Mese: gennaio 2016

Antologie e divulgazione

È da poco uscita in libreria una nuova antologia di testi letterari della letteratura araba contemporanea: Antologia della letteratura araba contemporanea. Dalla Nahda a oggi, a cura di Maria Avino, Isabella Camera d’Afflitto e Alma Salem (Carocci ed., 2015, 29 euro).  Raccoglie 48 brevi estratti di opere di autori della letteratura araba dalla Nahda, il … Continua a leggere Antologie e divulgazione

Libano: Aoun ottiene il sostegno del principale rivale alle presidenziali

(Agenzie). Samir Geagea, figura politica della comunità cristiana libanese, ha ufficializzato il suo sostegno alla candidatura del suo rivale storico Michel Aoun alla presidenza, vacante da 20 mesi, in mancanza di un accordo su un candidato di consenso. Geagea, capo del Partito delle Forze Libanesi (FL), anch’egli candidato alla presidenza, riservata secondo il modello confessionale del […]

L’articolo Libano: Aoun ottiene il sostegno del principale rivale alle presidenziali sembra essere il primo su Arabpress.

Yemen: coalizione anti-Houthi colpisce sede polizia a Sana’a

(Agenzie). La coalizione anti-Houthi guidata dall’Arabia Saudita ha colpito a Sana’a la sede della polizia stradale. Le vittime del raid aereo, avvenuto durante la notte di domenica, sono almeno venticinque, oltre trenta i feriti. Non è chiaro al momento il numero dei civili coinvolti. Secondo fonti locali, alcune persone sarebbero rimaste intrappolate sotto le macerie dopo il […]

L’articolo Yemen: coalizione anti-Houthi colpisce sede polizia a Sana’a sembra essere il primo su Arabpress.

Riformare le organizzazioni arabo-islamiche

Di Muhammad Wani. Elaph (18/01/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio. Non vi è dubbio che quando i vari leader arabi istituirono organizzazioni e associazioni arabo-islamiche – tra cui, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (fondata nel 1969), la World Islamic Call Society (1972), la Lega degli Stati Arabi (1945) – il loro fine ultimo fosse quello di proteggere […]

L’articolo Riformare le organizzazioni arabo-islamiche sembra essere il primo su Arabpress.

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

Come sta Deir Ezzor

Stamattina vado al bar e su un freepress un titolo a tutta pagina urla che lo Stato Islamico ha decapitato 300 persone a Deir Ezzor. La notizia è falsa e […]

La resistenza popolare in Palestina: la realtà e la prospettiva di una nuova speranza

Di Hamze Jammoul. As-Safir (16/01/2016). Traduzione e sintesi di Federico Seibusi. I territori palestinesi occupati sono testimoni di un aumento di azioni armate individuali rappresentata della cosiddetta “Intifada dei coltelli”, manifestazione della rabbia popolare contro la politica di occupazione. Questi avvenimenti hanno rinnovato il dibattito politico e intellettuale sul futuro della relazione fra l’autorità e […]

L’articolo La resistenza popolare in Palestina: la realtà e la prospettiva di una nuova speranza sembra essere il primo su Arabpress.

Libia: critiche dell’inviato ONU per rinvio formazione di governo

(Agenzie). L’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler, ha criticato domenica a Tripoli il rinvio della formazione di un governo di unità nazionale, stabilita dal Consiglio di Presidenza, prevista da un accordo tra i due parlamenti rivali. La formazione di un tale governo doveva aver luogo entro domenica, prima di essere ritardata di 48 ore da […]

L’articolo Libia: critiche dell’inviato ONU per rinvio formazione di governo sembra essere il primo su Arabpress.

Egitto: nuovi misteri dalle Piramidi

(Al-Arabyia). Le Piramidi non smettono mai di sorprenderci. Un gruppo di esperti ha rivelato domenica nuove scoperte relative a due delle note piramidi d’Egitto, a seguito della ricerca di stanze segrete all’interno dei monumenti simbolo del mondo faraonico. Negli ultimi tre mesi, un team di ricercatori provenienti da Egitto, Francia, Canada e Giappone hanno esplorato quattro piramidi con telecamere […]

L’articolo Egitto: nuovi misteri dalle Piramidi sembra essere il primo su Arabpress.

Turchia: Erdogan da un errore all’altro

Di Jihad el-Khazen. Al-Hayat (15/01/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Maria Cascone. Il “sultano” Recep Tayyep Erdogan continua a commettere errori su errori e mi è stato difficile trovare una logica o un senso nelle sue parole delle ultime settimane. La Turchia sembra voler giocare il ruolo di mediatrice tra Arabia Saudita ed Iran: il […]

L’articolo Turchia: Erdogan da un errore all’altro sembra essere il primo su Arabpress.

