Giorno: 16 agosto 2016

Asia: il continente più nucleare

Un paio di anni fa l’artista giapponese Isao Hashimoto ha fatto una mappatura visuale delle 2053 esplosioni nucleari avvenute tra il 1945 e il 1998, di quella che comunemente chiamiamo “corsa agli armamenti”, in questo caso “tecnologicamente avanzati”. Fino al 1949 sono solo gli americani poi cominciano i sovietici. Nel 1952 arriva il Regno Unito. Nel 1960 entra in campo Parigi mentre Londra ha già testato 21 esplosioni, l’Urss 83 e gli Stati Uniti 196. Solo 4 anni dopo, nel gennaio del 1964, il punteggio è: Francia 9, GB 23, Urss 221, Usa 349. Ma nel 1964 si registra anche il primo test cinese. Nel 1974 il primo indiano. Nel 1998 arriva anche il Pakistan. L’esperimento visuale di Hashimoto si conclude con questo bilancio: Stati Uniti 1032; Russia (rimasta al palo dopo la caduta del muro) 715; Francia 210; GB e Cina 45; India 4; Pakistan 2 (in realtà nel 1998 furono ben di più i test dei due Paesi asiatici). L’artista si ferma qui. I bombaroli no (il grafico visuale su può vedere su Youtube: lo riproduco qui sotto).

Continente atomico

Non solo gran parte delle esplosioni avvengono in Asia ma l’Asia è anche il continente che ospita il maggior numero di Paesi con l’arma nucleare. Se si escludono Usa, Gran Bretagna e Francia, nel Consiglio di sicurezza siedono gli altri due Paesi con la bomba “ufficiale”: Cina, che è Asia a tutti gli effetti, e Russia, la cui gran parte del territorio sta nel continente asiatico. Tutti gli altri Paesi con la bomba, più o meno nascosta, sono asiatici. Da Ovest a Est: Israele, Pakistan, India, Corea del Nord (pur se sul suo arsenale c’è un punto interrogativo). Anche molte velleità nucleari stanno in Asia, sebbene non si siano mai trasformate in una bomba: dall’Iran all’Arabia saudita. Se si escludono il Sudafrica, l’Egitto, la Libia o il Brasile in cui è serpeggiato il desiderio di aver l’arma nucleare – e se si escludono le velleità non dichiarate che devono aver attraversato un po’ tutti i Paesi – si può affermare a buon diritto che l’Asia è il continente più nucleare. Con che rischi?


Giochi pericolosi sulla Radcliffe Line

Il visconte di Radcliffe. Uno degli
architetti della
Partition

Lasciando da parte l’interrogativo nordcoreano, la zona forse più a rischio è quella tra India e Pakistan che corre lungo la frontiera artificiale tracciata dal righello di sir Cyril Radcliffe, uno dei legulei che il Raj aveva messo a capo delle Border Commissions col compito di tracciare le linee di demarcazione della “Partition” che, nell’agosto del 1947, doveva dar luogo alla nascita di India e Pakistan. In effetti Radcliffe rese pubblico il suo lavoro proprio nel giorno dell’indipendenza – il 17 – dando luogo al più grande esodo della storia e a un massacro dal bilancio spaventoso. La Radcliffe Line è di fatto ancora oggi la frontiera tra India e Pakistan a Ovest e tra India e Bangladesh a Est ed è anche un po’ il simbolo (come la Durand Line nell’annoso contenzioso tra Pakistan e Afghanistan) di una discordia mai sanata tra i due Paesi gemelli. L’India fu la prima, come abbiamo visto, a dotarsi della bomba. E ovviamente Islamabad non voleva essere da meno. Fin che la Guerra Fredda dominava la scena, le cose erano tutto sommato sotto controllo, ma nel 2006 il presidente Bush firma il via libera all’accordo di cooperazione sul nucleare civile tra Stati Uniti e India che doveva soffiare su un fuoco mai spento. L’accordo consente al governo indiano di acquistare reattori e combustibile nucleare e di adoperare know how americano in fatto di tecnologie avanzate. E’ una capitolo centrale della politica asiatica in tema di armamento atomico in un continente dove il nucleare “illegale”, ossia fuori dal Trattato di non proliferazione nucleare (Npt), conta almeno quattro Paesi (India, Pakistan, Corea del Nord e Israele). A differenza di Israele, che le sue bombe le nasconde, e della Corea del Nord, che vanta forse più di quel che ha, per India e Pakistan la bomba è una realtà ammessa e dichiarata. Anzi, rivendicata: in un equilibrio precario che, dopo l’accordo tra Delhi e Washington, è diventato ancora più fragile.

Tensioni mai sopite

Le tensioni tra i due Paesi, al di là delle guerre (1947-1965-1971) o degli “incidenti” (Kargil 1999) sono pane quotidiano. Nel 1998, sui due fronti, si assiste a una dimostrazione di forza: il 6 aprile parte il primo test pachistano e in maggio l’India risponde con cinque esplosioni nucleari, seguite da altrettante nel Paese dei puri. Il confronto fortunatamente rientrerà, scongiurando una guerra tra i due colossi nucleari. Ma i rapporti tornano tesissimi nel 2001, con l’attacco al parlamento indiano, e nel 2008, dopo gli attentati nel cuore di Mumbay: torna ad agitarsi, per fortuna senza conseguenze, lo spettro dell’uso di testate atomiche (circa un centinaio a testa). Nel 2001 la possibilità di un conflitto e dunque l’uso di missili nucleari diventerà una possibilità reale per mesi e sarà la diplomazia internazionale a raffreddare la tensione. Una tensione che non si è mai allentata mentre il processo di riconciliazione tra i due Paesi continua a restare solo all’orizzonte. Fermo.

Progetto Kahuta

Se gli indiani hanno iniziato presto, il programma nucleare pachistano comincia nel 1972 con Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir. E’ un civile modernista e di idee socialiste, ma teme la supremazia militare del cugino indiano che è grande quattro volte più e il cui programma nucleare è iniziato nel 1967. L’incarico viene affidato a Munir Ahmad Khan, a capo della Pakistan Atomic Energy Commission dal 1972 al 1991. Bhutto vorrebbe la bomba entro quattro anni, ma in realtà si dovrà aspettare Abdul Qadeer Khan – il padre del Progetto Kahuta e dell’atomica pachistana. Corrono gli anni Ottanta anche se, ufficialmente, il Pakistan diventa un Paese con la bomba nel 1998 quando fa il suo primo test. Per il possesso dell’atomica è molto corteggiato, soprattutto da Riad, anche perché è l’unico Paese islamico a possedere la bomba. E quando l’anno scorso il Pakistan si è rifiutato di mandare le sue forze armate nello Yemen o quando Islamabad si è dimostrata fredda all’appello di Riad nicchiando sulla sua partecipazione alla grande coalizione contro il terrorismo nata con evidenti intenzioni anti-iraniane, per i sauditi si è trattato di uno schiaffo che ha turbato le tradizionalmente solide relazioni tra Islamabad e Riad: la presenza del Pakistan a fianco dei Saud significa infatti poter contare anche sul deterrente nucleare.