Giorno: 3 dicembre 2016

Benazir, la signora del Sindh

Il 2 dicembre 1988 Benezir Bhutto diventa la prima donna a capo di un governo in un Paese musulmano. Icona? Eroina, Figura controversa? Cosa resta della sua eredità ? Un profilo andato in onda ieri a Wikiradio

Il suono delle sirene. Le grida della gente. Polizia, ambulanze, soldati. Gente straziata dalle esplosioni che il 27 dicembre del 2007, dopo che un cecchino le ha sparato, esplodono accanto all’auto blindata d Benazir Bhutto, della donna due volte premier del Pakistan e che forse potrebbe vincere le elezioni che si devono svolgere all’inizio dell’anno.

La sua storia, la storia dell’erede di una dinastia che ha già dato un primo ministro al Pakistan e che governa un grande partito popolare, finisce quel giorno. E bisogna allora andare a un altro dicembre, quasi vent’anni prima, quando Benazir Bhutto entra nella politica pachistana e la sconvolge. E’ la prima donna premier in un Paese musulmano ed è la prima donna a capo di un governo civile in un Paese che ha una lunga storia di dittature militari. Il 2 dicembre del 1988, Benazir, a capo di un partito importante ed erede del messaggio politico di suo padre Zulfikar, riempie le pagine dei giornali e inonda le televisioni di tutto il mondo.

E’ un caso politico straordinario, è bellissima e ha un carattere d’acciaio. Dirà di sé: Ho sempre avuto fiducia in me stessa e ho sempre pensato che sarei diventata primo ministro se lo avessi voluto. All’epoca ha solo 35 anni che manifesta con una voce suadente e gentile in un ottimo inglese imparato ad Harvard e a Oxford

Il video dell’assassionio di Benazir di Global Daily News

Quell’inizio di dicembre del 1988 sembra segnare una nuova era in un’epoca che vede questa parte dell’Asia in preda a convulsioni pericolose: da quasi dieci anni si combatte in Afghanistan contro i russi. Il Pakistan, che ha appena subito la feroce dittatura del generale Zia Ul Haq, ha già combattuto tre guerre con l’India e nel 1971 ha perso la sua costola orientale, diventata Bangladesh, in uno scontro tra Islamabad e i secessionisti bengalesi sostenuti da Nuova Delhi. E’ uno strappo mai digerito e che, con la questione mai risolta del Kashmir, ancora oggi rende nemiche queste due sorelle – l’India e il Pakistan –, sorelle nate dalla Partiton del Raj britannico nel 1947. UN parto gemellare bizzarro quanto gravido di conseguenze.

Ma prima di vedere le promesse di Benazir e quel che davvero riesce a realizzare il suo governo,

dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo andare proprio a quel 1971 quando Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir, ricopre per la prima volta la carica di presidente del Pakistan. A capo dello Stato dal ‘71 al ‘73 e poi premier dal ‘73 al ‘77, anche Zulfikar è una speranza. E’ un civile e non un militare. E’ un socialista, visto con timore e sospetto a Washington ma anche indigesto a Mosca proprio perché il Pakistan guarderà con sempre maggior simpatia alla Cina. E’ a capo del Partito popolare del Pakistan, il PPP, ed è un oratore appassionato e instancabile che ama i bagni di folla e che sa entusiasmare la sua platea

Ma la sua carriera politica, nella miglior tradizione del Paese, viene fermata da un generale. Un generale – il generale Zia Ul Haq – cui non piace il socialismo di Bhutto e che vorrebbe un ritorno all’islam che per Zia deve essere il collante del Paese dei puri. Molto, molto più che per quel proprietario terriero del Sindh troppo laico per i suoi gusti e che parla di religione senza praticarla veramente. Bhutto in realtà, popolare tra i poveri, piace poco anche a molti uomini del suo partito. Personaggi che gli remano contro e che dopo le elezioni legislative che lo vedono primeggiare decretano illegittima la sua vittoria. La situazione di caos giustifica agli occhi dell’esercito il ritorno al potere delle divise e nel luglio del 1977 Bhutto viene arrestato. Ma Zia non si ferma qui. Lo vuole morto. Giustizia, dice va fatta: senza distinzioni, dall’uomo della strada al premier. Zia, che ribalterà la politica di nazionalizzazioni di Bhutto privatizzando le aziende nazionalizzate, nel 79 lo fa condannare a morte per omicidio. Giustizia va fatta

Benazir racconterà nella sua autobiografia intitolata “Figlia del destino” le ultime ore di suo padre

prima dell’impiccagione. Anche lei è in prigione perché Zia ha fatto terra bruciata. A quell’epoca ha solo 26 anni ma già si sente investita dell’eredità politica di suo Padre. Si sente appunto la figlia del destino. Un destino che per adesso deve aspettare. Fino al dicembre del 1988 quando viene eletta e scelta a guidare il governo

La forza politica di Benazir sta in realtà anche nell’ondata emotiva che ha travolto il Paese con la morte di suo padre e quando nell’agosto del 1988, l’aereo che trasporta il dittatore Zia si schianta per motivi mai realmente appurati, arriva l’occasione. Casualità? Attentato? Non lo sappiamo, sappiamo solo che il PPP riprende vigore e la casta militare fa un passo indietro. Il partito popolare vuole giocare la carta Benazir. La roccaforte del Ppp è quella dei Bhutto, la provincia agricola e meridionale del Sindh, ma quel cognome è una carta che si può spendere dal Punjab al Belucistan, da Lahore a Peshawar. Benazir, che intanto si è sposata con Asif Zardari, viene candidata. La tela è stata tessuta tra Islamabad, la capitale, Karachi, la grande metropoli del Sindh e città natale di Benazir, Lahore, il capoluogo della provincia più importante – il Punjab – e Londra, dove Benazir è andata a vivere con la famiglia. Il Pakistan è un posto pericoloso per i Bhutto: nel 1985 suo fratello Shahnawaz è stato avvelenato, forse proprio su ordine di Zia. Prigione, arresti domiciliari, intimidazioni e minacce continue l’hanno costretta all’esilio. Non sarà l’unica volta.

Il primo gabinetto Bhutto non dura 500 giorni. Nell’agosto del 1990 il governo cade e Benazir affronta per la prima volta il peso di accuse che si ripeteranno per lei e per suo marito che il popolino chiama mister 10%. Asif Zardari è un imprenditore, due anni più giovane di Benazir, e non è affatto amato in Pakistan. Lei piace, lui assai meno. I detrattori di Benazir ne approfittano e il confine tra verità e persecuzione politica diventa labile in un Paese dove il sistema giudiziario è sottoposto a forti pressioni politiche. Ciò non impedirà poi a Zardari di diventare presidente del Pakistan e copresidente del PPP, carica che ancora riveste, Ma la sua carriera nel partito e nel governo si deve a sua moglie più che alle sue doti politiche. Nel 1993 infatti Benazir ci riprova e vince nuovamente le elezioni. Forse anche per proteggere il marito, lo coopta nel governo come ministro federale per gli investimenti, un posto chiave nell’economia del Paese. Diventa anche responsabile della protezione ambientale e controlla i servizi segreti civili. Non tutti digeriscono.

Tra quelli che non digeriscono c’è anche il fratello della signora Bhutto, Murtaza, che nella storia di Benazir e nella politica del Pakistan ha un ruolo importante. Classe 1954, un anno più giovane di lei, Ghulam Murtaza è un personaggio particolare: coraggioso, spericolato, vendicativo. La prima vendetta la vorrebbe fare per vendicare la morte di suo padre e durante la dittatura di Zia si macchia di due delitti: viene infatti accusato della morte di un politico conservatore da sempre nemico di suo padre e poi del sequestro di un aereo sul quale uccide un ostaggio. Scappa in Afganistan. Viene condannato a morte in contumacia da una corte militare.

Murtaza torna in Pakistan nel 1993 quando sua sorella è al governo ma lei lo fa arrestare anche se il periodo in prigione dura poco. Murtaza paga, esce e comincia la sua campagna politica. Prima tenta un abboccamento con la sorella: vuole un ritorno alle origini del Ppp a patto però che Zardari esca di scena. Ma quando Benazir rifiuta, Murtaza diventa uno dei più fieri critici del suo governo: diventa un ostacolo imbarazzante e nel 1996 viene ucciso durante uno scontro a fuoco con la polizia. E’ uno dei motivi, accanto alle reiterate accuse di corruzione, che faranno decidere al presidente Farooq Leghari di sfiduciare nuovamente il governo di Benazir. E’ la seconda volta e in questa occasione pesa anche l’accusa che ci possa essere un legame tra la morte di Murtaza e Zardari, il marito di Benazir, che viene accusato di omicidio ma non sarà mai condannato perché il suo coinvolgimento non viene provato.

