Giorno: 12 luglio 2016

“The land that remains” di Federico Busonero

Articolo di Beatrice Tauro. È stato presentato ieri, 11 luglio, a Roma presso l’Ambasciata di Palestina il volume di fotografico dal titolo “The land that remains” realizzato da Federico Busonero. Il progetto fotografico è stato realizzato su commissione dell’UNESCO nell’ambito di un programma di testimonianza di ciò che è diventata la terra di Palestina e […]

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“The land that remains” di Federico Busonero

Articolo di Beatrice Tauro. È stato presentato ieri, 11 luglio, a Roma presso l’Ambasciata di Palestina il volume di fotografico dal titolo “The land that remains” realizzato da Federico Busonero. Il progetto fotografico è stato realizzato su commissione dell’UNESCO nell’ambito di un programma di testimonianza di ciò che è diventata la terra di Palestina e […]

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IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

IN PRINCIPIO FU UNA PAPERA…

Quando, nell’ormai lontano dicembre del 2011, scrissi e pubblicai sul sito della Freedom Flotilla Italia “La papera di Damasco”, il mio primo intervento sulla rivoluzione siriana, questa era già in atto da più di nove mesi e soltanto da qualche settimana aveva assunto anche le forme di una rivolta armata. In altre parole, per lunghissimi […]

Il rapporto Chilcot: conseguenze catastrofiche di una guerra illegale

Di Saeed Al-Shehabi. Al-Quds Al-Arabi (11/07/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio. Sbaglia chi crede che il rapporto Chilcot, pubblicato la settimana scorsa a distanza di sette anni dal suo avvio, possa influire in qualche modo sulla politica estera britannica o portare alla condanna dell’ex primo ministro, Tony Blair.  Il rapporto condanna chiaramente la decisione presa […]

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Il rapporto Chilcot: conseguenze catastrofiche di una guerra illegale

Di Saeed Al-Shehabi. Al-Quds Al-Arabi (11/07/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio. Sbaglia chi crede che il rapporto Chilcot, pubblicato la settimana scorsa a distanza di sette anni dal suo avvio, possa influire in qualche modo sulla politica estera britannica o portare alla condanna dell’ex primo ministro, Tony Blair.  Il rapporto condanna chiaramente la decisione presa […]

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Gli occhi di Abdul Sattar Edhi

Due persone di Karachi vedono adesso con gli occhi di Abdul Sattar Edhi, l’ottuagenario filantropo pachistano i cui funerali si sono svolti sabato dopo una preghiera allo Stadio nazionale per l’uomo che viene celebrato in Pakistan come un eroe e che fu candidato al Nobel dal padre di Malala Yusufzai, la giovane studentessa pachistana che i talebani tentarono di uccidere. Morto venerdi scorso a 88 anni, avrebbe voluto donare tutti i suoi organi ma solo le cornee sono state trapiantate con successo al Sindh Institute of Urology and Transplant. Il suo corpo era provato e da anni i suoi reni non funzionavano più costringendolo alla dialisi. Nel 2014 poi, una gang di malavitosi aveva fatto irruzione a casa sua e il vecchio era rimasto sotto choc: più per il fatto che qualcuno potesse rubare proprio a lui che non per lo spavento. Quando andammo a trovarlo nel 2000 in uno dei suoi centri a Karachi, era già malato e non riceveva volentieri gli ospiti. Non solo per la malattia. Edhi era schivo e se si era fatto in quattro per far finanziare la sua Fondazione, non aveva il culto della sua personalità. Eppure, funerali come quelli di sabato non si riservano a un uomo qualunque. Qualcuno dice che una celebrazione così si è vista solo alla morte di Jinnah – il fondatore del Pakistan – o per il dittatore generale Zia ul-Haq che invece della sua persona menava gran vanto. Chi era Abdul Sattar Edhi?

