa temporale. Febbraio, Giugno, Agosto, Novembre: macchie sul carisma del Feldmaresciallo    *** E’ il mese di FEBBRAIO: un leak di conversazioni telefoniche  rivela che il golpe condotto da Abdel-Fatah Al-Sisi nel 2013 contro il presidente Mohammed Morsi era voluto e con profusione finanziato […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

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Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

Il blitz di curdi e americani per liberare gli ostaggi dell’Isis

Questa settimana le forze speciali americane hanno partecipato alla liberazione di 69 ostaggi (tutti curdi) da una prigione gestita dallo Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Una missione rischiosa e nella quale ha perso la vita un militare Usa, ferito durante lo scontro a fuoco e deceduto più tardi a Erbil: è il primo caduto americano nella […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

Otto morti – ebrei, israeliani – finora. Quarantaquattro arabi e palestinesi deceduti. Centinaia di feriti. Un ottobre così complicato non si vedeva da tempo. Dal 2000, da quando scoppiò la Seconda Intifada. Questa, per molti, è un’altra Intifada. L’Intifada dei coltelli. “Falafel Cafè” offre questa mappa-infografica aggiornata sulle vittime israeliane. Nella selezione vengono inserite le […]

L’Intifada dei coltelli

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La nuova vita degli israeliani e le scelte di Netanyahu

L’«Intifada dei coltelli» è proprio come l’avevano immaginato: uno stillicidio quotidiano. Esattamente quello che nel 2011 i vertici dell’intelligence israeliana avevano prospettato al premier Benjamin Netanyahu. E quello che Falafel Cafè aveva anticipato undici giorni fa. Quando le aggressioni erano ancora poche. Quando si pensava si sarebbe spento tutto. Così come spesso si spengono i […]

La nuova vita degli israeliani e le scelte di Netanyahu

L’«Intifada dei coltelli» è proprio come l’avevano immaginato: uno stillicidio quotidiano. Esattamente quello che nel 2011 i vertici dell’intelligence israeliana avevano prospettato al premier Benjamin Netanyahu. E quello che Falafel Cafè aveva anticipato undici giorni fa. Quando le aggressioni erano ancora poche. Quando si pensava si sarebbe spento tutto. Così come spesso si spengono i […]

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L’«Intifada dei coltelli» è proprio come l’avevano immaginato: uno stillicidio quotidiano. Esattamente quello che nel 2011 i vertici dell’intelligence israeliana avevano prospettato al premier Benjamin Netanyahu. E quello che Falafel Cafè aveva anticipato undici giorni fa. Quando le aggressioni erano ancora poche. Quando si pensava si sarebbe spento tutto. Così come spesso si spengono i […]

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L’«Intifada dei coltelli» è proprio come l’avevano immaginato: uno stillicidio quotidiano. Esattamente quello che nel 2011 i vertici dell’intelligence israeliana avevano prospettato al premier Benjamin Netanyahu. E quello che Falafel Cafè aveva anticipato undici giorni fa. Quando le aggressioni erano ancora poche. Quando si pensava si sarebbe spento tutto. Così come spesso si spengono i […]

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L’«Intifada dei coltelli» è proprio come l’avevano immaginato: uno stillicidio quotidiano. Esattamente quello che nel 2011 i vertici dell’intelligence israeliana avevano prospettato al premier Benjamin Netanyahu. E quello che Falafel Cafè aveva anticipato undici giorni fa. Quando le aggressioni erano ancora poche. Quando si pensava si sarebbe spento tutto. Così come spesso si spengono i […]

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La nuova vita degli israeliani e le scelte di Netanyahu

L’«Intifada dei coltelli» è proprio come l’avevano immaginato: uno stillicidio quotidiano. Esattamente quello che nel 2011 i vertici dell’intelligence israeliana avevano prospettato al premier Benjamin Netanyahu. E quello che Falafel Cafè aveva anticipato undici giorni fa. Quando le aggressioni erano ancora poche. Quando si pensava si sarebbe spento tutto. Così come spesso si spengono i […]

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L’«Intifada dei coltelli» è proprio come l’avevano immaginato: uno stillicidio quotidiano. Esattamente quello che nel 2011 i vertici dell’intelligence israeliana avevano prospettato al premier Benjamin Netanyahu. E quello che Falafel Cafè aveva anticipato undici giorni fa. Quando le aggressioni erano ancora poche. Quando si pensava si sarebbe spento tutto. Così come spesso si spengono i […]

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Sempre online, sempre in un “Non Luogo”

mcc43 Se la mente è sempre altrove, rispetto al corpo fisico, significa non essere, nella propria completezza, mai da nessuna parte. Il mio rifiuto dei device che permettono di essere sempre connessi è istintivo. Oso dire che mi ispira qualcosa di simile alla repulsione, come quando nella calca qualcuno si stringe tanto a te da […]

Sempre online, sempre in un “Non Luogo”

mcc43 Se la mente è sempre altrove, rispetto al corpo fisico, significa non essere, nella propria completezza, mai da nessuna parte. Il mio rifiuto dei device che permettono di essere sempre connessi è istintivo. Oso dire che mi ispira qualcosa di simile alla repulsione, come quando nella calca qualcuno si stringe tanto a te da […]

Sempre online, sempre in un “Non Luogo”

mcc43 Se la mente è sempre altrove, rispetto al corpo fisico, significa non essere, nella propria completezza, mai da nessuna parte. Il mio rifiuto dei device che permettono di essere sempre connessi è istintivo. Oso dire che mi ispira qualcosa di simile alla repulsione, come quando nella calca qualcuno si stringe tanto a te da […]

Scontri, proteste e paura: tensione senza fine tra israeliani e palestinesi

Un sindaco che va in giro per la sua città armato di pistola semi-automatica trasformata in una carabinetta. L’immagine del nuovo volto d’Israele (e della Cisgiordania) sta forse nel video che la tv israeliana Canale 1 ha girato lunedì sera, 5 ottobre, in una via di Beit Hanina, quartiere a maggioranza araba della città contesa. […]

Scontri, proteste e paura: tensione senza fine tra israeliani e palestinesi

Un sindaco che va in giro per la sua città armato di pistola semi-automatica trasformata in una carabinetta. L’immagine del nuovo volto d’Israele (e della Cisgiordania) sta forse nel video che la tv israeliana Canale 1 ha girato lunedì sera, 5 ottobre, in una via di Beit Hanina, quartiere a maggioranza araba della città contesa. […]

Scontri, proteste e paura: tensione senza fine tra israeliani e palestinesi

Un sindaco che va in giro per la sua città armato di pistola semi-automatica trasformata in una carabinetta. L’immagine del nuovo volto d’Israele (e della Cisgiordania) sta forse nel video che la tv israeliana Canale 1 ha girato lunedì sera, 5 ottobre, in una via di Beit Hanina, quartiere a maggioranza araba della città contesa. […]

Scontri, proteste e paura: tensione senza fine tra israeliani e palestinesi

Un sindaco che va in giro per la sua città armato di pistola semi-automatica trasformata in una carabinetta. L’immagine del nuovo volto d’Israele (e della Cisgiordania) sta forse nel video che la tv israeliana Canale 1 ha girato lunedì sera, 5 ottobre, in una via di Beit Hanina, quartiere a maggioranza araba della città contesa. […]

Scontri, proteste e paura: tensione senza fine tra israeliani e palestinesi

Un sindaco che va in giro per la sua città armato di pistola semi-automatica trasformata in una carabinetta. L’immagine del nuovo volto d’Israele (e della Cisgiordania) sta forse nel video che la tv israeliana Canale 1 ha girato lunedì sera, 5 ottobre, in una via di Beit Hanina, quartiere a maggioranza araba della città contesa. […]

Scontri, proteste e paura: tensione senza fine tra israeliani e palestinesi

Un sindaco che va in giro per la sua città armato di pistola semi-automatica trasformata in una carabinetta. L’immagine del nuovo volto d’Israele (e della Cisgiordania) sta forse nel video che la tv israeliana Canale 1 ha girato lunedì sera, 5 ottobre, in una via di Beit Hanina, quartiere a maggioranza araba della città contesa. […]

La violenza continua e il timore dello stillicidio quotidiano

È il marzo 2011. La famiglia Fogel – papà Udi (36 anni), mamma Ruth (35) e i piccoli Yoav (11), Elad (4) e Hadas (3 mesi) – sono stati uccisi poche ore prima dai cugini palestinesi Awad a Itamar, insediamento ebraico in Cisgiordania. È un massacro. Di quelli, per intenderci, che avrebbero scatenato un’offensiva militare […]

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È il marzo 2011. La famiglia Fogel – papà Udi (36 anni), mamma Ruth (35) e i piccoli Yoav (11), Elad (4) e Hadas (3 mesi) – è stata uccisa poche ore prima dai cugini palestinesi Awad a Itamar, insediamento ebraico in Cisgiordania. È un massacro. Di quelli, per intenderci, che avrebbero scatenato un’offensiva militare […]

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È il marzo 2011. La famiglia Fogel – papà Udi (36 anni), mamma Ruth (35) e i piccoli Yoav (11), Elad (4) e Hadas (3 mesi) – è stata uccisa poche ore prima dai cugini palestinesi Awad a Itamar, insediamento ebraico in Cisgiordania. È un massacro. Di quelli, per intenderci, che avrebbero scatenato un’offensiva militare […]

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È il marzo 2011. La famiglia Fogel – papà Udi (36 anni), mamma Ruth (35) e i piccoli Yoav (11), Elad (4) e Hadas (3 mesi) – è stata uccisa poche ore prima dai cugini palestinesi Awad a Itamar, insediamento ebraico in Cisgiordania. È un massacro. Di quelli, per intenderci, che avrebbero scatenato un’offensiva militare […]

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È il marzo 2011. La famiglia Fogel – papà Udi (36 anni), mamma Ruth (35) e i piccoli Yoav (11), Elad (4) e Hadas (3 mesi) – è stata uccisa poche ore prima dai cugini palestinesi Awad a Itamar, insediamento ebraico in Cisgiordania. È un massacro. Di quelli, per intenderci, che avrebbero scatenato un’offensiva militare […]

Gioco a tre in Algeria: i due Bouteflika e i Servizi Segreti

mcc43 – La faida del Presidente e del generale – Sonetrach2: terremoto nel clan Bouteflika – Chi sparò  nel compound di Zeralda? – Saïd Bouteflika, fratello e ombra – Il domani dell’Algeria Il presidente che non appare più in pubblico, licenzia il generale che non è mai apparso in pubblico… l’assurdità di un potere che si cela, […]

Gioco a tre in Algeria: i due Bouteflika e i Servizi Segreti

mcc43 – La faida del Presidente e del generale – Sonetrach2: terremoto nel clan Bouteflika – Chi sparò  nel compound di Zeralda? – Saïd Bouteflika, fratello e ombra – Il domani dell’Algeria Il presidente che non appare più in pubblico, licenzia il generale che non è mai apparso in pubblico… l’assurdità di un potere che si cela, […]

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Una domenica a Gerusalemme sulla Spianata delle Moschee

Slogan e proteste. Ma anche – e soprattutto – sassi grandi e piccoli, bottiglie incendiarie, pezzi di edifici centenari staccati da usare come arma, fuochi d’artificio. Tutti, o quasi, mascherati. Tutti contro le autorità israeliane. È stata una domenica convulsa al Monte del Tempio, il luogo sacro per i musulmani e anche per gli ebrei. […]

Una domenica a Gerusalemme sulla Spianata delle Moschee

Slogan e proteste. Ma anche – e soprattutto – sassi grandi e piccoli, bottiglie incendiarie, pezzi di edifici centenari staccati da usare come arma, fuochi d’artificio. Tutti, o quasi, mascherati. Tutti contro le autorità israeliane. È stata una domenica convulsa al Monte del Tempio, il luogo sacro per i musulmani e anche per gli ebrei. […]

Una domenica a Gerusalemme sulla Spianata delle Moschee

Slogan e proteste. Ma anche – e soprattutto – sassi grandi e piccoli, bottiglie incendiarie, pezzi di edifici centenari staccati da usare come arma, fuochi d’artificio. Tutti, o quasi, mascherati. Tutti contro le autorità israeliane. È stata una domenica convulsa al Monte del Tempio, il luogo sacro per i musulmani e anche per gli ebrei. […]

Una domenica a Gerusalemme sulla Spianata delle Moschee

Slogan e proteste. Ma anche – e soprattutto – sassi grandi e piccoli, bottiglie incendiarie, pezzi di edifici centenari staccati da usare come arma, fuochi d’artificio. Tutti, o quasi, mascherati. Tutti contro le autorità israeliane. È stata una domenica convulsa al Monte del Tempio, il luogo sacro per i musulmani e anche per gli ebrei. […]

Sulla genesi della stupidità

mcc43 da  Dialettica dell’Iluminismo Il simbolo dell’intelligenza è l’antenna della chiocciola “dalla vista odorante” che, secondo Mefistofele*, serve anche per annusare. L’antenna si ritira subito, davanti all’ostacolo, nella custodia protettiva del corpo; torna a fare una sola cosa col tutto e  solo con estrema cautela si avventura di nuovo come organo indipendente. Se il pericolo e […]

Sulla genesi della stupidità

mcc43 da  Dialettica dell’Iluminismo Il simbolo dell’intelligenza è l’antenna della chiocciola “dalla vista odorante” che, secondo Mefistofele*, serve anche per annusare. L’antenna si ritira subito, davanti all’ostacolo, nella custodia protettiva del corpo; torna a fare una sola cosa col tutto e  solo con estrema cautela si avventura di nuovo come organo indipendente. Se il pericolo e […]

Sulla genesi della stupidità

mcc43 da  Dialettica dell’Iluminismo Il simbolo dell’intelligenza è l’antenna della chiocciola “dalla vista odorante” che, secondo Mefistofele*, serve anche per annusare. L’antenna si ritira subito, davanti all’ostacolo, nella custodia protettiva del corpo; torna a fare una sola cosa col tutto e  solo con estrema cautela si avventura di nuovo come organo indipendente. Se il pericolo e […]

Sharon, Falangi Libanesi e Reagan: gli assassini di Sabra e Shatila

mcc43 1982, Prima Guerra del Libano che Israele chiamò “Operazione Pace in Galilea” Ronald Reagan mandò Philip Habib a negoziare un cessate il fuoco in seguito al quale i combattenti dell’OLP si ritirarono dal Libano dietro esplicita garanzia che gli Stati Uniti d’America, con l’autorità e la promessa del presidente Ronald Reagan, avrebbero tutelato la […]

Sharon, Falangi Libanesi e Reagan: gli assassini di Sabra e Shatila

mcc43 1982, Prima Guerra del Libano che Israele chiamò “Operazione Pace in Galilea” Ronald Reagan mandò Philip Habib a negoziare un cessate il fuoco in seguito al quale i combattenti dell’OLP si ritirarono dal Libano dietro esplicita garanzia che gli Stati Uniti d’America, con l’autorità e la promessa del presidente Ronald Reagan, avrebbero tutelato la […]

Sharon, Falangi Libanesi e Reagan: gli assassini di Sabra e Shatila

mcc43 1982, Prima Guerra del Libano che Israele chiamò “Operazione Pace in Galilea” Ronald Reagan mandò Philip Habib a negoziare un cessate il fuoco in seguito al quale i combattenti dell’OLP si ritirarono dal Libano dietro esplicita garanzia che gli Stati Uniti d’America, con l’autorità e la promessa del presidente Ronald Reagan, avrebbero tutelato la […]

Sharon, Falangi Libanesi e Reagan: gli assassini di Sabra e Shatila

mcc43 1982, Prima Guerra del Libano che Israele chiamò “Operazione Pace in Galilea” Ronald Reagan mandò Philip Habib a negoziare un cessate il fuoco in seguito al quale i combattenti dell’OLP si ritirarono dal Libano dietro esplicita garanzia che gli Stati Uniti d’America, con l’autorità e la promessa del presidente Ronald Reagan, avrebbero tutelato la […]

John Cantlie e la Siria, due diversi fallimenti dell’Occidente

mcc43 Negli ultimi due numeri del periodico dello Stato Islamico, Dabiq_10 e Dabiq_11, non compaiono più articoli firmati da John Cantlie. Conspicuous absence of “article” from John Cantlie in new issue of #IS magazine Dabiq (not that there was ever proof it was actually him). — Charlie Winter (@charliewinter) July 13, 2015 Come dice il […]

John Cantlie e la Siria, due diversi fallimenti dell’Occidente

mcc43 Negli ultimi due numeri del periodico dello Stato Islamico, Dabiq_10 e Dabiq_11, non compaiono più articoli firmati da John Cantlie. Conspicuous absence of “article” from John Cantlie in new issue of #IS magazine Dabiq (not that there was ever proof it was actually him). — Charlie Winter (@charliewinter) July 13, 2015 Come dice il […]

John Cantlie e la Siria, due diversi fallimenti dell’Occidente

mcc43 Negli ultimi due numeri del periodico dello Stato Islamico, Dabiq_10 e Dabiq_11, non compaiono più articoli firmati da John Cantlie. Conspicuous absence of “article” from John Cantlie in new issue of #IS magazine Dabiq (not that there was ever proof it was actually him). — Charlie Winter (@charliewinter) July 13, 2015 Come dice il […]

John Cantlie e la Siria, due diversi fallimenti dell’Occidente

mcc43 Negli ultimi due numeri del periodico dello Stato Islamico, Dabiq_10 e Dabiq_11, non compaiono più articoli firmati da John Cantlie. Conspicuous absence of “article” from John Cantlie in new issue of #IS magazine Dabiq (not that there was ever proof it was actually him). — Charlie Winter (@charliewinter) July 13, 2015 Come dice il […]

Libano: Governo muto, You Stink in piazza e dentro il Ministero

mcc43 Martedì 1 settembre 2015 : è accaduto ciò che era prevedibile. Il Governo non ha risposto alle richieste del movimento. Solo una piccola commedia: Mohammed Manchouk ha rassegnato le dimissioni dalla Commissione per i rifiuti, non dal Ministero dell’Ambiente, il premier Tammam Salam le ha respinte, e lui è rimasto al suo posto. Anche fisicamente […]

Libano: Governo muto, You Stink in piazza e dentro il Ministero

mcc43 Martedì 1 settembre 2015 : è accaduto ciò che era prevedibile. Il Governo non ha risposto alle richieste del movimento. Solo una piccola commedia: Mohammed Manchouk ha rassegnato le dimissioni dalla Commissione per i rifiuti, non dal Ministero dell’Ambiente, il premier Tammam Salam le ha respinte, e lui è rimasto al suo posto. Anche fisicamente […]

Libano: Governo muto, You Stink in piazza e dentro il Ministero

mcc43 Martedì 1 settembre 2015 : è accaduto ciò che era prevedibile. Il Governo non ha risposto alle richieste del movimento. Solo una piccola commedia: Mohammed Manchouk ha rassegnato le dimissioni dalla Commissione per i rifiuti, non dal Ministero dell’Ambiente, il premier Tammam Salam le ha respinte, e lui è rimasto al suo posto. Anche fisicamente […]

Libano: Governo muto, You Stink in piazza e dentro il Ministero

mcc43 Martedì 1 settembre 2015 : è accaduto ciò che era prevedibile. Il Governo non ha risposto alle richieste del movimento. Solo una piccola commedia: Mohammed Manchouk ha rassegnato le dimissioni dalla Commissione per i rifiuti, non dal Ministero dell’Ambiente, il premier Tammam Salam le ha respinte, e lui è rimasto al suo posto. Anche fisicamente […]

Governo Libano: 72 ore per rispondere a quattro richieste!

mcc43 Sabato 29 agosto a Beirut la piazza  ha ribadito alla classe politica: You Stink. Folla pacifica, forze dell’ordine poco numerose a vigilare senza intervenire, mentre piccoli droni volavano sulla testa dei manifestanti; a convocazione sciolta, gruppetti di guastatori, presto dissuasi dai manganelli della polizia.    “La paura non ci paralizza più” dice un giovane […]

Governo Libano: 72 ore per rispondere a quattro richieste!

mcc43 Sabato 29 agosto a Beirut la piazza  ha ribadito alla classe politica: You Stink. Folla pacifica, forze dell’ordine poco numerose a vigilare senza intervenire, mentre piccoli droni volavano sulla testa dei manifestanti; a convocazione sciolta, gruppetti di guastatori, presto dissuasi dai manganelli della polizia.    “La paura non ci paralizza più” dice un giovane […]

Governo Libano: 72 ore per rispondere a quattro richieste!

mcc43 Sabato 29 agosto a Beirut la piazza  ha ribadito alla classe politica: You Stink. Folla pacifica, forze dell’ordine poco numerose a vigilare senza intervenire, mentre piccoli droni volavano sulla testa dei manifestanti; a convocazione sciolta, gruppetti di guastatori, presto dissuasi dai manganelli della polizia.    “La paura non ci paralizza più” dice un giovane […]

Governo Libano: 72 ore per rispondere a quattro richieste!

mcc43 Sabato 29 agosto a Beirut la piazza  ha ribadito alla classe politica: You Stink. Folla pacifica, forze dell’ordine poco numerose a vigilare senza intervenire, mentre piccoli droni volavano sulla testa dei manifestanti; a convocazione sciolta, gruppetti di guastatori, presto dissuasi dai manganelli della polizia.    “La paura non ci paralizza più” dice un giovane […]

