Giorno: 1 settembre 2016

Marocco. “Qandisha”, quando le donne prendono la parola

Dal novembre 2011 il panorama mediatico marocchino si è arricchito di un canale di espressione coraggioso e innovativo, tanto nella forma che nei contenuti. Si tratta del sito di informazione qandisha.ma, piattaforma partecipativa e dichiaratamente femminista che ha aperto le frontiere del citizen journalism nel regno.



[Arab Media Report] Tra le sue peculiarità, la capacità di restituire il prisma polifonico di una società in cambiamento e  la presenza di una redazione “fluida” dove i collaboratori sono affiancati da decine di contributors occasionali, figure del mondo accademico, dell’arte e in generale “ogni marocchina che voglia presentare un testo in lingua araba, francese o inglese”, fa notare la “qandishette” Souad Debbagh. La linea editoriale è sintetizzata in tre punti: emancipazione, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Blog collettivo, tribuna libera che dà voce alle donne di ogni estrazione o categoria, le definizioni per riassumere questa esperienza non mancano, come ricorda l’ideatrice del progetto Fedwa Misk. Dottoressa di formazione e giornalista di professione, animatrice di un caffè letterario a Casablanca, per questa trentenne dai modi eleganti e l’animo combattivo Qandisha è il risultato di una scommessa.

“Pensavo a qualcosa di diverso dalle riviste femminili già esistenti – afferma la Misk – sottomesse al modello della pubblicità, al triangolo cucina-moda-bellezza e disconnesse dalla realtà del paese”. Realtà che, nonostante gli avanzamenti introdotti nel 2004 dalla Mudawwana (codice della famiglia) e le quote rosa in Parlamento, continua a relegare la donna in una posizione di inferiorità, complici la mentalità conservatrice e una legislazione ancora largamente discriminatoria.

La scommessa è vinta. Mentre le riviste cartacee – di genere ma non solo – hanno registrato un calo di vendite notevole negli ultimi anni (fonte Ojd), Qandisha è riuscita a fidelizzare un lettorato ben più ampio della cerchia di amici e sostenitori immaginata dalla Misk: 10 mila ingressi unici a pochi giorni dal lancio, centinaia di visite giornaliere, commenti, polemiche, condivisioni. Alcuni articoli sono stati perfino ripubblicati dalle testate straniere Le Courrier International e Rue89.

Il successo del sito è legato all’abilità nell’alternare denunce e toni roventi – campagne per la legalizzazione dell’aborto e la depenalizzazione delle relazioni extraconiugali – a pezzi più “leggeri” ed ironici. Ma anche alla forza delle testimonianze, in grado di tratteggiare i contorni di una geografia femminile fatta di pressioni, privazioni, stereotipi e lotte troppo spesso silenziose. Dalla libertà di disporredel proprio corpo, di esibirlo come di nasconderlo, alla rivendicazione dei diritti delle bracciantinelle serre e delle domestiche-bambine.   

Per Qandisha non ci sono piccole o grandi battaglie, ma una ricerca costante di dignità che vede nel femminismo un valore quotidiano. “Smuovere le coscienze ed incidere sul pensiero comune è un processo lungo, non si cambiano percezioni e atteggiamenti dall’oggi al domani. Ne siamo consapevoli e cerchiamo di contribuire con gli strumenti che ci sono più congeniali”, risponde Fedwa Misk a chi la accusa di rifugiarsi dietro ad un computer disertando la vera battaglia, sul terreno.

L’obiettivo della giornalista, semmai, è proprio quello di ridurre la distanza dal virtuale al reale, anche nelle sue sfaccettature più crude. Ad esempio, riportando casi di cronacagiudiziaria dove le donne vengono penalizzate dall’essenza patriarcale che permea i tribunali, oppure rispondendo ai tentennamenti della ministra Bassima Hakkaoui – in tema di violenza sulle donne – con la pubblicazione di alcune testimonianze e osservazioniscritte da ragazze vittime di abusi.

Una simile libertà di parola, del resto, sembra possibile soltanto sul web, dopo che la stampa indipendente ha subito a più riprese la censura del governo. “Per i marocchini internet è ormai uno spazio di espressione vitale, che cerca di ovviare all’assenza di un dibattito pubblico”, continua la Misk secondo cui, sebbene il paese non abbia conosciuto rivoluzioni né cambiamenti effettivi, “il passaggio della primavera ha comunque permesso di incrinare tabù e ipocrisie”.