La storia, l’eredità politica, i legami con la famiglia di origine, la fedeltà alla nuova famiglia creata con Asif Zardari pesano e continueranno a pesare su Benazir. Esautorata dal presidente e diventata impopolare per la morte del fratello e per gli scandali che riguardano il marito, Benazir deve affrontare uno dei periodi più difficili della sua vita. Problemi con la giustizia, accuse, ombre e una macchina politica che cerca di liberarsi di lei. Ma cosa ha fatto intanto nei suoi tre anni di governo? Cosa si lascia alle spalle? Il suo mandato è stato continuamente turbato dalle accuse a lei e al marito di aver usato la macchina dello Stato a fini personali. Governo e economia sono in affanno e inoltre alle Nazioni Unite vengono decise sanzioni contro il programma nucleare pachistano. Nei circoli militari e nei servizi segreti, dove restano forti le simpatie per l’ex dittatore Zia ul Haq e per Nawaz Sharif, il leader conservatore più volte premier e attuale primo ministro, ebbene in quei circoli si morde il freno. Nel 1995 alcuni settori delle forze armate tentano l’ennesimo golpe che però fallisce. Non è un buon segno.

E’ il segno che in Pakistan i governi civili sono deboli e c’è chi decide per loro, chi dietro le quinte minaccia e dà consigli che si devono seguire. E’ il caso dei talebani, il movimento guerrigliero afgano che proprio nel settembre 1996 prenderà Kabul mentre Benazir è ancora al governo. Ma i talebani sono attivi in Afghanistan dal 1994 e ancor prima sono stati allevati e ospitati nelle madrase lungo il confine pachistano afgano. Benazir lo sa e approva. Il suo è uno dei pochi governi a riconoscere ufficialmente l’emirato islamico di mullah Omar. Dell’eredità di suo padre non le resta molto se non una politica estera che vede con favore l’alleanza con alcuni Paesi socialisti, esclusa però l’Unione sovietica contro cui il Pakistan ha combattuto in Afghanistan sostenendo i mujaheddin durante l’invasione di Mosca.

In economia segue la politica di privatizzazioni del suo predecessore Nawaz Sharif e resiste solo su due imprese pubbliche nazionali che restano nelle mani dello Stato: ferrovie e acciaierie. Anche il bilancio delle sue promesse elettorali in favore delle donne è negativo. Molte parole, pochi fatti. Così come con i talebani. Se Benazir è laica, si scaglia contro il fanatismo religioso, è a favore delle donne, non ha esitato però a servirsi degli islamisti, una vecchia scelta dei politici pachistani che ancora oggi avvelena quel Paese.

Eppure Benazir resta una figura di riferimento. Resta l’icona di un Pakistan guidato da un governo
civile, di un Paese islamico dove al potere è andata una donna. Il mito resiste e la prova è che, dal suo nuovo esilio tra Dubai e Londra, mentre suo marito è finito in carcere e ogni giorno ha a che fare con nuovi guai giudiziari, Benazir non smette di lottare. Ha buon gioco nel farlo perché in Pakistan le accuse di omicidio o corruzione sono spesso solo il modo per impadronirsi del potere mettendo nei guai il rivale. Dagli slum di Karachi, dalle periferie di Peshawar, dal cuore del Sindh rurale, i diseredati credono ancora in lei. La donna è abile. Anche se in esilio, governa da Dubai l’opposizione al premier Nawaz Sharif nuovamente tornato in auge. Lo accusa di una politica poco aggressiva, di non essere capace di rispondere alle provocazioni nucleari dell’India.
L’ennesima guerra in Kashmir, il cosiddetto incidente di Kargil, affonda la popolarità di Nawaz Sharif e fa brillare la stella di Benazir. Bhutto riesce a giocare anche col nuovo protagonista in divisa che nel 1999 deporrà Sharif con un colpo di stato, il generale Pervez Musharraf. Lo sfida e riesce a ottenere da lui, che la comunità internazionale ha messo al bando, il rientro in patria. Sa inoltre che il generale golpista, senza volerlo, le ha spianato la strada: ha eliminato dalla scena il rivale più pericoloso e ha indebolito il suo partito. Inoltre Musharraf non gode dell’appoggio popolare. E’ il momento di tornare anche perché il dittatore, in cerca di consensi, è pronto a firmare un’amnistia che proscioglie lei e suo marito da ogni accusa.

Il 19 ottobre 2007, dopo otto anni di esilio, il ritorno a casa nella sua Karachi è l’ennesimo trionfo. Le accuse contro suo marito sono cadute e alla fine la sua famiglia da carnefice è diventata vittima. E’ una donna che è già sfuggita a più di un attentato, a persecuzioni e accuse. Ha ancora coraggio da vendere, sa come scaldare cuori e passioni. Incarna ancora una promessa di riscatto. Ma è un trionfo che non durerà. Nel dicembre del 2007, vent’anni dopo quel dicembre del 1988, questa volta ad aspettarla non c’è lo scranno da primo ministro. C’è la morte che la colpisce dopo il suo ultimo discorso.

Ironia della sorte vuole che a ucciderla saranno proprio i talebani pachistani anche se nessuno saprà mai esattamente chi ha armato veramente quelle mani. Il Paese dei puri, il Paese di Benazir, è anche il Paese di molti misteri irrisolti.

Il podcast (regia di Marco Motta)
Audio Rai.TV – Wikiradio – Benazir Bhutto – Wikiradio del 02/12/2016

Le immagini: dall’alto: Benazir, suo padre Zulfikar, il generale Zia, il marito Zardari e il generale Musharraf

Benazir, la signora del Sindh

Il 2 dicembre 1988 Benezir Bhutto diventa la prima donna a capo di un governo in un Paese musulmano. Icona? Eroina, Figura controversa? Cosa resta della sua eredità ? Un profilo andato in onda ieri a Wikiradio

Il suono delle sirene. Le grida della gente. Polizia, ambulanze, soldati. Gente straziata dalle esplosioni che il 27 dicembre del 2007, dopo che un cecchino le ha sparato, esplodono accanto all’auto blindata d Benazir Bhutto, della donna due volte premier del Pakistan e che forse potrebbe vincere le elezioni che si devono svolgere all’inizio dell’anno.

La sua storia, la storia dell’erede di una dinastia che ha già dato un primo ministro al Pakistan e che governa un grande partito popolare, finisce quel giorno. E bisogna allora andare a un altro dicembre, quasi vent’anni prima, quando Benazir Bhutto entra nella politica pachistana e la sconvolge. E’ la prima donna premier in un Paese musulmano ed è la prima donna a capo di un governo civile in un Paese che ha una lunga storia di dittature militari. Il 2 dicembre del 1988, Benazir, a capo di un partito importante ed erede del messaggio politico di suo padre Zulfikar, riempie le pagine dei giornali e inonda le televisioni di tutto il mondo.

E’ un caso politico straordinario, è bellissima e ha un carattere d’acciaio. Dirà di sé: Ho sempre avuto fiducia in me stessa e ho sempre pensato che sarei diventata primo ministro se lo avessi voluto. All’epoca ha solo 35 anni che manifesta con una voce suadente e gentile in un ottimo inglese imparato ad Harvard e a Oxford

Il video dell’assassionio di Benazir di Global Daily News

Quell’inizio di dicembre del 1988 sembra segnare una nuova era in un’epoca che vede questa parte dell’Asia in preda a convulsioni pericolose: da quasi dieci anni si combatte in Afghanistan contro i russi. Il Pakistan, che ha appena subito la feroce dittatura del generale Zia Ul Haq, ha già combattuto tre guerre con l’India e nel 1971 ha perso la sua costola orientale, diventata Bangladesh, in uno scontro tra Islamabad e i secessionisti bengalesi sostenuti da Nuova Delhi. E’ uno strappo mai digerito e che, con la questione mai risolta del Kashmir, ancora oggi rende nemiche queste due sorelle – l’India e il Pakistan –, sorelle nate dalla Partiton del Raj britannico nel 1947. UN parto gemellare bizzarro quanto gravido di conseguenze.