“You Stink”: il Libano ai libanesi

mcc43 “Quali sono gli obiettivi di You Stink ?” “Vogliamo tre cose. Primo: smantellare il monopolio politico sulla raccolta dei rifiuti. Chiediamo che sia lasciata alla competenza della municipalità. Secondo: non vogliamo che la raccolta rifiuti venga parcellizzata, significherebbe tante fette per i vari partiti. Terzo: responsabilità, chiediamo che siano designati dei responsabili. “ A […]

“You Stink”: il Libano ai libanesi

mcc43 “Quali sono gli obiettivi di You Stink ?” “Vogliamo tre cose. Primo: smantellare il monopolio politico sulla raccolta dei rifiuti. Chiediamo che sia lasciata alla competenza della municipalità. Secondo: non vogliamo che la raccolta rifiuti venga parcellizzata, significherebbe tante fette per i vari partiti. Terzo: responsabilità, chiediamo che siano designati dei responsabili. “ A […]

“You Stink”: il Libano ai libanesi

mcc43 “Quali sono gli obiettivi di You Stink ?” “Vogliamo tre cose. Primo: smantellare il monopolio politico sulla raccolta dei rifiuti. Chiediamo che sia lasciata alla competenza della municipalità. Secondo: non vogliamo che la raccolta rifiuti venga parcellizzata, significherebbe tante fette per i vari partiti. Terzo: responsabilità, chiediamo che siano designati dei responsabili. “ A […]

“You Stink”: il Libano ai libanesi

mcc43 “Quali sono gli obiettivi di You Stink ?” “Vogliamo tre cose. Primo: smantellare il monopolio politico sulla raccolta dei rifiuti. Chiediamo che sia lasciata alla competenza della municipalità. Secondo: non vogliamo che la raccolta rifiuti venga parcellizzata, significherebbe tante fette per i vari partiti. Terzo: responsabilità, chiediamo che siano designati dei responsabili. “ A […]

Tiriamo su un muro! La mania dilagante in Medio Oriente

mcc43 “Tiri giù questo muro!” declamò Ronald Reagan all’indirizzo di Gorbacev nel  discorso alla Porta di Brandeburgo del 1987. Come andò con il Muro di Berlino è storia passata, nella storia presente i Muri, al contrario, si moltiplicano. Li costruiamo in Europa contro i migranti. In America contro l’afflusso dal Messico, nell’Africa Occidentale li costruisce […]

Tiriamo su un muro! La mania dilagante in Medio Oriente

mcc43 “Tiri giù questo muro!” declamò Ronald Reagan all’indirizzo di Gorbacev nel  discorso alla Porta di Brandeburgo del 1987. Come andò con il Muro di Berlino è storia passata, nella storia presente i Muri, al contrario, si moltiplicano. Li costruiamo in Europa contro i migranti. In America contro l’afflusso dal Messico, nell’Africa Occidentale li costruisce […]

Tiriamo su un muro! La mania dilagante in Medio Oriente

mcc43 “Tiri giù questo muro!” declamò Ronald Reagan all’indirizzo di Gorbacev nel  discorso alla Porta di Brandeburgo del 1987. Come andò con il Muro di Berlino è storia passata, nella storia presente i Muri, al contrario, si moltiplicano. Li costruiamo in Europa contro i migranti. In America contro l’afflusso dal Messico, nell’Africa Occidentale li costruisce […]

Tiriamo su un muro! La mania dilagante in Medio Oriente

mcc43 “Tiri giù questo muro!” declamò Ronald Reagan all’indirizzo di Gorbacev nel  discorso alla Porta di Brandeburgo del 1987. Come andò con il Muro di Berlino è storia passata, nella storia presente i Muri, al contrario, si moltiplicano. Li costruiamo in Europa contro i migranti. In America contro l’afflusso dal Messico, nell’Africa Occidentale li costruisce […]

Quelle minacce (via app) alla scuola che insegna la convivenza ad arabi ed ebrei

Se la sono presa anche con una scuola arabo-ebraica. Per tentare di uccidere qualsiasi tentativo di coesistenza pacifica. Annientarla sin dalla culla. E se proprio non si può così presto allora bisogna attivarsi per farlo il prima possibile. Magari sin dalle classi. E, perché no, anche semplicemente instillando paura con la tecnologia. Chi nei giorni […]

Quelle minacce (via app) alla scuola che insegna la convivenza ad arabi ed ebrei

Se la sono presa anche con una scuola arabo-ebraica. Per tentare di uccidere qualsiasi tentativo di coesistenza pacifica. Annientarla sin dalla culla. E se proprio non si può così presto allora bisogna attivarsi per farlo il prima possibile. Magari sin dalle classi. E, perché no, anche semplicemente instillando paura con la tecnologia. Chi nei giorni […]

Che cosa è successo all’ Egitto?

mcc43 L’articolo Whatever is the matter with Egypt? sostiene la tesi del declino dell’Egitto come potenza leader regionale. L’autore Hisham Melhem, analista e direttore di Al Arabiya News Channel di Washington, ne identifica le principali motivazioni, così definendole: Il sacrilegio culturale, Vivere nella negazione, Disperato bisogno di celebrazioni, Giornate insanguinate, Dialogo strategico con un amico difficile. […]

Che cosa è successo all’ Egitto?

mcc43 L’articolo Whatever is the matter with Egypt? sostiene la tesi del declino dell’Egitto come potenza leader regionale. L’autore Hisham Melhem, analista e direttore di Al Arabiya News Channel di Washington, ne identifica le principali motivazioni, così definendole: Il sacrilegio culturale, Vivere nella negazione, Disperato bisogno di celebrazioni, Giornate insanguinate, Dialogo strategico con un amico difficile. […]

Che cosa è successo all’ Egitto?

mcc43 L’articolo Whatever is the matter with Egypt? sostiene la tesi del declino dell’Egitto come potenza leader regionale. L’autore Hisham Melhem, analista e direttore di Al Arabiya News Channel di Washington, ne identifica le principali motivazioni, così definendole: Il sacrilegio culturale, Vivere nella negazione, Disperato bisogno di celebrazioni, Giornate insanguinate, Dialogo strategico con un amico difficile. […]

Che cosa è successo all’ Egitto?

mcc43 L’articolo Whatever is the matter with Egypt? sostiene la tesi del declino dell’Egitto come potenza leader regionale. L’autore Hisham Melhem, analista e direttore di Al Arabiya News Channel di Washington, ne identifica le principali motivazioni, così definendole: Il sacrilegio culturale, Vivere nella negazione, Disperato bisogno di celebrazioni, Giornate insanguinate, Dialogo strategico con un amico difficile. […]

Vivere da Egiziani: piccole storie di quotidiano tormento

mcc43 Questo articolo non tratta dei vertici dello stato egiziano ma della base: dei cittadini e della vita sotto l’attuale regime, che non ha intaccato le storture del passato e ne sta aggiungendo di nuove. Non c’è velleità di descrivere compiutamente la quotidianità di un paese di così grande estensione e stridenti differenze, è solo […]

Vivere da Egiziani: piccole storie di quotidiano tormento

mcc43 Questo articolo non tratta dei vertici dello stato egiziano ma della base: dei cittadini e della vita sotto l’attuale regime, che non ha intaccato le storture del passato e ne sta aggiungendo di nuove. Non c’è velleità di descrivere compiutamente la quotidianità di un paese di così grande estensione e stridenti differenze, è solo […]

Le dure parole del presidente che scuotono Israele

Perché, poi, quand’è troppo è troppo. E hai voglia ad aggrapparti a tutto quel che di diplomatico c’è in te. Hai voglia ad appellarti a tutta la tua esperienza e alla tua vecchiaia. Che non sei uno qualunque, ma il presidente dello Stato d’Israele. E ti hanno svegliato alle prime luci dell’alba per dirti che […]

Le dure parole del presidente che scuotono Israele

Perché, poi, quand’è troppo è troppo. E hai voglia ad aggrapparti a tutto quel che di diplomatico c’è in te. Hai voglia ad appellarti a tutta la tua esperienza e alla tua vecchiaia. Che non sei uno qualunque, ma il presidente dello Stato d’Israele. E ti hanno svegliato alle prime luci dell’alba per dirti che […]

Israeliani a Hebron – Al-Khalil: ridere del “mostro” si può e si deve

mcc43 Non può una risata seppellire l’impianto vessatorio dello Stato di Israele, no. Non può. Tuttavia saper vedere il versante del ridicolo nella crudeltà dell’agire e fare lo zoom sulla stupidità coltivata nei suoi stessi servi in divisa è un’operazione salvifica per le capacità di giudizio di noi tutti. Il “cattivo” in ogni narrazione emana un’aura […]

Israeliani a Hebron – Al-Khalil: ridere del “mostro” si può e si deve

mcc43 Non può una risata seppellire l’impianto vessatorio dello Stato di Israele, no. Non può. Tuttavia saper vedere il versante del ridicolo nella crudeltà dell’agire e fare lo zoom sulla stupidità coltivata nei suoi stessi servi in divisa è un’operazione salvifica per le capacità di giudizio di noi tutti. Il “cattivo” in ogni narrazione emana un’aura […]

“Noi non siamo dei pervertiti”: il coming out di massa di 40 ebrei ultraortodossi

All’ennesima dichiarazione omofoba non ce l’hanno fatta. Hanno aspettato, invano, un paio d’ore nella speranza che qualche altro leader replicasse. Che smentisse. Che criticasse. Quando attorno a quelle parole hanno notato solo il silenzio hanno aperto un file Word, hanno scritto alcune frasi. Poi hanno messo – uno dopo l’altro – nomi e cognomi. «Eccoci […]

“Noi non siamo dei pervertiti”: il coming out di massa di 40 ebrei ultraortodossi

All’ennesima dichiarazione omofoba non ce l’hanno fatta. Hanno aspettato, invano, un paio d’ore nella speranza che qualche altro leader replicasse. Che smentisse. Che criticasse. Quando attorno a quelle parole hanno notato solo il silenzio hanno aperto un file Word, hanno scritto alcune frasi. Poi hanno messo – uno dopo l’altro – nomi e cognomi. «Eccoci […]

Un “pezzo di Libia” condanna alla fucilazione Saif al Islam Gheddafi

mcc43 Dal giorno della cattura da parte della milizia della tribù Zintan, Saif al Islam Gheddafi è detenuto in regime di segregazione; è possibile che abbia una limitata libertà di movimento nella località di detenzione, ma con l’impossibilità di comunicare sia con i mezzi d’informazione che con i difensori nei vari processi pendenti. L’ultima sua […]

Un “pezzo di Libia” condanna alla fucilazione Saif al Islam Gheddafi

mcc43 Dal giorno della cattura da parte della milizia della tribù Zintan, Saif al Islam Gheddafi è detenuto in regime di segregazione; è possibile che abbia una limitata libertà di movimento nella località di detenzione, ma con l’impossibilità di comunicare sia con i mezzi d’informazione che con i difensori nei vari processi pendenti. L’ultima sua […]

Frammenti del Corano ritrovati e Sincronicità

mcc43 La scoperta è dell’italiana Alba Fedeli, la conferma è del laboratorio di Oxford: i due antichi frammenti con versetti del Corano risalgono a 1400 anni fa.  Poiché il culmine della predicazione del Profeta Muhammad è il 622, anno dell’emigrazione a Medina, i frammenti databili tra il 568 e il 645 d.C. potrebbero essere stati redatti […]

«Non ha la licenza in Israele», spenta la tv palestinese

Una tv palestinese per gli arabo-israeliani che trasmette nello Stato ebraico grazie ai soldi di Ramallah? No, grazie. O, meglio, mai e poi mai, come sembra abbia detto pochi giorni fa il premier Benjamin Netanyahu. Irritato, raccontano, quando gli hanno fatto vedere qualche secondo di F48, la tv generalista nuova di zecca il cui nome […]

Freedom Flotilla e la vergogna d’Israele

mcc43 In solidarietà con quei cittadini israeliani la cui onorabilità è quotidianamente sfigurata dalle azioni illegali e dalle manipolazioni dell’informazione del loro governo Gideon Levy : la flottiglia della pace e la propaganda Israeliana  da Frammenti vocali La macchina della propaganda israeliana ha raggiunto i massimi livelli della sua frenesia disperata. Ha distribuito i menu dei […]

Mali e Azawad: una pace che perpetua il conflitto

mcc43 1960: un tratto di penna sulla carta geografica istituisce un grande stato federale che subito si spacca con il distacco del Senegal. Resta il Mali che nella sua metà a nord si estende nel deserto da sempre abitato, principalmente, dai Tuareg: l’Azawad. Quando i capi tribali compresero che la loro terra era diventata soggetta […]

Ventimiglia: umanità in stazione

mcc43 Giorno 17 giugno. Del reporter a me manca la convinzione che porre domande sia un diritto. Così aspetto di vedere sul viso dell’altra persona la voglia di raccontare mentre  cammino in un corridoio della stazione di Ventimiglia. Passo fra file di donne, bambini, qualche uomo. Sono accomodati alla meglio su coperte stese in terra. […]

Lettera da Gaza

mcc43 GAZA: LA SPERANZA, NONOSTANTE IL DOLORE Il giorno in cui un gruppo di Palestinesi ha iniziato lo sciopero della fame a oltranza contro la persistente chiusura del valico di Rafah ho inviato l’articolo a Shaker, un internet_amico della Striscia. Ecco la risposta: “Non ne ho sentito parlare, ma è normale. E tu hai sentito […]

Tunisia : Fermati cinque terroristi a Jendouba.

Questa mattina, a Souk Jemaa,nei pressi della città di Jendouba,nel nord ovest della Tunisa,l’unità d’indagine nazionale per la lotta al terrorismo, in collaborazione con la guardia nazione del distretto di Beja e Jendouba,ha arrestato cinque terroristi. 

” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

Tunisia : Fermati cinque terroristi a Jendouba.

Questa mattina, a Souk Jemaa,nei pressi della città di Jendouba,nel nord ovest della Tunisa,l’unità d’indagine nazionale per la lotta al terrorismo, in collaborazione con la guardia nazione del distretto di Beja e Jendouba,ha arrestato cinque terroristi. 

” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

Tunisia : Fermati cinque terroristi a Jendouba.

Questa mattina, a Souk Jemaa,nei pressi della città di Jendouba,nel nord ovest della Tunisa,l’unità d’indagine nazionale per la lotta al terrorismo, in collaborazione con la guardia nazione del distretto di Beja e Jendouba,ha arrestato cinque terroristi. 

” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

Tunisia : Fermati cinque terroristi a Jendouba.

Questa mattina, a Souk Jemaa,nei pressi della città di Jendouba,nel nord ovest della Tunisa,l’unità d’indagine nazionale per la lotta al terrorismo, in collaborazione con la guardia nazione del distretto di Beja e Jendouba,ha arrestato cinque terroristi. 

” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

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Questa mattina, a Souk Jemaa,nei pressi della città di Jendouba,nel nord ovest della Tunisa,l’unità d’indagine nazionale per la lotta al terrorismo, in collaborazione con la guardia nazione del distretto di Beja e Jendouba,ha arrestato cinque terroristi. 

” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

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” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

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” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

Tunisia : Fermati cinque terroristi a Jendouba.

Questa mattina, a Souk Jemaa,nei pressi della città di Jendouba,nel nord ovest della Tunisa,l’unità d’indagine nazionale per la lotta al terrorismo, in collaborazione con la guardia nazione del distretto di Beja e Jendouba,ha arrestato cinque terroristi. 

” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

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Questa mattina, a Souk Jemaa,nei pressi della città di Jendouba,nel nord ovest della Tunisa,l’unità d’indagine nazionale per la lotta al terrorismo, in collaborazione con la guardia nazione del distretto di Beja e Jendouba,ha arrestato cinque terroristi. 

” Il gruppo ” – secondo una nota del ministero dell’interno tunisino – ” stava preparando degli attentati contro sedi della polizia tunisina nella regione ”. ” Il gruppo ” sempre secondo il ministero dell’interno – ” era in contatto con alcune cellule terroristiche tutt’ora attive in Libia ed era impegnata nella ricerca di fondi da destinare alle varie cellule presenti nel territorio nazionale ”. 

Su quel che resta del Matrimonio, eliminando l’eterosessualità

mcc4 Il movimento di opinione che nei media descrive il matrimonio omosessuale come un passo avanti nella civiltà trascura di definire gli esatti termini della questione. Con epimeteica noncuranza, si legifera su equiparazione “nozze gay” e matrimonio alla maniera di semplice modifica linguistica delle leggi esistenti. Al pubblico non si danno informazioni: si suscitano impressioni e […]

Il bimbo del campo di sterminio nel documentario di Hitchcock

A ottantadue anni – e 9.343 chilometri di distanza – settimana scorsa ha fatto il solito da un po’ di tempo a questa parte: accendere il computer, aprire la cartella dei preferiti sul suo browser, cliccare «Times of Israel» e leggere le notizie sullo Stato ebraico, sul nuovo governo Netanyahu e sulla vita quotidiana in […]

Sì, John Cantlie, questa è “La Tempesta Perfetta”

mcc43 “Essi complottano, Dio complotta” è il titolo dell’ultimo magazine dello Stato Islamico, Dabiq9, che questa volta risparmia al lettore irritanti lungaggini e riferimenti astrusi, limitando altresì l’eccesso d’invocazioni religiose, perlomeno negli articoli senza intento didattico per i militanti. – L’articolo sulle cospirazioni (pag.14) dà il titolo all’intera pubblicazione e riprende le più note teorie complottiste in […]

I giornali, l’attentato del Bardo e il Minotauro

mcc43 “Secondo i media tunisini, che riportano indiscrezioni dell’inchiesta sull’attenato al museo del Bardo, il 18 marzo, giorno della strage, Abdelmajid Touil, il marocchino arrestato mercoledì nel Milanese, avrebbe incontrato in place Pasteur i due terroristi poi uccisi dalle forze speciali al museo. Proprio con loro si sarebbe poi diretto verso il Bardo.” (da Tgcom24) […]

Regime d’ Egitto: l’Esercito e la Croce

mcc43 Il secondo anniversario del colpo di stato in Egitto si avvicina. Il generale, ora Presidente, Abd Al-Fattah Al-Sisi per la comunità internazionale non è un golpista, bensì – come fu per Pinochet con la dittatura cilena – una pedina d’interessi estranei all’Egitto e alla sua popolazione. Il feroce controllo sui media e i social […]

I timori degli occidentali sul nuovo governo Netanyahu

Per carità, un po’ di credito si concede sempre. Soprattutto se il governo deve ancora iniziare a lavorare. Però. Però c’è agitazione tra le cancellerie europee – e non solo – a Tel Aviv. Il nuovo esecutivo di Benjamin Netanyahu – risicato, risicatissimo (61 seggi su un totale di 120) –, ecco, il nuovo esecutivo […]

Shoah, il Memoriale che tutti vogliono (ma non vicino casa)

Un monumento per gli ebrei annientati durante l’Olocausto? Bisogna farlo, il prima possibile. Ma, ecco, non in quel parco lì, vicino casa mia. Magari più in là. Il fatto è che il progetto c’è, la firma di un archistar pure (Daniel Libeskind) e i fondi (6,8 milioni di dollari) sono stati raccolti. Però. Però ecco […]

Michel Houellebecq e la “Sottomissione” al nostro nulla

mcc43 Spesso i lettori tentano d’intuire quello che gli autori rivelano di sè, mentre Amos Oz sostiene che il buon lettore non si pone fra la storia e lo scrittore, ma fra la storia e se stesso. “Domanda a te stesso. Delle cose tue” suggerisce. Dalla comparsa del romanzo Sottomissione è iniziata una ridda d’ipotesi sul […]

Michel Houellebecq e la “Sottomissione” al nostro nulla

mcc43 Antonio Gramsci scrisse che il Cristianesimo si è adattato “molecolarmente” diventando una grande ipocrisia sociale e che il processo a piccole tappe è avvenuto nel corso di vari secoli. Per l’Islàm, aggiunse Gramsci, c’è la costrizione a correre vertiginosamente, ma alla fin fine reagirà proprio come il Cristianesimo. L’integrazione dei musulmani in Europa ha […]

Il boia nazista di Albenga “politicamente protetto”. Sempre

mcc43 Luciano Luberti (25 aprile 1921-10 dicembre 2002) Nazista perchè “i fascisti erano spacconi” Boia ad Albenga. Uxoricida a Roma. Pedina degli Anni di Piombo.   UXORICIDA A ROMA: Era defilato da anni Luberti, fu un fattaccio di cronaca nera nella Roma degli anni ’70 a riportarlo ignominiosamente a galla. E’ il 3 aprile: Carla Gruber […]

Il boia nazista di Albenga “politicamente protetto”. Sempre

mcc43 Luciano Luberti (25 aprile 1921-10 dicembre 2002) Nazista perchè “i fascisti erano spacconi” Boia ad Albenga. Uxoricida a Roma. Pedina degli Anni di Piombo. UXORICIDA A ROMA: Era defilato da anni Luberti, fu un fattaccio di cronaca nera nella Roma degli anni ’70 a riportarlo ignominiosamente a galla. E’ il 3 aprile: Carla Gruber viene […]

Convenzione di Montevideo: Isis è uno “stato”?

mcc43 IS (ISIS) usa il terrorismo, ma non è solo un gruppo terrorista. Foreign Affairs Secondo la Convenzione di Montevideo, IS possiede i 4 requisiti che definiscono lo stato? L’articolo Paradigm Shift in Dabiq8 mira a soddisfare il quarto requisito fissato dalla Convenzione? 1. IS usa il terrorismo, ma non è solo un gruppo terrorista    La […]

Convenzione di Montevideo: Isis è uno “stato”?

mcc43 IS (ISIS) usa il terrorismo, ma non è solo un gruppo terrorista. Foreign Affairs Secondo la Convenzione di Montevideo, IS possiede i 4 requisiti che definiscono lo stato? L’articolo Paradigm Shift in Dabiq8 mira a soddisfare il quarto requisito fissato dalla Convenzione? 1. IS usa il terrorismo, ma non è solo un gruppo terrorista    La […]

Oved Natan, l’angelo custode dei leader d’Israele

Sapeva che non sarebbe stata una passeggiata. Fin dal primo giorno. Quando, fresco d’investitura, gli toccò soccorrere Levi Eshkol colpito da un infarto che gli sarebbe stato fatale. Quel 26 febbraio 1969 non se lo sarebbe più dimenticato. E l’avrebbe raccontato sempre, a chiunque gli chiedeva del suo lavoro, il più difficile al mondo, di […]

Oved Natan, l’angelo custode dei leader d’Israele

Sapeva che non sarebbe stata una passeggiata. Fin dal primo giorno. Quando, fresco d’investitura, gli toccò soccorrere Levi Eshkol colpito da un infarto che gli sarebbe stato fatale. Quel 26 febbraio 1969 non se lo sarebbe più dimenticato. E l’avrebbe raccontato sempre, a chiunque gli chiedeva del suo lavoro, il più difficile al mondo, di […]

Lo Stato Islamico, Dabiq8, gli analisti e John Cantlie

mcc43 C’erano varie ragioni per stare col fiato sospeso il 30 marzo. Erano in corso lo scontro decisivo a Tikrit, l’intervento saudita in Yemen, le ultime battute della trattativa sul nucleare iraniano e nei social media imperversavano i vaniloqui sul disastro Germanwings. Questo ed altro ancora hanno deviato l’attenzione dalla pubblicazione del magazine dello Stato […]

Lo Stato Islamico, Dabiq8, gli analisti e John Cantlie

mcc43 C’erano varie ragioni per stare col fiato sospeso il 30 marzo. Erano in corso lo scontro decisivo a Tikrit, l’intervento saudita in Yemen, le ultime battute della trattativa sul nucleare iraniano e nei social media imperversavano i vaniloqui sul disastro Germanwings. Questo ed altro ancora hanno deviato l’attenzione dalla pubblicazione del magazine dello Stato […]

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Cari lettori,

Questo blog sta traslocando.