L’esistenza di Qandisha lo conferma. “Aprirsi, raccontarsi, prendere posizione è un passo necessario affinché le donne possano uscire dalla dominanza del pensiero maschile e divenire pienamente cittadine”. Ma Qandisha non è nemmeno un universo esclusivamente femminile: la rubrica tenuta “da un uomo” (anonima, sebbene gli autori siano molteplici) è tra le più seguite, mentre la metà degli iscritti al gruppo facebooksono maschi. “La prova che un cambio di prospettive è possibile, che c’è interesse nel condividere punti di vista ed esperienze”.

Le reazioni suscitate nei commenti o sui social network, tuttavia, oltrepassano a volte la soglia del confronto e del dibattito per degenerare in insulti e minacce. La libertà dei toni e il carattere degli argomenti affrontati espone la piattaforma ad attacchi e ostilità: il sito è stato piratato due volte, l’ultima dopo aver pubblicato l’intervento di un giovane omosessuale.

“Sapevamo fin dall’inizio che la nostra voce avrebbe dato fastidio – chiarisce la Misk -. La scelta del nome, del resto, non è casuale: Qandisha nella mitologia locale è un demone, una donna capace di stregare gli uomini che la circondano. Per il suo lato diabolico, secondo la leggenda, ma io dico per la sua forza, la sua bellezza e la sua intraprendenza. Ci aspettavamo di essere demonizzate così abbiamo preferito rivendicare a viso aperto la nostra ‘eresia’ piuttosto che nasconderci”.

Una critica invece che la fondatrice sposa senza reticenze è l’eccesso di editoriali e articoli d’opinione rispetto alle inchieste e alla sezione notizie. Un limite – spiega – legato alla natura volontaria del progetto e alla ristrettezza dei mezzi finanziari. Anche per questo, nelle ultime settimane, Qandisha sembra essere entrata in una fase di riflessione – a cui va ricondotto il calo degli aggiornamenti – preludio ad un rilancio in grande stile.

Per la redattrice “serve un modello economico che possa sostenere il nostro lavoro senza snaturarne le fondamenta. Sul tavolo abbiamo offerte pubblicitarie e donazioni che ci permetterebbero di professionalizzare almeno parte dei contributi proposti. Stiamo valutando”.

Di certo nel futuro prossimo del collettivo si assisterà alla nascita di una radio web accessibile dal sito. Uno strumento fondamentale, in un paese dove si legge poco e quasi metà della popolazione – femminile in primis – è analfabeta, per ridurre distanze geografiche e sociali, diversificando pubblico e canali di comunicazione, e per dare maggior efficacia al messaggio di emancipazione di cui Qandisha si è fatta portatrice.

(Articolo pubblicato sul sito di informazione Arab Media Report)

Marocco. “Qandisha”, quando le donne prendono la parola

Dal novembre 2011 il panorama mediatico marocchino si è arricchito di un canale di espressione coraggioso e innovativo, tanto nella forma che nei contenuti. Si tratta del sito di informazione qandisha.ma, piattaforma partecipativa e dichiaratamente femminista che ha aperto le frontiere del citizen journalism nel regno.



[Arab Media Report] Tra le sue peculiarità, la capacità di restituire il prisma polifonico di una società in cambiamento e  la presenza di una redazione “fluida” dove i collaboratori sono affiancati da decine di contributors occasionali, figure del mondo accademico, dell’arte e in generale “ogni marocchina che voglia presentare un testo in lingua araba, francese o inglese”, fa notare la “qandishette” Souad Debbagh. La linea editoriale è sintetizzata in tre punti: emancipazione, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Blog collettivo, tribuna libera che dà voce alle donne di ogni estrazione o categoria, le definizioni per riassumere questa esperienza non mancano, come ricorda l’ideatrice del progetto Fedwa Misk. Dottoressa di formazione e giornalista di professione, animatrice di un caffè letterario a Casablanca, per questa trentenne dai modi eleganti e l’animo combattivo Qandisha è il risultato di una scommessa.

“Pensavo a qualcosa di diverso dalle riviste femminili già esistenti – afferma la Misk – sottomesse al modello della pubblicità, al triangolo cucina-moda-bellezza e disconnesse dalla realtà del paese”. Realtà che, nonostante gli avanzamenti introdotti nel 2004 dalla Mudawwana (codice della famiglia) e le quote rosa in Parlamento, continua a relegare la donna in una posizione di inferiorità, complici la mentalità conservatrice e una legislazione ancora largamente discriminatoria.

