Giorno: 8 marzo 2017

Si ringrazia l’Avv. Stefano Maiorano per le segnalazioni. Il commento è della redazione.

Si ringrazia l’Avv. Stefano Maiorano per le segnalazioni. Il commento è della redazione.

Il Tribunale di Lecce con queste due ordinanze fornisce una ulteriore conferma dell’orientamento della giurisprudenza italiana nel ritenere i richiedenti asilo provenienti dal Mali aventi diritto perlomeno ad una protezione umanitaria.
Entrambe le sentenze ribaltano il parere della Commissione territoriale ed attraverso un’analisi geopolitica approfondita considerano il Paese, ed in particolare la regione di Kayes nel sud, in una situazione non ancora del tutto stabilizzata e caratterizzata da episodi di violenza localizzata. Una situazione “comunque grave che si è deteriorata nell’ultimo anno”, a tal punto da ritenere che “sussistano gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno del richiedente”.
Alla luce di queste considerazioni ci domandiamo come l’Ue e soprattutto l’Italia possano stringere “patti su misura” con il Mali e, citando l’Alto rappresentante UE per gli Affari esteri Federica Mogherini, “impegnarsi in modo così specifico con un paese africano sul rientro dei richiedenti asilo respinti”, quando invece non solo le condizioni oggettive non lo permettono, ma avrebbero tutto il diritto a vedersi riconosciuta una tutela umanitaria. (ndr)

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Tribunale di Lecce, ordinanza del 18 gennaio 2017

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Tribunale di Lecce, ordinanza dell’8 febbraio 2017

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Consulta altri provvedimenti relativi all’accoglimento di richieste di protezione da parte di cittadini della Mali

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Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione.

Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione.

Una pronuncia molto interessante del Tribunale di Roma, che ha ritenuto illegittimo il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di attesa asilo politico (invece del permesso di soggiorno per motivi umanitari) da parte della Questura di Roma per un richiedente asilo a cui la commissione aveva accordato la protezione umanitaria e che di conseguenza aveva impugnato il provvedimento per ottenere il riconoscimento di una protezione internazionale.
Il Tribunale civile di Roma ribadisce che la Questura non ha alcun potere decisionale in questa fase in ordine alla tipologia di permesso da rilasciare e ricorda che l’art. 19 del Dlgs 150/2011, in caso di impugnazione ex art. 35, nel sancire l’effetto sospensivo si riferisce “all’efficacia esecutiva del provvedimento negativo dell’Autorità Amministrativa, vale a dire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione”, e non anche al provvedimento che riconosce una protezione umanitaria.

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Tribunale di Roma, ordinanza del 6 febbraio 2017

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ROSSOBRUNI ALLA CIOCIARA

  La collusione fra estrema destra ed elementi “di sinistra” o “pacifisti” nel sostegno al dittatore siriano Bashar Assad non è una novità, ma si arricchisce costantemente di nuove conferme. Il prossimo 26 marzo, in provincia di Frosinone, si terrà un incontro sulla Siria cui parteciperà, in qualità di relatore, Ouday Ramadan, instancabile propagandista del […]

Leila Alaoui, “Je te pardonne” alla Galleria Continua

La Galleria Continua di San Gimignano ospita dal 18 Febbraio al 23 aprile la personale postuma di Leila Alaoui, fotografa e video artist franco- marocchina. La mostra presenta un insieme di scatti fotografici provenienti da varie serie di lavori dell’artista, realizzati in diversi paesi del mondo: “Les marocains” realizzato in…

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A Rosarno tra parole e lotta

La Calabria è così, passi una volta, ti fermi e poi sei costretto a tornarci.
Rosarno non si può definire una località di villeggiatura, “spostata” dalla tratta di un’autostrada infinita, adagiata, come nel volere degli antichi greci, in una collina che guarda il mare.
La terra della Piana (di Gioia Tauro) oggi, e Rosarno in particolare, è stata stuprata da un abusivismo selvaggio, un inquinamento visibile ad occhio nudo, un continuo di opere mia finite. La stessa terra in cui, per più di cinquant’anni, si sono combattute le ‘ndrine e lo sfruttamento lavorativo (vedi articolo di Terrelibere.org).