10 anni fa avevo scelto questa piattaforma Overblog perchè era innovativa, di facile uso, senza pubblicità e con ampie possibilità.

Poco a poco la qualità e l’innovatività della piattaforma si è persa. La nuova versione che si voleva più “adaptive” cioè adattata alle esigenze di lettura su vari supporti: pc, table, telefono… si è rivelata anche meno comoda e meno facile da utilizzare. Il colmo è arrivato negli ultimi mesi con l’introduzione di molta pubblicità e con forme molto invasive. A questo punto credo che è arrivato il tempo di migrare di nuovo.

L’indirizzo ufficiale rimane sempre www.karimmetref.info

Ma l’indirizzo effettivo è: https://karimmetref.wordpress.com/

Ci vediamo di là.

La piattaforma overblog non permettendo l’export dei contenuti se non a pagamento, dovrò copiare i miei articoli uno ad uno. E per ciò per il momento l’archivio dei miei pezzi scritti in 10 anni di blog rimarrà qui.

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L’assassinio di monsignor Oscar Romero, la “voce dei senza voce”

mcc43 Il 24 marzo del 1980 il vescovo Oscar Arnulfo Romero sta celebrando messa in una chiesa di San Salvador. Alle 18.26 – mentre eleva il calice per la Consacrazione – un’auto si ferma davanti all’ingresso spalancato, scende un uomo, prende la mira, e da dove si trova, spara. Un solo colpo alla testa, la morte […]

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La vittoria di Bibi Netanyahu, il risiko delle alleanze

A poche ore dal voto s’è lanciato a destra. Molto a destra. «Se sarò rieletto primo ministro non ci sarà uno Stato palestinese», ha detto dal podietto allestito alla periferie di Gerusalemme. E mentre lo diceva sullo sfondo trionfavano i cantieri e i palazzi in costruzione per l’allargamento di Har Homa, un insediamento ebraico in […]

Elezioni in Israele, da Netanyahu ai Pirati: ecco i partiti in corsa

Centro-sinistra contro destra. Isaac Herzog e Tzipi Livni contro il premier uscente Benjamin Netanyahu. In secondo piano tutti gli altri. L’ultradestra. I religiosi. I centristi. La sinistra. Ma anche una formazione di sole donne ultraortodosse. Eppoi i simpatizzanti della marijuana. I verdi. I Pirati. Martedì 17 marzo circa sei milioni d’israeliani (5.881.696 per la precisione) […]

L’Iraq e la fabbrica delle Vedove

mcc43 Dura da dodici anni la mattanza degli uomini iracheni. Guerra, pulizia etnica, violenza settaria, e poi l’Isis e le forze straniere provvedono a riempire i cimiteri e fabbricare vedove. E’ una tragedia silenziosa quella delle vedove in Iraq. Più di un milione, si dice già da qualche anno, ma ogni giorno il numero cresce e […]

L’Iraq e la fabbrica delle Vedove

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Elezioni in Israele, le proiezioni e le possibili coalizioni

Alla fine l’ago della bilancia potrebbe essere il nuovo entrato. Un po’ come accadde nell’altra tornata elettorale con «Yesh Atid» del giornalista-conduttore Yair Lapid. «Kulanu», la formazione creata poche settimane fa da Moshe Kahlon (ex ministro del premier uscente Benjamin Netanyahu) con i suoi 8 seggi – secondo la media degli ultimi sondaggi – rischia […]

La stretta di Netanyhau sull’America. Beware, Obama!

mcc43 Sebbene il discorso del premier israeliano sia stato preceduto da polemiche e seguito da critiche, agli osservatori  sfugge il sentore eversivo. Tra gli applausi del Congresso degli Stati Uniti, in seduta congiunta sotto la presidenza dell’Ambasciatore d’Israele, Netanyhau ha mostrato a Obama quanto facilmente potrebbe impedirgli di ottenere la ratifica di eventuali accordi con […]

La stretta di Netanyhau sull’America. Beware, Obama!

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Video porno tra le piramidi di Giza, è scandalo in Egitto

Storia e cultura. Mistero e letteratura. E, da ora, anche tette e scene a luci rosse, sguardi ammiccanti e amplessi. L’incredibile che diventa prima possibile. Poi fattibile. Perché, confusi tra quelle migliaia di turisti, sotto al sole cocente e tra le piramidi, c’erano pure degli attori porno. In piena attività. Scandalo a Giza. Polemiche al […]

Insulti e richiami all’Olocausto, ecco le lettere all’ambasciata israeliana di Berlino

«Assassini, vi odiano tutti». «Che Dio possa punire voi e le vostre famiglie». «Sono molto felice che Hitler vi abbia quasi fatti sparire qui in Germania, ebrei vaff…». «L’umanità vivrà in pace soltanto quando l’ultimo di voi ebrei sarà sepolto». «Sfruttate l’Olocausto perché siete troppo pigri per lavorare». Si potrebbe andare avanti così, di questo […]

Egitto, il ritorno della tortura nell’era di Al Sisi

mcc43   “L’omertà del Governo sui report circa l’uccisione con strumenti elettrici del professore universitario la dicono lunga sul corso dell’Egitto dopo la Primavera araba” (hrw. 2 marzo) …… “Il Guardian rivela che da luglio 2013 almeno 400 persone sono state  detenute e torturate all’oscuro dell’autorità giudiziaria in prigioni militari segrete”  (World without torture, febbraio) ” …… […]

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Le leggi crudeli, parte seconda: Israele e i divorzi infernali

mcc43 segue da Le leggi crudeli, parte prima: Bambini israeliani strappati alle famiglie Marianne Azizi è psicologa, una professionista londinese di successo fino al giorno in cui la sua vita e gli affetti sono stati sconvolti. Sposata con un cittadino israeliano, si è scontrata con le leggi dello stato che impediscono al marito Ilan di […]

Le leggi crudeli, parte prima: Bambini israeliani strappati alle famiglie

mcc43 Sappiamo poco delle dinamiche sociali dello stato di Israele e del rapporto che intrattiene con la cittadinanza. Forse non ce ne curiamo. Attribuiamo a quella realtà così diversa le stesse modalità del nostro paese, tanto è radicata la convinzione che “Israele è  l’unica democrazia del Medio Oriente”. Capita, tuttavia, che si aprano squarci che […]

Soldati del 1943: guerra, campo di concentramento e dopo 70 anni una medaglia

mcc43 La Germania li chiamò “Internati Militari”. Erano i soldati italiani che dopo l’8 settembre ebbero improvvisamente come nemico l’alleato del giorno prima. Presi prigionieri vennero avviati ai campi di concentramento del Reich. Riconoscere lo status di prigionieri avrebbe significato applicare le norme previste dalla Convenzione di Ginevra e questo la Germania non volle farlo. Li trattò […]

1986: Gheddafi a Enzo Biagi “L’America è uno stato terrorista”

mcc43 Il 14 aprile 1986 Enzo Biagi intervista Gheddafi nel compound di Bab-al-Azyzia, alle porte di Tripoli. Otto ore dopo, il giorno 15, gli Stati Uniti lanciano contro Tripoli l’Operazione El Dorado Canyon. Il bombardamento colpì pesantemente la casa di Gheddafi, uccise la figlia adottiva e quaranta libici; una vittima americana per l’abbattimento di un […]

Sicurezza e rivali, ecco come Netanyahu corre verso la vittoria (salvo sorprese)

Tutto deciso. Salvo sorprese. Perché alle elezioni mancano ancora dei giorni (23, per la precisione). E perché lo scenario mediorientale – incasinato com’è, soprattutto in questi ultimi anni – non lascia spazio alla prevedibilità. E però chi ha avuto contatti con lo staff di Benjamin Netanyahu parla di un’atmosfera elettrizzante dentro il Likud, il partito […]

Siria: Isis e gli altri. Le mappe rivelatrici

mcc43 A dicembre 2014, il New York Times ha pubblicato i commenti riservati sull’Isis del generale Michael K. Nagata, comandante delle operazioni speciali per gli Stati Uniti in Medio Oriente: “Non abbiamo sconfitto l’idea. Non l’abbiamo ancora nemmeno capita”. **** 23 settembre 2014 – Inizia l’offensiva aerea contro l’Isis in Siria. La coalizione è formata da circa […]

Kayla Mueller “Ho imparato che anche in prigione si può essere liberi”

mcc43 Ostaggi coraggiosi Kayla Mueller, John Cantlie, Susan Dabbous, Domenico Quirico…  La faccia jihadista terrificante, un interesse condiviso da Occidente e Stato Islamico E’ il 14 aprile 2013, Susan Dabbous torna in Italia insieme ai compagni di prigionia in Siria. Nelle interviste “ringrazia la Farnesina del cui aiuto non ha mai dubitato”. Racconta di essere stata trattata fisicamente […]

John Cantlie: finché Isis mi consente di vivere, bacchetterò i nostri ingannevoli governi

mcc43 Il nuovo magazine Isis è comparso in rete il 12 febbraio: Dall’ipocrisia all’apostasia è il titolo. Anche questa volta si chiude con un lungo articolo a firma di John Cantlie: The Anger Factory, la fabbrica della collera. L’originale in inglese si può leggere o scaricare dal pdf allegato: Dabiq7, alla pagina 76. Nella prima parte Cantlie tratta delle […]

L’indignatissima signora che tappa la bocca a Obama

mcc43 Giorno nero, situazione imbarazzante. Obama è al microfono e inizia il discorso. Tra il pubblico una signora, una piccola donna che incrociata per strada sembrerebbe come tante, imprime al meeting una svolta non prevista dal servizio di sicurezza. Voce potente quanto l’indignazione, inizia a snocciolare accuse, quelle che molti vorrebbero rivolgere al presidente degli […]

Golpe con tangente: Al Sisi d’Egitto e i Paesi del Golfo

mcc43 Il Faraone è stato denudato. Un media turco ha pubblicato la registrazione di un colloquio di   Abdel Fattah Al-Sisi  ai tempi in cui  era Ministro della Difesa e mirava alla presidenza. Una conversazione a tre, l’ufficio di uno degli interlocutori, la televisione accesa in sottofondo. Con Al Sisi chiacchierano due generali: l’attuale capo dello staff presidenziale […]

Elezioni in Israele, se a decidere saranno errori (e scandali)

Noi o lui. Noi o loro. Comunque vadano le elezioni del 17 marzo in Israele c’è già un vincitore: la personalizzazione della politica. Per cui i partiti sono relegati sullo sfondo. E in scena la sfida è tutta giocata sui volti dei leader e sulle loro parole, sulle malefatte (presunte) delle mogli e sugli scandali […]

Risposta a "Lettera aperta a un amico musulmano" di Francesca Paci

Risposta a “Lettera aperta a un amico musulmano” di Francesca Paci pubblicata sulla Stampa.it

Cara Francesca,

Ti scrivo in risposta alla tua ultima lettera. Lo so, lo so… Era indirizzata a Mohammad e io mi chiamo Karim. Era rivolta a un credente musulmano e io sono ateo. Ma se era intestata al tuo amico Mohammad, era nello stesso tempo indirizzata a un “Voi” contrapposto ad un “Noi”. E siccome, per il mio nome, per le mie origini, per i miei gusti alimentari, musicali e tanti altri motivi, so che non mi consideri facente parte del tuo “Noi”, è quindi ovvio che io faccia parte di quel “Voi” a cui hai tanto da rimproverare. Ed è per questo che mi sento di rispondere.

Tutto sommato, accusi tutti “Noi” di non condannare abbastanza le atrocità dei “nostri” terroristi. Di non prenderci le nostre responsabilità… e di cercare sempre qualche tesi complottistica per trovare delle scuse a quelli che sgozzano e massacrano redazioni intere e buttano aerei contro le vostre torri… Dici che chi lo fa è uno dei “nostri”, anche se cerchiamo di negarlo. Dici che il cancro che ci sta rosicchiando le ossa viene dalle nostre cellule malate e non da fuori. Ci dici che le letture più oscurantiste del Corano sono parte di noi e fin che non lo riconosciamo non riusciremo a prenderne abbastanza distanza. Te invece, i tuoi sbagli si collocano tutti in un passato remoto che non oltrepassa i primi 30 anni del secolo scorso. In quanto cristiana moderna, ti tieni stretto tutto il progresso dell’umanità, compresi “gli atei, i volteriani, gli irriverenti”. Tutti dalla parte “vostra”. Dalla “nostra” invece cancelli Omar Khayam, i sufi, Al Hallaj, i mu’tasila, ibnu Rochd, Ibnu Sina… Scomparsi i riformatori musulmani del dopo guerra, i tentativi socialisti. Polverizzati Ataturk, Nasser e Bourguiba. Oscurati i milioni di laici credenti e non credenti che lottano tutti i giorni contro l’oscurantismo, contro l’intolleranza… Via tutto! A “Noi” ci lasci nudi e soli testa a testa con Al Baghdadi e i suoi tagliagole.

Hai ragione cara amica. Hai azzeccato tutto. Abbiamo tutte le malattie che descrivi: il vittimismo, il complottismo, l’oscurantismo, la difficoltà a prendere distanza dalla violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti, i conti non fatti con i nostri estremismi… e anche qualcosa di più. La trave che oscura il nostro occhio è enorme. Enorme quanto il nostro smarrimento. Hai ragione.

Siccome ti preoccupi della mia salute, faccio altrettanto. Tu, invece, come stai? Sei andata dal dottore ultimamente? Ti sei fatta vedere da un oculista? Perché come tu vedi bene la trave nel mio occhio, anche io, con quello valido, vedo benissimo quella che esce dal tuo di occhio. Non mi sembra proprio più piccola della mia.

Mi citi l’ingiusta guerra in Iraq. Ma dimmi: davanti ai miei dubbi, all’epoca, sul contenuto della boccetta di Colin Powell, non mi dicesti che era il solito complottismo arabo? O ricordo male? Dimmi, ancora: cosa hai fatto per fermare quella guerra che oggi dici ingiusta? Hai preso le distanze? Hai rifiutato di scaldarti o di rifornire la tua macchina con il petrolio ottenuto con quei metodi?

Quando, 4 anni fa (il 21 agosto 2011 per l’esattezza) il comandante Abdelhakim Belhadj, noto membro di Al Qaida, fece il suo ingresso trionfale a Tripoli, alla testa del suo “Gruppo dei combattenti islamici libici”, finanziati dal Qatar, armati dalla Francia e addestrati dai servizi americani (sono informazioni che si trovano anche nell’archivio del tuo giornale, non sono prese dal sito degli adoratori del pianeta Nibiru), tu che facesti? Scrivesti qualche lettera ai tuoi “Noi” per chiedere perché si stava rigiocando la stessa carta di Al Qaeda, dichiarata nemico pubblico numero uno dopo l’undici settembre? Forse non ti ricordi che poi Belhadj volò subito dopo la caduta del regime libico in Turchia e con i suoi uomini inaugurò la stagione dell’arrivo dei combattenti stranieri in Siria? Io invece da degno complottista ho una ottima memoria: Non dimentico nulla!

Forse Daesh, come hai scelto di chiamarlo, e Al Nusra non sono una creazione della Cia o del Mossad? Io non arrivo a tanto. Non lo so. Ma so invece con certezza che gli stati occidentali e i loro alleati del Golfo hanno dato una seria mano a rimettere gli integralisti armati in sella, dopo che, all’inizio, le primavere arabe gli avevano mandati in terzo piano. Il perchè non lo so. Chiedilo tu ai “tuoi”

Cosa hai detto ai “tuoi” quando, pochi giorni fa, con voce unanime, hanno salutato il defunto re Abdullah come un loro amico di sempre? Hai forse sottolineato il fatto che quello ai funerali del quale erano accorsi, tutti, era uno dei principali mandanti del massacro di Charlie Hebdo? Hai sottolineato forse che che non si può “mangiare con il lupo e piangere con il pastore”, come si dice da “Noi”? Hai mai chiesto perché i nemici dichiarati del terrorismo islamico (chiamalo pure così, non ti preoccupare per la “nostra” sensibilità) sono nello stesso tempo i migliori amici dei suoi principali sponsor? Ti sei fatta tutte queste domande sulle contraddizioni di “Voi”altri o sei troppo presa con quelle di “Noi”altri?
E poi per finire, siccome stiamo chiarendo le cose, dimmi una cosa: se il Dio, in nome del quale i “nostri” vanno a massacrare in giro, si chiama Allah, qual é il nome di quello in nome del quale lo fanno i “vostri”? Potrebbe essere “Dollaro”, per caso?

Un cordiale Saluto.

Karim METREF

Devastare poi ammonire: Tre minuti dall’Apocalisse

mcc43 L’Apocalisse si avvicina? L’autocritica degli scienziati dov’è? Gli scienziati dell’Università di Chicago, molti dei quali reduci dal Progetto Manhattan per la creazione della prima bomba nucleare, escogitarono il Doomsday Clock, letteralmente: Orologio del Giorno del Giudizio Universale, in pratica, un conto alla rovescia verso la distruzione planetaria. All’origine, 1947,  l’indicatore registrava il pericolo di una guerra […]

Israele contro Hezbollah e Iran, una faida targata “18”

mcc43 Domenica 18 gennaio un elicottero israeliano centra una colonna di automezzi in movimento in territorio siriano, zona delle Alture del Golan. 12 vittime. Spiccano il generale dei Guardiani della Rivoluzione dell’Iran Mohammad Allahdadi, i comandanti di Hezbollah Mohammed “Abu” Issa e il giovane Jihad Mughniyeh, figlio di Imad, lo storico capo militare ucciso da Israele nel […]

Quando muore un criminale, bisogna per forza andare al funerale?

« Re Abdullah con Dick Cheney e  George H.W. Bush, Agosto 2005 »  photo by David Bohrer - Wikimedia

« Re Abdullah con Dick Cheney e George H.W. Bush, Agosto 2005 » photo by David Bohrer – Wikimedia

Non auguro mai la morte a qualcuno. chiunque sia. Credo anche sia auspicabile dare rispetto ai morti qualche siano stati i loro meriti e le loro colpe in vita. Ma detto questo. Se domani uno dei tanti boss della mafia muore in carcere o in latitanza, dobbiamo tutti andare a camminare dietro la bara piangendo e dicendo a chi ci vuole ascoltare che quello steso davanti era una brava persona? Credo proprio di no. E invece è quello a cui abbiamo assitito a livello planetario nei giorni scorsi.