La scommessa è vinta. Mentre le riviste cartacee – di genere ma non solo – hanno registrato un calo di vendite notevole negli ultimi anni (fonte Ojd), Qandisha è riuscita a fidelizzare un lettorato ben più ampio della cerchia di amici e sostenitori immaginata dalla Misk: 10 mila ingressi unici a pochi giorni dal lancio, centinaia di visite giornaliere, commenti, polemiche, condivisioni. Alcuni articoli sono stati perfino ripubblicati dalle testate straniere Le Courrier International e Rue89.

Il successo del sito è legato all’abilità nell’alternare denunce e toni roventi – campagne per la legalizzazione dell’aborto e la depenalizzazione delle relazioni extraconiugali – a pezzi più “leggeri” ed ironici. Ma anche alla forza delle testimonianze, in grado di tratteggiare i contorni di una geografia femminile fatta di pressioni, privazioni, stereotipi e lotte troppo spesso silenziose. Dalla libertà di disporredel proprio corpo, di esibirlo come di nasconderlo, alla rivendicazione dei diritti delle bracciantinelle serre e delle domestiche-bambine.   

Per Qandisha non ci sono piccole o grandi battaglie, ma una ricerca costante di dignità che vede nel femminismo un valore quotidiano. “Smuovere le coscienze ed incidere sul pensiero comune è un processo lungo, non si cambiano percezioni e atteggiamenti dall’oggi al domani. Ne siamo consapevoli e cerchiamo di contribuire con gli strumenti che ci sono più congeniali”, risponde Fedwa Misk a chi la accusa di rifugiarsi dietro ad un computer disertando la vera battaglia, sul terreno.

L’obiettivo della giornalista, semmai, è proprio quello di ridurre la distanza dal virtuale al reale, anche nelle sue sfaccettature più crude. Ad esempio, riportando casi di cronacagiudiziaria dove le donne vengono penalizzate dall’essenza patriarcale che permea i tribunali, oppure rispondendo ai tentennamenti della ministra Bassima Hakkaoui – in tema di violenza sulle donne – con la pubblicazione di alcune testimonianze e osservazioniscritte da ragazze vittime di abusi.

Una simile libertà di parola, del resto, sembra possibile soltanto sul web, dopo che la stampa indipendente ha subito a più riprese la censura del governo. “Per i marocchini internet è ormai uno spazio di espressione vitale, che cerca di ovviare all’assenza di un dibattito pubblico”, continua la Misk secondo cui, sebbene il paese non abbia conosciuto rivoluzioni né cambiamenti effettivi, “il passaggio della primavera ha comunque permesso di incrinare tabù e ipocrisie”.





L’esistenza di Qandisha lo conferma. “Aprirsi, raccontarsi, prendere posizione è un passo necessario affinché le donne possano uscire dalla dominanza del pensiero maschile e divenire pienamente cittadine”. Ma Qandisha non è nemmeno un universo esclusivamente femminile: la rubrica tenuta “da un uomo” (anonima, sebbene gli autori siano molteplici) è tra le più seguite, mentre la metà degli iscritti al gruppo facebooksono maschi. “La prova che un cambio di prospettive è possibile, che c’è interesse nel condividere punti di vista ed esperienze”.

Le reazioni suscitate nei commenti o sui social network, tuttavia, oltrepassano a volte la soglia del confronto e del dibattito per degenerare in insulti e minacce. La libertà dei toni e il carattere degli argomenti affrontati espone la piattaforma ad attacchi e ostilità: il sito è stato piratato due volte, l’ultima dopo aver pubblicato l’intervento di un giovane omosessuale.

“Sapevamo fin dall’inizio che la nostra voce avrebbe dato fastidio – chiarisce la Misk -. La scelta del nome, del resto, non è casuale: Qandisha nella mitologia locale è un demone, una donna capace di stregare gli uomini che la circondano. Per il suo lato diabolico, secondo la leggenda, ma io dico per la sua forza, la sua bellezza e la sua intraprendenza. Ci aspettavamo di essere demonizzate così abbiamo preferito rivendicare a viso aperto la nostra ‘eresia’ piuttosto che nasconderci”.

Una critica invece che la fondatrice sposa senza reticenze è l’eccesso di editoriali e articoli d’opinione rispetto alle inchieste e alla sezione notizie. Un limite – spiega – legato alla natura volontaria del progetto e alla ristrettezza dei mezzi finanziari. Anche per questo, nelle ultime settimane, Qandisha sembra essere entrata in una fase di riflessione – a cui va ricondotto il calo degli aggiornamenti – preludio ad un rilancio in grande stile.

