Genova 14 luglio 2016 — Sono passati quattro giorni da quando sono tornata.
Giorno: 15 luglio 2016
Ancona. Manifestazione di solidarietà per le vittime di Dakha
Riceviamo e pubblichiamo ¶
Si è svolta sabato scorso una manifestazione in solidarietà con le vittime dell’eccidio di Dhaka, in piazza…
Giovedi 7 Luglio sei uomini afgani si sono visti negare l’accesso al campo profughi di Grande…
Il Comune, che gestisce il sito insieme al governo francese e all’organizzazione che si occupa del campo, AFEJI, afferma che d’ora in poi…
Non solo lutto, orrore ed esecrazione.
E neppure una parola per gli sciacalli che si sono avventati su questa ennesima strage terroristica in vista delle prossime scadenze…
Novità editoriali: “Le ballerine di Papicha” di Kaouther Adimi
Siamo al centro di Algeri, in un palazzo fatiscente, dove abita una famiglia, i cui membri, a turno, si racconteranno, svelando i segreti gli uni degli altri. Due fratelli non si parlano più, una sorella è troppo bella per sentirsi a suo agio nel mondo e l’altra, la maggiore, è appena tornata a casa della […]
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Consiglio di lettura: “L’autistico e il piccione viaggiatore” di Rodaan Al Galidi
Oggi vi voglio parlare di un libro uscito da poco, lo scorso marzo, pubblicato dalla casa editrice Il Sirente, secondo della collana Altriarabi Migrante. È un romanzo breve, ma ricco e molto incisivo che fa sorridere e riflettere. Parla della storia di Geert, un ragazzo autistico, raccontando il suo mondo, a partire dal suo concepimento […]
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Afghanistan: esequie di Stato per il processo di pace
Arthur Conolly: finì ucciso dall’emiro di Bukhara |
Dopo che Obama ha deciso di rallentare l’uscita delle truppe americane dall’Afghanistan, la Nato ha reiterato il prolungamento della sua missione oltre il 2016 e il governo di Kabul ha spiegato che non ha alcuna intenzione di rivitalizzare il processo di pace, lo stallo è più che evidente. Qui di seguito un’analisi* che cerca di fare il punto della situazione
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Com’è noto la locuzione “Grande Gioco” – Great Game – si deve al britannico Arthur Conolly. Era uno dei tanti esploratori, diplomatici, spie al servizio di Sua Maestà britannica e aveva dato questo nome all’intrigo che dal 1800 aveva opposto soprattutto britannici e russi, ma anche francesi, persiani, afgani, circassi o turcmeni, che durante due secoli si erano combattuti, spiati, alleati e traditi in vista della grande posta in gioco: la conquista, o la conservazione della conquista, dell’India e, in molti casi, della propria indipendenza dalle mire russe o britanniche in Asia. Quello che in tempi recenti è stato chiamato Nuovo Grande Gioco sembra assomigliare alla primigenia edizione, benché la posta in gioco sia ovviamente mutata e così le tecniche per raggiungerla, ma mai come oggi sembra più appropriato il termine che aveva scelto un ministro dello Zar per descrivere quella guerra prolungata e non sempre guerreggiata senza esclusione di colpi: torneo delle ombre. Oggi come allora si agitano infatti, sullo sfondo del conflitto afgano, delle violenze in Pakistan, dei sommovimenti nel Caucaso, in Tagikistan, in Uzbekistan o nel Turkestan cinese, protagonisti e comprimari spesso in ombra assai più che tra l’800 e il 900. Sicuramente il campo di battaglia primario resta l’Afghanistan, ed è su questo campo di battaglia che porremo la nostra attenzione ma senza dimenticare le ombre che lo circondano. Metteremo assieme qualche idea e molte domande senza aver la pretesa di indicare risposte ma cercando di mettere in fila alcuni interrogativi che, oggi come allora, coinvolgono le grandi potenze regionali, gli Stati confinanti dal Caspio alla Cina, e le superpotenze che, adesso come un tempo, sono interessate al controllo di questo pietroso Paese senza sbocco al mare, quasi privo di gas e petrolio e con ricchezze minerarie ancora poco esplorate e comunque di difficile estrazione. Porremo la nostra attenzione soprattutto sull’Afghanistan per un semplicissimo motivo: la guerra – o la stagione di conflitto perenne iniziata con l’invasione sovietica del 1979 (quasi quarant’anni fa) – è ben lungi dall’esser terminata e assiste anzi a una ripresa che, solo in termini di vite umane, è diventata più esigente da quando la missione Isaf Nato si è ritirata – sostituita dalla più mite missione dell’Alleanza “Resolute Support” – nel dicembre 2014. Il fatto che la guerra afgana sia uscita dai riflettori della cronaca è solo – se mai ce ne fosse bisogno – l’indicazione che – per citare un vecchio adagio pacifista – la prima vittima della guerra è la verità. La guerra infatti non è affatto finita e gode anzi – ci si perdoni l’iperbole – di ottima salute.