 

In questi giorni è morto il re dell’Arabia Saudita, Abdallah ben Abdelaziz al-Saud. Membro della dinastia al-Saud, figlio di re Abdelaziz Ibn Saud, il fondatore, grazie ai servizi britannici, dell’Arabia Saudita, stato inventato di sana pianta mettendo insieme due province dell’ex impero ottomano, il Najd e il Hejaz, per servire i piani di divisione del mondo dei maggiori imperi coloniali di allora (e anche di adesso).
È stato il principe ereditario e regnante de facto dal 1995 al 2005 a causa dello stato di salute dell’allora re Fahd, il suo fratellastro, per salire poi ufficialmente sul trono all’età di 71 anni dopo la morte di quest’ultimo. Con un patrimonio personale stimato in 18,5 miliardi dollari è classificato nella 3° posizione dei re più ricchi. Ma è sicuramente alla testa di un clan di circa 25000 persone che insieme controllano la più grossa fortuna del mondo.
Un clan che gestisce il paese come una proprietà privata. In effetti l’Arabia Saudita è l’unico paese al mondo che porta ufficialmente il nome di una famiglia. Questo clan scelto dagli inglesi perché legati ad una rigida tradizione conservatrice e ad una lettura ottusa dei dettami dell’islam: il Wahhabismo, che è un movimento politico-religioso fondato nel XVIII secolo da Muhammad ibn Abd al-Wahhab sulla base di una visione puritana e rigorista della tradizione musulmana che va contro la maggior parte delle altre dottrine dell’Islam e sopratutto va contro ogni forma di religiosità popolare e nello stesso contro ogni pensiero razionale o innovazione. L’ideale quando si vuole mantenere un popolo arretrato e ignorante. Non a caso gli inglesi misero da parte le grandi famiglie del Hejaz che stavano cercando di andare verso forme di modernizzazione della loro società per scegliere i beduini del deserto del Hejaz e tra questi la famiglia più conservatrice e più arretrata di tutte.

Bisogna pur dire che in un clan così vasto e così ricco qualcuno di intelligente e di aperto c’è stato e ci sono stati anche timidi tentativi di cambio di direzione ma che sono stati repressi anche con la morte, quando era necessario per mantenere la linea dura.

Da quando è al potere, il clan ha mantenuto il paese sotto una cappa di piombo. La loro polizia religiosa gira in continuazione per far rispettare gli spietati dettami della loro pseudo morale religiosa, che obbliga le classi inferiori a vivere in un inferno dove ogni espressione di amore o di sessualità è repressa quando poi loro vanno in giro per il mondo a spendere i loro miliardi in divertimento, alcool, droghe, sesso, gioco d’azzardo e altri vizi.

Nel paese più ricco del pianeta le differenze sociali sono estreme. Nessuno muore di fame ma le classi più povere sono giusto giusto al livello della sopravvivenza. Persistono varie forme di schiavitù di fatto e gli immigrati in modo particolare sono trattati come pura merce che si usa e poi si butta via, senza nessun diritto, nessun rispetto. Le donne sono recluse. Non possono uscire liberamente, non possono guidare, non possono intrattenere rapporti sociali con maschi estranei alla propria famiglia. Chi esce dalle regole imposte dal regime, viene frustato nel migliore dei casi, nel peggiore può essere decapitato o lapidato pubblicamente.

È il caso, ad esempio del blogger 31enne, Raif Badawi, condannato a 10 anni di carcere, a pagare una multa di 270 mila dollari, e in più a 1000 frustate (che in queste settimana le vengono somministrate al ritmo di 50 frustate ogni venerdì pomeriggio dopo la preghiera di mezzogiorno) tutto questo per aver osato criticare il regime sul suo blog.

In questi casi il silenzio dei milioni di “#jesuischarlie” diventa assordante come una cannonata. Dove sono le fiaccolate, dove sono le interrogazioni parlamentari, le prese di posizione delle istituzioni, i ritratti srotolati lungo la facciata dei comuni, come è stato giustamente il caso quando era il regime iraniano o sudanese a condannare qualcuno o qualcuna? Dove sono questi innamorati della democrazia e della libertà di espressione?

Ma peggio di quello che fa la famiglia Ibn Saud in Arabia c’è solo quello che fanno in giro per il mondo, da mezzo secolo in qua. Miliardi spesi per diffondere la loro ideologia arretrata, le loro idee storte della vita e della società. Tonnellate di libri, cassette video, dvd, cd, cassette audio distribuite gratuitamente attraverso il mondo. Scuole aperte in molti paesi poveri, nei quartieri più disagiati, in Asia e in Africa. Borse studio per i migliori di queste scuole nelle università del regno, per produrre sempre più imam oscurantisti e moltiplicatori delle loro idee malate. Ecco come in luoghi in cui 20 anni fa ancora molte donne di famiglie musulmane continuavano ad andare a seno nudo come tutte le altre, oggi sono arrivati i burqa ed è arrivato il Boko Haram!

Ma oltre la diffusione della sola cultura dell’integralismo, il regno saudita e i suoi vicini degli emirati del golfo hanno creato e finanziato migliaia di gruppi armati di fanatici in giro per il mondo, sfruttando il malessere vero di popolazioni oppresse per spingerli verso una radicalizzazione non in nome della loro oppressione ma in nome della loro diversità religiosa: dalla Cecenia alla Bosnia, dalle Filippine allo Xinjiang; dall’Algeria alla Nigeria.

 

Tutto questo però non viene mai nominato quando si parla di scontro di civiltà, di guerra al terrore. Il presidente François Hollande, una settimana dopo la marcia pseudo-repubblicana di Parigi, ha reso omaggio al re Abdullah salutando “la memoria di un uomo di Stato il cui lavoro ha profondamente segnato la storia del suo paese e la cui visione di una pace giusta e duratura in Medio Oriente resta più valida che mai.” Visione di una pace giusta e duratura!!!

Perché si fa la guerra al terrore ma nello stesso tempo si va a braccetto con i capi terroristi? Perché si entra nello scontro di civiltà per difendere la libertà e si è nello stesso tempo alleati strategici del principale sponsor dell’oscurantismo di cui è accusato l’altro campo?

Molti dicono che dopo tutto, l’Arabia è un paese sovrano e ha il diritto di avere una propria politica estera. Anche diversa da quella dei suoi alleati. Ma la verità è che le monarchie del golfo possono permettersi di avere le politiche che hanno perché hanno le spalle coperte. Ci ricordiamo tutti di come Saddam Hussein impiegò 24 ore per ridurre in polvere l’esercito del Kuwait. Se non fu per l’intervento di molte nazioni saggiamente allineate dietro ai padroni del mondo post guerra fredda, il Koweit oggi non esisterebbe più e sarebbe semplicemente una delle province della repubblica (dittatoriale sì, ma) laica irachena. É per la fine che fece Saddam che oggi l’Arabia Saudita e il minuscolo Qatar possono permettersi di entrare a mettere mani nella politica interna della Libia, della Tunisia, dell’Egitto, dello Yemen e soprattutto della Siria. È perché hanno le spalle coperte dalla pesante presenza militare della Nato e di Israele nella regione che i paesi del golfo, in testa l’Arabia saudita possono pesare con l’iniezione di soldi, armi e mercenari, nelle politiche interne di vari paesi del mondo. Non c’entra niente la sovranità. C’entra un piano comune di gestione della regione e del mondo. Una gestione sotto il segno degli affari sporchi e della guerra infinita, fine a se stessa. Semplicemente perché i signori della guerra da una parte e l’altra ne traggono ampiamente beneficio. Perché le famiglie ricche alla testa di più della metà delle risorse di questo pianeta non hanno né nazionalità, né colore, né religione, e quando uccidono (o fanno uccidere da un terrorista o da un soldato) non è per religione, non è per civiltà, e l’unico valore che difendono è quello dei loro conti nei paradisi fiscali.

 

E allora io dico che il rispetto lo dobbiamo a ogni morte, ricco o povero, sultano o figlio del ghetto. Ma nessuno mi venga a cantare le lodi del criminale morto. Perché chi va a piangere al funerale di un criminale, chi ne canta le lodi sono solo i suoi compari: i criminali!

Se per Netanyahu la politica israeliana è un asilo nido

La politica israeliana? Un asilo nido. Parola di «Bibi». Di tempo ne manca ancora. Del resto si vota il 17 marzo. Cioè tra cinquanta giorni. Ma a seguire tv e giornali, siti web e profili social dei più grandi partiti per ora sembra esserci soltanto un partito: il Likud. Quello del premier uscente, Benjamin Netanyahu. […]

Il rapporto Islam e Cristianesimo, pilastro di 1400 anni di Storia

mcc43 L’incontro/ Punti di contrasto teologico/ Universalismi a confronto/ Contrasto politico e “Guerra Santa”/ Il “Fanatismo” e le annotazioni di Antonio Gramsci/ I rapporti dopo il Concilio Vaticano II   Nella dialettica dell’Islam e del Cristianesimo l’autentico terreno di confronto è la teologia, riservata ai dotti, mentre l’ambito palese ha natura politica. La politica di adattamento alle condizioni […]

Le miss di due Paesi in guerra e quel selfie finito sotto accusa

L’una, Saly Greige (miss Libano), dice che è stato un agguato. Ché, nella realtà, lei è sempre stata attenta a evitare ogni contatto come la legge impone. L’altra, Doron Matalon (miss Israele), si rammarica. Invita a tenere fuori qualsiasi ostilità. Loro – le rispettive popolazioni che da casa assistono alla scena – commentano e scrivono […]

Charlie Hebdo, l’uovo del serpente

mcc43 La narrazione mediatica punta il dito contro l’Islam. Impone una divisione fra buona e cattiva religione, chiedendo ai buoni di schierarsi per chi ha sempre insultato i loro simboli. L’effetto più evidente è fomentare l’islamofobia. Numerose le moschee attaccate e le persone emarginate come nell’episodio che si leggerà in fondo al post. E’ in […]

Bersagli e tardiva comprensione della “politica” Jihadista

mcc43 La strage alla sede di Charlie Hebdo non è tutto ciò che suscita il cordoglio, l’attacco prosegue con l’apertura di un secondo punto di crisi il giorno 9. Da 48 ore due terroristi tengono in scacco, concreto e psicologico, una delle più grandi nazioni del mondo. Ascoltando il fiume di ipotesi con cui i […]

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!


Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordoglio, di solidarietà, di condanna… Anche io sono sgomento, lo sono per ogni persona che muore nel modo in cui sono morti questi ultimi. Sono solidale e feroce sostenitore della libertà di espressione. Sono triste perché alcuni dei vignettisti di Charlie Hebdo (Wolinski in modo particolare, che ho anche conosciuto ad Algeri un secolo fa) mi appassionavano e hanno accompagnato con loro feroce e dissacrante satira tutta la mia adolescenza e i miei desideri di allora (ma anche di oggi) di mandare tutto il mondo a farsi f…

Ma mi dispiace, io non scriverò che sono Charlie Hebdo. Non metterò una bandiera nera sul mio profilo Facebook e non posterò nessun disegno di Charb e nemmeno di Wolinski che mi piace tanto… E se avete tempo di leggere il mio lungo ragionamento vi spiego il perché.

Charlie Hebdo nasce nel 1992 ma la squadra che lo fonda viene da una lunga storia di giornali di satira libertaria. Quello che si può considerare come l’antenato di Charlie è “Hara-kiri” dove lavoravano già vari membri dell’attuale redazione. Hara-kiri se la prendeva con i potenti, con De Gaulle, con l’esercito, con la chiesa e fu varie volte chiuso e riaperto sotto varie forme e titoli.

Era divertente, dissacrante, feroce qualche volta. Ma sapeva di quella aria di libertà dell’epoca. Oggi il Charlie Hebdo è cambiato. Lo si compra ancora, qualche volta, perché ha un nome. Il suo pubblico non è più l’operaio o lo studente senza una lira, ma la “gauche-caviar” della Parigi bene.

Negli ultimi anni poi ha preso una linea editoriale apertamente islamofoba. Non è il fatto di prendere ogni tanto in giro una religione. Quello l’ha sempre fatto anche con la chiesa cattolica. Il problema non è qui. Se prendesse in giro i musulmani, l’islam, il profeta, dio o qualsiasi altro persona o simbolo sacro non ci vedrei personalmente niente di sbagliato. Ma le numerose campagne di Charlie Hebdo contro i musulmani, l’islam, i simboli sacri di questa religione sapevano di accanimento. Faceva parte di una certa cultura molto diffusa negli ambienti che una volta erano stati di sinistra e che oggi sono solo sinistramente cinici. Ambienti che hanno definitivamente deciso di stare dalla parte dei forti e che non hanno più nessuna bataglia vera da portare avanti. Una ex sinistra che si è arresa mani e piedi legati alla logica di mercato, al dominio delle banche e ultimamente anche alla retorica dello scontro di civiltà. Una ex sinistra che considera che l’integralismo islamico sia l’unico e ultimo pericolo che minaccia l’umanità. Una ex sinistra che non ha più sogni né progetti del resto e che si accontenta di guardare il mondo dall’alto della sua presunta superiorità culturale.

Ma non è per questo che non metterò nessun segno di cordoglio per i morti di Charlie Hebdo. Non riconosco a nessuno il diritto di ammazzare nessuno in nome di niente e ancor meno in nome di una qualunque discordanza di opinioni. Le mie ragioni sono altre.

L’attacco alla redazione del giornale satirico viene in un momento particolare. Ancora un anno fa non si parlava per niente di integralismo. Era quasi scomparso dalle prime pagine. E se si vedevano immagini di barbuti in armi nelle strade di Tripoli o di Aleppo venivano chiamati “Rivoluzionari”. E si cantavano le lodi di questi bravi ragazzi. Si legge ovunque che i bravi ragazzi ricevono aiuti da tutte le parti. Si legge un po’ meno che in Siria i ragazzi prendono il controllo di varie stazioni di estrazione di petrolio e che la Turchia, uno stato membro della Nato glielo compra tranquillamente. Si legge ancora meno che oltre agli aiuti e alle migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo in aiuto dei bravi ragazzi ci sono anche consiglieri militari che insegnano ai bravi ragazzi a combattere…

Poi all’improvviso tutto cambia. Ritornano a chiamarlo terrorismo, le uccisioni di membri delle minoranze finora taciute vengono a gala. I servizi segreti di tutti i paesi della nato (e i loro numerosi alleati) fanno tutti finta di cadere dalle nuvole scoprendo che migliaia di giovani sono partiti dalle loro città per dare man forte ai “rivoluzionari”. Non sapevano nulla, pare. E noi a scandalizzarci con loro.

Sono ormai decenni che questo giochetto va avanti. Le reti che oggi si chiamano Al Qaeda e poi Isis, Boko Haram e compagnia bella sono stati messi in sella in piena guerra fredda in chiave anti-sovietica. I paesi del Golfo persico in collaborazione con la Nato hanno fatto un montaggio finanziario, propagandistico e organizzativo per far arrivare combattenti da ogni dove. Al Qaeda è l’alleato principale della Nato e ovviamente dei paesi del golfo fino agli anni novanta. Poi poco a poco scivola verso l’area di illegalità.

Intanto la guerra fredda stava finendo e Samuel P. Huntington preannunciava un nuovo conflitto e lo battezzava “scontro di civiltà”.

Nel frattempo arriva la guerra d’Algeria. Centinaia di giovani rientrati dall’Afghanistan contribuiscono a formare i primi nuclei dei Gruppi Islamici Armati. Gruppi che, insieme all’esercito algerino (che anche lui non ha scherzato) hanno fatto passare al paese due decenni infernali. Nel frattempo nelle moschee londinesi soprattutto ma anche francesi, italiane tedesche, individui poco raccomandabili predicavano la lotta armata in Algeria e raccoglievano soldi e facevano fare affari d’oro all’industria delle armi. L’Algeria stava uscendo da una era socialista e aveva bisogno di una piccola spintarella per privatizzare le sue enormi risorse energetiche. E come per miracolo ad ogni concessione firmata con una multinazionale veniva chiusa una rete di sostegno all’integralismo armato. Poi quando le multinazionali presero il controllo del petrolio algerino, le reti diventarono terroristiche e furono smantellate ovunque. O almeno così ci disse la stampa libera del mondo libero.

Fatto sta che nel 2001 ci fu l’11 settembre e ci fu una vera e propria isteria. Chi non aveva terroristi islamici da arrestare se li inventava. Tutti volevano avere la loro minaccia il loro mini attacco. Non fu mai chiaro né chi né perché né come furono eseguiti gli attentati di quel giorno ma cadevano a fagiolo per giustificare le nuove politiche di controllo militare dell’area del medio oriente volute dai neo-cons americani. Sono ormai 14 anni che va avanti la loro war on terror e non ha prodotto che sempre più terror e sempre nuove wars.

Ma poi i Neo-cons se ne sono andati e arriva Obama, che dice di voler ritirare le truppe e se ne va al Cairo e fa un discorso lungo e forte in cui dice che tende la sua mano per aiutare alla creazione di un “Nuovo medioriente”. Poco dopo quel discorso le piazze arabe cominciano a muoversi. Il mondo scopre che nel mondo arabo non ci sono solo militari baffuti e ribelli barbuti. In mezzo ci sono popoli colorati e variegati che aspirano, tutto sommato, alle stesse cose di tutti i popoli: dignità, libertà, benessere… Gli islamisti sono del tutto assenti dalle piazze o quasi. Comunque non hanno l’iniziativa. Seguono qualche volta. Qualche volta si ritirano. Ma il “La” lo danno giovani laici, colti e amanti della libertà e dei diritti umani.

Ma questo non soddisfa tutti, sembra. Già nel maggio del 2011, i servizi segreti russi (generalmente ben informati per quel che mi risulta) davano l’allarme sull’imminente ricostruzione di reti integraliste internazionali sotto il commando dello specialista saudita in materia: il principe Bandar Assudairi Ben Saud, artefice di vari gruppi e varie guerriglie islamiste attraverso il mondo. L’obiettivo riportare l’islamismo politico alla testa delle rivolte. L’informazione fu ripresa soltanto dalla rete Voltaire, ufficialmente classificata nel rango dei complottisti e tutti fecero finta di niente.

Oggi tutto quello che era previsto in quell’avvertimento si è avverato e anche di più.

In Libia un comandante “ex” Al Qaeda alla testa di un esercito armato dal Qatar e l’Arabia Saudita e addestrato dalla CIA prende la città di tripoli che le milizie tribali non riuscivano a conquistare e il paese diventa una specie di territorio liberato per i gruppi armati di ogni tipo. In Yemen l’Arabia Saudita rimette il vecchio regime in piedi ma stranamente gruppi armati spuntano ovunque come funghi. In Egitto e Tunisia i fratelli musulmani sono portati al potere su un tappeto di petrodollari. In Siria non ne parliamo… Il resto della storia lo sappiamo.

Nel frattempo in occidente le moschee (non tutte per fortuna ma quelle più estremiste e che sarebbero in teoria anche quelle più monitorate dai servizi) hanno ripreso a diventare luoghi di raccolta fondi e reclutamento. Domani forse se qualche giudice indaga troppo da vicino sul perché, potrà esserci più di un nuovo caso Abu Omar. E poi adesso, da meno di un anno, tutti a gridare al lupo. Ma a che gioco giochiamo. Qualcuno ce lo può spiegare?

Sono ormai 30 anni che i servizi di tutto il mondo giocano come si gioca con il fuoco con i gruppi integralisti. Sono controllati, sono infiltrati, sono gonfiati quando servono e sgonfiati quando non servono. Del resto è quello che si è anche fatto e che si continua a fare con vari gruppi estremisti di destra e di sinistra dalla seconda guerra in qua. Chi si ricorda della sigla “Stai Behind” e dei finti attentati (ma con veri morti) attraverso tutta Europa sa di che sto parlando.

Oggi c’è bisogno di far salire la posta in gioco. La crisi chiede guerre. Le nuove guerre per il controllo del Medio Oriente hanno bisogno di legittimità. La crisi ha sputtanato tutta la classe politica europea e solo la salita degli estremismi di destra può spingere la gente a rivotarli di nuovo. Non ti piace Renzi ma siccome c’è il rischio Salvini (chi sa come mai è sempre in Tv quello?) allora ci vai e lo voti. Del resto anche le reti dell’integralismo armato hanno bisogno di far salire il livello di tensione. Chi vive di violenza e per la violenza ne ha bisogno come dell’ossigeno. Stanno nella stessa logica anche loro.

E allora adesso, commesso il fattaccio, tutti i fascistoidi, che avrebbero volentieri fatto esplodere la testa al gruppo Charlie Hebdo per le vecchie posizioni antifasciste o per le loro posizioni sull’omosessualità e altri temi del genere… Tutti hanno già pubblicato sulle loro bacheche messaggi di cordoglio e tutti piangono lacrime di coccodrillo su questa Europa, che loro vorrebbero libera, ma che è minacciata dai musulmani, dagli africani, dagli asiatici, portatori di valori antidemocratici!!!!!! E sui set televisivi hanno già cominciato a raccogliere i frutti di questa vera e propria mana politica servita loro su un piatto… di piombo.