Per la redattrice “serve un modello economico che possa sostenere il nostro lavoro senza snaturarne le fondamenta. Sul tavolo abbiamo offerte pubblicitarie e donazioni che ci permetterebbero di professionalizzare almeno parte dei contributi proposti. Stiamo valutando”.

Di certo nel futuro prossimo del collettivo si assisterà alla nascita di una radio web accessibile dal sito. Uno strumento fondamentale, in un paese dove si legge poco e quasi metà della popolazione – femminile in primis – è analfabeta, per ridurre distanze geografiche e sociali, diversificando pubblico e canali di comunicazione, e per dare maggior efficacia al messaggio di emancipazione di cui Qandisha si è fatta portatrice.

(Articolo pubblicato sul sito di informazione Arab Media Report)

Marocco. “Qandisha”, quando le donne prendono la parola

Dal novembre 2011 il panorama mediatico marocchino si è arricchito di un canale di espressione coraggioso e innovativo, tanto nella forma che nei contenuti. Si tratta del sito di informazione qandisha.ma, piattaforma partecipativa e dichiaratamente femminista che ha aperto le frontiere del citizen journalism nel regno.



[Arab Media Report] Tra le sue peculiarità, la capacità di restituire il prisma polifonico di una società in cambiamento e  la presenza di una redazione “fluida” dove i collaboratori sono affiancati da decine di contributors occasionali, figure del mondo accademico, dell’arte e in generale “ogni marocchina che voglia presentare un testo in lingua araba, francese o inglese”, fa notare la “qandishette” Souad Debbagh. La linea editoriale è sintetizzata in tre punti: emancipazione, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Blog collettivo, tribuna libera che dà voce alle donne di ogni estrazione o categoria, le definizioni per riassumere questa esperienza non mancano, come ricorda l’ideatrice del progetto Fedwa Misk. Dottoressa di formazione e giornalista di professione, animatrice di un caffè letterario a Casablanca, per questa trentenne dai modi eleganti e l’animo combattivo Qandisha è il risultato di una scommessa.

“Pensavo a qualcosa di diverso dalle riviste femminili già esistenti – afferma la Misk – sottomesse al modello della pubblicità, al triangolo cucina-moda-bellezza e disconnesse dalla realtà del paese”. Realtà che, nonostante gli avanzamenti introdotti nel 2004 dalla Mudawwana (codice della famiglia) e le quote rosa in Parlamento, continua a relegare la donna in una posizione di inferiorità, complici la mentalità conservatrice e una legislazione ancora largamente discriminatoria.

La scommessa è vinta. Mentre le riviste cartacee – di genere ma non solo – hanno registrato un calo di vendite notevole negli ultimi anni (fonte Ojd), Qandisha è riuscita a fidelizzare un lettorato ben più ampio della cerchia di amici e sostenitori immaginata dalla Misk: 10 mila ingressi unici a pochi giorni dal lancio, centinaia di visite giornaliere, commenti, polemiche, condivisioni. Alcuni articoli sono stati perfino ripubblicati dalle testate straniere Le Courrier International e Rue89.

Il successo del sito è legato all’abilità nell’alternare denunce e toni roventi – campagne per la legalizzazione dell’aborto e la depenalizzazione delle relazioni extraconiugali – a pezzi più “leggeri” ed ironici. Ma anche alla forza delle testimonianze, in grado di tratteggiare i contorni di una geografia femminile fatta di pressioni, privazioni, stereotipi e lotte troppo spesso silenziose. Dalla libertà di disporredel proprio corpo, di esibirlo come di nasconderlo, alla rivendicazione dei diritti delle bracciantinelle serre e delle domestiche-bambine.   

Per Qandisha non ci sono piccole o grandi battaglie, ma una ricerca costante di dignità che vede nel femminismo un valore quotidiano. “Smuovere le coscienze ed incidere sul pensiero comune è un processo lungo, non si cambiano percezioni e atteggiamenti dall’oggi al domani. Ne siamo consapevoli e cerchiamo di contribuire con gli strumenti che ci sono più congeniali”, risponde Fedwa Misk a chi la accusa di rifugiarsi dietro ad un computer disertando la vera battaglia, sul terreno.