La Nato ha appena deciso che la sua missione andrà oltre il 2016 con circa 1200 uomini |
Il Paese è un crocevia naturale sia delle assi commerciali Est Ovest Nord Sud sia per la posizione strategica per il passaggio di gasdotti e oleodotti. Cina e India sembrano i Paesi più interessati alla fine della turbolenza afgana di cui beneficerebbero però anche la Russia e i Paesi centroasiatici molti dei quali hanno già firmato con Kabul accordi per il passaggio dei tubi, affare cui sono interessate anche aziende occidentali (e italiane). Il Pakistan rappresenta un caso a parte ma si potrebbe ritenere che non sia più interessato a un’Afghanistan destabilizzato, a patto che un governo stabile a Kabul non sia anti pachistano. Infine il Paese è ricco di terre rare e minerali anche se di difficile estrazione. I cinesi hanno già firmato contratti importanti e stanno sviluppando una direttrice viaria che dal corridoio di Wakan, che confina con la Cina, raggiungerebbe Kabul via Panjshir.
Il classico di Peter Hopkirk |
Kabul è ossessionata dalla convinzione che ogni male si debba al Pakistan reo di ospitare, finanziare, allevare talebani. Ha scelto di fare la stessa cosa sul suo territorio coi talebani pachistani, i guerriglieri anti Islamabad al di là della frontiera (“cugini” dei fratelli afgani ma più violenti e brutali), ripagando il Pakistan con la sua stessa moneta. E’ interessante notare che appena i due Paesi si riavvicinano (sia il presidente Ghani, sia il premier pachistano Nawaz Sharif sono “aperturisti”) succede qualcosa che li allontana (di solito una strage non sempre rivendicata o incidenti alla frontiera). I rapporti sono sempre tesi sia per le controversie di confine o sui dazi commerciali, sia per la gestione dei rispettivi profughi (il Pakistan ospita circa un milione e mezzo di afgani, Kabul deve gestire una fuga massiccia di profughi dal Waziristan pachistano messo a ferro e fuoco da due anni dall’esercito del Paese dei puri). Kabul per ora non sembra il fautore di una politica di aperture e riconciliazioni. L’ultima invenzione, abortita dopo gli ultimi attacchi stragisti talebani soprattutto nella capitale, è stata la nascita di un comitato quadrilaterale con Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina. Una buona idea coinvolgere la Cina e forse una buona idea cominciare da 4 e non da 8 o 10 (anche se in effetti non ha molto senso lasciar fuori Teheran, Riad, Delhi e persino Mosca), ma comunque una scelta di sola cornice per accompagnare un processo negoziale per ora abortito. E’ probabile che la Quadrilaterale, decisa a Kabul, sia stata pensata a Washington ma un tavolo negoziale senza il nemico non è un tavolo negoziale. Se poi il probabile principale negoziatore è stato ucciso…
Afghanistan: esequie di Stato per il processo di pace
Arthur Conolly: finì ucciso dall’emiro di Bukhara |
Dopo che Obama ha deciso di rallentare l’uscita delle truppe americane dall’Afghanistan, la Nato ha reiterato il prolungamento della sua missione oltre il 2016 e il governo di Kabul ha spiegato che non ha alcuna intenzione di rivitalizzare il processo di pace, lo stallo è più che evidente. Qui di seguito un’analisi* che cerca di fare il punto della situazione