É per non fare parte di questo gigantesco teatrino delle emozioni su ordinazione, degli sgomenti selettivi, della solidarietà di facciata, delle amnesie collettive e dell’ipocrisia generalizzata che non metterò bandiera nera, né scriverò “Io son Charlie” Io non sono Charlie. Lo sono stato da piccolo, quando anche Charlie era Charlie. Oggi non lo siamo più né lui né io.

Oggi Charlie non fa più ridere nessuno e a me mi viene voglia di piangere, ma da solo, ma in disparte. Mi vien da piangere, ma non per Wolinski o per i suoi colleghi. Mi vien da piangere per tutti i morti di questa sordida storia. Mi vien da piangere per le centinaia di migliaia di morti durante la guerra sporca in Algeria, per gli amici che vi ho perso. Mi vien da piangere per le vittime del world Trade Center, per il mezzo milione di Iracheni, le centinaia di migliaia di afghani, pachistani, per le decine di migliaia di libici, di yemeniti, di palestinesi, per le centinaia di migliaia di persone uccise in Siria, il tutto in una tragica farsa chiamata Scontro di civiltà.

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!


Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordoglio, di solidarietà, di condanna… Anche io sono sgomento, lo sono per ogni persona che muore nel modo in cui sono morti questi ultimi. Sono solidale e feroce sostenitore della libertà di espressione. Sono triste perché alcuni dei vignettisti di Charlie Hebdo (Wolinski in modo particolare, che ho anche conosciuto ad Algeri un secolo fa) mi appassionavano e hanno accompagnato con loro feroce e dissacrante satira tutta la mia adolescenza e i miei desideri di allora (ma anche di oggi) di mandare tutto il mondo a farsi f…

Ma mi dispiace, io non scriverò che sono Charlie Hebdo. Non metterò una bandiera nera sul mio profilo Facebook e non posterò nessun disegno di Charb e nemmeno di Wolinski che mi piace tanto… E se avete tempo di leggere il mio lungo ragionamento vi spiego il perché.

Charlie Hebdo nasce nel 1992 ma la squadra che lo fonda viene da una lunga storia di giornali di satira libertaria. Quello che si può considerare come l’antenato di Charlie è “Hara-kiri” dove lavoravano già vari membri dell’attuale redazione. Hara-kiri se la prendeva con i potenti, con De Gaulle, con l’esercito, con la chiesa e fu varie volte chiuso e riaperto sotto varie forme e titoli.

Era divertente, dissacrante, feroce qualche volta. Ma sapeva di quella aria di libertà dell’epoca. Oggi il Charlie Hebdo è cambiato. Lo si compra ancora, qualche volta, perché ha un nome. Il suo pubblico non è più l’operaio o lo studente senza una lira, ma la “gauche-caviar” della Parigi bene.

Negli ultimi anni poi ha preso una linea editoriale apertamente islamofoba. Non è il fatto di prendere ogni tanto in giro una religione. Quello l’ha sempre fatto anche con la chiesa cattolica. Il problema non è qui. Se prendesse in giro i musulmani, l’islam, il profeta, dio o qualsiasi altro persona o simbolo sacro non ci vedrei personalmente niente di sbagliato. Ma le numerose campagne di Charlie Hebdo contro i musulmani, l’islam, i simboli sacri di questa religione sapevano di accanimento. Faceva parte di una certa cultura molto diffusa negli ambienti che una volta erano stati di sinistra e che oggi sono solo sinistramente cinici. Ambienti che hanno definitivamente deciso di stare dalla parte dei forti e che non hanno più nessuna bataglia vera da portare avanti. Una ex sinistra che si è arresa mani e piedi legati alla logica di mercato, al dominio delle banche e ultimamente anche alla retorica dello scontro di civiltà. Una ex sinistra che considera che l’integralismo islamico sia l’unico e ultimo pericolo che minaccia l’umanità. Una ex sinistra che non ha più sogni né progetti del resto e che si accontenta di guardare il mondo dall’alto della sua presunta superiorità culturale.

Ma non è per questo che non metterò nessun segno di cordoglio per i morti di Charlie Hebdo. Non riconosco a nessuno il diritto di ammazzare nessuno in nome di niente e ancor meno in nome di una qualunque discordanza di opinioni. Le mie ragioni sono altre.

L’attacco alla redazione del giornale satirico viene in un momento particolare. Ancora un anno fa non si parlava per niente di integralismo. Era quasi scomparso dalle prime pagine. E se si vedevano immagini di barbuti in armi nelle strade di Tripoli o di Aleppo venivano chiamati “Rivoluzionari”. E si cantavano le lodi di questi bravi ragazzi. Si legge ovunque che i bravi ragazzi ricevono aiuti da tutte le parti. Si legge un po’ meno che in Siria i ragazzi prendono il controllo di varie stazioni di estrazione di petrolio e che la Turchia, uno stato membro della Nato glielo compra tranquillamente. Si legge ancora meno che oltre agli aiuti e alle migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo in aiuto dei bravi ragazzi ci sono anche consiglieri militari che insegnano ai bravi ragazzi a combattere…

Poi all’improvviso tutto cambia. Ritornano a chiamarlo terrorismo, le uccisioni di membri delle minoranze finora taciute vengono a gala. I servizi segreti di tutti i paesi della nato (e i loro numerosi alleati) fanno tutti finta di cadere dalle nuvole scoprendo che migliaia di giovani sono partiti dalle loro città per dare man forte ai “rivoluzionari”. Non sapevano nulla, pare. E noi a scandalizzarci con loro.

Sono ormai decenni che questo giochetto va avanti. Le reti che oggi si chiamano Al Qaeda e poi Isis, Boko Haram e compagnia bella sono stati messi in sella in piena guerra fredda in chiave anti-sovietica. I paesi del Golfo persico in collaborazione con la Nato hanno fatto un montaggio finanziario, propagandistico e organizzativo per far arrivare combattenti da ogni dove. Al Qaeda è l’alleato principale della Nato e ovviamente dei paesi del golfo fino agli anni novanta. Poi poco a poco scivola verso l’area di illegalità.

Intanto la guerra fredda stava finendo e Samuel P. Huntington preannunciava un nuovo conflitto e lo battezzava “scontro di civiltà”.

Nel frattempo arriva la guerra d’Algeria. Centinaia di giovani rientrati dall’Afghanistan contribuiscono a formare i primi nuclei dei Gruppi Islamici Armati. Gruppi che, insieme all’esercito algerino (che anche lui non ha scherzato) hanno fatto passare al paese due decenni infernali. Nel frattempo nelle moschee londinesi soprattutto ma anche francesi, italiane tedesche, individui poco raccomandabili predicavano la lotta armata in Algeria e raccoglievano soldi e facevano fare affari d’oro all’industria delle armi. L’Algeria stava uscendo da una era socialista e aveva bisogno di una piccola spintarella per privatizzare le sue enormi risorse energetiche. E come per miracolo ad ogni concessione firmata con una multinazionale veniva chiusa una rete di sostegno all’integralismo armato. Poi quando le multinazionali presero il controllo del petrolio algerino, le reti diventarono terroristiche e furono smantellate ovunque. O almeno così ci disse la stampa libera del mondo libero.

Fatto sta che nel 2001 ci fu l’11 settembre e ci fu una vera e propria isteria. Chi non aveva terroristi islamici da arrestare se li inventava. Tutti volevano avere la loro minaccia il loro mini attacco. Non fu mai chiaro né chi né perché né come furono eseguiti gli attentati di quel giorno ma cadevano a fagiolo per giustificare le nuove politiche di controllo militare dell’area del medio oriente volute dai neo-cons americani. Sono ormai 14 anni che va avanti la loro war on terror e non ha prodotto che sempre più terror e sempre nuove wars.

Ma poi i Neo-cons se ne sono andati e arriva Obama, che dice di voler ritirare le truppe e se ne va al Cairo e fa un discorso lungo e forte in cui dice che tende la sua mano per aiutare alla creazione di un “Nuovo medioriente”. Poco dopo quel discorso le piazze arabe cominciano a muoversi. Il mondo scopre che nel mondo arabo non ci sono solo militari baffuti e ribelli barbuti. In mezzo ci sono popoli colorati e variegati che aspirano, tutto sommato, alle stesse cose di tutti i popoli: dignità, libertà, benessere… Gli islamisti sono del tutto assenti dalle piazze o quasi. Comunque non hanno l’iniziativa. Seguono qualche volta. Qualche volta si ritirano. Ma il “La” lo danno giovani laici, colti e amanti della libertà e dei diritti umani.

Ma questo non soddisfa tutti, sembra. Già nel maggio del 2011, i servizi segreti russi (generalmente ben informati per quel che mi risulta) davano l’allarme sull’imminente ricostruzione di reti integraliste internazionali sotto il commando dello specialista saudita in materia: il principe Bandar Assudairi Ben Saud, artefice di vari gruppi e varie guerriglie islamiste attraverso il mondo. L’obiettivo riportare l’islamismo politico alla testa delle rivolte. L’informazione fu ripresa soltanto dalla rete Voltaire, ufficialmente classificata nel rango dei complottisti e tutti fecero finta di niente.

Oggi tutto quello che era previsto in quell’avvertimento si è avverato e anche di più.

In Libia un comandante “ex” Al Qaeda alla testa di un esercito armato dal Qatar e l’Arabia Saudita e addestrato dalla CIA prende la città di tripoli che le milizie tribali non riuscivano a conquistare e il paese diventa una specie di territorio liberato per i gruppi armati di ogni tipo. In Yemen l’Arabia Saudita rimette il vecchio regime in piedi ma stranamente gruppi armati spuntano ovunque come funghi. In Egitto e Tunisia i fratelli musulmani sono portati al potere su un tappeto di petrodollari. In Siria non ne parliamo… Il resto della storia lo sappiamo.

Nel frattempo in occidente le moschee (non tutte per fortuna ma quelle più estremiste e che sarebbero in teoria anche quelle più monitorate dai servizi) hanno ripreso a diventare luoghi di raccolta fondi e reclutamento. Domani forse se qualche giudice indaga troppo da vicino sul perché, potrà esserci più di un nuovo caso Abu Omar. E poi adesso, da meno di un anno, tutti a gridare al lupo. Ma a che gioco giochiamo. Qualcuno ce lo può spiegare?

Sono ormai 30 anni che i servizi di tutto il mondo giocano come si gioca con il fuoco con i gruppi integralisti. Sono controllati, sono infiltrati, sono gonfiati quando servono e sgonfiati quando non servono. Del resto è quello che si è anche fatto e che si continua a fare con vari gruppi estremisti di destra e di sinistra dalla seconda guerra in qua. Chi si ricorda della sigla “Stai Behind” e dei finti attentati (ma con veri morti) attraverso tutta Europa sa di che sto parlando.

Oggi c’è bisogno di far salire la posta in gioco. La crisi chiede guerre. Le nuove guerre per il controllo del Medio Oriente hanno bisogno di legittimità. La crisi ha sputtanato tutta la classe politica europea e solo la salita degli estremismi di destra può spingere la gente a rivotarli di nuovo. Non ti piace Renzi ma siccome c’è il rischio Salvini (chi sa come mai è sempre in Tv quello?) allora ci vai e lo voti. Del resto anche le reti dell’integralismo armato hanno bisogno di far salire il livello di tensione. Chi vive di violenza e per la violenza ne ha bisogno come dell’ossigeno. Stanno nella stessa logica anche loro.

E allora adesso, commesso il fattaccio, tutti i fascistoidi, che avrebbero volentieri fatto esplodere la testa al gruppo Charlie Hebdo per le vecchie posizioni antifasciste o per le loro posizioni sull’omosessualità e altri temi del genere… Tutti hanno già pubblicato sulle loro bacheche messaggi di cordoglio e tutti piangono lacrime di coccodrillo su questa Europa, che loro vorrebbero libera, ma che è minacciata dai musulmani, dagli africani, dagli asiatici, portatori di valori antidemocratici!!!!!! E sui set televisivi hanno già cominciato a raccogliere i frutti di questa vera e propria mana politica servita loro su un piatto… di piombo.

É per non fare parte di questo gigantesco teatrino delle emozioni su ordinazione, degli sgomenti selettivi, della solidarietà di facciata, delle amnesie collettive e dell’ipocrisia generalizzata che non metterò bandiera nera, né scriverò “Io son Charlie” Io non sono Charlie. Lo sono stato da piccolo, quando anche Charlie era Charlie. Oggi non lo siamo più né lui né io.

Oggi Charlie non fa più ridere nessuno e a me mi viene voglia di piangere, ma da solo, ma in disparte. Mi vien da piangere, ma non solo per Wolinski o per i suoi colleghi. Mi vien da piangere per tutti i morti di questa sordida storia. Mi vien da piangere per le centinaia di migliaia di morti durante la guerra sporca in Algeria, per gli amici che vi ho perso. Mi vien da piangere per le vittime del world Trade Center, per il mezzo milione di Iracheni, le centinaia di migliaia di afghani, pachistani, per le decine di migliaia di libici, di yemeniti, di palestinesi, per le centinaia di migliaia di persone uccise in Siria, il tutto in una tragica farsa chiamata Scontro di civiltà.

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Mi dispiace, ma io non sono Charlie!

In questo momento l’uccisione delle undici persone e in modo particolare dei giornalisti/artisti nella sede del periodico satirico Charlie Hebdo, sta prendendo le pieghe di un nuovo, mini 11 settembre. E fioccano ovunque messaggi di sgomento, di cordog…

Ban Ki-moon e il Primo Aprile di Palestina e Israele

mcc43 Si dà grande rilievo alla dichiarazione del Segretario delle Nazioni Unite che annuncia il “via libera” per la Palestina alla Corte Penale Internazionale. Come d’abitudine, i media semplificano privilegiando l’effetto alle analisi, tacendo sia il passato che i dettagli fondamentali del presente. In tutte le lingue è ripetuto che la dichiarazione di Ban Ki-moon […]

Lettera di Natale

Un reporter e la guerra, i ricordi e le persone che quando lavori dividono con te le serate, le cene, le loro case. Una lettera a Babbo Natale, per la Siria e per la Libia, per un po’ di pace e di tregua

Mia, la pornostar nata a Beirut che fa arrabbiare il Libano

Lei non nasconde lo stupore per tutto quel casino. E però, allo stesso tempo, ribatte. Precisa. E contrattacca. «Ma in Medio Oriente non hanno questioni più serie da affrontare invece di perdere tempo con me e quel che faccio? Non ci sono problemi da risolvere?». Per esempio? «Non so, come trovare un nuovo presidente per […]

John Cantlie: Attenti al Tracollo del dollaro!

mcc43 E’ apparso in rete un nuovo numero del periodico dello Stato Islamico, Dabiq 6, con in chiusura un altro articolo di John Cantlie, il giornalista prigioniero per il quale il Governo inglese non intrattiene con Isis – secondo quanto finora si sa – contatti utili al rilascio e a preservargli la vita. (articoli precedenti). Se […]

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Il 2014 di un blog: Maktub di mcc43

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Bilancio 2014: Edizione Speciale La_Pluma + Tlaxcala

Originally posted on unlucano:
Il bilancio 2014 passa per il link all’Edizione Speciale de La Pluma sull’anno che si sta chiudendo: Edición especial « Balance 2014 » Scritto in uno spagnolo facilmente intellegibile dalla creatrice e coordinatrice de La Pluma – Maria Piedad Ossaba – è un appuntamento che si ripete e cerca di riassumere…

Lettera di Natale

Un reporter e la guerra, i ricordi e le persone che quando lavori dividono con te le serate, le cene, le loro case. Una lettera a Babbo Natale, per la Siria e per la Libia, per un po’ di pace e di tregua

E a Gaza arriva il primo impianto della Coca Cola

La guerra delle bollicine. Dopo oltre mezzo secolo il monopolio è finito. Certo, da quelle parti di soldi non ne girano molti. E ogni anno scoppia sempre qualche crisi che rischia di mandare in frantumi l’investimento. Però, ecco, quel unico marchio per molti non si poteva proprio sopportare. E allora ecco il diretto concorrente: stessa ricetta, […]

Le colline, il deserto, le proteste Viaggio in Israele e Palestina

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Strage di Peshawar: droni e Talebani

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Josè Pepe Mujica “La vita non è solo ricevere, è dare “

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Dalla distruzione alla vittoria, è un siriano il re di “Arab Idol”

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Per lo stato d’Israele la pratica della tortura è legale

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L’uccisione di Ziad Abu Ein e la domanda non posta all’ IDF

mcc43 Fatti,  prime reazioni, autopsia, i funerali e LA DOMANDA:  Perché i soldati vengono dispiegati violando la legge? I FATTI Mercoledì 10 dicembre 2014,  Ziad Abu Ein, 55 anni, ministro del Comitato dell’Autorità Palestinese con il Muro di separazione e le Colonie, era Turmusiya, Cisgiordania, per una manifestazione internazionale. Lo scopo era porre a dimora […]

11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria


11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria

Ti ricordi nel film di Gillo Pontecorvo? La Battaglia di Algeri. Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione citadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco, ecco che una mattina i quartieri popolari (detti quartieri arabi all’epoca) cominciano a sversare per le strade uomini, donne e bambini, come tanti ruscelli che poco a poco formano un fiume umano che travolge i servizi d’ordine e si riversa verso il centro della città. Ecco: quello è l’undici dicembre 1960 ad Algeri.

11 dicembre 1960, la guerra in Algeria va avanti da ormai sei anni pieni. I morti si contano a centinaia di migliaia e non si vede la fine del tunnel. De Gaulle mostra di essere sempre più incline alla negoziazione e alla ricerca di una soluzione politica. Nel suo discorso del 16 settembre 1959, parla di “diritto del popolo algerino all’autodeterminazione”. Un discorso ritenuto insopportabile da parte della destra ultraconservatrice del colonnato. Le popolazioni europee organizzano molte proteste contro la politica conciliatrice di De Gaulle et si arriva fino agli scontri ma non ancora a colpi d’arma da fuoco. Nei mesi di gennaio e febbraio del 1960, ad Algeri, ci sono le barricate. Dietro la rabbia e le proteste popolari si organizzano le prime iniziative armate che confluiranno poi nella famigerata OAS (Organisation armée secréte).

Nella stessa settimana Il Generale Charles De Gaulle era di nuovo in visita in Algeria e aveva di nuovo suscitato le proteste dei cittadini di origine europea. Ma nello stesso tempo, l’ONU, con la risoluzione 1573 (XV) ricordava il diritto del popolo algerino a disporre del proprio destino. Una importante vittoria politica per il Fronte di Liberazione Nazionale che chiamò le popolazioni civili a dare un segno forte di sostegno al lavoro diplomatico in corso.

Di nascosto la popolazione preparava l’evento scrivendo striscioni e cucendo bandiere di fortuna, ma tutti si chiedevano se l’evento avrebbe avuto veramente luogo. Il paese era in guerra e le truppe coloniali sparavano per un sì per un no. Ma involontariamente furono gli stessi ultracolonialisti a creare la scintilla che scatenò il sollevamento popolare. Il 09, due giorni prima, durante le manifestazioni anti De Gaulle, questi sicuri dell’impunità orchestrarono varie provocazioni e aggressioni ai danni di civili algerini. Ma a Belcourt, un quartiere popolare allora di periferia, la gente non ci sta e esce in una contro manifestazione che fa scappare gli “ultra” che si dimostrano, da buoni fascisti, coraggiosi solo quando hanno la superiorità numerica. Questa piccola vittoria rilancia le speranze della popolazione algerina di vedere finite le sofferenze di 6 anni di conflitto con mezzi e forze del tutto squilibrati.

Il resto si vede molto bene nel film La battaglia di ALgeri, di Gillo Pontecorvo. I mattino dell’11 cominciano ad uscire in massa: tanti uomini ma soprattutto donne e bambini. I quartieri poveri di Belcourt, Diar el Mahçoul,Salembier, El Harrach, Kouba, Birkhadem, Climat de Francee la Casbah riversano la loro popolazione per le strade, tutti in direzione del centro città. Tutti in direzione dei quartieri europei finora off-limit. “Qui siamo a casa nostra e quindi andiamo dove ci pare”, sembra dire la folla alle forze dell’ordine impreparate a fronteggiare una simile onda umana.

Si canta, si balla, le donne lanciano in continuazione gli jujù, gli strilli tradizionali, strilli di gioia, strilli di tristezza, strilli di rabbia, strilli di sfida.

Sugli striscioni c’è scritto: “Algeria algerina” (in risposta allo slogan “Algérie française”), “Viva l’indipendenza”, “viva l’FLN”, “Viva il GPRA” (il governo Provvisorio della Repubblica Algerina, in esilio)… Numerose sono anche le bandiere del movimento di liberazione, spesso cucite in fretta e male, spesso anche sbagliate. Oltre che ad Algeri, la gente uscì anche a Orano, Chlef, Blida, Constantina, Annaba… e molti altri piccoli centri. Ovunque si gridava via la libertà, viva l’indipendenza esi gridava alla faccia del colonialismo che il Fronte di Liberazione Nazionale non è un volgare branco di criminali come venivano descritti dalla stampa ufficiale ma il vero rappresentante delle aspirazioni del popolo algerino a una vita dignitosa.