Ma prima di vedere le promesse di Benazir e quel che davvero riesce a realizzare il suo governo,

dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo andare proprio a quel 1971 quando Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir, ricopre per la prima volta la carica di presidente del Pakistan. A capo dello Stato dal ‘71 al ‘73 e poi premier dal ‘73 al ‘77, anche Zulfikar è una speranza. E’ un civile e non un militare. E’ un socialista, visto con timore e sospetto a Washington ma anche indigesto a Mosca proprio perché il Pakistan guarderà con sempre maggior simpatia alla Cina. E’ a capo del Partito popolare del Pakistan, il PPP, ed è un oratore appassionato e instancabile che ama i bagni di folla e che sa entusiasmare la sua platea

Ma la sua carriera politica, nella miglior tradizione del Paese, viene fermata da un generale. Un generale – il generale Zia Ul Haq – cui non piace il socialismo di Bhutto e che vorrebbe un ritorno all’islam che per Zia deve essere il collante del Paese dei puri. Molto, molto più che per quel proprietario terriero del Sindh troppo laico per i suoi gusti e che parla di religione senza praticarla veramente. Bhutto in realtà, popolare tra i poveri, piace poco anche a molti uomini del suo partito. Personaggi che gli remano contro e che dopo le elezioni legislative che lo vedono primeggiare decretano illegittima la sua vittoria. La situazione di caos giustifica agli occhi dell’esercito il ritorno al potere delle divise e nel luglio del 1977 Bhutto viene arrestato. Ma Zia non si ferma qui. Lo vuole morto. Giustizia, dice va fatta: senza distinzioni, dall’uomo della strada al premier. Zia, che ribalterà la politica di nazionalizzazioni di Bhutto privatizzando le aziende nazionalizzate, nel 79 lo fa condannare a morte per omicidio. Giustizia va fatta

Benazir racconterà nella sua autobiografia intitolata “Figlia del destino” le ultime ore di suo padre

prima dell’impiccagione. Anche lei è in prigione perché Zia ha fatto terra bruciata. A quell’epoca ha solo 26 anni ma già si sente investita dell’eredità politica di suo Padre. Si sente appunto la figlia del destino. Un destino che per adesso deve aspettare. Fino al dicembre del 1988 quando viene eletta e scelta a guidare il governo

La forza politica di Benazir sta in realtà anche nell’ondata emotiva che ha travolto il Paese con la morte di suo padre e quando nell’agosto del 1988, l’aereo che trasporta il dittatore Zia si schianta per motivi mai realmente appurati, arriva l’occasione. Casualità? Attentato? Non lo sappiamo, sappiamo solo che il PPP riprende vigore e la casta militare fa un passo indietro. Il partito popolare vuole giocare la carta Benazir. La roccaforte del Ppp è quella dei Bhutto, la provincia agricola e meridionale del Sindh, ma quel cognome è una carta che si può spendere dal Punjab al Belucistan, da Lahore a Peshawar. Benazir, che intanto si è sposata con Asif Zardari, viene candidata. La tela è stata tessuta tra Islamabad, la capitale, Karachi, la grande metropoli del Sindh e città natale di Benazir, Lahore, il capoluogo della provincia più importante – il Punjab – e Londra, dove Benazir è andata a vivere con la famiglia. Il Pakistan è un posto pericoloso per i Bhutto: nel 1985 suo fratello Shahnawaz è stato avvelenato, forse proprio su ordine di Zia. Prigione, arresti domiciliari, intimidazioni e minacce continue l’hanno costretta all’esilio. Non sarà l’unica volta.

Il primo gabinetto Bhutto non dura 500 giorni. Nell’agosto del 1990 il governo cade e Benazir affronta per la prima volta il peso di accuse che si ripeteranno per lei e per suo marito che il popolino chiama mister 10%. Asif Zardari è un imprenditore, due anni più giovane di Benazir, e non è affatto amato in Pakistan. Lei piace, lui assai meno. I detrattori di Benazir ne approfittano e il confine tra verità e persecuzione politica diventa labile in un Paese dove il sistema giudiziario è sottoposto a forti pressioni politiche. Ciò non impedirà poi a Zardari di diventare presidente del Pakistan e copresidente del PPP, carica che ancora riveste, Ma la sua carriera nel partito e nel governo si deve a sua moglie più che alle sue doti politiche. Nel 1993 infatti Benazir ci riprova e vince nuovamente le elezioni. Forse anche per proteggere il marito, lo coopta nel governo come ministro federale per gli investimenti, un posto chiave nell’economia del Paese. Diventa anche responsabile della protezione ambientale e controlla i servizi segreti civili. Non tutti digeriscono.

Tra quelli che non digeriscono c’è anche il fratello della signora Bhutto, Murtaza, che nella storia di Benazir e nella politica del Pakistan ha un ruolo importante. Classe 1954, un anno più giovane di lei, Ghulam Murtaza è un personaggio particolare: coraggioso, spericolato, vendicativo. La prima vendetta la vorrebbe fare per vendicare la morte di suo padre e durante la dittatura di Zia si macchia di due delitti: viene infatti accusato della morte di un politico conservatore da sempre nemico di suo padre e poi del sequestro di un aereo sul quale uccide un ostaggio. Scappa in Afganistan. Viene condannato a morte in contumacia da una corte militare.

Murtaza torna in Pakistan nel 1993 quando sua sorella è al governo ma lei lo fa arrestare anche se il periodo in prigione dura poco. Murtaza paga, esce e comincia la sua campagna politica. Prima tenta un abboccamento con la sorella: vuole un ritorno alle origini del Ppp a patto però che Zardari esca di scena. Ma quando Benazir rifiuta, Murtaza diventa uno dei più fieri critici del suo governo: diventa un ostacolo imbarazzante e nel 1996 viene ucciso durante uno scontro a fuoco con la polizia. E’ uno dei motivi, accanto alle reiterate accuse di corruzione, che faranno decidere al presidente Farooq Leghari di sfiduciare nuovamente il governo di Benazir. E’ la seconda volta e in questa occasione pesa anche l’accusa che ci possa essere un legame tra la morte di Murtaza e Zardari, il marito di Benazir, che viene accusato di omicidio ma non sarà mai condannato perché il suo coinvolgimento non viene provato.

La storia, l’eredità politica, i legami con la famiglia di origine, la fedeltà alla nuova famiglia creata con Asif Zardari pesano e continueranno a pesare su Benazir. Esautorata dal presidente e diventata impopolare per la morte del fratello e per gli scandali che riguardano il marito, Benazir deve affrontare uno dei periodi più difficili della sua vita. Problemi con la giustizia, accuse, ombre e una macchina politica che cerca di liberarsi di lei. Ma cosa ha fatto intanto nei suoi tre anni di governo? Cosa si lascia alle spalle? Il suo mandato è stato continuamente turbato dalle accuse a lei e al marito di aver usato la macchina dello Stato a fini personali. Governo e economia sono in affanno e inoltre alle Nazioni Unite vengono decise sanzioni contro il programma nucleare pachistano. Nei circoli militari e nei servizi segreti, dove restano forti le simpatie per l’ex dittatore Zia ul Haq e per Nawaz Sharif, il leader conservatore più volte premier e attuale primo ministro, ebbene in quei circoli si morde il freno. Nel 1995 alcuni settori delle forze armate tentano l’ennesimo golpe che però fallisce. Non è un buon segno.

E’ il segno che in Pakistan i governi civili sono deboli e c’è chi decide per loro, chi dietro le quinte minaccia e dà consigli che si devono seguire. E’ il caso dei talebani, il movimento guerrigliero afgano che proprio nel settembre 1996 prenderà Kabul mentre Benazir è ancora al governo. Ma i talebani sono attivi in Afghanistan dal 1994 e ancor prima sono stati allevati e ospitati nelle madrase lungo il confine pachistano afgano. Benazir lo sa e approva. Il suo è uno dei pochi governi a riconoscere ufficialmente l’emirato islamico di mullah Omar. Dell’eredità di suo padre non le resta molto se non una politica estera che vede con favore l’alleanza con alcuni Paesi socialisti, esclusa però l’Unione sovietica contro cui il Pakistan ha combattuto in Afghanistan sostenendo i mujaheddin durante l’invasione di Mosca.

In economia segue la politica di privatizzazioni del suo predecessore Nawaz Sharif e resiste solo su due imprese pubbliche nazionali che restano nelle mani dello Stato: ferrovie e acciaierie. Anche il bilancio delle sue promesse elettorali in favore delle donne è negativo. Molte parole, pochi fatti. Così come con i talebani. Se Benazir è laica, si scaglia contro il fanatismo religioso, è a favore delle donne, non ha esitato però a servirsi degli islamisti, una vecchia scelta dei politici pachistani che ancora oggi avvelena quel Paese.

Eppure Benazir resta una figura di riferimento. Resta l’icona di un Pakistan guidato da un governo
civile, di un Paese islamico dove al potere è andata una donna. Il mito resiste e la prova è che, dal suo nuovo esilio tra Dubai e Londra, mentre suo marito è finito in carcere e ogni giorno ha a che fare con nuovi guai giudiziari, Benazir non smette di lottare. Ha buon gioco nel farlo perché in Pakistan le accuse di omicidio o corruzione sono spesso solo il modo per impadronirsi del potere mettendo nei guai il rivale. Dagli slum di Karachi, dalle periferie di Peshawar, dal cuore del Sindh rurale, i diseredati credono ancora in lei. La donna è abile. Anche se in esilio, governa da Dubai l’opposizione al premier Nawaz Sharif nuovamente tornato in auge. Lo accusa di una politica poco aggressiva, di non essere capace di rispondere alle provocazioni nucleari dell’India.
L’ennesima guerra in Kashmir, il cosiddetto incidente di Kargil, affonda la popolarità di Nawaz Sharif e fa brillare la stella di Benazir. Bhutto riesce a giocare anche col nuovo protagonista in divisa che nel 1999 deporrà Sharif con un colpo di stato, il generale Pervez Musharraf. Lo sfida e riesce a ottenere da lui, che la comunità internazionale ha messo al bando, il rientro in patria. Sa inoltre che il generale golpista, senza volerlo, le ha spianato la strada: ha eliminato dalla scena il rivale più pericoloso e ha indebolito il suo partito. Inoltre Musharraf non gode dell’appoggio popolare. E’ il momento di tornare anche perché il dittatore, in cerca di consensi, è pronto a firmare un’amnistia che proscioglie lei e suo marito da ogni accusa.