Tra connivenze istituzionali, vecchie e nuove lotte politiche e povertà dilagante

Siamo tornati a Rosarno, e lo facciamo oramai da più di un anno, per continuare a dar voce, in ogni senso, a coloro che, ultimi tra gli ultimi, dimenticati e sfruttati, raccolgono la nostra frutta per pochi euro al giorno nella terra dove la disoccupazione ha fatto scappare i giovani e intristito i vecchi.
Siamo tornati a Rosarno perché oggi più di ieri siamo convinti che la parola, in questo caso la parola italiana, sia fondamentale per l’acquisizione di diritti e dignità dei tanti braccianti africani che, come fantasmi, in una sorta di “prostituzione lavorativa”, vagano tra le campagne della Piana alla ricerca di un “lavoro”, eufemismo contemporaneo per definire la nuova, capillare, schiavitù.

Siamo tornati a Rosarno e per più di una settimana abbiamo portato avanti dei corsi di prima alfabetizzazione all’interno e all’esterno del ghetto, tra capre squartate, roghi di plastica bruciata, cumuli di spazzatura puzzolente, baracche in costruzione e prostitute scosciate a bordo strada.
San Ferdinando è proprio questo! Una grande zona industriale, per lo più abbandonata, a sinistra una tendopoli istituita nel 2010, subito dopo la famosa Rivolta, con annesso ghetto in espansione, a destra una grande fabbrica occupata. Tra ghetto e fabbrica vivono oggi più di 2500 braccianti in condizioni disumane e in attesa di spostarsi verso altre località del Sud per l’avvio di altre raccolte agricole. E questo è solo un piccolo lembo di un territorio, quello della Piana, che “ospita” migliaia di braccianti, per lo più rumeni, bulgari e africani, che spuntano la mattina in concomitanza di qualche incrocio per farsi accompagnare al campo dal caporale di turno. Caporale che è l’anello debole della catena o meglio “l’ultima ruota del carro”.

Pensare di debellare lo sfruttamento lavorativo in agricoltura attraverso l’arresto di qualche caporale o qualche mafioso è pura follia.

Un po’ come scrive Roberto Saviano sulle pagine di Repubblica in un editoriale uscito proprio ieri dal titolo “Uomini e caporali nella Puglia che brucia” dimenticandosi (sic!) di menzionare la Grande Distribuzione organizzata che, imponendo prezzi dei prodotti e bocciando politiche legate ad esempio all’etichetta narrante, diventa la burattinaia di un Sistema voluto e ben rodato!

Dopo lo sgombero del ghetto di Boreano la scorsa estate e di quello di Rignano qualche giorno fa, quello di Rosarno resta il ghetto per antonomasia e, probabilmente, sarà così per molto altro tempo ancora. Un po’ perché simbolo di una Rivolta mai del tutto metabolizzata, un po’ perché frutto di strategie politiche che, in terra di ‘ndrangheta, profumano molto di connivenza.
L’ultima trovata delle istituzioni locali sarebbe quella di costruire, sempre all’interno della zona industriale, una nuova tendopoli, recintata e sorvegliata, dove inserire circa 500 braccianti, scelti non si sa in base a quali elementi, in un contesto che potrebbe tranquillamente riprodurre un regime simile a quello detentivo. Costo della trovata tra 600 e 700 mila euro.

Noi abbiamo risposto, e risponderemo, continuando i corsi di italiano all’interno del ghetto e del campo containers e con la costruzione di una struttura polifunzionale, Rosarno Hospital(ity) school, che, per la prossima stagione agrumicola, diventerà uno spazio condiviso all’interno di un ghetto marginalizzato.
Siamo tornati a Rosarno convinti che la parola sia l’unica arma per difendere i propri diritti ed affermare i propri bisogni.

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