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Com’è noto la locuzione “Grande Gioco” – Great Game – si deve al britannico Arthur Conolly. Era uno dei tanti esploratori, diplomatici, spie al servizio di Sua Maestà britannica e aveva dato questo nome all’intrigo che dal 1800 aveva opposto soprattutto britannici e russi, ma anche francesi, persiani, afgani, circassi o turcmeni, che durante due secoli si erano combattuti, spiati, alleati e traditi in vista della grande posta in gioco: la conquista, o la conservazione della conquista, dell’India e, in molti casi, della propria indipendenza dalle mire russe o britanniche in Asia. Quello che in tempi recenti è stato chiamato Nuovo Grande Gioco sembra assomigliare alla primigenia edizione, benché la posta in gioco sia ovviamente mutata e così le tecniche per raggiungerla, ma mai come oggi sembra più appropriato il termine che aveva scelto un ministro dello Zar per descrivere quella guerra prolungata e non sempre guerreggiata senza esclusione di colpi: torneo delle ombre. Oggi come allora si agitano infatti, sullo sfondo del conflitto afgano, delle violenze in Pakistan, dei sommovimenti nel Caucaso, in Tagikistan, in Uzbekistan o nel Turkestan cinese, protagonisti e comprimari spesso in ombra assai più che tra l’800 e il 900. Sicuramente il campo di battaglia primario resta l’Afghanistan, ed è su questo campo di battaglia che porremo la nostra attenzione ma senza dimenticare le ombre che lo circondano. Metteremo assieme qualche idea e molte domande senza aver la pretesa di indicare risposte ma cercando di mettere in fila alcuni interrogativi che, oggi come allora, coinvolgono le grandi potenze regionali, gli Stati confinanti dal Caspio alla Cina, e le superpotenze che, adesso come un tempo, sono interessate al controllo di questo pietroso Paese senza sbocco al mare, quasi privo di gas e petrolio e con ricchezze minerarie ancora poco esplorate e comunque di difficile estrazione. Porremo la nostra attenzione soprattutto sull’Afghanistan per un semplicissimo motivo: la guerra – o la stagione di conflitto perenne iniziata con l’invasione sovietica del 1979 (quasi quarant’anni fa) – è ben lungi dall’esser terminata e assiste anzi a una ripresa che, solo in termini di vite umane, è diventata più esigente da quando la missione Isaf Nato si è ritirata – sostituita dalla più mite missione dell’Alleanza “Resolute Support” – nel dicembre 2014. Il fatto che la guerra afgana sia uscita dai riflettori della cronaca è solo – se mai ce ne fosse bisogno – l’indicazione che – per citare un vecchio adagio pacifista – la prima vittima della guerra è la verità. La guerra infatti non è affatto finita e gode anzi – ci si perdoni l’iperbole – di ottima salute.
La Nato ha appena deciso che la sua missione andrà oltre il 2016 con circa 1200 uomini |
Il Paese è un crocevia naturale sia delle assi commerciali Est Ovest Nord Sud sia per la posizione strategica per il passaggio di gasdotti e oleodotti. Cina e India sembrano i Paesi più interessati alla fine della turbolenza afgana di cui beneficerebbero però anche la Russia e i Paesi centroasiatici molti dei quali hanno già firmato con Kabul accordi per il passaggio dei tubi, affare cui sono interessate anche aziende occidentali (e italiane). Il Pakistan rappresenta un caso a parte ma si potrebbe ritenere che non sia più interessato a un’Afghanistan destabilizzato, a patto che un governo stabile a Kabul non sia anti pachistano. Infine il Paese è ricco di terre rare e minerali anche se di difficile estrazione. I cinesi hanno già firmato contratti importanti e stanno sviluppando una direttrice viaria che dal corridoio di Wakan, che confina con la Cina, raggiungerebbe Kabul via Panjshir.