Era un sognatore. In Pakistan al sistema sanitario pubblico – con visite e e medicine gratuite – viene obtorto collo preferito il settore privato che può contare sull’80% dei pazienti. Gli ospedali pubblici infatti non ce la fanno a reggere la domanda. Ma i costi non possono pagarli tutti, figurarsi chi vive in strada o in abitazioni di fortuna nei grandi slum urbani. Edhi pensa che forse di può provare a creare uno spazio privato ma per tutti. E’ un filantropo ma con le idee chiare e ovviamente preferirebbe che fosse lo Stato a seguire le gente di cui si deve far carico lui. Ne era così convinto che, nel giugno scorso, aveva rifiutato l’offerta dell’ex presidente Asif Ali Zardari di farsi curare fuori dal Paese. Manco per sogno. Edhi gli spiegò che voleva essere curato in Pakistan. E in una struttura pubblica.

Era nato nel Gujarat, Stato ora indiano e allora parte del Raj britannico. La sua è una famiglia di
commercianti, che, come tanti musulmani indiani, decide di partire nel 1947 verso la promessa di un Paese per i fedeli di Maometto, il sogno di Jinnah di creare il “Paese dei puri”. Ma il Paese dei puri è una promessa che non diventa realtà. Nel nuovo Paese, formato da cinque province che hanno ereditato la parte occidentale del Raj (e un’area del Bengala oggi Bangladesh), lo Stato non ha mezzi per prendersi cura dei suoi puri. Ne fa le spese la madre di Edhi, che è paralizzata e con disturbi mentali. Comincia lì il suo desiderio di fare qualcosa. E nel 1951 apre la sua prima “clinica”. Poi comincia a lavorare per creare orfanotrofi, camere mortuarie, luoghi di riposo per anziani e un servizio di ambulanze che corrono per tutto il Paese. E’ animato da un forte idealismo e da un senso di giustizia. E’ musulmano ma non ne fa una bandiera.

Premio Balzan 2000 per l’umanità, la pace e la fratellanza fra i popoli, Edhi viene in Italia, a Milano, dove Tehmina Durrani, scrittrice pachistana diventata famosa per i suoi libri tradotti in molte lingue sulla schiavitù delle donne nel suo Paese, racconta come ha scritto la sua biografia “A Mirror to the Blind” (Uno specchio per il cieco”). E dice: «Schiava di mio marito è stato tradotto in 35 lingue e Empietà sta seguendo lo stesso corso, mentre A Mirror to the Blind è stato pubblicato solamente in Pakistan dalla Edhi Foundation… Mentre la letteratura che parla dei “buoni” è sotterrata sotto un velo di fremiti ed eccitazione perversa, i personaggi simili a quelli di Schiava di mio marito e Empietà attraggono un pubblico entusiasta di lettori… Questa ignoranza a livello planetario – una pericolosa strada che l’intera umanità sta imboccando – necessita di un esame più approfondito… Non si arriverà mai a enfatizzare abbastanza l’importanza del messaggio e della vita di Edhi, un uomo del nostro tempo, il cui esempio renderà possibile distinguere tra il vero Islam e i preconcetti legati a esso».

Gli occhi di Abdul Sattar Edhi

Due persone di Karachi vedono adesso con gli occhi di Abdul Sattar Edhi, l’ottuagenario filantropo pachistano i cui funerali si sono svolti sabato dopo una preghiera allo Stadio nazionale per l’uomo che viene celebrato in Pakistan come un eroe e che fu candidato al Nobel dal padre di Malala Yusufzai, la giovane studentessa pachistana che i talebani tentarono di uccidere. Morto venerdi scorso a 88 anni, avrebbe voluto donare tutti i suoi organi ma solo le cornee sono state trapiantate con successo al Sindh Institute of Urology and Transplant. Il suo corpo era provato e da anni i suoi reni non funzionavano più costringendolo alla dialisi. Nel 2014 poi, una gang di malavitosi aveva fatto irruzione a casa sua e il vecchio era rimasto sotto choc: più per il fatto che qualcuno potesse rubare proprio a lui che non per lo spavento. Quando andammo a trovarlo nel 2000 in uno dei suoi centri a Karachi, era già malato e non riceveva volentieri gli ospiti. Non solo per la malattia. Edhi era schivo e se si era fatto in quattro per far finanziare la sua Fondazione, non aveva il culto della sua personalità. Eppure, funerali come quelli di sabato non si riservano a un uomo qualunque. Qualcuno dice che una celebrazione così si è vista solo alla morte di Jinnah – il fondatore del Pakistan – o per il dittatore generale Zia ul-Haq che invece della sua persona menava gran vanto. Chi era Abdul Sattar Edhi?

