Giorno: 21 luglio 2016

Lo strano colpo di Stato del Sultano

di Giuseppe Cossuto 

Una delle istituzioni più importanti degli Ottomani fu quella degli “Schiavi della Porta”,  i kapikulu.  Furono costoro a conquistare e sostenere una formazione statale che amministrava tre continenti fin dai tempi del sultano Murad I (1326-1389).

Erano un’efficientissima macchina burocratica e da guerra, sotto diretto comando del Sultano.…

Lo strano colpo di Stato del Sultano è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Lo strano colpo di Stato del Sultano

di Giuseppe Cossuto 

Una delle istituzioni più importanti degli Ottomani fu quella degli “Schiavi della Porta”,  i kapikulu.  Furono costoro a conquistare e sostenere una formazione statale che amministrava tre continenti fin dai tempi del sultano Murad I (1326-1389).

Erano un’efficientissima macchina burocratica e da guerra, sotto diretto comando del Sultano.…

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Lo strano colpo di Stato del Sultano

di Giuseppe Cossuto 

Una delle istituzioni più importanti degli Ottomani fu quella degli “Schiavi della Porta”,  i kapikulu.  Furono costoro a conquistare e sostenere una formazione statale che amministrava tre continenti fin dai tempi del sultano Murad I (1326-1389).

Erano un’efficientissima macchina burocratica e da guerra, sotto diretto comando del Sultano.…

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di Giuseppe Cossuto 

Una delle istituzioni più importanti degli Ottomani fu quella degli “Schiavi della Porta”,  i kapikulu.  Furono costoro a conquistare e sostenere una formazione statale che amministrava tre continenti fin dai tempi del sultano Murad I (1326-1389).

Erano un’efficientissima macchina burocratica e da guerra, sotto diretto comando del Sultano.…

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Lo strano colpo di Stato del Sultano

di Giuseppe Cossuto 

Una delle istituzioni più importanti degli Ottomani fu quella degli “Schiavi della Porta”,  i kapikulu.  Furono costoro a conquistare e sostenere una formazione statale che amministrava tre continenti fin dai tempi del sultano Murad I (1326-1389).

Erano un’efficientissima macchina burocratica e da guerra, sotto diretto comando del Sultano.…

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Lo strano colpo di Stato del Sultano

di Giuseppe Cossuto 

Una delle istituzioni più importanti degli Ottomani fu quella degli “Schiavi della Porta”,  i kapikulu.  Furono costoro a conquistare e sostenere una formazione statale che amministrava tre continenti fin dai tempi del sultano Murad I (1326-1389).

Erano un’efficientissima macchina burocratica e da guerra, sotto diretto comando del Sultano.…

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Lo strano colpo di Stato del Sultano

di Giuseppe Cossuto 

Una delle istituzioni più importanti degli Ottomani fu quella degli “Schiavi della Porta”,  i kapikulu.  Furono costoro a conquistare e sostenere una formazione statale che amministrava tre continenti fin dai tempi del sultano Murad I (1326-1389).

Erano un’efficientissima macchina burocratica e da guerra, sotto diretto comando del Sultano.…

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Premio per la traduzione letteraria dall’arabo di Elbabookfest: ecco chi ha vinto

La prima edizione del premio Appiani per la traduzione di Elbabookfest, quest’anno dedicato alla traduzione letteraria dall’arabo, ha premiato un libro a cui sono particolarmente affezionata, un’ottima traduttrice e un poeta a tutti noi molto caro.  Sì, la vincitrice è Ramona Ciucani, per la sua traduzione della raccolta di poesie Il giocatore d’azzardo del poeta … Continua a leggere Premio per la traduzione letteraria dall’arabo di Elbabookfest: ecco chi ha vinto

Premio per la traduzione letteraria dall’arabo di Elbabookfest: ecco chi ha vinto

La prima edizione del premio Appiani per la traduzione di Elbabookfest, quest’anno dedicato alla traduzione letteraria dall’arabo, ha premiato un libro a cui sono particolarmente affezionata, un’ottima traduttrice e un poeta a tutti noi molto caro.  Sì, la vincitrice è Ramona Ciucani, per la sua traduzione della raccolta di poesie Il giocatore d’azzardo del poeta … Continua a leggere Premio per la traduzione letteraria dall’arabo di Elbabookfest: ecco chi ha vinto

Premio per la traduzione letteraria dall’arabo di Elbabookfest: ecco chi ha vinto

La prima edizione del premio Appiani per la traduzione di Elbabookfest, quest’anno dedicato alla traduzione letteraria dall’arabo, ha premiato un libro a cui sono particolarmente affezionata, un’ottima traduttrice e un poeta a tutti noi molto caro.  Sì, la vincitrice è Ramona Ciucani, per la sua traduzione della raccolta di poesie Il giocatore d’azzardo del poeta … Continua a leggere Premio per la traduzione letteraria dall’arabo di Elbabookfest: ecco chi ha vinto

Le elezioni palestinesi: benedizione o maledizione?

