Il «sistema» delle coop targate Simone Borile applica ai migranti l’identica vocazione a cannibalizzare le risorse pubbliche che…
Giorno: 6 gennaio 2017
Ecofficina l’anima nera del modello Veneto fra capannoni dismessi e simulacri industriali
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Consiglio di lettura: “Uno sguardo ferito” di Rabah Belamri
Dal blog Mille e una pagina di Claudia Negrini
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Minori in tendopoli e hotspot. I casi di Pozzallo Augusta Catania e Messina
Il 2016 si conclude con altri arrivi, morti, dispersi.
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Trentasei adolescenti accusano il Ministero degli Interni di rinnegare la promessa di portare…
Trentasei minori richiedenti asilo che precedentemente vivevano nel campo per rifugiati di Calais hanno lanciato una sfida legale al…
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Gli arabi hanno un posto nella contesa globale?
I molteplici livelli di lettura degli scenari attuali e futuri rendono necessario un impegno rinnovato da parte di ogni arabo
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La conferenza di Astana punta alla tregua o alla resa siriana?
Sembra che l’obiettivo di Russia e Iran sia quello di trascinare l’opposizione siriana armata verso un progetto di lenti negoziati, pur godendo della libertà di circolare e violare il cessate il fuoco quando lo ritengano opportuno.
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Rohingya: una foto e un video
Un video dove le forze di sicurezza birmane prendono a calci un poveraccio che si nasconde la testa tra le mani e la foto di un bimbo riverso sulla sabbia a faccia in giù e senza più vita fanno il giro del mondo e risollevano la questione di una minoranza bistrattata e selvaggiamente perseguitata. Il piccolo Mohammed e il povero contadino preso a calci, divenuti virali sui social media finora attenti alla tragedia di Aleppo, sono due rohingya. Appartengono a un popolo in fuga che, dagli inizi di ottobre, scappa dall’ennesima persecuzione ai suoi danni.
Questa volta a scatenarla è stato l’eccidio di alcuni poliziotti birmani attribuito a un gruppo islamista radicale alla frontiera. Altre volte, e a più riprese, questa comunità musulmana di un milione di persone che abitano nello Stato
occidentale birmano del Rakhine, è stata oggetto di violenze che l’hanno costretta alla fuga. Si stima che la metà dei Rohingya viva ormai fuori dal Myanmar mentre un quinto di chi è rimasto vive nei campi profughi nel Rakhine. Oltre trentamila sono invece la colonna infame dell’ultima fuga che, tra ottobre e dicembre, ha raggiunto le coste del Bangladesh. Un esodo che non si è fermato.
Finora, le pressioni sul governo birmano sono state praticamente inutili. Né ha ancora sortito effetti la lettera che una dozzina di Nobel per la pace e altrettanti personaggi pubblici hanno scritto all’Onu perché si faccia qualcosa. L’unica cosa certa è che Naypyidaw manderà a Dacca un suo inviato per “discutere” della questione. Poco quando le accuse sono di stupro, esecuzioni sommarie, violenze, incendio di villaggi…
… (continua su il manifesto oggi in edicola)