Era un sognatore. In Pakistan al sistema sanitario pubblico – con visite e e medicine gratuite – viene obtorto collo preferito il settore privato che può contare sull’80% dei pazienti. Gli ospedali pubblici infatti non ce la fanno a reggere la domanda. Ma i costi non possono pagarli tutti, figurarsi chi vive in strada o in abitazioni di fortuna nei grandi slum urbani. Edhi pensa che forse di può provare a creare uno spazio privato ma per tutti. E’ un filantropo ma con le idee chiare e ovviamente preferirebbe che fosse lo Stato a seguire le gente di cui si deve far carico lui. Ne era così convinto che, nel giugno scorso, aveva rifiutato l’offerta dell’ex presidente Asif Ali Zardari di farsi curare fuori dal Paese. Manco per sogno. Edhi gli spiegò che voleva essere curato in Pakistan. E in una struttura pubblica.

Era nato nel Gujarat, Stato ora indiano e allora parte del Raj britannico. La sua è una famiglia di
commercianti, che, come tanti musulmani indiani, decide di partire nel 1947 verso la promessa di un Paese per i fedeli di Maometto, il sogno di Jinnah di creare il “Paese dei puri”. Ma il Paese dei puri è una promessa che non diventa realtà. Nel nuovo Paese, formato da cinque province che hanno ereditato la parte occidentale del Raj (e un’area del Bengala oggi Bangladesh), lo Stato non ha mezzi per prendersi cura dei suoi puri. Ne fa le spese la madre di Edhi, che è paralizzata e con disturbi mentali. Comincia lì il suo desiderio di fare qualcosa. E nel 1951 apre la sua prima “clinica”. Poi comincia a lavorare per creare orfanotrofi, camere mortuarie, luoghi di riposo per anziani e un servizio di ambulanze che corrono per tutto il Paese. E’ animato da un forte idealismo e da un senso di giustizia. E’ musulmano ma non ne fa una bandiera.

Premio Balzan 2000 per l’umanità, la pace e la fratellanza fra i popoli, Edhi viene in Italia, a Milano, dove Tehmina Durrani, scrittrice pachistana diventata famosa per i suoi libri tradotti in molte lingue sulla schiavitù delle donne nel suo Paese, racconta come ha scritto la sua biografia “A Mirror to the Blind” (Uno specchio per il cieco”). E dice: «Schiava di mio marito è stato tradotto in 35 lingue e Empietà sta seguendo lo stesso corso, mentre A Mirror to the Blind è stato pubblicato solamente in Pakistan dalla Edhi Foundation… Mentre la letteratura che parla dei “buoni” è sotterrata sotto un velo di fremiti ed eccitazione perversa, i personaggi simili a quelli di Schiava di mio marito e Empietà attraggono un pubblico entusiasta di lettori… Questa ignoranza a livello planetario – una pericolosa strada che l’intera umanità sta imboccando – necessita di un esame più approfondito… Non si arriverà mai a enfatizzare abbastanza l’importanza del messaggio e della vita di Edhi, un uomo del nostro tempo, il cui esempio renderà possibile distinguere tra il vero Islam e i preconcetti legati a esso».

Gli occhi di Abdul Sattar Edhi

Due persone di Karachi vedono adesso con gli occhi di Abdul Sattar Edhi, l’ottuagenario filantropo pachistano i cui funerali si sono svolti sabato dopo una preghiera allo Stadio nazionale per l’uomo che viene celebrato in Pakistan come un eroe e che fu candidato al Nobel dal padre di Malala Yusufzai, la giovane studentessa pachistana che i talebani tentarono di uccidere. Morto venerdi scorso a 88 anni, avrebbe voluto donare tutti i suoi organi ma solo le cornee sono state trapiantate con successo al Sindh Institute of Urology and Transplant. Il suo corpo era provato e da anni i suoi reni non funzionavano più costringendolo alla dialisi. Nel 2014 poi, una gang di malavitosi aveva fatto irruzione a casa sua e il vecchio era rimasto sotto choc: più per il fatto che qualcuno potesse rubare proprio a lui che non per lo spavento. Quando andammo a trovarlo nel 2000 in uno dei suoi centri a Karachi, era già malato e non riceveva volentieri gli ospiti. Non solo per la malattia. Edhi era schivo e se si era fatto in quattro per far finanziare la sua Fondazione, non aveva il culto della sua personalità. Eppure, funerali come quelli di sabato non si riservano a un uomo qualunque. Qualcuno dice che una celebrazione così si è vista solo alla morte di Jinnah – il fondatore del Pakistan – o per il dittatore generale Zia ul-Haq che invece della sua persona menava gran vanto. Chi era Abdul Sattar Edhi?