Di Hani Masri. As-Safir (19/07/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio. Finalmente è giunta una bella notizia: il movimento Hamas ha sorpreso la maggior parte delle aspettative mostrandosi favorevole alle elezioni locali in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, purché la Commissione Elettorale garantisca la non discriminazione durante le elezioni, affidando il controllo dell’operato agli […]

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La lunga notte dei pronunciamenti militari turchi. Che una volta piacevano

Dal fez alla visiera

In politica la memoria è sempre un buon esercizio. Tutti in effetti hanno riportato i colpi di Stato che hanno costellato la Turchia contemporanea ma non molti hanno ricordato chi allora, anziché stracciarsi le vesti, chiuse un occhio quando addirittura non aiutò più o meno direttamente la manina militare. Per venire a tempi più recenti si può ricordare l’apprezzatissimo golpe algerino (1992) dopo la vittoria islamista alle elezioni e, in tempi ancor più prossimi, il putsch di Al Sisi (2013), anche quello tutto sommato salutato con favore, come sa bene il nostro premier che, prima che il caso Regeni ci mettesse con l’Egitto ai ferri corti, salutò il generalissimo come «grande statista». Era in buona compagnia perché la condanna del golpe fu piuttosto freddina a livello internazionale. Appena più calorosa delle rimostranze per l’invasione saudita del Bahrein o della guerra dei Saud nello Yemen. Nel caso turco, la presa di distanza americana è invece arrivata subito, prima ancora che il golpe fosse concluso. Erdogan è tutto sommato una sorta di garanzia anche se la sua virata filorussa rischia di far aumentare l’allarme su un personaggio che, seppur eletto, sta ora facendo il golpe istituzionale che gli permette di far le pulizie di fino. Ci son sempre pesi e misure insomma. A seconda di cointesto e convenienze. E in passato?

Se adesso le cose sono un po’ confuse, quando nel maggio del 1960 la prima sollevazione militare scelse il generale Cemal Gürsel come presidente di un nuovo corso che doveva riportare ordine e stabilità, correvano gli anni della Guerra Fredda e non piaceva il primo ministro Adnan Menderes, fondatore di un Partito democratico di destra moderata che però aveva scelto di strizzare l’occhio a Mosca dove Menderes, con cui la Turchia era entrata nella Nato, aveva pianificato un viaggio in cerca di aiuti economici. I golpisti lo impiccarono e purgarono tribunali (centinaia di giudici) e università mettendo sotto arresto l’intera classe dirigente. Allora si pensò che era uno dei tanti golpe del Terzo mondo (secondo il Journal of Cold War Studies 357 tentativi con 183 successi tra il 1945 e il 1985) anche se quello turco avveniva in un Paese Nato.

Il cosiddetto “Golpe del memorandum” del 1971 avviene in un momento di grande turbolenza politica che ha ridato fiato alla sinistra turca. A differenza del golpe del 1960, animato da militari radicali diventati famosi per un pogrom anti greco a Istanbul, l’élite delle Forze armate che aveva organizzato il colpo del 1971 era violentemente anti comunista e si distinse per la repressione di ogni cosa che avesse a che fare con la sinistra. Inutile dire che quel colpo di Stato andava bene così. Il 12 settembre del 1980 arriva il terzo golpe. Anche lì c’è un’anima di destra che si esplicita in una repressione brutale e in una riduzione dell’intervento dello Stato in economia. Le carceri si riempiono di oppositori, 230 mila dei quali vengono processati. A cinquanta viene comminata la pena di morte, a 14mila viene ritirata la cittadinanza. Secondo la stampa curda c’era una sorta di lista di proscrizione con 1.683.000 nomi. A chi era piaciuta la mano pesante?

