Giorno: 29 dicembre 2016

Com’è dura rompere il silenzio

Anche se non c’è differenza tra “loro” e chi vive da questa parte delle acque, in Bangladesh, son certo che questo signore davanti a me – che mi guarda silenzioso bere il te – è un rohingya. Lo deduco perché, in questa terra di povertà estrema, nemmeno il più disgraziato sarebbe vestito come lui. E’ alto, il volto segnato e amaro. Una giacca troppo lunga e troppo larga, nera, che gli copre un corpo secco come un’acciuga e due spalle esili e aguzze. Mi guarda e non ordina niente. Poi se ne va. In silenzio. Il silenzio è la più brutta malattia di questa oscura vicenda. E ci sono voluti tre mesi e forse i buoni auspici del natale per far si che l’Unione europea aprisse la borsa tirando fuori 300mila euro per loro e che, notizia di oggi, 13 premi Nobel (da Muhammad Yunus a Desmond Tutu a Malala Yousafzai) e diversi personaggi di rilievo internazionale (Bonino e Prodi tra gli italiani) scrivessero al segretario dell’Onu perché si dia da fare per risolvere la situazione. Alla buon’ora. Una lettera forse è proprio il minimo che si può scrivere anche se c’è di mezzo un’altra Nobel, la signora Aung San Suu Kyi.

Ma anche una lettera – un’autorevole lettera – è rompere il  silenzio.   Anche un articolo, nel suo piccolo, può farlo anche se oggi un settimanale italiano mi ha risposto che no, grazie, non interessa. E tanti auguri di buon anno. Due righe per dire che questi 34mila disperati che solo negli ultimi tre mesi son stati spinti via dalla loro terra non sono un pane appetibile per te, lettore italiano.  La Raggi vale di più. Bersani pure. Non mi stupisco. Nessun giornale del mio Paese si è scandalizzato per l’espulsione annunciata di 80mila afgani dalla sacra terra europea. Né fa scalpore quel milione di afgani che, a centinaia per volta, il Pakistan sta espellendo dalla sua terra, che la geopolitica val più della solidarietà. Dunque 34mila rohingya possano soffrire in silenzio. Non meritano la tua attenzione, lettore italiano.

Varcano il fiume che separa le due frontiere e che diventa  un braccio di mare. Ma è riparato e dunque tranquillo e la stagione è buona. Cento, duecento, cinquecento al giorno. Dicono che ora il loro arrivo si è stabilizzato. Non cresce più. Ma non sappiamo, non possiamo saperlo, quanti vorrebbero fuggire e non possono farlo. In Myanmar, su quel confine non si può andare. Anche in Bangladesh il confine è off limits. Ma si può venire qui a Ukhia, trenta chilometri da Cox Bazar, la Rimini del Paese, a vedere dove vive questa gente. Teloni neri di plastica appoggiati su aste di bambù. E la solidarietà quotidiana di chi non è molto più  povero di loro ma condivide un pasto, un posto per la tenda. Durerà? La pressione è forte anche se i rohingya son del tutto simili ai bengali. Pare siano circa 300mila i rohingya in Bangladesh, un terzo della loro popolazione totale. Dispersi qui e là, su fino a Chittagong e forse anche a Dacca. Lavori stagionali e, immagino, un senso di ingiustizia, di precarietà, una sofferenza che non valgono questo silenzio. Grazie, non interessa. Abbiamo altro cui pensare.

Bibbia e politica

Immagine emblematica. Alla legalità internazionale il rappresentante permanente di Israele risponde mostrando la Bibbia. Contiene tremila anni di storia ebraica, ha detto, “e nessuno, nessuno la cambierà”. Confrontate questa immagine con la risoluzione 2334 e con il discorso tenuto ieri da John Kerry, ancora segretario di Stato americano, in cui ha spiegato lo stato deiContinua a leggere

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Guida facilitata alla letteratura araba per analisti e geopolitici

Qualche giorno fa riflettevo sullo strapotere della geopolitica nell’affrontare lo studio dell’area di interesse di questo blog. Si parla tanto di Medio Oriente, Nord Africa, di dinamiche sociali, politiche e religiose, del ruolo dell’Islam politico, delle minoranze religiose, di terrorismo, jihad, regimi autocrati. Ne parlano tutti, ne parliamo tutti, con più o meno cognizione di … Continua a leggere Guida facilitata alla letteratura araba per analisti e geopolitici

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