Giorno: 17 luglio 2016

Iraq. La linea sottile tra guerre e libertà

Baghdad, Sinjar, Mosul, Erbil, Falluja.Tra macerie, sete di potere e voglia di libertà, nelle più importanti città irachene si sta giocando tanto del futuro di uno Stato che mai dalla sua indipendenza é stato così fragile.

 

“Libertà per tutti!”, “Curdi, sunniti, sciiti, siamo un solo Iraq!”, “Sì, sì alle riforme!”

17 Luglio 2016
di: 
Joseph Zarlingo dall’Iraq

Il mancato golpe in Turchia e le sue ripercussioni

Di Abdulrahman al-Rashed. Asharq al-Awsat (17/07/2016). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo. Negli ultimi 60 anni, ci sono stati ben 457 tentativi di golpe nel mondo, di cui 230 sono falliti. La maggior parte sono avvenuti in paesi del Terzo Mondo o in paesi con regimi totalitari. La stabilità del regime politico è la differenza tra […]

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I golpe turchi con due pesi diversi sulla bilancia

La mia prima volta in Turchia – correvano i favolosi Settanta – fu durante un colpo di Stato militare. Nonostante ciò i turisti, anche con coda di cavallo o capelli alla presbitero, erano ben accetti. Ci si arrivava peraltro da un Paese, la Grecia, sotto la dittatura dei colonnelli del 21 aprile. Era il mondo spensierato dei golpe militari che venivano condotti col beneplacito internazionale che non solo lasciava fare ma semmai dava una mano. A veder oggi  la reazione di Obama durante il golpe e prima che si concludesse, viene da pensare che siamo un passo avanti. E che oggi i golpe non si usano più per rovesciare governi democraticamente eletti. Ma non è esattamente così. Mi viene in mente quel  generale egiziano che un paio di anni fa ha desautorato un presidente democraticamente eletto. Un signore nel cui Paese la tortura è un’attività sistematica dell’intelligence, cosa che era conosciuta ben prima del suo autoinsediamento poi benedette dalle urne. Allora però le reazioni furono assai più tiepide, per usare un eufemismo, quando non velatamente soddisfatte. Solo anni dopo – e dopo il caso di Giulio Regeni, dei giornalisti di Al Jazeera, delle condanne a morte, dei rapporti di Amnesty etc – il mondo si è accorto che una dittatura militare è sempre e comunque una cattiva scelta. Se vado ancora più indietro, ma nemmen di tanto, mi viene in mente l’Algeria e le elezioni vinte dal Fis e i carriarmati subito dopo nelle strade. Ero allora un giovane reporter ma fu la prima volta che ragionai davvero sulle parole democrazia e dittatura senza troppa ideologia ma con sano pragmatismo. Mi convinsi che i militari avevano sbagliato. Allora come oggi.

Detto questo è un bene dunque che sia andata com’è andata anche se ora dovremmo fare pressione sulla Turchia perché non applichi la pena di morte e dia garanzie agli arrestati. Tocca a noi cittadini e tocca ai nostri ministeri degli Esteri. Il golpe è una cattiva notizia ma Erdogan lo è già da un pezzo.

Quanto al golpe degli anni Settanta, ricordo un particolare. Uscimmo nella notte dall’ostello di Balikesir dove dormivamo in camerata. Uscimmo, io e il fido Enrico detto Henry, badando che il guardiano non ci vedesse per via del coprifuoco. Nella città semideserta fumammo per la prima volta il narghilè in un posticino ancora aperto. Poi ci rendemmo conto che non potevamo più rientrare nel nostro alberghetto pena frustate e reprimende e dunque vagammo nella notte fino all’alba stupefatti come bambini dalla bellezza incantata della città tutta in legno che stava sopra Sultan Ahmet e che ora non esiste quasi più. Che poteva farci il golpe a noi bianchi turisti italiani? In realtà fu pura incoscienza e per grazia divina il sogno non divenne un incubo. Come sa bene chi -vedi Cile – turista o meno, bianco o nero, incappava – anche solo per puro caso – nel maglio repressivo dei militari.