All’epoca reggeva la base operativa della Cia in Turchia Paul Henze, uno specialista della guerra psicologica, diventato famoso per un libro in cui sosteneva che dietro l’attentato a Papa Woytila ci fosse Mosca. Henze, già a capo della Cia in Etiopia e che se n’era andato da Ankara alla vigilia del golpe, ha negato, ma la Cia probabilmente sapeva: tanto che Carter ne sarebbe stato addirittura informato con un cablo che recava la frase «our boys did it» (lo han fatto i nostri ragazzi). Vero non vero, un portavoce del Dipartimento di Stato confermò che Washington era stata informata in anticipo e il bilancio di quel golpe fu l’annichilimento di partiti politici e organizzazioni sindacali. E’ di quel periodo del resto un commento di Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza Carter dal 1977 al 1981: «Per la Turchia come per il Brasile – racconta lo storico svizzero Daniele Ganser in Nato’s Secret Armies: Operation Gladio and Terrorism in Western Europe – un governo militare sarebbe la soluzione migliore».

La lunga notte dei pronunciamenti militari turchi. Che una volta piacevano

Dal fez alla visiera

In politica la memoria è sempre un buon esercizio. Tutti in effetti hanno riportato i colpi di Stato che hanno costellato la Turchia contemporanea ma non molti hanno ricordato chi allora, anziché stracciarsi le vesti, chiuse un occhio quando addirittura non aiutò più o meno direttamente la manina militare. Per venire a tempi più recenti si può ricordare l’apprezzatissimo golpe algerino (1992) dopo la vittoria islamista alle elezioni e, in tempi ancor più prossimi, il putsch di Al Sisi (2013), anche quello tutto sommato salutato con favore, come sa bene il nostro premier che, prima che il caso Regeni ci mettesse con l’Egitto ai ferri corti, salutò il generalissimo come «grande statista». Era in buona compagnia perché la condanna del golpe fu piuttosto freddina a livello internazionale. Appena più calorosa delle rimostranze per l’invasione saudita del Bahrein o della guerra dei Saud nello Yemen. Nel caso turco, la presa di distanza americana è invece arrivata subito, prima ancora che il golpe fosse concluso. Erdogan è tutto sommato una sorta di garanzia anche se la sua virata filorussa rischia di far aumentare l’allarme su un personaggio che, seppur eletto, sta ora facendo il golpe istituzionale che gli permette di far le pulizie di fino. Ci son sempre pesi e misure insomma. A seconda di cointesto e convenienze. E in passato?

Se adesso le cose sono un po’ confuse, quando nel maggio del 1960 la prima sollevazione militare scelse il generale Cemal Gürsel come presidente di un nuovo corso che doveva riportare ordine e stabilità, correvano gli anni della Guerra Fredda e non piaceva il primo ministro Adnan Menderes, fondatore di un Partito democratico di destra moderata che però aveva scelto di strizzare l’occhio a Mosca dove Menderes, con cui la Turchia era entrata nella Nato, aveva pianificato un viaggio in cerca di aiuti economici. I golpisti lo impiccarono e purgarono tribunali (centinaia di giudici) e università mettendo sotto arresto l’intera classe dirigente. Allora si pensò che era uno dei tanti golpe del Terzo mondo (secondo il Journal of Cold War Studies 357 tentativi con 183 successi tra il 1945 e il 1985) anche se quello turco avveniva in un Paese Nato.

Il cosiddetto “Golpe del memorandum” del 1971 avviene in un momento di grande turbolenza politica che ha ridato fiato alla sinistra turca. A differenza del golpe del 1960, animato da militari radicali diventati famosi per un pogrom anti greco a Istanbul, l’élite delle Forze armate che aveva organizzato il colpo del 1971 era violentemente anti comunista e si distinse per la repressione di ogni cosa che avesse a che fare con la sinistra. Inutile dire che quel colpo di Stato andava bene così. Il 12 settembre del 1980 arriva il terzo golpe. Anche lì c’è un’anima di destra che si esplicita in una repressione brutale e in una riduzione dell’intervento dello Stato in economia. Le carceri si riempiono di oppositori, 230 mila dei quali vengono processati. A cinquanta viene comminata la pena di morte, a 14mila viene ritirata la cittadinanza. Secondo la stampa curda c’era una sorta di lista di proscrizione con 1.683.000 nomi. A chi era piaciuta la mano pesante?

All’epoca reggeva la base operativa della Cia in Turchia Paul Henze, uno specialista della guerra psicologica, diventato famoso per un libro in cui sosteneva che dietro l’attentato a Papa Woytila ci fosse Mosca. Henze, già a capo della Cia in Etiopia e che se n’era andato da Ankara alla vigilia del golpe, ha negato, ma la Cia probabilmente sapeva: tanto che Carter ne sarebbe stato addirittura informato con un cablo che recava la frase «our boys did it» (lo han fatto i nostri ragazzi). Vero non vero, un portavoce del Dipartimento di Stato confermò che Washington era stata informata in anticipo e il bilancio di quel golpe fu l’annichilimento di partiti politici e organizzazioni sindacali. E’ di quel periodo del resto un commento di Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza Carter dal 1977 al 1981: «Per la Turchia come per il Brasile – racconta lo storico svizzero Daniele Ganser in Nato’s Secret Armies: Operation Gladio and Terrorism in Western Europe – un governo militare sarebbe la soluzione migliore».