L’obiettivo della giornalista, semmai, è proprio quello di ridurre la distanza dal virtuale al reale, anche nelle sue sfaccettature più crude. Ad esempio, riportando casi di cronacagiudiziaria dove le donne vengono penalizzate dall’essenza patriarcale che permea i tribunali, oppure rispondendo ai tentennamenti della ministra Bassima Hakkaoui – in tema di violenza sulle donne – con la pubblicazione di alcune testimonianze e osservazioniscritte da ragazze vittime di abusi.

Una simile libertà di parola, del resto, sembra possibile soltanto sul web, dopo che la stampa indipendente ha subito a più riprese la censura del governo. “Per i marocchini internet è ormai uno spazio di espressione vitale, che cerca di ovviare all’assenza di un dibattito pubblico”, continua la Misk secondo cui, sebbene il paese non abbia conosciuto rivoluzioni né cambiamenti effettivi, “il passaggio della primavera ha comunque permesso di incrinare tabù e ipocrisie”.





L’esistenza di Qandisha lo conferma. “Aprirsi, raccontarsi, prendere posizione è un passo necessario affinché le donne possano uscire dalla dominanza del pensiero maschile e divenire pienamente cittadine”. Ma Qandisha non è nemmeno un universo esclusivamente femminile: la rubrica tenuta “da un uomo” (anonima, sebbene gli autori siano molteplici) è tra le più seguite, mentre la metà degli iscritti al gruppo facebooksono maschi. “La prova che un cambio di prospettive è possibile, che c’è interesse nel condividere punti di vista ed esperienze”.

Le reazioni suscitate nei commenti o sui social network, tuttavia, oltrepassano a volte la soglia del confronto e del dibattito per degenerare in insulti e minacce. La libertà dei toni e il carattere degli argomenti affrontati espone la piattaforma ad attacchi e ostilità: il sito è stato piratato due volte, l’ultima dopo aver pubblicato l’intervento di un giovane omosessuale.

“Sapevamo fin dall’inizio che la nostra voce avrebbe dato fastidio – chiarisce la Misk -. La scelta del nome, del resto, non è casuale: Qandisha nella mitologia locale è un demone, una donna capace di stregare gli uomini che la circondano. Per il suo lato diabolico, secondo la leggenda, ma io dico per la sua forza, la sua bellezza e la sua intraprendenza. Ci aspettavamo di essere demonizzate così abbiamo preferito rivendicare a viso aperto la nostra ‘eresia’ piuttosto che nasconderci”.

Una critica invece che la fondatrice sposa senza reticenze è l’eccesso di editoriali e articoli d’opinione rispetto alle inchieste e alla sezione notizie. Un limite – spiega – legato alla natura volontaria del progetto e alla ristrettezza dei mezzi finanziari. Anche per questo, nelle ultime settimane, Qandisha sembra essere entrata in una fase di riflessione – a cui va ricondotto il calo degli aggiornamenti – preludio ad un rilancio in grande stile.

Per la redattrice “serve un modello economico che possa sostenere il nostro lavoro senza snaturarne le fondamenta. Sul tavolo abbiamo offerte pubblicitarie e donazioni che ci permetterebbero di professionalizzare almeno parte dei contributi proposti. Stiamo valutando”.

Di certo nel futuro prossimo del collettivo si assisterà alla nascita di una radio web accessibile dal sito. Uno strumento fondamentale, in un paese dove si legge poco e quasi metà della popolazione – femminile in primis – è analfabeta, per ridurre distanze geografiche e sociali, diversificando pubblico e canali di comunicazione, e per dare maggior efficacia al messaggio di emancipazione di cui Qandisha si è fatta portatrice.

(Articolo pubblicato sul sito di informazione Arab Media Report)

Marocco. “Qandisha”, quando le donne prendono la parola

Dal novembre 2011 il panorama mediatico marocchino si è arricchito di un canale di espressione coraggioso e innovativo, tanto nella forma che nei contenuti. Si tratta del sito di informazione qandisha.ma, piattaforma partecipativa e dichiaratamente femminista che ha aperto le frontiere del citizen journalism nel regno.



[Arab Media Report] Tra le sue peculiarità, la capacità di restituire il prisma polifonico di una società in cambiamento e  la presenza di una redazione “fluida” dove i collaboratori sono affiancati da decine di contributors occasionali, figure del mondo accademico, dell’arte e in generale “ogni marocchina che voglia presentare un testo in lingua araba, francese o inglese”, fa notare la “qandishette” Souad Debbagh. La linea editoriale è sintetizzata in tre punti: emancipazione, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Blog collettivo, tribuna libera che dà voce alle donne di ogni estrazione o categoria, le definizioni per riassumere questa esperienza non mancano, come ricorda l’ideatrice del progetto Fedwa Misk. Dottoressa di formazione e giornalista di professione, animatrice di un caffè letterario a Casablanca, per questa trentenne dai modi eleganti e l’animo combattivo Qandisha è il risultato di una scommessa.