Il 19 ottobre 2007, dopo otto anni di esilio, il ritorno a casa nella sua Karachi è l’ennesimo trionfo. Le accuse contro suo marito sono cadute e alla fine la sua famiglia da carnefice è diventata vittima. E’ una donna che è già sfuggita a più di un attentato, a persecuzioni e accuse. Ha ancora coraggio da vendere, sa come scaldare cuori e passioni. Incarna ancora una promessa di riscatto. Ma è un trionfo che non durerà. Nel dicembre del 2007, vent’anni dopo quel dicembre del 1988, questa volta ad aspettarla non c’è lo scranno da primo ministro. C’è la morte che la colpisce dopo il suo ultimo discorso.

Ironia della sorte vuole che a ucciderla saranno proprio i talebani pachistani anche se nessuno saprà mai esattamente chi ha armato veramente quelle mani. Il Paese dei puri, il Paese di Benazir, è anche il Paese di molti misteri irrisolti.

Il podcast (regia di Marco Motta)
Audio Rai.TV – Wikiradio – Benazir Bhutto – Wikiradio del 02/12/2016

Le immagini: dall’alto: Benazir, suo padre Zulfikar, il generale Zia, il marito Zardari e il generale Musharraf

Benazir, la signora del Sindh

Il 2 dicembre 1988 Benezir Bhutto diventa la prima donna a capo di un governo in un Paese musulmano. Icona? Eroina, Figura controversa? Cosa resta della sua eredità ? Un profilo andato in onda ieri a Wikiradio

Il suono delle sirene. Le grida della gente. Polizia, ambulanze, soldati. Gente straziata dalle esplosioni che il 27 dicembre del 2007, dopo che un cecchino le ha sparato, esplodono accanto all’auto blindata d Benazir Bhutto, della donna due volte premier del Pakistan e che forse potrebbe vincere le elezioni che si devono svolgere all’inizio dell’anno.

La sua storia, la storia dell’erede di una dinastia che ha già dato un primo ministro al Pakistan e che governa un grande partito popolare, finisce quel giorno. E bisogna allora andare a un altro dicembre, quasi vent’anni prima, quando Benazir Bhutto entra nella politica pachistana e la sconvolge. E’ la prima donna premier in un Paese musulmano ed è la prima donna a capo di un governo civile in un Paese che ha una lunga storia di dittature militari. Il 2 dicembre del 1988, Benazir, a capo di un partito importante ed erede del messaggio politico di suo padre Zulfikar, riempie le pagine dei giornali e inonda le televisioni di tutto il mondo.

E’ un caso politico straordinario, è bellissima e ha un carattere d’acciaio. Dirà di sé: Ho sempre avuto fiducia in me stessa e ho sempre pensato che sarei diventata primo ministro se lo avessi voluto. All’epoca ha solo 35 anni che manifesta con una voce suadente e gentile in un ottimo inglese imparato ad Harvard e a Oxford

Il video dell’assassionio di Benazir di Global Daily News

Quell’inizio di dicembre del 1988 sembra segnare una nuova era in un’epoca che vede questa parte dell’Asia in preda a convulsioni pericolose: da quasi dieci anni si combatte in Afghanistan contro i russi. Il Pakistan, che ha appena subito la feroce dittatura del generale Zia Ul Haq, ha già combattuto tre guerre con l’India e nel 1971 ha perso la sua costola orientale, diventata Bangladesh, in uno scontro tra Islamabad e i secessionisti bengalesi sostenuti da Nuova Delhi. E’ uno strappo mai digerito e che, con la questione mai risolta del Kashmir, ancora oggi rende nemiche queste due sorelle – l’India e il Pakistan –, sorelle nate dalla Partiton del Raj britannico nel 1947. UN parto gemellare bizzarro quanto gravido di conseguenze.

Ma prima di vedere le promesse di Benazir e quel che davvero riesce a realizzare il suo governo,

dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo andare proprio a quel 1971 quando Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir, ricopre per la prima volta la carica di presidente del Pakistan. A capo dello Stato dal ‘71 al ‘73 e poi premier dal ‘73 al ‘77, anche Zulfikar è una speranza. E’ un civile e non un militare. E’ un socialista, visto con timore e sospetto a Washington ma anche indigesto a Mosca proprio perché il Pakistan guarderà con sempre maggior simpatia alla Cina. E’ a capo del Partito popolare del Pakistan, il PPP, ed è un oratore appassionato e instancabile che ama i bagni di folla e che sa entusiasmare la sua platea

Ma la sua carriera politica, nella miglior tradizione del Paese, viene fermata da un generale. Un generale – il generale Zia Ul Haq – cui non piace il socialismo di Bhutto e che vorrebbe un ritorno all’islam che per Zia deve essere il collante del Paese dei puri. Molto, molto più che per quel proprietario terriero del Sindh troppo laico per i suoi gusti e che parla di religione senza praticarla veramente. Bhutto in realtà, popolare tra i poveri, piace poco anche a molti uomini del suo partito. Personaggi che gli remano contro e che dopo le elezioni legislative che lo vedono primeggiare decretano illegittima la sua vittoria. La situazione di caos giustifica agli occhi dell’esercito il ritorno al potere delle divise e nel luglio del 1977 Bhutto viene arrestato. Ma Zia non si ferma qui. Lo vuole morto. Giustizia, dice va fatta: senza distinzioni, dall’uomo della strada al premier. Zia, che ribalterà la politica di nazionalizzazioni di Bhutto privatizzando le aziende nazionalizzate, nel 79 lo fa condannare a morte per omicidio. Giustizia va fatta

Benazir racconterà nella sua autobiografia intitolata “Figlia del destino” le ultime ore di suo padre

prima dell’impiccagione. Anche lei è in prigione perché Zia ha fatto terra bruciata. A quell’epoca ha solo 26 anni ma già si sente investita dell’eredità politica di suo Padre. Si sente appunto la figlia del destino. Un destino che per adesso deve aspettare. Fino al dicembre del 1988 quando viene eletta e scelta a guidare il governo

La forza politica di Benazir sta in realtà anche nell’ondata emotiva che ha travolto il Paese con la morte di suo padre e quando nell’agosto del 1988, l’aereo che trasporta il dittatore Zia si schianta per motivi mai realmente appurati, arriva l’occasione. Casualità? Attentato? Non lo sappiamo, sappiamo solo che il PPP riprende vigore e la casta militare fa un passo indietro. Il partito popolare vuole giocare la carta Benazir. La roccaforte del Ppp è quella dei Bhutto, la provincia agricola e meridionale del Sindh, ma quel cognome è una carta che si può spendere dal Punjab al Belucistan, da Lahore a Peshawar. Benazir, che intanto si è sposata con Asif Zardari, viene candidata. La tela è stata tessuta tra Islamabad, la capitale, Karachi, la grande metropoli del Sindh e città natale di Benazir, Lahore, il capoluogo della provincia più importante – il Punjab – e Londra, dove Benazir è andata a vivere con la famiglia. Il Pakistan è un posto pericoloso per i Bhutto: nel 1985 suo fratello Shahnawaz è stato avvelenato, forse proprio su ordine di Zia. Prigione, arresti domiciliari, intimidazioni e minacce continue l’hanno costretta all’esilio. Non sarà l’unica volta.

Il primo gabinetto Bhutto non dura 500 giorni. Nell’agosto del 1990 il governo cade e Benazir affronta per la prima volta il peso di accuse che si ripeteranno per lei e per suo marito che il popolino chiama mister 10%. Asif Zardari è un imprenditore, due anni più giovane di Benazir, e non è affatto amato in Pakistan. Lei piace, lui assai meno. I detrattori di Benazir ne approfittano e il confine tra verità e persecuzione politica diventa labile in un Paese dove il sistema giudiziario è sottoposto a forti pressioni politiche. Ciò non impedirà poi a Zardari di diventare presidente del Pakistan e copresidente del PPP, carica che ancora riveste, Ma la sua carriera nel partito e nel governo si deve a sua moglie più che alle sue doti politiche. Nel 1993 infatti Benazir ci riprova e vince nuovamente le elezioni. Forse anche per proteggere il marito, lo coopta nel governo come ministro federale per gli investimenti, un posto chiave nell’economia del Paese. Diventa anche responsabile della protezione ambientale e controlla i servizi segreti civili. Non tutti digeriscono.