La lunga notte dei pronunciamenti militari turchi. Che una volta piacevano

Dal fez alla visiera

In politica la memoria è sempre un buon esercizio. Tutti in effetti hanno riportato i colpi di Stato che hanno costellato la Turchia contemporanea ma non molti hanno ricordato chi allora, anziché stracciarsi le vesti, chiuse un occhio quando addirittura non aiutò più o meno direttamente la manina militare. Per venire a tempi più recenti si può ricordare l’apprezzatissimo golpe algerino (1992) dopo la vittoria islamista alle elezioni e, in tempi ancor più prossimi, il putsch di Al Sisi (2013), anche quello tutto sommato salutato con favore, come sa bene il nostro premier che, prima che il caso Regeni ci mettesse con l’Egitto ai ferri corti, salutò il generalissimo come «grande statista». Era in buona compagnia perché la condanna del golpe fu piuttosto freddina a livello internazionale. Appena più calorosa delle rimostranze per l’invasione saudita del Bahrein o della guerra dei Saud nello Yemen. Nel caso turco, la presa di distanza americana è invece arrivata subito, prima ancora che il golpe fosse concluso. Erdogan è tutto sommato una sorta di garanzia anche se la sua virata filorussa rischia di far aumentare l’allarme su un personaggio che, seppur eletto, sta ora facendo il golpe istituzionale che gli permette di far le pulizie di fino. Ci son sempre pesi e misure insomma. A seconda di cointesto e convenienze. E in passato?

Se adesso le cose sono un po’ confuse, quando nel maggio del 1960 la prima sollevazione militare scelse il generale Cemal Gürsel come presidente di un nuovo corso che doveva riportare ordine e stabilità, correvano gli anni della Guerra Fredda e non piaceva il primo ministro Adnan Menderes, fondatore di un Partito democratico di destra moderata che però aveva scelto di strizzare l’occhio a Mosca dove Menderes, con cui la Turchia era entrata nella Nato, aveva pianificato un viaggio in cerca di aiuti economici. I golpisti lo impiccarono e purgarono tribunali (centinaia di giudici) e università mettendo sotto arresto l’intera classe dirigente. Allora si pensò che era uno dei tanti golpe del Terzo mondo (secondo il Journal of Cold War Studies 357 tentativi con 183 successi tra il 1945 e il 1985) anche se quello turco avveniva in un Paese Nato.

Il cosiddetto “Golpe del memorandum” del 1971 avviene in un momento di grande turbolenza politica che ha ridato fiato alla sinistra turca. A differenza del golpe del 1960, animato da militari radicali diventati famosi per un pogrom anti greco a Istanbul, l’élite delle Forze armate che aveva organizzato il colpo del 1971 era violentemente anti comunista e si distinse per la repressione di ogni cosa che avesse a che fare con la sinistra. Inutile dire che quel colpo di Stato andava bene così. Il 12 settembre del 1980 arriva il terzo golpe. Anche lì c’è un’anima di destra che si esplicita in una repressione brutale e in una riduzione dell’intervento dello Stato in economia. Le carceri si riempiono di oppositori, 230 mila dei quali vengono processati. A cinquanta viene comminata la pena di morte, a 14mila viene ritirata la cittadinanza. Secondo la stampa curda c’era una sorta di lista di proscrizione con 1.683.000 nomi. A chi era piaciuta la mano pesante?

All’epoca reggeva la base operativa della Cia in Turchia Paul Henze, uno specialista della guerra psicologica, diventato famoso per un libro in cui sosteneva che dietro l’attentato a Papa Woytila ci fosse Mosca. Henze, già a capo della Cia in Etiopia e che se n’era andato da Ankara alla vigilia del golpe, ha negato, ma la Cia probabilmente sapeva: tanto che Carter ne sarebbe stato addirittura informato con un cablo che recava la frase «our boys did it» (lo han fatto i nostri ragazzi). Vero non vero, un portavoce del Dipartimento di Stato confermò che Washington era stata informata in anticipo e il bilancio di quel golpe fu l’annichilimento di partiti politici e organizzazioni sindacali. E’ di quel periodo del resto un commento di Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza Carter dal 1977 al 1981: «Per la Turchia come per il Brasile – racconta lo storico svizzero Daniele Ganser in Nato’s Secret Armies: Operation Gladio and Terrorism in Western Europe – un governo militare sarebbe la soluzione migliore».