Il classico di Peter Hopkirk |
Kabul è ossessionata dalla convinzione che ogni male si debba al Pakistan reo di ospitare, finanziare, allevare talebani. Ha scelto di fare la stessa cosa sul suo territorio coi talebani pachistani, i guerriglieri anti Islamabad al di là della frontiera (“cugini” dei fratelli afgani ma più violenti e brutali), ripagando il Pakistan con la sua stessa moneta. E’ interessante notare che appena i due Paesi si riavvicinano (sia il presidente Ghani, sia il premier pachistano Nawaz Sharif sono “aperturisti”) succede qualcosa che li allontana (di solito una strage non sempre rivendicata o incidenti alla frontiera). I rapporti sono sempre tesi sia per le controversie di confine o sui dazi commerciali, sia per la gestione dei rispettivi profughi (il Pakistan ospita circa un milione e mezzo di afgani, Kabul deve gestire una fuga massiccia di profughi dal Waziristan pachistano messo a ferro e fuoco da due anni dall’esercito del Paese dei puri). Kabul per ora non sembra il fautore di una politica di aperture e riconciliazioni. L’ultima invenzione, abortita dopo gli ultimi attacchi stragisti talebani soprattutto nella capitale, è stata la nascita di un comitato quadrilaterale con Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina. Una buona idea coinvolgere la Cina e forse una buona idea cominciare da 4 e non da 8 o 10 (anche se in effetti non ha molto senso lasciar fuori Teheran, Riad, Delhi e persino Mosca), ma comunque una scelta di sola cornice per accompagnare un processo negoziale per ora abortito. E’ probabile che la Quadrilaterale, decisa a Kabul, sia stata pensata a Washington ma un tavolo negoziale senza il nemico non è un tavolo negoziale. Se poi il probabile principale negoziatore è stato ucciso…
Afghanistan: esequie di Stato per il processo di pace
Arthur Conolly: finì ucciso dall’emiro di Bukhara |
Dopo che Obama ha deciso di rallentare l’uscita delle truppe americane dall’Afghanistan, la Nato ha reiterato il prolungamento della sua missione oltre il 2016 e il governo di Kabul ha spiegato che non ha alcuna intenzione di rivitalizzare il processo di pace, lo stallo è più che evidente. Qui di seguito un’analisi* che cerca di fare il punto della situazione
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Com’è noto la locuzione “Grande Gioco” – Great Game – si deve al britannico Arthur Conolly. Era uno dei tanti esploratori, diplomatici, spie al servizio di Sua Maestà britannica e aveva dato questo nome all’intrigo che dal 1800 aveva opposto soprattutto britannici e russi, ma anche francesi, persiani, afgani, circassi o turcmeni, che durante due secoli si erano combattuti, spiati, alleati e traditi in vista della grande posta in gioco: la conquista, o la conservazione della conquista, dell’India e, in molti casi, della propria indipendenza dalle mire russe o britanniche in Asia. Quello che in tempi recenti è stato chiamato Nuovo Grande Gioco sembra assomigliare alla primigenia edizione, benché la posta in gioco sia ovviamente mutata e così le tecniche per raggiungerla, ma mai come oggi sembra più appropriato il termine che aveva scelto un ministro dello Zar per descrivere quella guerra prolungata e non sempre guerreggiata senza esclusione di colpi: torneo delle ombre. Oggi come allora si agitano infatti, sullo sfondo del conflitto afgano, delle violenze in Pakistan, dei sommovimenti nel Caucaso, in Tagikistan, in Uzbekistan o nel Turkestan cinese, protagonisti e comprimari spesso in ombra assai più che tra l’800 e il 900. Sicuramente il campo di battaglia primario resta l’Afghanistan, ed è su questo campo di battaglia che porremo la nostra attenzione ma senza dimenticare le ombre che lo circondano. Metteremo assieme qualche idea e molte domande senza aver la pretesa di indicare risposte ma cercando di mettere in fila alcuni interrogativi che, oggi come allora, coinvolgono le grandi potenze regionali, gli Stati confinanti dal Caspio alla Cina, e le superpotenze che, adesso come un tempo, sono interessate al controllo di questo pietroso Paese senza sbocco al mare, quasi privo di gas e petrolio e con ricchezze minerarie ancora poco esplorate e comunque di difficile estrazione. Porremo la nostra attenzione soprattutto sull’Afghanistan per un semplicissimo motivo: la guerra – o la stagione di conflitto perenne iniziata con l’invasione sovietica del 1979 (quasi quarant’anni fa) – è ben lungi dall’esser terminata e assiste anzi a una ripresa che, solo in termini di vite umane, è diventata più esigente da quando la missione Isaf Nato si è ritirata – sostituita dalla più mite missione dell’Alleanza “Resolute Support” – nel dicembre 2014. Il fatto che la guerra afgana sia uscita dai riflettori della cronaca è solo – se mai ce ne fosse bisogno – l’indicazione che – per citare un vecchio adagio pacifista – la prima vittima della guerra è la verità. La guerra infatti non è affatto finita e gode anzi – ci si perdoni l’iperbole – di ottima salute.
La Nato ha appena deciso che la sua missione andrà oltre il 2016 con circa 1200 uomini |
Il Paese è un crocevia naturale sia delle assi commerciali Est Ovest Nord Sud sia per la posizione strategica per il passaggio di gasdotti e oleodotti. Cina e India sembrano i Paesi più interessati alla fine della turbolenza afgana di cui beneficerebbero però anche la Russia e i Paesi centroasiatici molti dei quali hanno già firmato con Kabul accordi per il passaggio dei tubi, affare cui sono interessate anche aziende occidentali (e italiane). Il Pakistan rappresenta un caso a parte ma si potrebbe ritenere che non sia più interessato a un’Afghanistan destabilizzato, a patto che un governo stabile a Kabul non sia anti pachistano. Infine il Paese è ricco di terre rare e minerali anche se di difficile estrazione. I cinesi hanno già firmato contratti importanti e stanno sviluppando una direttrice viaria che dal corridoio di Wakan, che confina con la Cina, raggiungerebbe Kabul via Panjshir.