I golpe turchi con due pesi diversi sulla bilancia

La mia prima volta in Turchia – correvano i favolosi Settanta – fu durante un colpo di Stato militare. Nonostante ciò i turisti, anche con coda di cavallo o capelli alla presbitero, erano ben accetti. Ci si arrivava peraltro da un Paese, la Grecia, sotto la dittatura dei colonnelli del 21 aprile. Era il mondo spensierato dei golpe militari che venivano condotti col beneplacito internazionale che non solo lasciava fare ma semmai dava una mano. A veder oggi  la reazione di Obama durante il golpe e prima che si concludesse, viene da pensare che siamo un passo avanti. E che oggi i golpe non si usano più per rovesciare governi democraticamente eletti. Ma non è esattamente così. Mi viene in mente quel  generale egiziano che un paio di anni fa ha desautorato un presidente democraticamente eletto. Un signore nel cui Paese la tortura è un’attività sistematica dell’intelligence, cosa che era conosciuta ben prima del suo autoinsediamento poi benedette dalle urne. Allora però le reazioni furono assai più tiepide, per usare un eufemismo, quando non velatamente soddisfatte. Solo anni dopo – e dopo il caso di Giulio Regeni, dei giornalisti di Al Jazeera, delle condanne a morte, dei rapporti di Amnesty etc – il mondo si è accorto che una dittatura militare è sempre e comunque una cattiva scelta. Se vado ancora più indietro, ma nemmen di tanto, mi viene in mente l’Algeria e le elezioni vinte dal Fis e i carriarmati subito dopo nelle strade. Ero allora un giovane reporter ma fu la prima volta che ragionai davvero sulle parole democrazia e dittatura senza troppa ideologia ma con sano pragmatismo. Mi convinsi che i militari avevano sbagliato. Allora come oggi.

Detto questo è un bene dunque che sia andata com’è andata anche se ora dovremmo fare pressione sulla Turchia perché non applichi la pena di morte e dia garanzie agli arrestati. Tocca a noi cittadini e tocca ai nostri ministeri degli Esteri. Il golpe è una cattiva notizia ma Erdogan lo è già da un pezzo.

Quanto al golpe degli anni Settanta, ricordo un particolare. Uscimmo nella notte dall’ostello di Balikesir dove dormivamo in camerata. Uscimmo, io e il fido Enrico detto Henry, badando che il guardiano non ci vedesse per via del coprifuoco. Nella città semideserta fumammo per la prima volta il narghilè in un posticino ancora aperto. Poi ci rendemmo conto che non potevamo più rientrare nel nostro alberghetto pena frustate e reprimende e dunque vagammo nella notte fino all’alba stupefatti come bambini dalla bellezza incantata della città tutta in legno che stava sopra Sultan Ahmet e che ora non esiste quasi più. Che poteva farci il golpe a noi bianchi turisti italiani? In realtà fu pura incoscienza e per grazia divina il sogno non divenne un incubo. Come sa bene chi -vedi Cile – turista o meno, bianco o nero, incappava – anche solo per puro caso – nel maglio repressivo dei militari.

I golpe turchi con due pesi diversi sulla bilancia

La mia prima volta in Turchia – correvano i favolosi Settanta – fu durante un colpo di Stato militare. Nonostante ciò i turisti, anche con coda di cavallo o capelli alla presbitero, erano ben accetti. Ci si arrivava peraltro da un Paese, la Grecia, sotto la dittatura dei colonnelli del 21 aprile. Era il mondo spensierato dei golpe militari che venivano condotti col beneplacito internazionale che non solo lasciava fare ma semmai dava una mano. A veder oggi  la reazione di Obama durante il golpe e prima che si concludesse, viene da pensare che siamo un passo avanti. E che oggi i golpe non si usano più per rovesciare governi democraticamente eletti. Ma non è esattamente così. Mi viene in mente quel  generale egiziano che un paio di anni fa ha desautorato un presidente democraticamente eletto. Un signore nel cui Paese la tortura è un’attività sistematica dell’intelligence, cosa che era conosciuta ben prima del suo autoinsediamento poi benedette dalle urne. Allora però le reazioni furono assai più tiepide, per usare un eufemismo, quando non velatamente soddisfatte. Solo anni dopo – e dopo il caso di Giulio Regeni, dei giornalisti di Al Jazeera, delle condanne a morte, dei rapporti di Amnesty etc – il mondo si è accorto che una dittatura militare è sempre e comunque una cattiva scelta. Se vado ancora più indietro, ma nemmen di tanto, mi viene in mente l’Algeria e le elezioni vinte dal Fis e i carriarmati subito dopo nelle strade. Ero allora un giovane reporter ma fu la prima volta che ragionai davvero sulle parole democrazia e dittatura senza troppa ideologia ma con sano pragmatismo. Mi convinsi che i militari avevano sbagliato. Allora come oggi.