La lunga notte dei pronunciamenti militari turchi. Che una volta piacevano

Dal fez alla visiera

In politica la memoria è sempre un buon esercizio. Tutti in effetti hanno riportato i colpi di Stato che hanno costellato la Turchia contemporanea ma non molti hanno ricordato chi allora, anziché stracciarsi le vesti, chiuse un occhio quando addirittura non aiutò più o meno direttamente la manina militare. Per venire a tempi più recenti si può ricordare l’apprezzatissimo golpe algerino (1992) dopo la vittoria islamista alle elezioni e, in tempi ancor più prossimi, il putsch di Al Sisi (2013), anche quello tutto sommato salutato con favore, come sa bene il nostro premier che, prima che il caso Regeni ci mettesse con l’Egitto ai ferri corti, salutò il generalissimo come «grande statista». Era in buona compagnia perché la condanna del golpe fu piuttosto freddina a livello internazionale. Appena più calorosa delle rimostranze per l’invasione saudita del Bahrein o della guerra dei Saud nello Yemen. Nel caso turco, la presa di distanza americana è invece arrivata subito, prima ancora che il golpe fosse concluso. Erdogan è tutto sommato una sorta di garanzia anche se la sua virata filorussa rischia di far aumentare l’allarme su un personaggio che, seppur eletto, sta ora facendo il golpe istituzionale che gli permette di far le pulizie di fino. Ci son sempre pesi e misure insomma. A seconda di cointesto e convenienze. E in passato?

Se adesso le cose sono un po’ confuse, quando nel maggio del 1960 la prima sollevazione militare scelse il generale Cemal Gürsel come presidente di un nuovo corso che doveva riportare ordine e stabilità, correvano gli anni della Guerra Fredda e non piaceva il primo ministro Adnan Menderes, fondatore di un Partito democratico di destra moderata che però aveva scelto di strizzare l’occhio a Mosca dove Menderes, con cui la Turchia era entrata nella Nato, aveva pianificato un viaggio in cerca di aiuti economici. I golpisti lo impiccarono e purgarono tribunali (centinaia di giudici) e università mettendo sotto arresto l’intera classe dirigente. Allora si pensò che era uno dei tanti golpe del Terzo mondo (secondo il Journal of Cold War Studies 357 tentativi con 183 successi tra il 1945 e il 1985) anche se quello turco avveniva in un Paese Nato.

Il cosiddetto “Golpe del memorandum” del 1971 avviene in un momento di grande turbolenza politica che ha ridato fiato alla sinistra turca. A differenza del golpe del 1960, animato da militari radicali diventati famosi per un pogrom anti greco a Istanbul, l’élite delle Forze armate che aveva organizzato il colpo del 1971 era violentemente anti comunista e si distinse per la repressione di ogni cosa che avesse a che fare con la sinistra. Inutile dire che quel colpo di Stato andava bene così. Il 12 settembre del 1980 arriva il terzo golpe. Anche lì c’è un’anima di destra che si esplicita in una repressione brutale e in una riduzione dell’intervento dello Stato in economia. Le carceri si riempiono di oppositori, 230 mila dei quali vengono processati. A cinquanta viene comminata la pena di morte, a 14mila viene ritirata la cittadinanza. Secondo la stampa curda c’era una sorta di lista di proscrizione con 1.683.000 nomi. A chi era piaciuta la mano pesante?

All’epoca reggeva la base operativa della Cia in Turchia Paul Henze, uno specialista della guerra psicologica, diventato famoso per un libro in cui sosteneva che dietro l’attentato a Papa Woytila ci fosse Mosca. Henze, già a capo della Cia in Etiopia e che se n’era andato da Ankara alla vigilia del golpe, ha negato, ma la Cia probabilmente sapeva: tanto che Carter ne sarebbe stato addirittura informato con un cablo che recava la frase «our boys did it» (lo han fatto i nostri ragazzi). Vero non vero, un portavoce del Dipartimento di Stato confermò che Washington era stata informata in anticipo e il bilancio di quel golpe fu l’annichilimento di partiti politici e organizzazioni sindacali. E’ di quel periodo del resto un commento di Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza Carter dal 1977 al 1981: «Per la Turchia come per il Brasile – racconta lo storico svizzero Daniele Ganser in Nato’s Secret Armies: Operation Gladio and Terrorism in Western Europe – un governo militare sarebbe la soluzione migliore».