Giorno: 6 settembre 2016

“Ballando con Averroè” di Toni Maraini

toni-110“Ancora una che ha scoperto le bellezze di Marrakech e che ci parlerà dei suq, della luce, dei colori, dei profumi e dei rumori della vecchia medina…” Invece fui piacevolmente sorpreso. La persona che scopriì quella sera era tutto tranne una turista in cerca di esotismo. E il libro era tutt’altro che un raccolta di cartoline.

“Ballando con Averroè” di Toni Maraini

toni-110“Ancora una che ha scoperto le bellezze di Marrakech e che ci parlerà dei suq, della luce, dei colori, dei profumi e dei rumori della vecchia medina…” Invece fui piacevolmente sorpreso. La persona che scopriì quella sera era tutto tranne una turista in cerca di esotismo. E il libro era tutt’altro che un raccolta di cartoline.

“Ballando con Averroè” di Toni Maraini

toni-110“Ancora una che ha scoperto le bellezze di Marrakech e che ci parlerà dei suq, della luce, dei colori, dei profumi e dei rumori della vecchia medina…” Invece fui piacevolmente sorpreso. La persona che scopriì quella sera era tutto tranne una turista in cerca di esotismo. E il libro era tutt’altro che un raccolta di cartoline.

La bella platea di Rovereto al Festival Oriente Occidente

Rovereto

Quando vado in giro per l’Italia a parlare di conflitti, morte e dolore non mi aspetto mai platee piene. L’argomento non è molto sexy e la televisione, la cultura dominante di questo Paese, ci ha abituati che l’intrattenimento è meglio. Così che ieri a Rovereto, a un incontro promosso da Oriente Occidente (festival arrivato alla 36ma edizione!) ho trovato una piacevole sorpresa. All’incontro, organizzato per il Festival da Raffaele Crocco (il direttore dell‘Atlante delle guerre) c’erano circa 180 persone! Venute ad ascoltare un tema già ostico in sé e presentato come ancora più ostico: “Cos’è cambiato nella guerra? Non si combatte più tra eserciti ma “in mezzo alla gente”, tra coalizioni di Stati con mostrine unificate e combattenti senza divisa ma forti in termini ideologici. Alla radici – dicevamo sull’invito – ci sono antichi problemi irrisolti: il retaggio neo coloniale, le ingiustizie sociali, una vaga idea di riscatto nazionale che producono lo scoppio di tensioni latenti in cui si inserisce la criminalità organizzata, la devianza ideologica estremista, le manovre di gruppi di potere politico d economico. Le guerre moderne, al contrario di quelle convenzionali, tendono a trascinarsi. A iniziare ma a non terminare. A fingere successi che non sono reali. E a farci abituare alla guerra come a una delle tante forme della quotidianità moderna. La guerra richiede forse dunque un ripensamento: quanto è utile? quanto hanno senso le alleanze regionali? perché abbiamo deciso che l’Onu non serve? perché rinunciamo a priori a studiare strumenti di pacificazione e dialogo?”. Direi che ce n’era abbastanza per rifuggire tema e relatori. E invece…

Sun Tsu

L’abbiamo presa alla larga cominciando da definizioni possibili: non più ormai quella famosa e contenuta in “Della Guerra” di Carl Von Clausevitz (“E’ la continuazione della politica con altri mezzi”) ma passando in rassegna i conflitti del supposto periodo di pace che si chiama “Guerra fredda”: gli eserciti di liberazione nazionale, la nascita delle guerre asimmetriche o delle “guerre tra la gente”, definizione che si deve al militare britannico Rupert Smith nel suo “L’arte della guerra nel mondo contemporaneo”, dove sostiene che la guerra degli eserciti in divisa è stata sostituita da quella che egli chiama “guerra fra la gente”,  in cui il campo di battaglia è  costituito dalle strade, dalle case e, soprattutto, dalla popolazione civile, come è avvenuto in Cecenia, Jugoslavia, Medio Oriente, Ruanda… Ovunque. I civili diventano ostaggi da sfruttare, scudi umani da utilizzare senza scrupoli, bersagli da colpire, obiettivi da conquistare, in un nuovo paradigma bellico che ha minato la possibilità di un uso efficace della forza da parte degli Stati e dunque degli eserciti, non più  in grado di ottenere risultati. Abbiamo ricordato anche la “Guerra senza limiti”, saggio scritto dai  colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui, eredi della tradizione che discende dal famoso “L’arte della guerra” di Sun Tzu.  Quella che descrivono è una  guerra condotta attraverso le manipolazioni dei media, le azioni di piraterie su Internet, le turbative dei mercati azionari o la diffusione di virus informatici. Guerre senza confini appunto, altro tema toccato (i confini post coloniali).