Tra quelli che non digeriscono c’è anche il fratello della signora Bhutto, Murtaza, che nella storia di Benazir e nella politica del Pakistan ha un ruolo importante. Classe 1954, un anno più giovane di lei, Ghulam Murtaza è un personaggio particolare: coraggioso, spericolato, vendicativo. La prima vendetta la vorrebbe fare per vendicare la morte di suo padre e durante la dittatura di Zia si macchia di due delitti: viene infatti accusato della morte di un politico conservatore da sempre nemico di suo padre e poi del sequestro di un aereo sul quale uccide un ostaggio. Scappa in Afganistan. Viene condannato a morte in contumacia da una corte militare.

Murtaza torna in Pakistan nel 1993 quando sua sorella è al governo ma lei lo fa arrestare anche se il periodo in prigione dura poco. Murtaza paga, esce e comincia la sua campagna politica. Prima tenta un abboccamento con la sorella: vuole un ritorno alle origini del Ppp a patto però che Zardari esca di scena. Ma quando Benazir rifiuta, Murtaza diventa uno dei più fieri critici del suo governo: diventa un ostacolo imbarazzante e nel 1996 viene ucciso durante uno scontro a fuoco con la polizia. E’ uno dei motivi, accanto alle reiterate accuse di corruzione, che faranno decidere al presidente Farooq Leghari di sfiduciare nuovamente il governo di Benazir. E’ la seconda volta e in questa occasione pesa anche l’accusa che ci possa essere un legame tra la morte di Murtaza e Zardari, il marito di Benazir, che viene accusato di omicidio ma non sarà mai condannato perché il suo coinvolgimento non viene provato.

La storia, l’eredità politica, i legami con la famiglia di origine, la fedeltà alla nuova famiglia creata con Asif Zardari pesano e continueranno a pesare su Benazir. Esautorata dal presidente e diventata impopolare per la morte del fratello e per gli scandali che riguardano il marito, Benazir deve affrontare uno dei periodi più difficili della sua vita. Problemi con la giustizia, accuse, ombre e una macchina politica che cerca di liberarsi di lei. Ma cosa ha fatto intanto nei suoi tre anni di governo? Cosa si lascia alle spalle? Il suo mandato è stato continuamente turbato dalle accuse a lei e al marito di aver usato la macchina dello Stato a fini personali. Governo e economia sono in affanno e inoltre alle Nazioni Unite vengono decise sanzioni contro il programma nucleare pachistano. Nei circoli militari e nei servizi segreti, dove restano forti le simpatie per l’ex dittatore Zia ul Haq e per Nawaz Sharif, il leader conservatore più volte premier e attuale primo ministro, ebbene in quei circoli si morde il freno. Nel 1995 alcuni settori delle forze armate tentano l’ennesimo golpe che però fallisce. Non è un buon segno.

E’ il segno che in Pakistan i governi civili sono deboli e c’è chi decide per loro, chi dietro le quinte minaccia e dà consigli che si devono seguire. E’ il caso dei talebani, il movimento guerrigliero afgano che proprio nel settembre 1996 prenderà Kabul mentre Benazir è ancora al governo. Ma i talebani sono attivi in Afghanistan dal 1994 e ancor prima sono stati allevati e ospitati nelle madrase lungo il confine pachistano afgano. Benazir lo sa e approva. Il suo è uno dei pochi governi a riconoscere ufficialmente l’emirato islamico di mullah Omar. Dell’eredità di suo padre non le resta molto se non una politica estera che vede con favore l’alleanza con alcuni Paesi socialisti, esclusa però l’Unione sovietica contro cui il Pakistan ha combattuto in Afghanistan sostenendo i mujaheddin durante l’invasione di Mosca.

In economia segue la politica di privatizzazioni del suo predecessore Nawaz Sharif e resiste solo su due imprese pubbliche nazionali che restano nelle mani dello Stato: ferrovie e acciaierie. Anche il bilancio delle sue promesse elettorali in favore delle donne è negativo. Molte parole, pochi fatti. Così come con i talebani. Se Benazir è laica, si scaglia contro il fanatismo religioso, è a favore delle donne, non ha esitato però a servirsi degli islamisti, una vecchia scelta dei politici pachistani che ancora oggi avvelena quel Paese.

Eppure Benazir resta una figura di riferimento. Resta l’icona di un Pakistan guidato da un governo
civile, di un Paese islamico dove al potere è andata una donna. Il mito resiste e la prova è che, dal suo nuovo esilio tra Dubai e Londra, mentre suo marito è finito in carcere e ogni giorno ha a che fare con nuovi guai giudiziari, Benazir non smette di lottare. Ha buon gioco nel farlo perché in Pakistan le accuse di omicidio o corruzione sono spesso solo il modo per impadronirsi del potere mettendo nei guai il rivale. Dagli slum di Karachi, dalle periferie di Peshawar, dal cuore del Sindh rurale, i diseredati credono ancora in lei. La donna è abile. Anche se in esilio, governa da Dubai l’opposizione al premier Nawaz Sharif nuovamente tornato in auge. Lo accusa di una politica poco aggressiva, di non essere capace di rispondere alle provocazioni nucleari dell’India.
L’ennesima guerra in Kashmir, il cosiddetto incidente di Kargil, affonda la popolarità di Nawaz Sharif e fa brillare la stella di Benazir. Bhutto riesce a giocare anche col nuovo protagonista in divisa che nel 1999 deporrà Sharif con un colpo di stato, il generale Pervez Musharraf. Lo sfida e riesce a ottenere da lui, che la comunità internazionale ha messo al bando, il rientro in patria. Sa inoltre che il generale golpista, senza volerlo, le ha spianato la strada: ha eliminato dalla scena il rivale più pericoloso e ha indebolito il suo partito. Inoltre Musharraf non gode dell’appoggio popolare. E’ il momento di tornare anche perché il dittatore, in cerca di consensi, è pronto a firmare un’amnistia che proscioglie lei e suo marito da ogni accusa.

Il 19 ottobre 2007, dopo otto anni di esilio, il ritorno a casa nella sua Karachi è l’ennesimo trionfo. Le accuse contro suo marito sono cadute e alla fine la sua famiglia da carnefice è diventata vittima. E’ una donna che è già sfuggita a più di un attentato, a persecuzioni e accuse. Ha ancora coraggio da vendere, sa come scaldare cuori e passioni. Incarna ancora una promessa di riscatto. Ma è un trionfo che non durerà. Nel dicembre del 2007, vent’anni dopo quel dicembre del 1988, questa volta ad aspettarla non c’è lo scranno da primo ministro. C’è la morte che la colpisce dopo il suo ultimo discorso.

Ironia della sorte vuole che a ucciderla saranno proprio i talebani pachistani anche se nessuno saprà mai esattamente chi ha armato veramente quelle mani. Il Paese dei puri, il Paese di Benazir, è anche il Paese di molti misteri irrisolti.

Il podcast (regia di Marco Motta)
Audio Rai.TV – Wikiradio – Benazir Bhutto – Wikiradio del 02/12/2016

Le immagini: dall’alto: Benazir, suo padre Zulfikar, il generale Zia, il marito Zardari e il generale Musharraf

Benazir, la signora del Sindh

Il 2 dicembre 1988 Benezir Bhutto diventa la prima donna a capo di un governo in un Paese musulmano. Icona? Eroina, Figura controversa? Cosa resta della sua eredità ? Un profilo andato in onda ieri a Wikiradio

Il suono delle sirene. Le grida della gente. Polizia, ambulanze, soldati. Gente straziata dalle esplosioni che il 27 dicembre del 2007, dopo che un cecchino le ha sparato, esplodono accanto all’auto blindata d Benazir Bhutto, della donna due volte premier del Pakistan e che forse potrebbe vincere le elezioni che si devono svolgere all’inizio dell’anno.

La sua storia, la storia dell’erede di una dinastia che ha già dato un primo ministro al Pakistan e che governa un grande partito popolare, finisce quel giorno. E bisogna allora andare a un altro dicembre, quasi vent’anni prima, quando Benazir Bhutto entra nella politica pachistana e la sconvolge. E’ la prima donna premier in un Paese musulmano ed è la prima donna a capo di un governo civile in un Paese che ha una lunga storia di dittature militari. Il 2 dicembre del 1988, Benazir, a capo di un partito importante ed erede del messaggio politico di suo padre Zulfikar, riempie le pagine dei giornali e inonda le televisioni di tutto il mondo.

E’ un caso politico straordinario, è bellissima e ha un carattere d’acciaio. Dirà di sé: Ho sempre avuto fiducia in me stessa e ho sempre pensato che sarei diventata primo ministro se lo avessi voluto. All’epoca ha solo 35 anni che manifesta con una voce suadente e gentile in un ottimo inglese imparato ad Harvard e a Oxford

Il video dell’assassionio di Benazir di Global Daily News

Quell’inizio di dicembre del 1988 sembra segnare una nuova era in un’epoca che vede questa parte dell’Asia in preda a convulsioni pericolose: da quasi dieci anni si combatte in Afghanistan contro i russi. Il Pakistan, che ha appena subito la feroce dittatura del generale Zia Ul Haq, ha già combattuto tre guerre con l’India e nel 1971 ha perso la sua costola orientale, diventata Bangladesh, in uno scontro tra Islamabad e i secessionisti bengalesi sostenuti da Nuova Delhi. E’ uno strappo mai digerito e che, con la questione mai risolta del Kashmir, ancora oggi rende nemiche queste due sorelle – l’India e il Pakistan –, sorelle nate dalla Partiton del Raj britannico nel 1947. UN parto gemellare bizzarro quanto gravido di conseguenze.