“Pensavo a qualcosa di diverso dalle riviste femminili già esistenti – afferma la Misk – sottomesse al modello della pubblicità, al triangolo cucina-moda-bellezza e disconnesse dalla realtà del paese”. Realtà che, nonostante gli avanzamenti introdotti nel 2004 dalla Mudawwana (codice della famiglia) e le quote rosa in Parlamento, continua a relegare la donna in una posizione di inferiorità, complici la mentalità conservatrice e una legislazione ancora largamente discriminatoria.

La scommessa è vinta. Mentre le riviste cartacee – di genere ma non solo – hanno registrato un calo di vendite notevole negli ultimi anni (fonte Ojd), Qandisha è riuscita a fidelizzare un lettorato ben più ampio della cerchia di amici e sostenitori immaginata dalla Misk: 10 mila ingressi unici a pochi giorni dal lancio, centinaia di visite giornaliere, commenti, polemiche, condivisioni. Alcuni articoli sono stati perfino ripubblicati dalle testate straniere Le Courrier International e Rue89.

Il successo del sito è legato all’abilità nell’alternare denunce e toni roventi – campagne per la legalizzazione dell’aborto e la depenalizzazione delle relazioni extraconiugali – a pezzi più “leggeri” ed ironici. Ma anche alla forza delle testimonianze, in grado di tratteggiare i contorni di una geografia femminile fatta di pressioni, privazioni, stereotipi e lotte troppo spesso silenziose. Dalla libertà di disporredel proprio corpo, di esibirlo come di nasconderlo, alla rivendicazione dei diritti delle bracciantinelle serre e delle domestiche-bambine.   

Per Qandisha non ci sono piccole o grandi battaglie, ma una ricerca costante di dignità che vede nel femminismo un valore quotidiano. “Smuovere le coscienze ed incidere sul pensiero comune è un processo lungo, non si cambiano percezioni e atteggiamenti dall’oggi al domani. Ne siamo consapevoli e cerchiamo di contribuire con gli strumenti che ci sono più congeniali”, risponde Fedwa Misk a chi la accusa di rifugiarsi dietro ad un computer disertando la vera battaglia, sul terreno.

L’obiettivo della giornalista, semmai, è proprio quello di ridurre la distanza dal virtuale al reale, anche nelle sue sfaccettature più crude. Ad esempio, riportando casi di cronacagiudiziaria dove le donne vengono penalizzate dall’essenza patriarcale che permea i tribunali, oppure rispondendo ai tentennamenti della ministra Bassima Hakkaoui – in tema di violenza sulle donne – con la pubblicazione di alcune testimonianze e osservazioniscritte da ragazze vittime di abusi.

Una simile libertà di parola, del resto, sembra possibile soltanto sul web, dopo che la stampa indipendente ha subito a più riprese la censura del governo. “Per i marocchini internet è ormai uno spazio di espressione vitale, che cerca di ovviare all’assenza di un dibattito pubblico”, continua la Misk secondo cui, sebbene il paese non abbia conosciuto rivoluzioni né cambiamenti effettivi, “il passaggio della primavera ha comunque permesso di incrinare tabù e ipocrisie”.





L’esistenza di Qandisha lo conferma. “Aprirsi, raccontarsi, prendere posizione è un passo necessario affinché le donne possano uscire dalla dominanza del pensiero maschile e divenire pienamente cittadine”. Ma Qandisha non è nemmeno un universo esclusivamente femminile: la rubrica tenuta “da un uomo” (anonima, sebbene gli autori siano molteplici) è tra le più seguite, mentre la metà degli iscritti al gruppo facebooksono maschi. “La prova che un cambio di prospettive è possibile, che c’è interesse nel condividere punti di vista ed esperienze”.

Le reazioni suscitate nei commenti o sui social network, tuttavia, oltrepassano a volte la soglia del confronto e del dibattito per degenerare in insulti e minacce. La libertà dei toni e il carattere degli argomenti affrontati espone la piattaforma ad attacchi e ostilità: il sito è stato piratato due volte, l’ultima dopo aver pubblicato l’intervento di un giovane omosessuale.