11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria


11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria

Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri?

Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco, ecco che una mattina i quartieri popolari (detti quartieri arabi all’epoca) cominciano a versare per le strade uomini, donne e bambini, come tanti ruscelli che poco a poco formano un fiume umano che travolge i servizi d’ordine e si riversa verso il centro della città. Ecco: quello è l’undici dicembre 1960 ad Algeri.

11 dicembre 1960, la guerra in Algeria va avanti da ormai sei anni pieni. I morti si contano a centinaia di migliaia e non si vede la fine del tunnel. De Gaulle mostra di essere sempre più incline alla negoziazione e alla ricerca di una soluzione politica. Nel suo discorso del 16 settembre 1959, parla di “diritto del popolo algerino all’autodeterminazione”. Un discorso ritenuto insopportabile da parte della destra ultraconservatrice del colonnato. Le popolazioni europee organizzano molte proteste contro la politica conciliatrice di De Gaulle et si arriva fino agli scontri ma non ancora a colpi d’arma da fuoco. Nei mesi di gennaio e febbraio del 1960, ad Algeri, ci sono le barricate. Dietro la rabbia e le proteste popolari si organizzano le prime iniziative armate che confluiranno poi nella famigerata OAS (Organisation armée secréte).

Nella stessa settimana Il Generale Charles De Gaulle era di nuovo in visita in Algeria e aveva di nuovo suscitato le proteste dei cittadini di origine europea. Ma nello stesso tempo, l’ONU, con la risoluzione 1573 (XV) ricordava il diritto del popolo algerino a disporre del proprio destino. Una importante vittoria politica per il Fronte di Liberazione Nazionale che chiamò le popolazioni civili a dare un segno forte di sostegno al lavoro diplomatico in corso.

Di nascosto la popolazione preparava l’evento scrivendo striscioni e cucendo bandiere di fortuna, ma tutti si chiedevano se l’evento avrebbe avuto veramente luogo. Il paese era in guerra e le truppe coloniali sparavano per un sì per un no. Ma involontariamente furono gli stessi ultra-colonialisti a creare la scintilla che scatenò il sollevamento popolare. Il 09, due giorni prima, durante le manifestazioni anti-De Gaulle, questi sicuri dell’impunità orchestrarono varie provocazioni e aggressioni ai danni di civili algerini. Ma a Belcourt, un quartiere popolare allora di periferia, la gente non ci sta e esce in una contro manifestazione che fa scappare gli “ultra” che si dimostrano, da buoni fascisti, coraggiosi solo quando hanno la superiorità numerica. Questa piccola vittoria rilancia le speranze della popolazione algerina di vedere finite le sofferenze di 6 anni di conflitto con mezzi e forze del tutto squilibrati.

Il resto si vede molto bene nel film La battaglia di ALgeri, di Gillo Pontecorvo. I mattino dell’11 cominciano ad uscire in massa: tanti uomini ma soprattutto donne e bambini. I quartieri poveri di Belcourt, Diar el Mahçoul,Salembier, El Harrach, Kouba, Birkhadem, Climat de Francee la Casbah riversano la loro popolazione per le strade, tutti in direzione del centro città. Tutti in direzione dei quartieri europei finora off-limit. “Qui siamo a casa nostra e quindi andiamo dove ci pare”, sembra dire la folla alle forze dell’ordine impreparate a fronteggiare una simile onda umana.

Si canta, si balla, le donne lanciano in continuazione gli jujù, gli strilli tradizionali, strilli di gioia, strilli di tristezza, strilli di rabbia, strilli di sfida.

Sugli striscioni c’è scritto: “Algeria algerina” (in risposta allo slogan “Algérie française”), “Viva l’indipendenza”, “viva l’FLN”, “Viva il GPRA” (il governo Provvisorio della Repubblica Algerina, in esilio)… Numerose sono anche le bandiere del movimento di liberazione, spesso cucite in fretta e male, spesso anche sbagliate. Oltre che ad Algeri, la gente uscì anche a Orano, Chlef, Blida, Constantina, Annaba… e molti altri piccoli centri. Ovunque si gridava “viva la libertà”, “viva l’indipendenza” e si gridava alla faccia del colonialismo che il Fronte di Liberazione Nazionale non era un volgare branco di criminali come veniva descritto dalla stampa ufficiale ma il vero rappresentante delle aspirazioni del popolo algerino a una vita dignitosa.

11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria

Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri? Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco,…

11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria

Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri? Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco,…

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Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri? Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco,…

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Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri? Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco,…

11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria

Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri? Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco,…

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Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri? Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco,…

11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria

Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri? Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco,…

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Ti ricordi del film di Gillo Pontecorvo, La Battaglia di Algeri? Verso la fine, dopo che i paracadutisti hanno sconfitto l’organizzazione cittadina del FLN, dopo la morte di Ali La pointe e i suoi compagni… dopo anni di terrore militare e poliziesco,…

11 dicembre 1960 insurrezione popolare in Algeria

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Cinque anni dopo

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Se i futuri dottori palestinesi saranno formati in Venezuela

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In alto come in basso: la filiera del caos in Libia

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I filopalestinesi e l’accusa alle giornaliste del New York Times in Israele: “Sono di parte”

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“Netanyahu è un cagasotto” Scoppia la crisi Usa-Israele

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Questa nostra epoca d’inerzia e senza interiorità: Søren Kierkegaard

mcc43 Google+ “Il passato può angosciare solo in quanto si ripresenta come futuro, cioè come una possibile ripetizione.” Søren Aabye Kierkegaard *** E’ del 1846 il saggio “Una recensione letteraria” di Søren Kierkegaard. Con lungimirante pessimismo, vivezza e ironia descrive lo spirito del suo tempo, segnato dalla vis inertiae nascosta dal copioso fluire di enunciazioni. Pur […]

Il rabbino e quella mail inviata a 1.350 fedeli: “Sono gay”

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La pazienza del popolo Saharawi deve durare in eterno?

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La risposta (in musica) ai “rivoluzionari del budino”

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Anniversario: Muhammar Gheddafi spiato, tradito, assassinato

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Arma letale contro le lotte d’indipendenza: la manipolazione delle notizie

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La presunzione dell’Occidente: origine e sostegno del Jihad terrorista

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Donne sul sentiero che porta al torrente

mcc43 Google+ Quand le village se réveille, il risveglio del villaggio,  è un blog e un progetto, molto ben organizzato, nato  per raccogliere e tramandare le tradizioni e la cultura delle zone rurali del Mali. Questo articolo mi ha catturato. Non solamente perché l’Africa è per me come un amore, ma perché protagoniste sono le donne africane. […]

Cercando la ragione

Abbiamo perso la lucidità. La psicosi del terrore ha invaso le nostre case, i nostri telegionali, le nostre riviste. Le chiacchiere nei bar

Cercando la ragione

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Abbiamo perso la lucidità. La psicosi del terrore ha invaso le nostre case, i nostri telegionali, le nostre riviste. Le chiacchiere nei bar

Violenza, silenzio e barbarie: quello che ho visto io della Siria

di Lorenzo Declich

Le cose, sul campo, erano già molto chiare all’inizio.

La violenza del regime ha iniziato a manifestarsi subito, anzi, la rivolta nasce simbolicamente come risposta “civile” a un atto di violenza: un gruppo di ragazzini, picchiati e torturati per aver scritto su un muro quello che pensavano di Bashar al-Asad.…

Questo è un articolo pubblicato su Nazione Indiana in:

Violenza, silenzio e barbarie: quello che ho visto io della Siria

Libia, sempre peggio

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La battaglia per l’aeroporto e i bombardamenti dei quali nessuno di assume la responsabilità, per finire con la drammatica situazione dei migranti

Libia, sempre peggio

La battaglia per l’aeroporto e i bombardamenti dei quali nessuno di assume la responsabilità, per finire con la drammatica situazione dei migranti

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Tunisia. Il prestito del Fmi, tra Stato ‘mendicante’ e popolo impoverito

Il 22 Aprile scorso,durante l’apertura del congresso economico nazionale,l’attuale primo ministro tunisino Mehdi Joma’a,accompagnato dal governatorie della Banca centrale tunisina,Chadli Ayari e dal ministro dell’economia Hakim Ben Hammouda,aveva annunciato riforme strutturali atti a frenare la grave crisi economica, chiedendo ai tunisini di avere pazienza in vista di futuri sacrifici.
Dalla formazione del governo tecnico , avvenuta il 30 Gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato lo sblocco del prestito di 506 Milioni di dollari. Prestito che rientra nel quadro di aiuti di 1,7 Miliardi di dollari che accompagneranno la transizione politica del paese magrebino verso le elezioni,previste per il 17 Dicembre di quest’anno. Ma per comprendere meglio le politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale , IFRIQYA ha tradotto per voi l’analisi di Mariem Ben Abid,pubblicato il 3 Marzo scorso nel sito giornalistico tunisino Nawaat.org,


Traduzione a cura di Rabih Bouallegue

Nel novembre del 2012, la Tunisia ha concordato un prestito con la Banca Mondiale per un valore totale di 500 milioni di dollari. Il maggiore di una
serie di prestiti ricevuti nello stesso mese da vari finanziatori, per un totale di 700 milioni di dollari.

In un’intervista a Reuters Riadh Bettaieb, ministro dell’Investimento, ha affermato che i prestiti della Banca Mondiale e della Banca Africana per lo Sviluppo avrebbero coperto totalmente le falle del budget statale.

Bettaieb ha poi dichiarato che il governo si è impegnato ad ottenere un altro prestito ‘precauzionale’ dal Fondo monetario internazionale (Fmi), da circa 2 miliardi di dollari, per allontanare le preoccupazioni legate al bilancio del 2014.
In questa spirale nella quale un debito è usato per pagarne un altro, tenuto conto dell’aumento dei tassi di interesse e delle note negative assegnate dalle agenzie di rating, è importante porsi alcune domande:

Dove ci sta portando l’indebitamento? Dove finisce questo denaro? Le cessioni [di sovranità, ndt] del governo saranno sufficienti?

Il premier tunisino Mehdi Joma’a e Barack Obama

Per mettere al sicuro la restituzione del prestito, il Fmi suggerisce il suo classico set di “riforme strutturali”, da molti esperti definite “dolorose” per via del loro impatto negativo sull’economia nazionale e sullo standard di vita dei cittadini.
Alcune di queste ‘riforme’ sono state evocate dallo stesso Amine Mati, capo della missione Fmi in Tunisia, nel corso di una recente intervista (l’incontro tra l’autrice e Amine Mati si è svolto a Washington DC il 27 febbraio 2013, ndt).

Tra i provvedimenti suggeriti vi sarà una graduale riduzione dei sussidi statali per calmierare i prodotti sensibili, che costituiscono il 5% del Pil.

Questo porterà un ad aumento dei prezzi del carburante e, conseguentemente, dei costi di trasporto e provocherà una crescita generale dei prezzi di mercato. Neanche la riduzione dei sussidi sui beni primari (cibo, medicine) può essere esclusa sul lungo periodo.

Un’altra ricetta caldeggiata dal Fondo è la creazione di tasse per le società votate all’esportazione e l’abbassamento per quelle non esportatrici, con il rischio di innescare una fuga del capitale straniero fuori dal paese, verso destinazioni più favorevoli. 

Queste misure diminuiranno la competitività delle compagnie di export, già in difficoltà dopo la rivoluzione e di fronte alla crisi europea.

Altra indicazione possibile, il ricorso all’aumento dell’Iva, che porterebbe all’innalzamento indiscriminato dei prezzi e all’erosione del potere d’acquisto dei tunisini, dal momento che i salari non godranno di un aumento paragonabile e che l’inflazione è già sopra la soglia del 9% su base annua.

Inoltre, la spinta alla liberalizzazione potrebbe aprire la strada ad un massiccio processo di privatizzazioni nel settore pubblico, con un duro impatto sui servizi sociali per la salute, l’educazione e il trasporto, che dovrebbero invece rimanere accessibili alla popolazione.

Una ‘svendita’ necessaria alle casse dello Stato per ripagare il debito, che non risponde però alle esigenze di sviluppo del paese.

Da considerare è anche l’impatto degli accordi di libero scambio. Senza dazi doganali in entrata, le imprese locali non sopravviverebbero all’invasione dei prodotti stranieri. Perdendo la loro fetta di mercato sarebbero costrette alla chiusura, con un aumento conseguente del tasso di disoccupazione.

Infine, le riforme suggerite al settore bancario rischiano di strangolare la classe media.

Una delle raccomandazioni del Fmi per la Banca Centrale Tunisina è di incrementare il tasso d’interesse sui prestiti andando così ad incidere negativamente su consumo e investimenti, fattori considerati “essenziali” nella crescita economica.
La maggior parte di queste misure ‘consigliate’ dal Fondo dovranno essere applicate al momento della firma ufficiale degli accordi (sul prestito). In alcuni casi le riforme potranno restare in sospeso, in altri accentuate a seconda di quanto la Tunisia si dimostrerà efficiente nel ripagare il suo debito.

Ad ogni modo, è a dir poco ironico vedere il Fmi predicare trasparenza mentre i suoi responsabili rifiutano di rendere pubblici i dettagli dell’accordo prima della sottoscrizione ufficiale da parte del governo tunisino. 

Sembra che i cittadini, su cui graveranno le principali conseguenze di questo atto, non abbiano il diritto di essere informati.
E’ come se un individuo fosse costretto a firmare un contratto per un prestito, ancor prima di sapere a quali condizioni dovrà ripagarlo.
Sull’incidenza del debito accumulato, il responsabile del Fmi per la Tunisia, il governatore della Banca centrale e il ministro delle Finanze non sembrano riuscire a mettersi d’accordo. Presumibilmente il suo volume si attesta attorno al 45-50% del Pil (questo tasso però comprende solo il debito estero di lunga durata: il reale livello del debito sarebbe al 136% circa del Pil).
E’ bene ricordare, poi, che il debito accumulato può subire l’impatto di uno shock esogeno dovuto, ad esempio, al protrarsi della crisi europea, che lo renderebbe di fatto incontrollabile.

Intanto, la Tunisia sembra destinata a restare imprigionata in un circolo vizioso: più sarà schiava del debito, più i suoi creditori saranno legittimati a controllarne e a dettarne le politiche (che perpetuano il debito stesso).

Senza contare che lo stesso Mati è già sospettato di aver falsificato gli indicatori economici mauritani per dimostrare la buona salute della situazione finanziaria a Nouakchott, mentre il paese sta sprofondando in una crisi senza pari a causa delle riforme strutturali avviate in passato.

Quali altre opzioni di finanziamento ha il governo?

Ottenere un prestito può sembrare una cosa semplice, ma dar vita a riforme per lo sviluppo a lungo termine, serie ed efficaci, richiede un impegno serio, forza di volontà e competenza.

Vale la pena segnalare che, durante la crisi finanziaria ed economica che colpì il Sud-est asiatico, la Malaysia è stato il solo paese ad aver rifiutato il prestito del Fmi. Ed è stato uno di quelli che ha superato la crisi con il minore sforzo.

La Cina, invece, ha evitato il rischio recessione facendo esattamente l’inverso di quanto gli era stato raccomandato dal Fondo.
A questo proposito, esiste un insieme di soluzioni alternative che eviterebbe gli scenari gravosi per l’economia nazionale esposti in precedenza.
L’aumento della tassazione e la riduzione delle sovvenzioni potrebbero diminuire il deficit, ma finirebbero anche per impoverire i tunisini, rendendo ostaggio le future generazioni. Sembra più giusto quindi concentrarsi sulla governance interna piuttosto che ricevere prestiti dall’estero e cedere sovranità in cambio.

Quello che segue non è un elenco esaustivo di opzioni, ma piuttosto un insieme di proposte che il governo dovrebbe discutere con la società civile:

– Una valutazione delle istituzioni pubbliche e un rafforzamento del controllo sul loro budget di spesa. Infatti, il 75% degli introiti statali vengono riversati nelle pubbliche istituzioni. E’ importante intraprendere un percorso valutativo di questa spesa, seguito da un miglior controllo sui budget assegnati, compito di cui potrebbe incaricarsi il Comitato finanziario dell’Assemblea nazionale costituente (Anc).

– Una implementazione degli strumenti di controllo riguardanti le sovra-fatturazioni nell’import e le sotto-fatturazioni negli export.

– Lotta all’evasione fiscale e accertamenti approfonditi per gli uomini di affari sospettati di corruzione e associati al clan Ben Ali.

– Più trasparenza nella spesa e nella gestione delle casse statali, incluse le gare d’appalto nazionali e internazionali e il fatturato energetico.

– Lotta alla corruzione, in aumento secondo studi nazionali e internazionali recenti.

 –  Accertamenti per ritrovare il denaro preso in prestito durante l’era Ben Ali. Questo aiuterà anche a tracciare la destinazione dei fondi sottratti all’epoca e forse a recuperarne una parte.

– Creazione di nuovi accordi di commercio con l’Africa e il Maghreb per ridurre la dipendenza dall’Europa (80% del nostro scambio di commercio estero) e per ammorbidire l’impatto della crisi economica, accelerando inoltre le riforme doganali, divenute una seria restrizione alla nostra economia post-rivoluzionaria, secondo diversi esportatori.

– Rafforzamento della sicurezza per dare nuova forza al settore turistico.

– Ricapitalizzazione delle banche pubbliche, individuando i prestiti mai ripagati dai compagni di affari dell’ex dittatore.
Lo stesso Mati ha riconosciuto la validità di queste proposte ma, interrogato sul perché il Fmi non le abbia consigliate al governo al posto delle riforme strutturali, ha risposto: “Dovete farlo voi”.

L’affermazione non è sorprendente.

Il Fmi è una banca basata negli Stati Uniti e non, come si vorrebbe far credere, un ente caritatevole creato per aiutare le popolazioni ad uscire dalla povertà o per aiutare i governi a gestire meglio il proprio denaro. La priorità per una banca restano i prestiti e i tassi d’interesse.

Un’ultima precisazione sulle condizioni in cui è maturato l’accordo di indebitamento.

Le conseguenze dolorose e vincolanti sul lungo periodo che questo impone fanno sì che sia competenza dell’Assemblea nazionale Costituente adottare la decisione finale, mentre il governo provvisorio non sarebbe dovuto andare oltre la semplice proposta. 

Al contrario, le procedure per la concessione del prestito sono state rapide e i ministri incaricati, ormai dimissionari, erano sul punto di concludere l’accordo in fretta e furia, come se si trattasse di un affare pressante, quando in realtà – lo ricordiamo – si parla di un finanziamento precauzionale per il prossimo anno.
In più, attraverso un comunicato stampa, il Fondo aveva annunciato di aver comunque proceduto ad una larga concertazione con i partiti, i rappresentanti della società civile e membri dell’Anc.

L’affermazione è stata però smentita dai membri dell’Assemblea e alcune risposte di Amine Mati hanno incrementato i dubbi sulla lista di rappresentanti che il Fmi sostiene di aver incontrato.

L’accordo, “ormai pressoché definito”, rimane in corso di approvazione. Il Fmi ha atteso la formazione del nuovo governo e la firma dovrebbe arrivare entro la fine del mese di marzo.
  

Libyan graffiti

Ghaddafi-Street-Art-2

Se le banche internazionali tolgono le tende e gli investimenti latitano è segno che il futuro del Paese è ancora più nero di quello che sembra

Libyan graffiti

Se le banche internazionali tolgono le tende e gli investimenti latitano è segno che il futuro del Paese è ancora più nero di quello che sembra

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio


Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi.

Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione di una bambina bergamasca. “La responsabilità è delle autorità di Trebbiano”, dice il governo bergamasco, senza però fornire alcuna prova. La popolazione di Trebbiano chiama il mondo ma nessuno sembra sentire le loro grida di disperazione.

La terribile situazione che vive oggi la popolazione di Trebbiano Serio è iniziata qualche mese fa. Una ragazza di 13 anni è stata rapita all’uscita di una palestra a Bergamo. Tutta la popolazione della città si è subito mobilitata per cercarla. Durante le ricerche nei comuni e frazioni della provincia varie case furono saccheggiate e incendiate, altre sono state distrutte, alcuni ragazzi, che hanno lanciato pietre contro le ruspe che distruggevano le loro case, sono stati freddamente abbattuti dai soldati che hanno preso parte alle ricerche. “Normale -ha detto il sindaco di Bergamo- noi sappiamo che quello che ha rapito la ragazza è uno di loro. Uno della campagna. E dobbiamo fare il necessario per ritrovarla.”

Qualche tempo dopo, il corpo della ragazza fu trovato senza vita in un campo. Da tutte le parti del mondo arrivarono, giustamente, le condoglianze per la morte atroce della ragazzina. Peccato che nessuno ha detto una singola parola per ricordare la decina di ragazzini, anche loro innocenti, freddati dai soldati, e nemmeno una protesta per il centinaio di altri minorenni e adulti arrestati arbitrariamente, torturati e umiliati. Nulla.

Il sindaco promise alla gente di Bergamo una vendetta terribile. “Noi abbiamo la cultura della vita e loro la cultura della morte”- gridò, poco prima di mandare l’aviazione a bombardare varie piccole località della campagna bergamasca.