Ma prima di vedere le promesse di Benazir e quel che davvero riesce a realizzare il suo governo,

dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo andare proprio a quel 1971 quando Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir, ricopre per la prima volta la carica di presidente del Pakistan. A capo dello Stato dal ‘71 al ‘73 e poi premier dal ‘73 al ‘77, anche Zulfikar è una speranza. E’ un civile e non un militare. E’ un socialista, visto con timore e sospetto a Washington ma anche indigesto a Mosca proprio perché il Pakistan guarderà con sempre maggior simpatia alla Cina. E’ a capo del Partito popolare del Pakistan, il PPP, ed è un oratore appassionato e instancabile che ama i bagni di folla e che sa entusiasmare la sua platea

Ma la sua carriera politica, nella miglior tradizione del Paese, viene fermata da un generale. Un generale – il generale Zia Ul Haq – cui non piace il socialismo di Bhutto e che vorrebbe un ritorno all’islam che per Zia deve essere il collante del Paese dei puri. Molto, molto più che per quel proprietario terriero del Sindh troppo laico per i suoi gusti e che parla di religione senza praticarla veramente. Bhutto in realtà, popolare tra i poveri, piace poco anche a molti uomini del suo partito. Personaggi che gli remano contro e che dopo le elezioni legislative che lo vedono primeggiare decretano illegittima la sua vittoria. La situazione di caos giustifica agli occhi dell’esercito il ritorno al potere delle divise e nel luglio del 1977 Bhutto viene arrestato. Ma Zia non si ferma qui. Lo vuole morto. Giustizia, dice va fatta: senza distinzioni, dall’uomo della strada al premier. Zia, che ribalterà la politica di nazionalizzazioni di Bhutto privatizzando le aziende nazionalizzate, nel 79 lo fa condannare a morte per omicidio. Giustizia va fatta

Benazir racconterà nella sua autobiografia intitolata “Figlia del destino” le ultime ore di suo padre

prima dell’impiccagione. Anche lei è in prigione perché Zia ha fatto terra bruciata. A quell’epoca ha solo 26 anni ma già si sente investita dell’eredità politica di suo Padre. Si sente appunto la figlia del destino. Un destino che per adesso deve aspettare. Fino al dicembre del 1988 quando viene eletta e scelta a guidare il governo

La forza politica di Benazir sta in realtà anche nell’ondata emotiva che ha travolto il Paese con la morte di suo padre e quando nell’agosto del 1988, l’aereo che trasporta il dittatore Zia si schianta per motivi mai realmente appurati, arriva l’occasione. Casualità? Attentato? Non lo sappiamo, sappiamo solo che il PPP riprende vigore e la casta militare fa un passo indietro. Il partito popolare vuole giocare la carta Benazir. La roccaforte del Ppp è quella dei Bhutto, la provincia agricola e meridionale del Sindh, ma quel cognome è una carta che si può spendere dal Punjab al Belucistan, da Lahore a Peshawar. Benazir, che intanto si è sposata con Asif Zardari, viene candidata. La tela è stata tessuta tra Islamabad, la capitale, Karachi, la grande metropoli del Sindh e città natale di Benazir, Lahore, il capoluogo della provincia più importante – il Punjab – e Londra, dove Benazir è andata a vivere con la famiglia. Il Pakistan è un posto pericoloso per i Bhutto: nel 1985 suo fratello Shahnawaz è stato avvelenato, forse proprio su ordine di Zia. Prigione, arresti domiciliari, intimidazioni e minacce continue l’hanno costretta all’esilio. Non sarà l’unica volta.

Il primo gabinetto Bhutto non dura 500 giorni. Nell’agosto del 1990 il governo cade e Benazir affronta per la prima volta il peso di accuse che si ripeteranno per lei e per suo marito che il popolino chiama mister 10%. Asif Zardari è un imprenditore, due anni più giovane di Benazir, e non è affatto amato in Pakistan. Lei piace, lui assai meno. I detrattori di Benazir ne approfittano e il confine tra verità e persecuzione politica diventa labile in un Paese dove il sistema giudiziario è sottoposto a forti pressioni politiche. Ciò non impedirà poi a Zardari di diventare presidente del Pakistan e copresidente del PPP, carica che ancora riveste, Ma la sua carriera nel partito e nel governo si deve a sua moglie più che alle sue doti politiche. Nel 1993 infatti Benazir ci riprova e vince nuovamente le elezioni. Forse anche per proteggere il marito, lo coopta nel governo come ministro federale per gli investimenti, un posto chiave nell’economia del Paese. Diventa anche responsabile della protezione ambientale e controlla i servizi segreti civili. Non tutti digeriscono.

Tra quelli che non digeriscono c’è anche il fratello della signora Bhutto, Murtaza, che nella storia di Benazir e nella politica del Pakistan ha un ruolo importante. Classe 1954, un anno più giovane di lei, Ghulam Murtaza è un personaggio particolare: coraggioso, spericolato, vendicativo. La prima vendetta la vorrebbe fare per vendicare la morte di suo padre e durante la dittatura di Zia si macchia di due delitti: viene infatti accusato della morte di un politico conservatore da sempre nemico di suo padre e poi del sequestro di un aereo sul quale uccide un ostaggio. Scappa in Afganistan. Viene condannato a morte in contumacia da una corte militare.

Murtaza torna in Pakistan nel 1993 quando sua sorella è al governo ma lei lo fa arrestare anche se il periodo in prigione dura poco. Murtaza paga, esce e comincia la sua campagna politica. Prima tenta un abboccamento con la sorella: vuole un ritorno alle origini del Ppp a patto però che Zardari esca di scena. Ma quando Benazir rifiuta, Murtaza diventa uno dei più fieri critici del suo governo: diventa un ostacolo imbarazzante e nel 1996 viene ucciso durante uno scontro a fuoco con la polizia. E’ uno dei motivi, accanto alle reiterate accuse di corruzione, che faranno decidere al presidente Farooq Leghari di sfiduciare nuovamente il governo di Benazir. E’ la seconda volta e in questa occasione pesa anche l’accusa che ci possa essere un legame tra la morte di Murtaza e Zardari, il marito di Benazir, che viene accusato di omicidio ma non sarà mai condannato perché il suo coinvolgimento non viene provato.

La storia, l’eredità politica, i legami con la famiglia di origine, la fedeltà alla nuova famiglia creata con Asif Zardari pesano e continueranno a pesare su Benazir. Esautorata dal presidente e diventata impopolare per la morte del fratello e per gli scandali che riguardano il marito, Benazir deve affrontare uno dei periodi più difficili della sua vita. Problemi con la giustizia, accuse, ombre e una macchina politica che cerca di liberarsi di lei. Ma cosa ha fatto intanto nei suoi tre anni di governo? Cosa si lascia alle spalle? Il suo mandato è stato continuamente turbato dalle accuse a lei e al marito di aver usato la macchina dello Stato a fini personali. Governo e economia sono in affanno e inoltre alle Nazioni Unite vengono decise sanzioni contro il programma nucleare pachistano. Nei circoli militari e nei servizi segreti, dove restano forti le simpatie per l’ex dittatore Zia ul Haq e per Nawaz Sharif, il leader conservatore più volte premier e attuale primo ministro, ebbene in quei circoli si morde il freno. Nel 1995 alcuni settori delle forze armate tentano l’ennesimo golpe che però fallisce. Non è un buon segno.

E’ il segno che in Pakistan i governi civili sono deboli e c’è chi decide per loro, chi dietro le quinte minaccia e dà consigli che si devono seguire. E’ il caso dei talebani, il movimento guerrigliero afgano che proprio nel settembre 1996 prenderà Kabul mentre Benazir è ancora al governo. Ma i talebani sono attivi in Afghanistan dal 1994 e ancor prima sono stati allevati e ospitati nelle madrase lungo il confine pachistano afgano. Benazir lo sa e approva. Il suo è uno dei pochi governi a riconoscere ufficialmente l’emirato islamico di mullah Omar. Dell’eredità di suo padre non le resta molto se non una politica estera che vede con favore l’alleanza con alcuni Paesi socialisti, esclusa però l’Unione sovietica contro cui il Pakistan ha combattuto in Afghanistan sostenendo i mujaheddin durante l’invasione di Mosca.

In economia segue la politica di privatizzazioni del suo predecessore Nawaz Sharif e resiste solo su due imprese pubbliche nazionali che restano nelle mani dello Stato: ferrovie e acciaierie. Anche il bilancio delle sue promesse elettorali in favore delle donne è negativo. Molte parole, pochi fatti. Così come con i talebani. Se Benazir è laica, si scaglia contro il fanatismo religioso, è a favore delle donne, non ha esitato però a servirsi degli islamisti, una vecchia scelta dei politici pachistani che ancora oggi avvelena quel Paese.