“Sapevamo fin dall’inizio che la nostra voce avrebbe dato fastidio – chiarisce la Misk -. La scelta del nome, del resto, non è casuale: Qandisha nella mitologia locale è un demone, una donna capace di stregare gli uomini che la circondano. Per il suo lato diabolico, secondo la leggenda, ma io dico per la sua forza, la sua bellezza e la sua intraprendenza. Ci aspettavamo di essere demonizzate così abbiamo preferito rivendicare a viso aperto la nostra ‘eresia’ piuttosto che nasconderci”.

Una critica invece che la fondatrice sposa senza reticenze è l’eccesso di editoriali e articoli d’opinione rispetto alle inchieste e alla sezione notizie. Un limite – spiega – legato alla natura volontaria del progetto e alla ristrettezza dei mezzi finanziari. Anche per questo, nelle ultime settimane, Qandisha sembra essere entrata in una fase di riflessione – a cui va ricondotto il calo degli aggiornamenti – preludio ad un rilancio in grande stile.

Per la redattrice “serve un modello economico che possa sostenere il nostro lavoro senza snaturarne le fondamenta. Sul tavolo abbiamo offerte pubblicitarie e donazioni che ci permetterebbero di professionalizzare almeno parte dei contributi proposti. Stiamo valutando”.

Di certo nel futuro prossimo del collettivo si assisterà alla nascita di una radio web accessibile dal sito. Uno strumento fondamentale, in un paese dove si legge poco e quasi metà della popolazione – femminile in primis – è analfabeta, per ridurre distanze geografiche e sociali, diversificando pubblico e canali di comunicazione, e per dare maggior efficacia al messaggio di emancipazione di cui Qandisha si è fatta portatrice.

(Articolo pubblicato sul sito di informazione Arab Media Report)

Mistero italiano. Domani a Wikiradio

Italo Toni in uno scatto di Fausto Giaccone

Il 2 settembre 1980 due giornalisti feelance scompaiono nella Beirut della guerra civile. Trentasei anni dopo cosa sappiamo della morte di Italo Toni e Graziella de Palo. Domani su il manifesto e alle 14 in onda su wikiradio (regia di Loredana Rotundo)

Il primo settembre del 1980 a Beirut, due giornalisti italiani vanno alla nostra ambasciata nella capitale libanese. L’ambasciatore è in ferie e vengono ricevuti da un consigliere di legazione a cui confidano di avere l’indomani, il 2 settembre, un appuntamento con uomini del Fronte democratico per la Liberazione della Palestina. Non sappiamo se spiegano al consigliere Guido Tonini il motivo dell’incontro ma gli confidano di essere preoccupati: “Consigliere, se tra tre giorni non siamo rientrati in albergo, date l’allarme. Venite a cercarci”…

Inciucio alla tunisina

Patrizia Mancini Il 26 agosto 2016 la nuova formazione di governo detta di “unità nazionale”, guidata da Youssef Chahed, ha ottenuto il consenso del parlamento tunisino con con 167 voti a favore, 22 contrari e 6 astensioni. 23 deputati erano assenti (non ritenendo opportuno interrompere le vacanze estive neppure in tale congiuntura!). Esaminiamo le tappe che hanno portato alla costituzione […]

Inciucio alla tunisina

Patrizia Mancini Il 26 agosto 2016 la nuova formazione di governo detta di “unità nazionale”, guidata da Youssef Chahed, ha ottenuto il consenso del parlamento tunisino con con 167 voti a favore, 22 contrari e 6 astensioni. 23 deputati erano assenti (non ritenendo opportuno interrompere le vacanze estive neppure in tale congiuntura!). Esaminiamo le tappe che hanno portato alla costituzione […]

Inciucio alla tunisina

Patrizia Mancini Il 26 agosto 2016 la nuova formazione di governo detta di “unità nazionale”, guidata da Youssef Chahed, ha ottenuto il consenso del parlamento tunisino con con 167 voti a favore, 22 contrari e 6 astensioni. 23 deputati erano assenti (non ritenendo opportuno interrompere le vacanze estive neppure in tale congiuntura!). Esaminiamo le tappe che hanno portato alla costituzione […]

Inciucio alla tunisina

Patrizia Mancini Il 26 agosto 2016 la nuova formazione di governo detta di “unità nazionale”, guidata da Youssef Chahed, ha ottenuto il consenso del parlamento tunisino con con 167 voti a favore, 22 contrari e 6 astensioni. 23 deputati erano assenti (non ritenendo opportuno interrompere le vacanze estive neppure in tale congiuntura!). Esaminiamo le tappe che hanno portato alla costituzione […]