Oggi la situazione è completamente degenerata. Dopo l’annuncio dell’identificazione dei colpevoli -senza dire chi sarebbero esattamente e senza fornire uno straccio di prova- lo stato si è accanito sulla località di Trebbiano Serio con bombardamenti a tappeto e uccisioni mirate di alcuni suoi responsabili. Le autorità di Trebbiano, per disperazione, hanno cominciato a sparare alcuni colpi in direzione di Bergamo, con vecchi mortai, trovati in una vecchia caserma in disuso. I colpi non sono molto precisi e la maggior parte del tempo cadono in mezzo ai campi. Ma la stampa internazionale trova più degna di notizia l’immagine delle signore di Bergamo che scappano verso i rifugi di quelle di qualche decina di cittadini di Trebbiano dilaniati dalle bombe. Bisogna fare qualcosa per fermare questo scempio.

“Falso e assurdo”, mi direte. Ebbene: falso, lo è, ma non assurdo. Per niente!

Quello che racconto qui si sta svolgendo in questo momento stesso. Solo che i nomi dei luoghi cambiano. Metti Tel Aviv al posto di Bergamo e Gaza al posto di Trebbiano Serio (che non esiste). Metti 3 ragazzi israeliani invece di una ragazza bergamasca e la storia diventa di tristissima attualità.

Perché ciò che è assurdo nel resto del mondo non lo è in Palestina/Israele. Ciò che è criminale se fatto da uno stato qualsiasi a qualsiasi popolo, non lo è se a fare è lo stato di Israele e a subire è il popolo palestinese.

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi. Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione…

Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio


Fermiamo il massacro della popolazione di Trebbiano Serio

Una piccola località della Lombardia, Trebbiano Serio (BG), è sotto le bombe da giorni. Molte case sono state rase al suolo. La popolazione è allo stremo. Molti i morti e i feriti. Gli ospedali stracolmi.

Le operazioni sono rappresaglie per l’uccisione di una bambina bergamasca. “La responsabilità è delle autorità di Trebbiano”, dice il governo bergamasco, senza però fornire alcuna prova. La popolazione di Trebbiano chiama il mondo ma nessuno sembra sentire le loro grida di disperazione.

La terribile situazione che vive oggi la popolazione di Trebbiano Serio è iniziata qualche mese fa. Una ragazza di 13 anni è stata rapita all’uscita di una palestra a Bergamo. Tutta la popolazione della città si è subito mobilitata per cercarla. Durante le ricerche nei comuni e frazioni della provincia varie case furono saccheggiate e incendiate, altre sono state distrutte, alcuni ragazzi, che hanno lanciato pietre contro le ruspe che distruggevano le loro case, sono stati freddamente abbattuti dai soldati che hanno preso parte alle ricerche. “Normale -ha detto il sindaco di Bergamo- noi sappiamo che quello che ha rapito la ragazza è uno di loro. Uno della campagna. E dobbiamo fare il necessario per ritrovarla.”

Qualche tempo dopo, il corpo della ragazza fu trovato senza vita in un campo. Da tutte le parti del mondo arrivarono, giustamente, le condoglianze per la morte atroce della ragazzina. Peccato che nessuno ha detto una singola parola per ricordare la decina di ragazzini, anche loro innocenti, freddati dai soldati, e nemmeno una protesta per il centinaio di altri minorenni e adulti arrestati arbitrariamente, torturati e umiliati. Nulla.

Il sindaco promise alla gente di Bergamo una vendetta terribile. “Noi abbiamo la cultura della vita e loro la cultura della morte”- gridò, poco prima di mandare l’aviazione a bombardare varie piccole località della campagna bergamasca.

Oggi la situazione è completamente degenerata. Dopo l’annuncio dell’identificazione dei colpevoli -senza dire chi sarebbero esattamente e senza fornire uno straccio di prova- lo stato si è accanito sulla località di Trebbiano Serio con bombardamenti a tappeto e uccisioni mirate di alcuni suoi responsabili. Le autorità di Trebbiano, per disperazione, hanno cominciato a sparare alcuni colpi in direzione di Bergamo, con vecchi mortai, trovati in una vecchia caserma in disuso. I colpi non sono molto precisi e la maggior parte del tempo cadono in mezzo ai campi. Ma la stampa internazionale trova più degna di notizia l’immagine delle signore di Bergamo che scappano verso i rifugi di quelle di qualche decina di cittadini di Trebbiano dilaniati dalle bombe. Bisogna fare qualcosa per fermare questo scempio.

“Falso e assurdo”, mi direte. Ebbene: falso, lo è, ma non assurdo. Per niente!

Quello che racconto qui si sta svolgendo in questo momento stesso. Solo che i nomi dei luoghi cambiano. Metti Tel Aviv al posto di Bergamo e Gaza al posto di Trebbiano Serio (che non esiste). Metti 3 ragazzi israeliani invece di una ragazza bergamasca e la storia diventa di tristissima attualità.

Perché ciò che è assurdo nel resto del mondo non lo è in Palestina/Israele. Ciò che è criminale se fatto da uno stato qualsiasi a qualsiasi popolo, non lo è se a fare è lo stato di Israele e a subire è il popolo palestinese.

La Repubblica delle Idee sbagliate

Questa cosa è uno sfogo. Prendetela così o chiudete il post. Al teatro San Carlo di Napoli, per la Repubblica delle Idee 2014, si sono incontrati due pesi massimi del giornalismo e della letteratura, l’inviato ed editorialista di Repubblica, Bernardo…

Elezioni siriane. Un modello da seguire

La Siria di Assad è questa: un paese surreale dove si vota solo nel 40% del territorio, dove l’agenzia stampa governativa Sana parla dell’80% di affluenza e gli aventi diritto al voto sono 15,8 milioni, ma dove il 60% del territorio è fuori controllo governativo e ci sono 3 milioni di sfollati nei campi all’estero

Elezioni siriane. Un modello da seguire

La Siria di Assad è questa: un paese surreale dove si vota solo nel 40% del territorio, dove l’agenzia stampa governativa Sana parla dell’80% di affluenza e gli aventi diritto al voto sono 15,8 milioni, ma dove il 60% del territorio è fuori controllo governativo e ci sono 3 milioni di sfollati nei campi all’estero

Immaginate, Aleppo

Paesi geograficamente lontani ma in un certo qual modo uniti sotto il periodo del nazionalismo arabo negli anni ’70. Paesi che si sono poi ritrovati sotto il comune denominatore di ‘Primavera Araba’ ma che hanno intrapreso strade diverse. Paesi che…

Libia, cercando un futuro

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Khalifa Haftar è il ritorno, come in Egitto, a una normalizzazione del Paese in chiave militare? Il trend nei paesi coinvolti dalla Primavera araba sembra riportare a una uscita dal politicamente confuso ‘islam politico’ al controllo di questi paesi delle forze armate

Libia, cercando un futuro

Khalifa Haftar è il ritorno, come in Egitto, a una normalizzazione del Paese in chiave militare? Il trend nei paesi coinvolti dalla Primavera araba sembra riportare a una uscita dal politicamente confuso ‘islam politico’ al controllo di questi paesi delle forze armate

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre


Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del 1980 a Tizi Ouzou. Mentre nelle montagne del Giurgiura, a poche decine di chilometri da lì, l’esercito subiva un duro attacco dai gruppi islamici armati. Lo scenario resta sempre lo stesso: quando la mafia al potere è in difficoltà lo spettro della violenza plana sul paese.

Il 18 aprile 2014 resterà nella storia come una delle tante pagine nere della storia recente del paese nordafricano. Alle 16 circa inizia la conferenza stampa durante la quale, al termine di una lunga allocuzione farcita di retorica patriottica da pochi soldi, il ministro degli interni, Tayeb Belaïz, annuncia un tasso di partecipazione pari a 51% e la vittoria schiacciante di Bouteflika con ben 81,53%! Il presidente quasi del tutto infermo schiaccia tutti senza aver fatto campagna.

Siccome è dal 1962 che gli algerini considerano i risultati elettorali materia magica competenza degli stregoni del ministero degli interni, nessuno si chiede se il risultato è veritiero o meno. Ma tutti si rendono conto che il tasso di partecipazione annunciato è una esagerazione pazzesca. I seggi erano vuoti in tutto il paese secondo molti osservatori. Tutto quello che rimane dell’opposizione algerina ha chiamato al boicott. Il popolo sapeva i risultati della partita da tempo e quindi non ci ha dato nessuna importanza… Quindi chi è andato a votare? Ma siccome si sa che da noi votano anche i morti, nessuno si è veramente stupito.

Anche se il signor Ramdane Aboudjazr, membro della misteriosa Rete Internazionale per il Diritto allo Sviluppo (GNRD) che ha fatto da capo del gruppo di osservatori internazionali, ha dichiarato che “Le presidenziali algerine 2014 si sono svolte in conformità agli standard internazionali” e non ha registrato nessuna pratica fraudolenta suscettibile di rimettere in causa la legittimità di queste elezioni. Non so chi sono questi osservatori. Ma so, conoscendo la tradizionale generosità del nostro governo verso i suoi sostenitori internazionali, che hanno probabilmente fatto un ottimo affare passando ad Algeri questo piacevole fine settimana di primavera. Bisogna dire a difesa di questi illustri ignoti che hanno monitorato le elezioni, che quando a monitorare le elezioni algerine erano l’OCSE, l’ONU e la Lega Araba, la miopia degli osservatori era allo stesso livello. L’odore dei petrodollari, sembra, fa molto male alla vista dei funzionari degli organismi internazionali.

I giochi sono ormai fatti. In verità erano fatti da tempo. L’unica incognita era di capire chi dei due candidati della cosca al potere faceva da lepre per l’altro. Era Boutef che correva per far vincere e dare un sembianza di legittimità a Benflis? O era Benflis a correre per dare un po’ di piccante a una gara cucita su misura per un presidente segnato dall’età e dalla malattia? Una corsa senza rivali veri. Tutti i partiti dell’opposizione si sono astenuti dal presentare un candidato. Un po’ perché dell’opposizione resta ben poco. Un po’ perché c’era poco da sperare da queste elezioni.

Solo la solita eterna portavoce del solito partito trotzkista da salotto, Louisa Hannoun, ha considerato che la faccia l’ha persa ormai da tempo e che non ha più niente da perdere e tutto da guadagnare restando sul carro del vecchio presidente. Gesto ricompensato con ben 1,37 % dei voti dai maghi del ministero. Un abisso inspiegabile di differenza con le circa 20 poltrone in parlamento che le vengono assegnate ad ogni legislativa. Ma un risultato, bisogna dirlo, molto vicino alla reale popolarità della passionaria di servizio sulla scena pubblica algerina.

Oggi, 2 giorni dopo la fine della non-elezione presidenziale il paese si risveglia faccia faccia con i suoi vecchi problemi. 17 soldati morti nell’alta Cabilia. I manifestanti per la commemorazione della primavera berbera a Tizi Ouzou sono dispersi con l’uso della forza, mentre a Bejaia sfilano tranquillamente per tutta la città poi rientrano a casa senza incidenti. L’espressione del più assoluto arbitrio di un potere arrogante e disprezzante che dice chiaramente, attraverso la gestione delle elezioni prefabbricate e della piazza pubblica che può fare quello che vuole, come vuole, quando vuole e dove vuole.

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre


Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del 1980 a Tizi Ouzou. Mentre nelle montagne del Giurgiura, a poche decine di chilometri da lì, l’esercito subiva un duro attacco dai gruppi islamici armati. Lo scenario resta sempre lo stesso: quando la mafia al potere è in difficoltà lo spettro della violenza plana sul paese.

Il 18 aprile 2014 resterà nella storia come una delle tante pagine nere della storia recente del paese nordafricano. Alle 16 circa inizia la conferenza stampa durante la quale, al termine di una lunga allocuzione farcita di retorica patriottica da pochi soldi, il ministro degli interni, Tayeb Belaïz, annuncia un tasso di partecipazione pari a 51% e la vittoria schiacciante di Bouteflika con ben 81,53%! Il presidente quasi del tutto infermo schiaccia tutti senza aver fatto campagna.

Siccome è dal 1962 che gli algerini considerano i risultati elettorali materia magica competenza degli stregoni del ministero degli interni, nessuno si chiede se il risultato è veritiero o meno. Ma tutti si rendono conto che il tasso di partecipazione annunciato è una esagerazione pazzesca. I seggi erano vuoti in tutto il paese secondo molti osservatori. Tutto quello che rimane dell’opposizione algerina ha chiamato al boicott. Il popolo sapeva i risultati della partita da tempo e quindi non ci ha dato nessuna importanza… Quindi chi è andato a votare? Ma siccome si sa che da noi votano anche i morti, nessuno si è veramente stupito.

Anche se il signor Ramdane Aboudjazr, membro della misteriosa Rete Internazionale per il Diritto allo Sviluppo (GNRD) che ha fatto da capo del gruppo di osservatori internazionali, ha dichiarato che “Le presidenziali algerine 2014 si sono svolte in conformità agli standard internazionali” e non ha registrato nessuna pratica fraudolenta suscettibile di rimettere in causa la legittimità di queste elezioni. Non so chi sono questi osservatori. Ma so, conoscendo la tradizionale generosità del nostro governo verso i suoi sostenitori internazionali, che hanno probabilmente fatto un ottimo affare passando ad Algeri questo piacevole fine settimana di primavera. Bisogna dire a difesa di questi illustri ignoti che hanno monitorato le elezioni, che quando a monitorare le elezioni algerine erano l’OCSE, l’ONU e la Lega Araba, la miopia degli osservatori era allo stesso livello. L’odore dei petrodollari, sembra, fa molto male alla vista dei funzionari degli organismi internazionali.

I giochi sono ormai fatti. In verità erano fatti da tempo. L’unica incognita era di capire chi dei due candidati della cosca al potere faceva da lepre per l’altro. Era Boutef che correva per far vincere e dare un sembianza di legittimità a Benflis? O era Benflis a correre per dare un po’ di piccante a una gara cucita su misura per un presidente segnato dall’età e dalla malattia? Una corsa senza rivali veri. Tutti i partiti dell’opposizione si sono astenuti dal presentare un candidato. Un po’ perché dell’opposizione resta ben poco. Un po’ perché c’era poco da sperare da queste elezioni.

Solo la solita eterna portavoce del solito partito trotzkista da salotto, Louisa Hannoun, ha considerato che la faccia l’ha persa ormai da tempo e che non ha più niente da perdere e tutto da guadagnare restando sul carro del vecchio presidente. Gesto ricompensato con ben 1,37 % dei voti dai maghi del ministero. Un abisso inspiegabile di differenza con le circa 20 poltrone in parlamento che le vengono assegnate ad ogni legislativa. Ma un risultato, bisogna dirlo, molto vicino alla reale popolarità della passionaria di servizio sulla scena pubblica algerina.

Oggi, 2 giorni dopo la fine della non-elezione presidenziale il paese si risveglia faccia faccia con i suoi vecchi problemi. 17 soldati morti nell’alta Cabilia. I manifestanti per la commemorazione della primavera berbera a Tizi Ouzou sono dispersi con l’uso della forza, mentre a Bejaia sfilano tranquillamente per tutta la città poi rientrano a casa senza incidenti. L’espressione del più assoluto arbitrio di un potere arrogante e disprezzante che dice chiaramente, attraverso la gestione delle elezioni prefabbricate e della piazza pubblica che può fare quello che vuole, come vuole, quando vuole e dove vuole.

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

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Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

Algeria, niente di insolito: elezioni farsa come sempre

Sono passati solo due giorni dall’annuncio dei risultati delle elezioni-farsa in Algeria e già il paese sembra pensare a tutt’altro. La polizia scioglie con la forza nuda e cruda una manifestazione pacifica di commemorazione della primavera berbera del…

Ciò che al-Qaida non è più

[questo pezzo è uscito su pagina99 qualche tempo fa, un po’ tagliato. Lo metto qui anche per questioni di appuntistica mie proprie: oggi vado a parlare a Viterbo, mi serve come riferimento :D] Il 23 febbraio scorso una delle più…

Wadi

Non succede spesso di vedere come funziona quello che in arabo si chiama wadi, un “fiume temporaneo” generato nel deserto da una intensa pioggia.Quello nel video è il fiume Zin, nel deserto del Negev che – pare – sia descritto anche nella Bibbia…

Divisioni ortodosse

Ecco la seconda “ospitata” in questo spazio . Questa volta trattiamo di chiese in Ucraina.Sotto il profilo religioso la situazione ucraina è complicata e difficile, con fratture evidenti tra comunità cristiane aventi la stessa origine, os…

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno ormai. E, avendo fatto il vuoto intorno a sé e indebolito le istituzioni, con la sua malattia il paese è fermo. I suoi fedeli insistono per ricandidarlo per un quarto mandato anche se sanno benissimo che non è più in grado di assumere qualsiasi ruolo. Nel frattempo il paese è dilaniato da corruzione e violenza.

Il presidente Abdelaziz Bouteflika è in carica ormai dal lontano 1999 (qui potete leggere un suo ritratto che avevo pubblicato circa 10 anni fa per Peace reporter)

Perfetto demagogo, autoritario quando serve, manipolatore, grande diplomatico, avido di potere e megalomane, in 15 anni di regno ha fatto il vuoto intorno a sé stesso.

Quando era arrivato nel 1999, il paese era in ginocchio, segnato da 15 anni di una guerra sanguinosa quanto incomprensibile. Centinaia di migliaia di morti. Paesi interi fatti fuori in una notte. Imprese pubbliche date alle fiamme, tessuto economico disastrato, popolazioni intere sfollate… Decine di bande armate mettevano il paese sotto sopra. Senza distinguere, o raramente, chi lavorava per lo stato e chi per la ribellione. L’unica cosa certa è che la gente moriva e che il paese era diretto verso un burrone.

Bouteflika arrivò come mediatore, imposto dalla “Comunità Internazionale” (Termine che nella stampa internazionale vuol dire: i paesi della NATO). Doveva fare da arbitro tra le varie forze in campo. Garantire l’impunità dei belligeranti e la perennità dei privilegi dei potenti. Ma nello stesso momento doveva anche garantire alle multinazionali del petrolio pieno accesso alle gigantesche riserve di greggio e di gas di cui dispone il paese. E bisogna dire che ha svolto il suo lavoro in modo eccelso.

Ma non si accontentò di quello. Poco a poco, nonostante l’accanita resistenza dei militari, accumulò poteri enormi, con riforme e cambiamenti costituzionali imposti grazie a un parlamento servile, una magistratura al guinzaglio e una amministrazione corrotta fino al midollo. Elezioni truccate (qui ne avevo parlato), referendum farsa, stampa sotto controllo. Le enormi entrate della vendita degli idrocarburi gli permettono di comprare tutto e tutti, opposizioni comprese. La cosiddetta “Comunità Internazionale” lo appoggia senza sé e senza ma. “quando il petrolio va, tutto va.”

 


Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Ma se le leggi della costituzione algerina hanno dimostrato una grande malleabilità tra le mani di questo illusionista, quelle della natura invece sono spietate. Il presidente Bouteflika è nato nel 1937, ha 77 anni ed è molto malato. Era già da un po’ che le sue apparizioni pubbliche erano diventate rare e varie volte era uscita la notizia della sua morte. L’anno scorso è stato colpito da un incidente vascolare al cervello ed è stato evacuato in segreto all’ospedale militare di Val De Grace, a Parigi. Ma presto non fu più possibile nascondere il fatto e le autorità algerine e francesi dovettero ammettere tutto.

Da allora è tornato in Algeria, ma rimane gravemente segnato. Non riesce a camminare, soffre di incontinenza, i reni sono fuori uso ed è talmente debole che riesce malapena a pronunciare due tre parole. Si dice che è tenuto sotto sedativo per più di 20 ore al giorno. É chiaro che in uno stato del genere nessuno è in grado di assumere una carica così importante, oltretutto in un regime presidenziale puro, dove le altre istituzioni fanno solo figura di comparse.

Infatti è guerra aperta soprattutto sulla stampa. Le armi sono sguainate e tutti i colpi sono permessi. Il “clan” presidenziale ha sferrato attacchi violentissimi contro il patron dei servizi segreti: Il Generale Mohamed Mediène, detto Toufik. Il nome Generale Toufik per quasi 20 anni, in Algeria, era pronunciato sottovoce. Si sapeva della sua esistenza e della sua potenza ma nessuno l’avrebbe nemmeno potuto identificare.

Vera eminenza grigia dei vari governi, è considerato responsabile della maggior parte dei crimini politici commessi in Algeria dalla metà degli anni 80 a oggi: Le stragi durante la guerra sporca, assassinio del presidente Boudiaf, dell’ex patron dei servizi Kasdi Merbah, del cantante kabilo Matoub Lounas e di molti altri oppositori e intellettuali.

Oggi il nome di Toufik gira sulla stampa tutti i giorni e persino un arrivista dell’ultima ora come il segretario generale del Fronte di Liberazione Nazionale, tale Saadani, si permette di tirarlo in ballo pubblicamente e di minacciarlo di processi per crimini contro l’umanità.