Eppure Benazir resta una figura di riferimento. Resta l’icona di un Pakistan guidato da un governo
civile, di un Paese islamico dove al potere è andata una donna. Il mito resiste e la prova è che, dal suo nuovo esilio tra Dubai e Londra, mentre suo marito è finito in carcere e ogni giorno ha a che fare con nuovi guai giudiziari, Benazir non smette di lottare. Ha buon gioco nel farlo perché in Pakistan le accuse di omicidio o corruzione sono spesso solo il modo per impadronirsi del potere mettendo nei guai il rivale. Dagli slum di Karachi, dalle periferie di Peshawar, dal cuore del Sindh rurale, i diseredati credono ancora in lei. La donna è abile. Anche se in esilio, governa da Dubai l’opposizione al premier Nawaz Sharif nuovamente tornato in auge. Lo accusa di una politica poco aggressiva, di non essere capace di rispondere alle provocazioni nucleari dell’India.
L’ennesima guerra in Kashmir, il cosiddetto incidente di Kargil, affonda la popolarità di Nawaz Sharif e fa brillare la stella di Benazir. Bhutto riesce a giocare anche col nuovo protagonista in divisa che nel 1999 deporrà Sharif con un colpo di stato, il generale Pervez Musharraf. Lo sfida e riesce a ottenere da lui, che la comunità internazionale ha messo al bando, il rientro in patria. Sa inoltre che il generale golpista, senza volerlo, le ha spianato la strada: ha eliminato dalla scena il rivale più pericoloso e ha indebolito il suo partito. Inoltre Musharraf non gode dell’appoggio popolare. E’ il momento di tornare anche perché il dittatore, in cerca di consensi, è pronto a firmare un’amnistia che proscioglie lei e suo marito da ogni accusa.

Il 19 ottobre 2007, dopo otto anni di esilio, il ritorno a casa nella sua Karachi è l’ennesimo trionfo. Le accuse contro suo marito sono cadute e alla fine la sua famiglia da carnefice è diventata vittima. E’ una donna che è già sfuggita a più di un attentato, a persecuzioni e accuse. Ha ancora coraggio da vendere, sa come scaldare cuori e passioni. Incarna ancora una promessa di riscatto. Ma è un trionfo che non durerà. Nel dicembre del 2007, vent’anni dopo quel dicembre del 1988, questa volta ad aspettarla non c’è lo scranno da primo ministro. C’è la morte che la colpisce dopo il suo ultimo discorso.

Ironia della sorte vuole che a ucciderla saranno proprio i talebani pachistani anche se nessuno saprà mai esattamente chi ha armato veramente quelle mani. Il Paese dei puri, il Paese di Benazir, è anche il Paese di molti misteri irrisolti.

Il podcast (regia di Marco Motta)
Audio Rai.TV – Wikiradio – Benazir Bhutto – Wikiradio del 02/12/2016

Le immagini: dall’alto: Benazir, suo padre Zulfikar, il generale Zia, il marito Zardari e il generale Musharraf

Benazir, la signora del Sindh

Il 2 dicembre 1988 Benezir Bhutto diventa la prima donna a capo di un governo in un Paese musulmano. Icona? Eroina, Figura controversa? Cosa resta della sua eredità ? Un profilo andato in onda ieri a Wikiradio

Il suono delle sirene. Le grida della gente. Polizia, ambulanze, soldati. Gente straziata dalle esplosioni che il 27 dicembre del 2007, dopo che un cecchino le ha sparato, esplodono accanto all’auto blindata d Benazir Bhutto, della donna due volte premier del Pakistan e che forse potrebbe vincere le elezioni che si devono svolgere all’inizio dell’anno.

La sua storia, la storia dell’erede di una dinastia che ha già dato un primo ministro al Pakistan e che governa un grande partito popolare, finisce quel giorno. E bisogna allora andare a un altro dicembre, quasi vent’anni prima, quando Benazir Bhutto entra nella politica pachistana e la sconvolge. E’ la prima donna premier in un Paese musulmano ed è la prima donna a capo di un governo civile in un Paese che ha una lunga storia di dittature militari. Il 2 dicembre del 1988, Benazir, a capo di un partito importante ed erede del messaggio politico di suo padre Zulfikar, riempie le pagine dei giornali e inonda le televisioni di tutto il mondo.

E’ un caso politico straordinario, è bellissima e ha un carattere d’acciaio. Dirà di sé: Ho sempre avuto fiducia in me stessa e ho sempre pensato che sarei diventata primo ministro se lo avessi voluto. All’epoca ha solo 35 anni che manifesta con una voce suadente e gentile in un ottimo inglese imparato ad Harvard e a Oxford

Il video dell’assassionio di Benazir di Global Daily News

Quell’inizio di dicembre del 1988 sembra segnare una nuova era in un’epoca che vede questa parte dell’Asia in preda a convulsioni pericolose: da quasi dieci anni si combatte in Afghanistan contro i russi. Il Pakistan, che ha appena subito la feroce dittatura del generale Zia Ul Haq, ha già combattuto tre guerre con l’India e nel 1971 ha perso la sua costola orientale, diventata Bangladesh, in uno scontro tra Islamabad e i secessionisti bengalesi sostenuti da Nuova Delhi. E’ uno strappo mai digerito e che, con la questione mai risolta del Kashmir, ancora oggi rende nemiche queste due sorelle – l’India e il Pakistan –, sorelle nate dalla Partiton del Raj britannico nel 1947. UN parto gemellare bizzarro quanto gravido di conseguenze.

Ma prima di vedere le promesse di Benazir e quel che davvero riesce a realizzare il suo governo,

dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo andare proprio a quel 1971 quando Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir, ricopre per la prima volta la carica di presidente del Pakistan. A capo dello Stato dal ‘71 al ‘73 e poi premier dal ‘73 al ‘77, anche Zulfikar è una speranza. E’ un civile e non un militare. E’ un socialista, visto con timore e sospetto a Washington ma anche indigesto a Mosca proprio perché il Pakistan guarderà con sempre maggior simpatia alla Cina. E’ a capo del Partito popolare del Pakistan, il PPP, ed è un oratore appassionato e instancabile che ama i bagni di folla e che sa entusiasmare la sua platea

Ma la sua carriera politica, nella miglior tradizione del Paese, viene fermata da un generale. Un generale – il generale Zia Ul Haq – cui non piace il socialismo di Bhutto e che vorrebbe un ritorno all’islam che per Zia deve essere il collante del Paese dei puri. Molto, molto più che per quel proprietario terriero del Sindh troppo laico per i suoi gusti e che parla di religione senza praticarla veramente. Bhutto in realtà, popolare tra i poveri, piace poco anche a molti uomini del suo partito. Personaggi che gli remano contro e che dopo le elezioni legislative che lo vedono primeggiare decretano illegittima la sua vittoria. La situazione di caos giustifica agli occhi dell’esercito il ritorno al potere delle divise e nel luglio del 1977 Bhutto viene arrestato. Ma Zia non si ferma qui. Lo vuole morto. Giustizia, dice va fatta: senza distinzioni, dall’uomo della strada al premier. Zia, che ribalterà la politica di nazionalizzazioni di Bhutto privatizzando le aziende nazionalizzate, nel 79 lo fa condannare a morte per omicidio. Giustizia va fatta

Benazir racconterà nella sua autobiografia intitolata “Figlia del destino” le ultime ore di suo padre

prima dell’impiccagione. Anche lei è in prigione perché Zia ha fatto terra bruciata. A quell’epoca ha solo 26 anni ma già si sente investita dell’eredità politica di suo Padre. Si sente appunto la figlia del destino. Un destino che per adesso deve aspettare. Fino al dicembre del 1988 quando viene eletta e scelta a guidare il governo

La forza politica di Benazir sta in realtà anche nell’ondata emotiva che ha travolto il Paese con la morte di suo padre e quando nell’agosto del 1988, l’aereo che trasporta il dittatore Zia si schianta per motivi mai realmente appurati, arriva l’occasione. Casualità? Attentato? Non lo sappiamo, sappiamo solo che il PPP riprende vigore e la casta militare fa un passo indietro. Il partito popolare vuole giocare la carta Benazir. La roccaforte del Ppp è quella dei Bhutto, la provincia agricola e meridionale del Sindh, ma quel cognome è una carta che si può spendere dal Punjab al Belucistan, da Lahore a Peshawar. Benazir, che intanto si è sposata con Asif Zardari, viene candidata. La tela è stata tessuta tra Islamabad, la capitale, Karachi, la grande metropoli del Sindh e città natale di Benazir, Lahore, il capoluogo della provincia più importante – il Punjab – e Londra, dove Benazir è andata a vivere con la famiglia. Il Pakistan è un posto pericoloso per i Bhutto: nel 1985 suo fratello Shahnawaz è stato avvelenato, forse proprio su ordine di Zia. Prigione, arresti domiciliari, intimidazioni e minacce continue l’hanno costretta all’esilio. Non sarà l’unica volta.