Era un sognatore. In Pakistan al sistema sanitario pubblico – con visite e e medicine gratuite – viene obtorto collo preferito il settore privato che può contare sull’80% dei pazienti. Gli ospedali pubblici infatti non ce la fanno a reggere la domanda. Ma i costi non possono pagarli tutti, figurarsi chi vive in strada o in abitazioni di fortuna nei grandi slum urbani. Edhi pensa che forse di può provare a creare uno spazio privato ma per tutti. E’ un filantropo ma con le idee chiare e ovviamente preferirebbe che fosse lo Stato a seguire le gente di cui si deve far carico lui. Ne era così convinto che, nel giugno scorso, aveva rifiutato l’offerta dell’ex presidente Asif Ali Zardari di farsi curare fuori dal Paese. Manco per sogno. Edhi gli spiegò che voleva essere curato in Pakistan. E in una struttura pubblica.

Era nato nel Gujarat, Stato ora indiano e allora parte del Raj britannico. La sua è una famiglia di
commercianti, che, come tanti musulmani indiani, decide di partire nel 1947 verso la promessa di un Paese per i fedeli di Maometto, il sogno di Jinnah di creare il “Paese dei puri”. Ma il Paese dei puri è una promessa che non diventa realtà. Nel nuovo Paese, formato da cinque province che hanno ereditato la parte occidentale del Raj (e un’area del Bengala oggi Bangladesh), lo Stato non ha mezzi per prendersi cura dei suoi puri. Ne fa le spese la madre di Edhi, che è paralizzata e con disturbi mentali. Comincia lì il suo desiderio di fare qualcosa. E nel 1951 apre la sua prima “clinica”. Poi comincia a lavorare per creare orfanotrofi, camere mortuarie, luoghi di riposo per anziani e un servizio di ambulanze che corrono per tutto il Paese. E’ animato da un forte idealismo e da un senso di giustizia. E’ musulmano ma non ne fa una bandiera.

Premio Balzan 2000 per l’umanità, la pace e la fratellanza fra i popoli, Edhi viene in Italia, a Milano, dove Tehmina Durrani, scrittrice pachistana diventata famosa per i suoi libri tradotti in molte lingue sulla schiavitù delle donne nel suo Paese, racconta come ha scritto la sua biografia “A Mirror to the Blind” (Uno specchio per il cieco”). E dice: «Schiava di mio marito è stato tradotto in 35 lingue e Empietà sta seguendo lo stesso corso, mentre A Mirror to the Blind è stato pubblicato solamente in Pakistan dalla Edhi Foundation… Mentre la letteratura che parla dei “buoni” è sotterrata sotto un velo di fremiti ed eccitazione perversa, i personaggi simili a quelli di Schiava di mio marito e Empietà attraggono un pubblico entusiasta di lettori… Questa ignoranza a livello planetario – una pericolosa strada che l’intera umanità sta imboccando – necessita di un esame più approfondito… Non si arriverà mai a enfatizzare abbastanza l’importanza del messaggio e della vita di Edhi, un uomo del nostro tempo, il cui esempio renderà possibile distinguere tra il vero Islam e i preconcetti legati a esso».