Detto questo è un bene dunque che sia andata com’è andata anche se ora dovremmo fare pressione sulla Turchia perché non applichi la pena di morte e dia garanzie agli arrestati. Tocca a noi cittadini e tocca ai nostri ministeri degli Esteri. Il golpe è una cattiva notizia ma Erdogan lo è già da un pezzo.

Quanto al golpe degli anni Settanta, ricordo un particolare. Uscimmo nella notte dall’ostello di Balikesir dove dormivamo in camerata. Uscimmo, io e il fido Enrico detto Henry, badando che il guardiano non ci vedesse per via del coprifuoco. Nella città semideserta fumammo per la prima volta il narghilè in un posticino ancora aperto. Poi ci rendemmo conto che non potevamo più rientrare nel nostro alberghetto pena frustate e reprimende e dunque vagammo nella notte fino all’alba stupefatti come bambini dalla bellezza incantata della città tutta in legno che stava sopra Sultan Ahmet e che ora non esiste quasi più. Che poteva farci il golpe a noi bianchi turisti italiani? In realtà fu pura incoscienza e per grazia divina il sogno non divenne un incubo. Come sa bene chi -vedi Cile – turista o meno, bianco o nero, incappava – anche solo per puro caso – nel maglio repressivo dei militari.

I golpe turchi con due pesi diversi sulla bilancia

La mia prima volta in Turchia – correvano i favolosi Settanta – fu durante un colpo di Stato militare. Nonostante ciò i turisti, anche con coda di cavallo o capelli alla presbitero, erano ben accetti. Ci si arrivava peraltro da un Paese, la Grecia, sotto la dittatura dei colonnelli del 21 aprile. Era il mondo spensierato dei golpe militari che venivano condotti col beneplacito internazionale che non solo lasciava fare ma semmai dava una mano. A veder oggi  la reazione di Obama durante il golpe e prima che si concludesse, viene da pensare che siamo un passo avanti. E che oggi i golpe non si usano più per rovesciare governi democraticamente eletti. Ma non è esattamente così. Mi viene in mente quel  generale egiziano che un paio di anni fa ha desautorato un presidente democraticamente eletto. Un signore nel cui Paese la tortura è un’attività sistematica dell’intelligence, cosa che era conosciuta ben prima del suo autoinsediamento poi benedette dalle urne. Allora però le reazioni furono assai più tiepide, per usare un eufemismo, quando non velatamente soddisfatte. Solo anni dopo – e dopo il caso di Giulio Regeni, dei giornalisti di Al Jazeera, delle condanne a morte, dei rapporti di Amnesty etc – il mondo si è accorto che una dittatura militare è sempre e comunque una cattiva scelta. Se vado ancora più indietro, ma nemmen di tanto, mi viene in mente l’Algeria e le elezioni vinte dal Fis e i carriarmati subito dopo nelle strade. Ero allora un giovane reporter ma fu la prima volta che ragionai davvero sulle parole democrazia e dittatura senza troppa ideologia ma con sano pragmatismo. Mi convinsi che i militari avevano sbagliato. Allora come oggi.

Detto questo è un bene dunque che sia andata com’è andata anche se ora dovremmo fare pressione sulla Turchia perché non applichi la pena di morte e dia garanzie agli arrestati. Tocca a noi cittadini e tocca ai nostri ministeri degli Esteri. Il golpe è una cattiva notizia ma Erdogan lo è già da un pezzo.

Quanto al golpe degli anni Settanta, ricordo un particolare. Uscimmo nella notte dall’ostello di Balikesir dove dormivamo in camerata. Uscimmo, io e il fido Enrico detto Henry, badando che il guardiano non ci vedesse per via del coprifuoco. Nella città semideserta fumammo per la prima volta il narghilè in un posticino ancora aperto. Poi ci rendemmo conto che non potevamo più rientrare nel nostro alberghetto pena frustate e reprimende e dunque vagammo nella notte fino all’alba stupefatti come bambini dalla bellezza incantata della città tutta in legno che stava sopra Sultan Ahmet e che ora non esiste quasi più. Che poteva farci il golpe a noi bianchi turisti italiani? In realtà fu pura incoscienza e per grazia divina il sogno non divenne un incubo. Come sa bene chi -vedi Cile – turista o meno, bianco o nero, incappava – anche solo per puro caso – nel maglio repressivo dei militari.