Dall’altra parte anche il clan presidenziale è sotto attacco. Si parla di scandali finanziari miliardari. Lo stesso Saadani è accusato di aver fatto sparire 300 milioni di dollari e di essersi impossessato di migliaia di ettari di terre agricole in modo illegale. Ricompare lo scandalo Sonatrach-Eni/Saipem. L’ex miliardario algerino Abdelmouméne Khalifa, rifugiato a Londra da anni, è appena stato consegnato dai britannici alla giustizia algerina. Insomma la stagione politica sta cambiando in Algeria e c’è aria di grandi pulizie.

Per la prima volta da più di 20 anni in Algeria, l’esito delle elezioni non è conosciuto in anticipo, non perché le prossime elezioni promettono di essere oneste e trasparenti, ma perché non si sa se il candidato principale ce la farà ad arrivare fino al 17 aprile. Di candidati seri non c’è l’ombra (qui ne avevo parlato qualche mese fa), le comparse sono tante perché i rimborsi elettorali in Algeria sono generosi. Ma l’opposizione reale al regime attuale è decimata e poco credibile.

Quello che si sa è che, comunque sia, l’Algeria uscirà cambiata da queste elezioni. In peggio molto probabilmente. Nell’attesa di capire l’esito dell’elezione più strana della sua storia, il paese è fermo. La corruzione è ovunque, la società sfoga le proprie frustrazioni con scontri autodistruttivi che si moltiplicano un po’ ovunque. La criminalità fa regnare il terrore in molte città del paese. Nelle città del Centro sud del paese, giovani arabi e mozabiti si scontrano quotidianamente con bastoni e armi bianche. Si conta già qualche decina di morti e feriti a centinaia.

15 anni fa, Bouteflika aveva preso in consegna un paese in stato di decomposizione avanzata e oggi sembra deciso a restituirlo esattamente nello stesso stato.

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno ormai. E, avendo fatto il vuoto intorno a sé e indebolito le istituzioni, con la sua malattia il paese è fermo. I suoi fedeli insistono per ricandidarlo per un quarto mandato anche se sanno benissimo che non è più in grado di assumere qualsiasi ruolo. Nel frattempo il paese è dilaniato da corruzione e violenza.

Il presidente Abdelaziz Bouteflika è in carica ormai dal lontano 1999 (qui potete leggere un suo ritratto che avevo pubblicato circa 10 anni fa per Peace reporter)

Perfetto demagogo, autoritario quando serve, manipolatore, grande diplomatico, avido di potere e megalomane, in 15 anni di regno ha fatto il vuoto intorno a sé stesso.

Quando era arrivato nel 1999, il paese era in ginocchio, segnato da 15 anni di una guerra sanguinosa quanto incomprensibile. Centinaia di migliaia di morti. Paesi interi fatti fuori in una notte. Imprese pubbliche date alle fiamme, tessuto economico disastrato, popolazioni intere sfollate… Decine di bande armate mettevano il paese sotto sopra. Senza distinguere, o raramente, chi lavorava per lo stato e chi per la ribellione. L’unica cosa certa è che la gente moriva e che il paese era diretto verso un burrone.

Bouteflika arrivò come mediatore, imposto dalla “Comunità Internazionale” (Termine che nella stampa internazionale vuol dire: i paesi della NATO). Doveva fare da arbitro tra le varie forze in campo. Garantire l’impunità dei belligeranti e la perennità dei privilegi dei potenti. Ma nello stesso momento doveva anche garantire alle multinazionali del petrolio pieno accesso alle gigantesche riserve di greggio e di gas di cui dispone il paese. E bisogna dire che ha svolto il suo lavoro in modo eccelso.

Ma non si accontentò di quello. Poco a poco, nonostante l’accanita resistenza dei militari, accumulò poteri enormi, con riforme e cambiamenti costituzionali imposti grazie a un parlamento servile, una magistratura al guinzaglio e una amministrazione corrotta fino al midollo. Elezioni truccate (qui ne avevo parlato), referendum farsa, stampa sotto controllo. Le enormi entrate della vendita degli idrocarburi gli permettono di comprare tutto e tutti, opposizioni comprese. La cosiddetta “Comunità Internazionale” lo appoggia senza sé e senza ma. “quando il petrolio va, tutto va.”

 


Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Ma se le leggi della costituzione algerina hanno dimostrato una grande malleabilità tra le mani di questo illusionista, quelle della natura invece sono spietate. Il presidente Bouteflika è nato nel 1937, ha 77 anni ed è molto malato. Era già da un po’ che le sue apparizioni pubbliche erano diventate rare e varie volte era uscita la notizia della sua morte. L’anno scorso è stato colpito da un incidente vascolare al cervello ed è stato evacuato in segreto all’ospedale militare di Val De Grace, a Parigi. Ma presto non fu più possibile nascondere il fatto e le autorità algerine e francesi dovettero ammettere tutto.

Da allora è tornato in Algeria, ma rimane gravemente segnato. Non riesce a camminare, soffre di incontinenza, i reni sono fuori uso ed è talmente debole che riesce malapena a pronunciare due tre parole. Si dice che è tenuto sotto sedativo per più di 20 ore al giorno. É chiaro che in uno stato del genere nessuno è in grado di assumere una carica così importante, oltretutto in un regime presidenziale puro, dove le altre istituzioni fanno solo figura di comparse.

Infatti è guerra aperta soprattutto sulla stampa. Le armi sono sguainate e tutti i colpi sono permessi. Il “clan” presidenziale ha sferrato attacchi violentissimi contro il patron dei servizi segreti: Il Generale Mohamed Mediène, detto Toufik. Il nome Generale Toufik per quasi 20 anni, in Algeria, era pronunciato sottovoce. Si sapeva della sua esistenza e della sua potenza ma nessuno l’avrebbe nemmeno potuto identificare.

Vera eminenza grigia dei vari governi, è considerato responsabile della maggior parte dei crimini politici commessi in Algeria dalla metà degli anni 80 a oggi: Le stragi durante la guerra sporca, assassinio del presidente Boudiaf, dell’ex patron dei servizi Kasdi Merbah, del cantante kabilo Matoub Lounas e di molti altri oppositori e intellettuali.

Oggi il nome di Toufik gira sulla stampa tutti i giorni e persino un arrivista dell’ultima ora come il segretario generale del Fronte di Liberazione Nazionale, tale Saadani, si permette di tirarlo in ballo pubblicamente e di minacciarlo di processi per crimini contro l’umanità.

Dall’altra parte anche il clan presidenziale è sotto attacco. Si parla di scandali finanziari miliardari. Lo stesso Saadani è accusato di aver fatto sparire 300 milioni di dollari e di essersi impossessato di migliaia di ettari di terre agricole in modo illegale. Ricompare lo scandalo Sonatrach-Eni/Saipem. L’ex miliardario algerino Abdelmouméne Khalifa, rifugiato a Londra da anni, è appena stato consegnato dai britannici alla giustizia algerina. Insomma la stagione politica sta cambiando in Algeria e c’è aria di grandi pulizie.

Per la prima volta da più di 20 anni in Algeria, l’esito delle elezioni non è conosciuto in anticipo, non perché le prossime elezioni promettono di essere oneste e trasparenti, ma perché non si sa se il candidato principale ce la farà ad arrivare fino al 17 aprile. Di candidati seri non c’è l’ombra (qui ne avevo parlato qualche mese fa), le comparse sono tante perché i rimborsi elettorali in Algeria sono generosi. Ma l’opposizione reale al regime attuale è decimata e poco credibile.

Quello che si sa è che, comunque sia, l’Algeria uscirà cambiata da queste elezioni. In peggio molto probabilmente. Nell’attesa di capire l’esito dell’elezione più strana della sua storia, il paese è fermo. La corruzione è ovunque, la società sfoga le proprie frustrazioni con scontri autodistruttivi che si moltiplicano un po’ ovunque. La criminalità fa regnare il terrore in molte città del paese. Nelle città del Centro sud del paese, giovani arabi e mozabiti si scontrano quotidianamente con bastoni e armi bianche. Si conta già qualche decina di morti e feriti a centinaia.

15 anni fa, Bouteflika aveva preso in consegna un paese in stato di decomposizione avanzata e oggi sembra deciso a restituirlo esattamente nello stesso stato.

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno…

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

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Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno…

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Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno…

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno…

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno…

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno…

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno…

Algeria: regime moribondo e paese allo sbando

Di regimi nei paesi arabi e musulmani, negli ultimi quattro anni, ne sono finiti molti. Ma l’unico del quale si può dire che sta finendo per “cause naturali” è quello Algerino. Il Presidente Abdelaziz Bouteflika è gravemente malato, da più di un anno…

Holodomor

Oggi e la settimana prossima, ospito un amico in questo spazio. E turcologo, studioso di popoli nomadi dell’eurasia e di Europa orientale. Ha scritto due “note”, ecco la prima, da me parzialmente editata:Maidan Nezalezhnosti, la piazza dell’indipendenz…

Di Babele in Babele

È luogo comune pensare che i musulmani non vollero la stampa a caratteri mobili per motivi di tipo religioso. La cosa è esatta e sbagliata allo stesso tempo. Se è storicamente documentata l’avversione di regnanti, dotti musul…

L’altra foto di Yarmuk

La fotografia di una folla infinita che si accalca per ricevere gli aiuti alimentari forniti dalla UNRWA nel campo dei profughi palestinesi di Yarmuk ha fatto il giro del mondo.Il campo è lì, a pochi chilometri dal centro di Damasco, dal …

Orientalismo recursivo

Nella foto, scattata in Libia e reperita su Facebook, un “tuareg” mostra di “riconoscersi” in una Volkswagen Touareg.Siamo al centro di un incontro di immaginari di cui a molti sfuggirà il contorno.Una casa automobilistica tedesca intitola una s…

C’era una volta Homs (2)

Due giorni fa, 27 gennaio, vi ho parlato di Homs e del suo terribile destino.La notizia nuova, sul quel fronte, è che sul punto dell’evacuazione di donne e bambini dai quartieri assediati e/o su un corridoio umanitario la delegazione inviata dal…

Il jihad sì, ma a casa altrui

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Chi ha eseguito l’attentato di Volgograd

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Chi trova e chi nasconde in Siria

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L’Africa è già qui!

Avevo appena aperto Facebook, per postare alcuni articoli, quando ho visto questa riflessione di una persona: “Che poi, uno mica viaggia per niente. Gira gira, scopri che Bruxelles è ormai uno dei punti di partenza privilegiati per l’Africa, con un grosso giro d’affari, e allora continui a chiederti, ma perché l’Italia non è in questi business, ma che razza di politiche abbiamo fatto per ritrovarci fuori da tutto?”

C’erano già un bel po’ di commenti, ma tutti impostati sul “noi Italiani siamo fessi, ci fregano tutti…” In somma la solita cantilena. Per mettere un po’ di piccante nella riflessione butto un sasso nello stagno: “L’Italia magna magna se stessa non ha tempo per partecipare al magna magna dell’Africa. L’Africa la continuano a magnia’ le potenze coloniali che da tempo l’hanno cucinata per se stessi.”

Subito dietro una valanga di commenti che nella maggior parte possono essere riassunti in questo: “Karim per essere onesti i vari magna magna..sono anche dovuti….ai tanti politici(quando non tiranni)Africani..” Oppure ancora questo: “Gridare sempre al cattivo colonizzatore non basterà come alibi per l’Africa. Nè imporre la logica delle nostre ideologie laggiù rende un buon servizio.” A quel punto non ho più resistito. e sono partito con una delle mie solite “Divagazioni”. Una riflessione sul come ieri sono venuti a prendere l’Africa e sono stati tutti zitti. Oggi stanno bussando ad altre porte.


L'Africa è già qui!

Ghandi (e non solo) diceva che è vittima solo chi accetta di essere vittima. L’Africa è ancora colonizzata, perchè gli Africani sono ancora colonizzabili. Su questo non ci piove. Ogni volta che c’è una esperienza forte e seria c’è qualche altro gruppo africano per distruggerla.

Io, se e quando parlo con gli Africani, dico questo. Perché il primo responsabile della propria sorte è l’oppresso, non l’oppressore. Ma questo non annulla le responsabilità dell’oppressore. E’ come se tuo figlio si facesse picchiare a scuola regolarmente dai compagni. Come genitore devi lavorare con tuo figlio, sul fatto che si deve difendere, che deve imporre il rispetto agli altri. Non deve lasciarsi maltrattare. Ma questo non toglie la responsabilità degli altri bambini. E avere un figlio che picchia gli altri non è una cosa bella. Avere una concessione del mondo dove il forte ha diritto di mangiare il debole non è una situazione accettabile. E quindi se parlo con europei dico questo. Non è normale essere alla testa di un sistema simile.

Si parla sempre di aiutare l’Africa… aiutiamoli, non li aiutiamo abbastanza, aiutiamoli a casa loro, Basta li abbiamo aiutati fin troppo… Ma chi conosce veramente la questione dice: No! Non aiutate più l’Africa. Cominciate già col non saccheggiarla ogni giorno.

I flussi di ricchezze che dall’Africa viaggiano verso il resto del mondo sono infinitamente superiori ai flussi dei cosiddetti aiuti economici e della cooperazione, che molto spesso servono a far vivere tutta una giungla di società, cooperanti, associazioni, affaristi nei paesi di provenienza degli “aiuti”. E che servono proprio a perennizzare la dipendenza.

Se sono in Africa o se parlo con i miei parlo di cambiare le cose dall’interno. Parlo di cambiare mentalità e di liberarci. Ma se sono in Europa. Specialmente a Bruxelles. Dico Bruxelles pensando alla responsabilità di questa nel vero e proprio disastro che è diventato quello che potrebbe essere il paese più ricco del mondo: il Congo. Se sono qui parlo del colonialismo mai finito. Parlo di far finire lo sfruttamento selvaggio dell’Africa non solo perchè fa male all’Africa ma perchè prima o poi farà male a tutti. E sta già facendo male a tutti.

Mi ricordo alla fine degli anni 80 quando il signor Michel Camdessus direttore del FMI girava l’Africa per convincere tutti che l’unico modo di salvarsi dalla morsa del debito (quel debito che non è mai stato speso per lo sviluppo ma è rimasto conti personali dei tiranni -spesso scelti dagli ex paesi colonizzatori- nelle banche svizzere e lussemburghesi…) bisognava tagliare sulla spesa sanitaria, sulle scuole, sul sociale, sulla cultura… Privatizzare, privatizzare, entrare nel processo di liberalizzazione, aprire le frontiere, far circolare le merci… Ebbene le centinaia di migliaia di giovani che oggi attraversano il deserto a piedi per morire nel mediterraneo sono il prodotto di quella politica.
Oggi l’Africa è una terra abbandonata in preda agli avventurieri di ogni tipo. Non conta più nulla. Se la sono sbranata i leoni e le iene ne stanno ripulendo le ossa. Ora i predatori guardano altrove.

La Signora Christine Lagarde (Attuale direttrice del FMI) oggi è seduta al capezzale del malato europeo e da degna erede della stessa filosofia, ha consigliato esattamente la stessa cosa ai paesi più strozzati: Italia, Grecia, Portogallo… tagliare, tagliare, tagliare… Sanità, sociale, scuola, università… Esercito? No, quello va bene. Sprechi della politica? no. Quelli vanno bene. Una classe politica ben ingrassata è sempre utile nei tempi di magra.
Quest’anno 600.000 italiani sono andati all’estero. La bilancia emigrati/immigrati è tornata a pendere dalla parte dei primi. L’Africa è già arrivata a Napoli, se il mondo continua così, ci vorranno pochi anni prima che arrivi anche a Trento.

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L’Africa è già qui!

Avevo appena aperto Facebook, per postare alcuni articoli, quando ho visto questa riflessione di una persona: “Che poi, uno mica viaggia per niente. Gira gira, scopri che Bruxelles è ormai uno dei punti di partenza privilegiati per l’Africa, con un grosso giro d’affari, e allora continui a chiederti, ma perché l’Italia non è in questi business, ma che razza di politiche abbiamo fatto per ritrovarci fuori da tutto?”

C’erano già un bel po’ di commenti, ma tutti impostati sul “noi Italiani siamo fessi, ci fregano tutti…” In somma la solita cantilena. Per mettere un po’ di piccante nella riflessione butto un sasso nello stagno: “L’Italia magna magna se stessa non ha tempo per partecipare al magna magna dell’Africa. L’Africa la continuano a magnia’ le potenze coloniali che da tempo l’hanno cucinata per se stessi.”

Subito dietro una valanga di commenti che nella maggior parte possono essere riassunti in questo: “Karim per essere onesti i vari magna magna..sono anche dovuti….ai tanti politici(quando non tiranni)Africani..” Oppure ancora questo: “Gridare sempre al cattivo colonizzatore non basterà come alibi per l’Africa. Nè imporre la logica delle nostre ideologie laggiù rende un buon servizio.” A quel punto non ho più resistito. e sono partito con una delle mie solite “Divagazioni”. Una riflessione sul come ieri sono venuti a prendere l’Africa e sono stati tutti zitti. Oggi stanno bussando ad altre porte.


L'Africa è già qui!

Ghandi (e non solo) diceva che è vittima solo chi accetta di essere vittima. L’Africa è ancora colonizzata, perché gli Africani sono ancora colonizzabili. Su questo non ci piove. Ogni volta che c’è una esperienza forte e seria c’è qualche altro gruppo africano per distruggerla.

Io, se e quando parlo con gli Africani, dico questo. Perché il primo responsabile della propria sorte è l’oppresso, non l’oppressore. Ma questo non annulla le responsabilità dell’oppressore. E’ come se tuo figlio si facesse picchiare a scuola regolarmente dai compagni. Come genitore devi lavorare con tuo figlio, sul fatto che si deve difendere, che deve imporre il rispetto agli altri. Non deve lasciarsi maltrattare. Ma questo non toglie la responsabilità degli altri bambini. E avere un figlio che picchia gli altri non è una cosa bella. Avere una concezione del mondo dove il forte ha diritto di mangiare il debole non è una situazione accettabile. E quindi se parlo con europei dico questo. Non è normale essere alla testa di un sistema simile.

Si parla sempre di aiutare l’Africa… aiutiamoli, non li aiutiamo abbastanza, aiutiamoli a casa loro, Basta li abbiamo aiutati fin troppo… Ma chi conosce veramente la questione dice: No! Non aiutate più l’Africa. Cominciate già col non saccheggiarla ogni giorno.

I flussi di ricchezze che dall’Africa viaggiano verso il resto del mondo sono infinitamente superiori ai flussi dei cosiddetti aiuti economici e della cooperazione, che molto spesso servono a far vivere tutta una giungla di società, cooperanti, associazioni, affaristi nei paesi di provenienza degli “aiuti”. E che servono proprio a perennizzare la dipendenza.

Se sono in Africa o se parlo con i miei, parlo di cambiare le cose dall’interno. Parlo di cambiare mentalità e di liberarci. Ma se sono in Europa. Specialmente a Bruxelles. Dico Bruxelles pensando alla responsabilità di questa nel vero e proprio disastro che è diventato quello che potrebbe essere il paese più ricco del mondo: il Congo. Se sono qui parlo del colonialismo mai finito. Parlo di far finire lo sfruttamento selvaggio dell’Africa non solo perché fa male all’Africa ma perché prima o poi farà male a tutti. E sta già facendo male a tutti.

Mi ricordo alla fine degli anni 80 quando il signor Michel Camdessus direttore del FMI girava l’Africa per convincere tutti che l’unico modo di salvarsi dalla morsa del debito (quel debito che non è mai stato speso per lo sviluppo ma è rimasto sui conti personali dei tiranni -spesso scelti dagli ex paesi colonizzatori- nelle banche svizzere e lussemburghesi…) bisognava tagliare sulla spesa sanitaria, sulle scuole, sul sociale, sulla cultura… Privatizzare, privatizzare, entrare nel processo di liberalizzazione, aprire le frontiere, far circolare le merci… Ebbene le centinaia di migliaia di giovani che oggi attraversano il deserto a piedi per morire nel mediterraneo sono il prodotto di quella politica.
Oggi l’Africa è una terra abbandonata in preda agli avventurieri di ogni tipo. Non conta più nulla. Se la sono sbranata i leoni e le iene ne stanno ripulendo le ossa. Ora i predatori guardano altrove.

La Signora Christine Lagarde (Attuale direttrice del FMI) oggi è seduta al capezzale del malato europeo e da degna erede della stessa filosofia, ha consigliato esattamente la stessa cosa ai paesi più strozzati: Italia, Grecia, Portogallo… tagliare, tagliare, tagliare… Sanità, sociale, scuola, università… Esercito? No, quello va bene. Sprechi della politica? no. Quelli vanno bene. Una classe politica ben ingrassata è sempre utile nei tempi di magra.
Quest’anno 600.000 italiani sono andati all’estero. La bilancia emigrati/immigrati è tornata a pendere dalla parte dei primi. L’Africa è già arrivata a Napoli, se il mondo continua così, ci vorranno pochi anni prima che arrivi anche a Trento.

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L’Africa è già qui!

Avevo appena aperto Facebook, per postare alcuni articoli, quando ho visto questa riflessione di una persona: “Che poi, uno mica viaggia per niente. Gira gira, scopri che Bruxelles è ormai uno dei punti di partenza privilegiati per l’Africa, con un grosso…