Gli occhi di Abdul Sattar Edhi

Due persone di Karachi vedono adesso con gli occhi di Abdul Sattar Edhi, l’ottuagenario filantropo pachistano i cui funerali si sono svolti sabato dopo una preghiera allo Stadio nazionale per l’uomo che viene celebrato in Pakistan come un eroe e che fu candidato al Nobel dal padre di Malala Yusufzai, la giovane studentessa pachistana che i talebani tentarono di uccidere. Morto venerdi scorso a 88 anni, avrebbe voluto donare tutti i suoi organi ma solo le cornee sono state trapiantate con successo al Sindh Institute of Urology and Transplant. Il suo corpo era provato e da anni i suoi reni non funzionavano più costringendolo alla dialisi. Nel 2014 poi, una gang di malavitosi aveva fatto irruzione a casa sua e il vecchio era rimasto sotto choc: più per il fatto che qualcuno potesse rubare proprio a lui che non per lo spavento. Quando andammo a trovarlo nel 2000 in uno dei suoi centri a Karachi, era già malato e non riceveva volentieri gli ospiti. Non solo per la malattia. Edhi era schivo e se si era fatto in quattro per far finanziare la sua Fondazione, non aveva il culto della sua personalità. Eppure, funerali come quelli di sabato non si riservano a un uomo qualunque. Qualcuno dice che una celebrazione così si è vista solo alla morte di Jinnah – il fondatore del Pakistan – o per il dittatore generale Zia ul-Haq che invece della sua persona menava gran vanto. Chi era Abdul Sattar Edhi?

Era un sognatore. In Pakistan al sistema sanitario pubblico – con visite e e medicine gratuite – viene obtorto collo preferito il settore privato che può contare sull’80% dei pazienti. Gli ospedali pubblici infatti non ce la fanno a reggere la domanda. Ma i costi non possono pagarli tutti, figurarsi chi vive in strada o in abitazioni di fortuna nei grandi slum urbani. Edhi pensa che forse di può provare a creare uno spazio privato ma per tutti. E’ un filantropo ma con le idee chiare e ovviamente preferirebbe che fosse lo Stato a seguire le gente di cui si deve far carico lui. Ne era così convinto che, nel giugno scorso, aveva rifiutato l’offerta dell’ex presidente Asif Ali Zardari di farsi curare fuori dal Paese. Manco per sogno. Edhi gli spiegò che voleva essere curato in Pakistan. E in una struttura pubblica.

Era nato nel Gujarat, Stato ora indiano e allora parte del Raj britannico. La sua è una famiglia di
commercianti, che, come tanti musulmani indiani, decide di partire nel 1947 verso la promessa di un Paese per i fedeli di Maometto, il sogno di Jinnah di creare il “Paese dei puri”. Ma il Paese dei puri è una promessa che non diventa realtà. Nel nuovo Paese, formato da cinque province che hanno ereditato la parte occidentale del Raj (e un’area del Bengala oggi Bangladesh), lo Stato non ha mezzi per prendersi cura dei suoi puri. Ne fa le spese la madre di Edhi, che è paralizzata e con disturbi mentali. Comincia lì il suo desiderio di fare qualcosa. E nel 1951 apre la sua prima “clinica”. Poi comincia a lavorare per creare orfanotrofi, camere mortuarie, luoghi di riposo per anziani e un servizio di ambulanze che corrono per tutto il Paese. E’ animato da un forte idealismo e da un senso di giustizia. E’ musulmano ma non ne fa una bandiera.

Premio Balzan 2000 per l’umanità, la pace e la fratellanza fra i popoli, Edhi viene in Italia, a Milano, dove Tehmina Durrani, scrittrice pachistana diventata famosa per i suoi libri tradotti in molte lingue sulla schiavitù delle donne nel suo Paese, racconta come ha scritto la sua biografia “A Mirror to the Blind” (Uno specchio per il cieco”). E dice: «Schiava di mio marito è stato tradotto in 35 lingue e Empietà sta seguendo lo stesso corso, mentre A Mirror to the Blind è stato pubblicato solamente in Pakistan dalla Edhi Foundation… Mentre la letteratura che parla dei “buoni” è sotterrata sotto un velo di fremiti ed eccitazione perversa, i personaggi simili a quelli di Schiava di mio marito e Empietà attraggono un pubblico entusiasta di lettori… Questa ignoranza a livello planetario – una pericolosa strada che l’intera umanità sta imboccando – necessita di un esame più approfondito… Non si arriverà mai a enfatizzare abbastanza l’importanza del messaggio e della vita di Edhi, un uomo del nostro tempo, il cui esempio renderà possibile distinguere tra il vero Islam e i preconcetti legati a esso».