La “burkini-fobia” include anche noi

Di Diana Moukalled. Al-Arabiya (31/08/2016). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo. Non sono stati estremisti islamici a promuovere il divieto del burkini in Francia, né uomini di stampo conservatore o tradizionalista, bensì sono stati i laici della repubblica di Francia. Secondo quanto riportato dai media occidentali, questi laici si sono congratulati con la polizia francese quando […]

L’articolo La “burkini-fobia” include anche noi sembra essere il primo su Arabpress.

La posta in gioco a Naypyidaw

Centinaia di delegati delle minoranze etniche e dei gruppi armati in lotta da sempre col governo centrale birmano hanno partecipato ieri all’apertura della 21ma Conferenza di Panglong, dal nome della città dove nel 1947 si celebrò il primo incontro. Che dal ‘47 se ne siano tenuti solo una ventina la dice lunga sulla distanza tra il centro e la periferia ma il fatto che la Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, ora al governo del Paese, sia riuscita in pochi mesi dalla sua vittoria elettorale in novembre a convocarla – pur suscitando qualche polemica tra chi l’ha vissuta ancora come un’imposizione dal centro – la dice lunga sulla volontà di sistemare le cose in un Paese con 135 gruppi etnici riconosciuti per legge e oltre una ventina di gruppi armati secessionisti di cui 17 partecipano agli incontri nella capitale.

Nel febbraio del 1947 a Panglong – nello Stato Shan, 700 chilometri a Nord di Ranggon – ci provò per la prima volta il padre di Aung San Suu Kyi, il generale Aung San: sul piatto c’era l’indipendenza dagli inglesi. E il patto siglato a Panglong era che, in cambio di un’alleanza anti britannica, il nuovo corso post coloniale avrebbe riconosciuto agli alleati sia una base legale sia la possibilità di secedere. Ma dopo l’indipendenza dal Regno unito nel 1948, e con Aung San già assassinato dai sicari dei suoi avversari politici nel luglio del ‘47, il patto fu tradito. Il pugno divenne anzi assai duro con un potere militare diventato la cornice istituzionale del Paese.

Secondo gli osservatori locali non ci si può aspettare troppo dai cinque giorni della Conferenza ma è anche abbastanza chiaro che non sono le conferenze a sistemare le cose. Sono un segno però di apertura al dialogo che sembra far dunque rispettare al governo un’agenda politica in cui il processo negoziale coi gruppi armati, in stallo da anni, resta una priorità. E così quello con le minoranze che rappresentano circa il 40% della popolazione del Paese (oltre 50 milioni di abitanti).

Alla Conferenza Aung San Suu Kyi è affiancata dal generale Min Aung Hlaing, a capo delle forze armate ma uomo con cui la Nobel ha saputo costruire un’intesa. A Naypyidaw, la nuova capitale del Myanmar, è arrivato però anche Ban Ki-moon che questa volta non si è limitato al cerimoniale. Il segretario generale dell’Onu ha affrontato con Suu Kyi una questione spinosa: i Rohingya, quel milione di musulmani che vive sul confine occidentale e che non solo non è presente alla Conferenza ma non rientra neppure tra le minoranze riconosciute. Indocumentati vissuti come “immigrati clandestini” venuti dal Bangladesh da una popolazione in maggioranza buddista che non ha esitato a paventare un’ipotetica jihad per dare addosso alla piccola e vessata comunità fedele al Profeta. 120Mila tra loro sono alloggiati In «squallidi campi per sfollati interni», scrive il giornale Irrawaddy, mentre in tanti han preso la via del mare cercando fortuna a Sud, in Thailandia o Malaysia.
Campi profughi per gli sfollati della lunga guerra interna si trovano invece a ridosso del confine occidentale con la Thailandia ed è l’altra immagine che accompagna la conferenza. Questa volta si spera. Sembra che Pechino, sponsor di molti gruppi armati, specie lungo i suoi confini, questa volta abbia indirettamente sostenuto la partecipazione agli incontri. Tra gli ottimisti c’è ad esempio Khua Uk Lian, membro del Chin National Front, uno dei tanti gruppi guerriglieri. Ma per far finire il conflitto – ha detto all’agenzia France Press – i problemi da risolvere sono tanti: oppio, risorse, tensioni locali. La partita è aperta.