Il classico di Peter Hopkirk |
Kabul è ossessionata dalla convinzione che ogni male si debba al Pakistan reo di ospitare, finanziare, allevare talebani. Ha scelto di fare la stessa cosa sul suo territorio coi talebani pachistani, i guerriglieri anti Islamabad al di là della frontiera (“cugini” dei fratelli afgani ma più violenti e brutali), ripagando il Pakistan con la sua stessa moneta. E’ interessante notare che appena i due Paesi si riavvicinano (sia il presidente Ghani, sia il premier pachistano Nawaz Sharif sono “aperturisti”) succede qualcosa che li allontana (di solito una strage non sempre rivendicata o incidenti alla frontiera). I rapporti sono sempre tesi sia per le controversie di confine o sui dazi commerciali, sia per la gestione dei rispettivi profughi (il Pakistan ospita circa un milione e mezzo di afgani, Kabul deve gestire una fuga massiccia di profughi dal Waziristan pachistano messo a ferro e fuoco da due anni dall’esercito del Paese dei puri). Kabul per ora non sembra il fautore di una politica di aperture e riconciliazioni. L’ultima invenzione, abortita dopo gli ultimi attacchi stragisti talebani soprattutto nella capitale, è stata la nascita di un comitato quadrilaterale con Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina. Una buona idea coinvolgere la Cina e forse una buona idea cominciare da 4 e non da 8 o 10 (anche se in effetti non ha molto senso lasciar fuori Teheran, Riad, Delhi e persino Mosca), ma comunque una scelta di sola cornice per accompagnare un processo negoziale per ora abortito. E’ probabile che la Quadrilaterale, decisa a Kabul, sia stata pensata a Washington ma un tavolo negoziale senza il nemico non è un tavolo negoziale. Se poi il probabile principale negoziatore è stato ucciso…
Afghanistan: esequie di Stato per il processo di pace
Arthur Conolly: finì ucciso dall’emiro di Bukhara |
Dopo che Obama ha deciso di rallentare l’uscita delle truppe americane dall’Afghanistan, la Nato ha reiterato il prolungamento della sua missione oltre il 2016 e il governo di Kabul ha spiegato che non ha alcuna intenzione di rivitalizzare il processo di pace, lo stallo è più che evidente. Qui di seguito un’analisi* che cerca di fare il punto della situazione
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Com’è noto la locuzione “Grande Gioco” – Great Game – si deve al britannico Arthur Conolly. Era uno dei tanti esploratori, diplomatici, spie al servizio di Sua Maestà britannica e aveva dato questo nome all’intrigo che dal 1800 aveva opposto soprattutto britannici e russi, ma anche francesi, persiani, afgani, circassi o turcmeni, che durante due secoli si erano combattuti, spiati, alleati e traditi in vista della grande posta in gioco: la conquista, o la conservazione della conquista, dell’India e, in molti casi, della propria indipendenza dalle mire russe o britanniche in Asia. Quello che in tempi recenti è stato chiamato Nuovo Grande Gioco sembra assomigliare alla primigenia edizione, benché la posta in gioco sia ovviamente mutata e così le tecniche per raggiungerla, ma mai come oggi sembra più appropriato il termine che aveva scelto un ministro dello Zar per descrivere quella guerra prolungata e non sempre guerreggiata senza esclusione di colpi: torneo delle ombre. Oggi come allora si agitano infatti, sullo sfondo del conflitto afgano, delle violenze in Pakistan, dei sommovimenti nel Caucaso, in Tagikistan, in Uzbekistan o nel Turkestan cinese, protagonisti e comprimari spesso in ombra assai più che tra l’800 e il 900. Sicuramente il campo di battaglia primario resta l’Afghanistan, ed è su questo campo di battaglia che porremo la nostra attenzione ma senza dimenticare le ombre che lo circondano. Metteremo assieme qualche idea e molte domande senza aver la pretesa di indicare risposte ma cercando di mettere in fila alcuni interrogativi che, oggi come allora, coinvolgono le grandi potenze regionali, gli Stati confinanti dal Caspio alla Cina, e le superpotenze che, adesso come un tempo, sono interessate al controllo di questo pietroso Paese senza sbocco al mare, quasi privo di gas e petrolio e con ricchezze minerarie ancora poco esplorate e comunque di difficile estrazione. Porremo la nostra attenzione soprattutto sull’Afghanistan per un semplicissimo motivo: la guerra – o la stagione di conflitto perenne iniziata con l’invasione sovietica del 1979 (quasi quarant’anni fa) – è ben lungi dall’esser terminata e assiste anzi a una ripresa che, solo in termini di vite umane, è diventata più esigente da quando la missione Isaf Nato si è ritirata – sostituita dalla più mite missione dell’Alleanza “Resolute Support” – nel dicembre 2014. Il fatto che la guerra afgana sia uscita dai riflettori della cronaca è solo – se mai ce ne fosse bisogno – l’indicazione che – per citare un vecchio adagio pacifista – la prima vittima della guerra è la verità. La guerra infatti non è affatto finita e gode anzi – ci si perdoni l’iperbole – di ottima salute.