Il primo gabinetto Bhutto non dura 500 giorni. Nell’agosto del 1990 il governo cade e Benazir affronta per la prima volta il peso di accuse che si ripeteranno per lei e per suo marito che il popolino chiama mister 10%. Asif Zardari è un imprenditore, due anni più giovane di Benazir, e non è affatto amato in Pakistan. Lei piace, lui assai meno. I detrattori di Benazir ne approfittano e il confine tra verità e persecuzione politica diventa labile in un Paese dove il sistema giudiziario è sottoposto a forti pressioni politiche. Ciò non impedirà poi a Zardari di diventare presidente del Pakistan e copresidente del PPP, carica che ancora riveste, Ma la sua carriera nel partito e nel governo si deve a sua moglie più che alle sue doti politiche. Nel 1993 infatti Benazir ci riprova e vince nuovamente le elezioni. Forse anche per proteggere il marito, lo coopta nel governo come ministro federale per gli investimenti, un posto chiave nell’economia del Paese. Diventa anche responsabile della protezione ambientale e controlla i servizi segreti civili. Non tutti digeriscono.

Tra quelli che non digeriscono c’è anche il fratello della signora Bhutto, Murtaza, che nella storia di Benazir e nella politica del Pakistan ha un ruolo importante. Classe 1954, un anno più giovane di lei, Ghulam Murtaza è un personaggio particolare: coraggioso, spericolato, vendicativo. La prima vendetta la vorrebbe fare per vendicare la morte di suo padre e durante la dittatura di Zia si macchia di due delitti: viene infatti accusato della morte di un politico conservatore da sempre nemico di suo padre e poi del sequestro di un aereo sul quale uccide un ostaggio. Scappa in Afganistan. Viene condannato a morte in contumacia da una corte militare.

Murtaza torna in Pakistan nel 1993 quando sua sorella è al governo ma lei lo fa arrestare anche se il periodo in prigione dura poco. Murtaza paga, esce e comincia la sua campagna politica. Prima tenta un abboccamento con la sorella: vuole un ritorno alle origini del Ppp a patto però che Zardari esca di scena. Ma quando Benazir rifiuta, Murtaza diventa uno dei più fieri critici del suo governo: diventa un ostacolo imbarazzante e nel 1996 viene ucciso durante uno scontro a fuoco con la polizia. E’ uno dei motivi, accanto alle reiterate accuse di corruzione, che faranno decidere al presidente Farooq Leghari di sfiduciare nuovamente il governo di Benazir. E’ la seconda volta e in questa occasione pesa anche l’accusa che ci possa essere un legame tra la morte di Murtaza e Zardari, il marito di Benazir, che viene accusato di omicidio ma non sarà mai condannato perché il suo coinvolgimento non viene provato.

La storia, l’eredità politica, i legami con la famiglia di origine, la fedeltà alla nuova famiglia creata con Asif Zardari pesano e continueranno a pesare su Benazir. Esautorata dal presidente e diventata impopolare per la morte del fratello e per gli scandali che riguardano il marito, Benazir deve affrontare uno dei periodi più difficili della sua vita. Problemi con la giustizia, accuse, ombre e una macchina politica che cerca di liberarsi di lei. Ma cosa ha fatto intanto nei suoi tre anni di governo? Cosa si lascia alle spalle? Il suo mandato è stato continuamente turbato dalle accuse a lei e al marito di aver usato la macchina dello Stato a fini personali. Governo e economia sono in affanno e inoltre alle Nazioni Unite vengono decise sanzioni contro il programma nucleare pachistano. Nei circoli militari e nei servizi segreti, dove restano forti le simpatie per l’ex dittatore Zia ul Haq e per Nawaz Sharif, il leader conservatore più volte premier e attuale primo ministro, ebbene in quei circoli si morde il freno. Nel 1995 alcuni settori delle forze armate tentano l’ennesimo golpe che però fallisce. Non è un buon segno.

E’ il segno che in Pakistan i governi civili sono deboli e c’è chi decide per loro, chi dietro le quinte minaccia e dà consigli che si devono seguire. E’ il caso dei talebani, il movimento guerrigliero afgano che proprio nel settembre 1996 prenderà Kabul mentre Benazir è ancora al governo. Ma i talebani sono attivi in Afghanistan dal 1994 e ancor prima sono stati allevati e ospitati nelle madrase lungo il confine pachistano afgano. Benazir lo sa e approva. Il suo è uno dei pochi governi a riconoscere ufficialmente l’emirato islamico di mullah Omar. Dell’eredità di suo padre non le resta molto se non una politica estera che vede con favore l’alleanza con alcuni Paesi socialisti, esclusa però l’Unione sovietica contro cui il Pakistan ha combattuto in Afghanistan sostenendo i mujaheddin durante l’invasione di Mosca.

In economia segue la politica di privatizzazioni del suo predecessore Nawaz Sharif e resiste solo su due imprese pubbliche nazionali che restano nelle mani dello Stato: ferrovie e acciaierie. Anche il bilancio delle sue promesse elettorali in favore delle donne è negativo. Molte parole, pochi fatti. Così come con i talebani. Se Benazir è laica, si scaglia contro il fanatismo religioso, è a favore delle donne, non ha esitato però a servirsi degli islamisti, una vecchia scelta dei politici pachistani che ancora oggi avvelena quel Paese.

Eppure Benazir resta una figura di riferimento. Resta l’icona di un Pakistan guidato da un governo
civile, di un Paese islamico dove al potere è andata una donna. Il mito resiste e la prova è che, dal suo nuovo esilio tra Dubai e Londra, mentre suo marito è finito in carcere e ogni giorno ha a che fare con nuovi guai giudiziari, Benazir non smette di lottare. Ha buon gioco nel farlo perché in Pakistan le accuse di omicidio o corruzione sono spesso solo il modo per impadronirsi del potere mettendo nei guai il rivale. Dagli slum di Karachi, dalle periferie di Peshawar, dal cuore del Sindh rurale, i diseredati credono ancora in lei. La donna è abile. Anche se in esilio, governa da Dubai l’opposizione al premier Nawaz Sharif nuovamente tornato in auge. Lo accusa di una politica poco aggressiva, di non essere capace di rispondere alle provocazioni nucleari dell’India.
L’ennesima guerra in Kashmir, il cosiddetto incidente di Kargil, affonda la popolarità di Nawaz Sharif e fa brillare la stella di Benazir. Bhutto riesce a giocare anche col nuovo protagonista in divisa che nel 1999 deporrà Sharif con un colpo di stato, il generale Pervez Musharraf. Lo sfida e riesce a ottenere da lui, che la comunità internazionale ha messo al bando, il rientro in patria. Sa inoltre che il generale golpista, senza volerlo, le ha spianato la strada: ha eliminato dalla scena il rivale più pericoloso e ha indebolito il suo partito. Inoltre Musharraf non gode dell’appoggio popolare. E’ il momento di tornare anche perché il dittatore, in cerca di consensi, è pronto a firmare un’amnistia che proscioglie lei e suo marito da ogni accusa.

Il 19 ottobre 2007, dopo otto anni di esilio, il ritorno a casa nella sua Karachi è l’ennesimo trionfo. Le accuse contro suo marito sono cadute e alla fine la sua famiglia da carnefice è diventata vittima. E’ una donna che è già sfuggita a più di un attentato, a persecuzioni e accuse. Ha ancora coraggio da vendere, sa come scaldare cuori e passioni. Incarna ancora una promessa di riscatto. Ma è un trionfo che non durerà. Nel dicembre del 2007, vent’anni dopo quel dicembre del 1988, questa volta ad aspettarla non c’è lo scranno da primo ministro. C’è la morte che la colpisce dopo il suo ultimo discorso.

Ironia della sorte vuole che a ucciderla saranno proprio i talebani pachistani anche se nessuno saprà mai esattamente chi ha armato veramente quelle mani. Il Paese dei puri, il Paese di Benazir, è anche il Paese di molti misteri irrisolti.

Il podcast (regia di Marco Motta)
Audio Rai.TV – Wikiradio – Benazir Bhutto – Wikiradio del 02/12/2016

Le immagini: dall’alto: Benazir, suo padre Zulfikar, il generale Zia, il marito Zardari e il generale Musharraf

Speciale cucina: burbarah, il dolce di Santa Barbara

L’Eid al-Burbarah (Santa Barbara, 4 dicembre) viene celebrato dai cristiani di diversi Paesi del Medio Oriente, quali Palestina, Giordania, Siria e Libano. Per l’occasione, viene preparato un dolce a base di grano cotto, cereali e frutta secca. Scopriamo come preparare la burbarah! Ingredienti: 500g di grano decorticato 500g di uva passa 500g di albicocche secche 2 cucchiaini di […]

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