E poi ancora, le guerre nascoste, quelle dei droni e delle  truppe speciali, presenti anche in missioni “non combat”. Il tutto rigorosamente segreto. E poi il business della guerra col famoso esempio, a me caro, dell’acqua minerale. L’esempio è afgano: quando sul terreno c’erano circa 140mila soldati, ognuno di loro beveva forse una  una media di tre litri di acqua al giorno. Acqua in bottiglia, si intende. E che per tutela dei soldati deve provenire da un luogo sicuro, di solito da oltre confine. E se 420mila litri sono il fabbisogno quotidiano di acqua potabile dei militari, ciò significa che in Afghanistan, ogni anno, dovevano entrare qualcosa come 15 milioni di litri di acqua minerale (oggi si è ridotto a un decimo). Quante bottiglie ci vogliono per contenerla? E quanti camion per trasportarla? Il conto non è finito. Dietro ogni soldato c’è un folto personale a contratto che non è in divisa ma che lavora per lui. Ci sono cuochi, addetti alle pulizie, operatori della sicurezza, i cosiddetti contractor: americani, britannici, sudafricani, israeliani, filippini, tailandesi e, per quasi l’80%, anche personale locale. Soldati anche loro pur se non in divisa.

E se dietro ogni soldato c’è un uomo o due, dietro tutti loro ci sono pasti caldi, divise, stringhe per le

Carl Von Clausewitz

scarpe, spazzolini. Tutto materiale che arriva da fuori: dal dentifricio alle zucchine. Quanti camion fa marciare la guerra considerato che l’acqua la bevono anche loro?  In altre parole, se foste un produttore di acqua minerale, vorreste la fine della guerra?  Ma oltre a questo aspetto, ce n’è un altro. Questo lato oscuro e poco noto del conflitto, paradossalmente, oltre che alimentare una macchina economica milionaria,  nutre la guerra stessa. E nutre gli stessi nemici che l’esercito straniero è venuto a combattere. La guerra in Afghanistan finanzia i talebani con l’acqua minerale perché per ogni camion che passa la frontiera pachistana nel Sud, terra talebana, si paga una mazzetta di 800-1000 dollari alla guerriglia perché non attacchi i convogli e il nemico possa bere…

La guerra costa cara. In termini di vite umane soprattutto. E soprattutto di vittime civili. In Iraq, dove tra il 2003 e il 2012 sono morti poco più di 4mila militari (soprattutto americani), il conteggio delle vittime civili oltrepassava allora le 100mila unità. Oggi, contando i combattenti, siamo a oltre 250mila.  In Afghanistan (oltre 50 morti tra i militari italiani), ogni anno moriva invece una media di oltre 2mila civili innocenti anche se, secondo i rapporti dell’United Nation Assistance Mission in Afghanistan (Unama), le vittime civili  sono salite nel 2011 a 3021 (erano  2790 nel 2010 e  2412 nel 2009). Nel 2015 il costo è ancora più elevato: 11.002 civili colpiti (3545 morti e 7457 feriti. Sempre di più. Ma la guerra non era finita?

Abbiamo toccato molti temi e, dal pubblico, c’è chi aggiunto altre riflessioni davvero interessanti manifestate dal desiderio di “poter fare qualcosa”. Non so se anche la serata di ieri sia “fare qualcosa” ma penso di si. Per me è stata un’iniezione di fiducia nel mio lavoro: per farlo meglio, per continuare a raccontare cosa accade quando i riflettori delle telecamere si allontanano. Grazie!

Tutti contro Fatah in Palestina

Di Ahmad Saqr. Arabi21 (04/09/2016). Traduzione e sintesi di Giusy Regina. Jibril Rajoub, un alto funzionario di Fatah, ha preso in giro su un canale televisivo egiziano i cristiani della comunità palestinese che votano per Hamas. Li ha definiti infatti come “la comunità del Buon Natale”. Il Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), il Fronte Popolare per la […]

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Libano: la settimana si apre con la prospettiva di due sessioni parlamentari sterili

L’Orient le Jour (05/09/2016). Traduzione e sintesi di Claudia Negrini. Lo stallo politico in Libano non accenna a migliorare. Dopo una sessione di dialogo nazionale e in prossimità della 44ª seduta parlamentare, infatti, l’elezione di un capo di Stato sembra ancora molto lontana. I libanesi non si fanno più troppe illusioni sulle possibilità di uno […]

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