La Nato ha appena deciso che la sua missione andrà oltre il 2016 con circa 1200 uomini |
Il Paese è un crocevia naturale sia delle assi commerciali Est Ovest Nord Sud sia per la posizione strategica per il passaggio di gasdotti e oleodotti. Cina e India sembrano i Paesi più interessati alla fine della turbolenza afgana di cui beneficerebbero però anche la Russia e i Paesi centroasiatici molti dei quali hanno già firmato con Kabul accordi per il passaggio dei tubi, affare cui sono interessate anche aziende occidentali (e italiane). Il Pakistan rappresenta un caso a parte ma si potrebbe ritenere che non sia più interessato a un’Afghanistan destabilizzato, a patto che un governo stabile a Kabul non sia anti pachistano. Infine il Paese è ricco di terre rare e minerali anche se di difficile estrazione. I cinesi hanno già firmato contratti importanti e stanno sviluppando una direttrice viaria che dal corridoio di Wakan, che confina con la Cina, raggiungerebbe Kabul via Panjshir.
Il classico di Peter Hopkirk |
Kabul è ossessionata dalla convinzione che ogni male si debba al Pakistan reo di ospitare, finanziare, allevare talebani. Ha scelto di fare la stessa cosa sul suo territorio coi talebani pachistani, i guerriglieri anti Islamabad al di là della frontiera (“cugini” dei fratelli afgani ma più violenti e brutali), ripagando il Pakistan con la sua stessa moneta. E’ interessante notare che appena i due Paesi si riavvicinano (sia il presidente Ghani, sia il premier pachistano Nawaz Sharif sono “aperturisti”) succede qualcosa che li allontana (di solito una strage non sempre rivendicata o incidenti alla frontiera). I rapporti sono sempre tesi sia per le controversie di confine o sui dazi commerciali, sia per la gestione dei rispettivi profughi (il Pakistan ospita circa un milione e mezzo di afgani, Kabul deve gestire una fuga massiccia di profughi dal Waziristan pachistano messo a ferro e fuoco da due anni dall’esercito del Paese dei puri). Kabul per ora non sembra il fautore di una politica di aperture e riconciliazioni. L’ultima invenzione, abortita dopo gli ultimi attacchi stragisti talebani soprattutto nella capitale, è stata la nascita di un comitato quadrilaterale con Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina. Una buona idea coinvolgere la Cina e forse una buona idea cominciare da 4 e non da 8 o 10 (anche se in effetti non ha molto senso lasciar fuori Teheran, Riad, Delhi e persino Mosca), ma comunque una scelta di sola cornice per accompagnare un processo negoziale per ora abortito. E’ probabile che la Quadrilaterale, decisa a Kabul, sia stata pensata a Washington ma un tavolo negoziale senza il nemico non è un tavolo negoziale. Se poi il probabile principale negoziatore è stato ucciso…
Quando uscirà un rapporto Chilcot sugli arabi?
Di Ali Muhammad Fakhro. Al-Quds al-Arabi (04/07/2016). Traduzione e sintesi di Irene Capiferri. In Gran Bretagna, dove la democrazia funziona attraverso istituzioni civili efficaci, è stato reso pubblico un rapporto sul ruolo del governo britannico nell’invasione, occupazione e distruzione dell’Iraq nel 2003. Lasciamo da parte i dettagli del documento e interroghiamoci invece sulle istituzioni arabe, politiche […]
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Accoglienza migranti: così cambia lo Sprar
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Le nuove modalità sono contenute nel decreto che andrà in conferenza unificata il prossimo 28 luglio.
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