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

SCHIZOFRENIA A 5 STELLE

A Strasburgo, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle condannano il regime di Assad e promuovono la mostra delle fotografie di “Caesar”, che denunciano la ferocia del regime. A Roma, i parlamentari grillini vogliono la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano e stipendiano il direttore del sito che tenta di smentire le foto di […]

Piangere e ridere

La vignetta di Charlie Hebdo farebbe ridere perché sarebbe tesa a dimostrare che gli stessi che piangevano per la morte di Aylan adesso sarebbero pronti a dire che i migranti […]

Dove sta Deir Ezzor

Oggi arrivano questi report sul massacro di IS a Deir Ezzor, che in Siria è “il posto del petrolio”. IS ha attaccato postazioni governative, poi ha massacrato familiari di lealisti. […]

L’energia nucleare nel mondo arabo oggi

Di Samir al-Tannir. As-Safir (14/01/2016). Traduzione e sintesi di Alessandro Mannara. Molte Stati del mondo evitano di produrre energia elettrica dall’energia nucleare. Tale percentuale negli anni è scesa dal 17,6 al 10,8 per cento. Tuttavia, Paesi come India, Russia e Cina hanno in programma di costruire altri reattori nucleari, e sulla loro scia svariati Paesi […]

L’articolo L’energia nucleare nel mondo arabo oggi sembra essere il primo su Arabpress.

Giordania: la risposta della regina Rania a Charlie Hebdo

La regina Rania di Giordania risponde alla vignetta provocatoria di Charlie Hebdo sul piccolo Aylan con un tweet. “Avrebbe potuto diventare un medico, un insegnante, un papà che adora i suoi figli….”. كان من الممكن أن يصبح إيلان طبيباً أو معلماً أو أباً حنوناً.. شكراً أسامة حجاج لترجمة أفكاري إلى صورة pic.twitter.com/YW6xEkhrPP — Rania Al […]

L’articolo Giordania: la risposta della regina Rania a Charlie Hebdo sembra essere il primo su Arabpress.

Turchia: UE e USA condannano l’arresto dei 21 accademici

(Agenzie). L’Unione Europea ha condannato come “estremamente preoccupante” l’arresto dei 21 professori considerati pro-PKK, avvenuta venerdì scorso nel sudest della Turchia. Il portavoce degli Affari Esteri dell’Unione Europea ha dichiarato che le decisioni prese nei confronti degli accademici hanno “uno sviluppo estremamente preoccupante”. “Non sono più agli arresti ma le procedure nei loro confronti vanno avanti”. […]

L’articolo Turchia: UE e USA condannano l’arresto dei 21 accademici sembra essere il primo su Arabpress.

EAU: le lezioni africane di Sarkozy

(Agenzie). Invitato mercoledì scorso ad Abu Dhabi dal Centro Emiratino di Studi e Ricerche Strategici,  Nicolas Sarkozy, dopo essersi espresso sulla situazione attuale in Medio Oriente, ha dato la visione 2016 sull’Africa.   Secondo Sarkozy, fino all’estate del 2012, quando ha perso potere, la Libia era sulla via giusta, ma è stata poi abbandonata dai […]

L’articolo EAU: le lezioni africane di Sarkozy sembra essere il primo su Arabpress.

Algeria: rivelazioni sul colpo di Stato del 1992

Di Sadek Sellam. Monde Afrique (15/01/2016). Traduzione sintesi di Ismahan Hassen. Il 13 settembre 2015, il generale Toufik, potente patrono del Département du Renseignement et de la Sécurité (DRS) è stato obbligato dal presidente Bouteflika a dimettersi. Con questa azione, lo smantellamento del DRS, già avviato da Bouteflika quando prese il potere, è stato improvvisamente […]

L’articolo Algeria: rivelazioni sul colpo di Stato del 1992 sembra essere il primo su Arabpress.

Libano: tribunale concede a transgender il cambio di sesso

(Newsweek). Il Libano ha fatto un passo storico nei confronti dei diritti dei transgender in Medio Oriente. La Corte d’Appello di Beirut ha concesso a un transgender di cambiare legalmente il proprio sesso in uomo nel registro civile nazionale. Nella sentenza, il tribunale ha considerato fattori come il benessere e la salute dell’uomo per permettere il cambiamento ufficiale. L’uomo […]

L’articolo Libano: tribunale concede a transgender il cambio di sesso sembra essere il primo su Arabpress.

Derinkuyu: la città sotterranea

Tredici piani scavati sottoterra, con camere che potevano contenere circa 20mila persone. Derinkuyu è una città sotterranea costruita nel settimo secolo a.C. nella Turchia Orientale. Secondo il Dipartimento della Cultura turco la città è stata costruita dai Frigi, una popolazione indoeuropea, per poi essere ultimate dai Bizantini che le utilizzavano come luogo di rifugio durante […]

L’articolo Derinkuyu: la città sotterranea sembra essere il primo su Arabpress.

Cucina egiziana: moussaka vegetariana

125ml di acquaBenché originario della Grecia, questo piatto e assai diffuso in diversi Paesi del Mediterraneo orientale, ognuno con la propria versione. Oggi vi proponiamo una variante diffusa in Egitto: la moussaka vegetariana! Ingredienti: 2 melanzane medie 6 cucchiai di olio di semi 1 cipolla media ½ peperone verde o rosso 4 spicchi d’aglio 3 cucchiai di […]

L’articolo Cucina egiziana: moussaka vegetariana sembra essere il primo su Arabpress.

La censura mediatica

Di Ayman al-Quwaifli. Al-Araby al-Jadeed (14/01/2015). Traduzione e sintesi di Maddalena Goi. Soprattutto nei Paesi arabi, una funzione fondamentale dei sistemi mediatici governativi è la censura, intesa a tutti i livelli. Si tratta di una cattiva informazione che si ottiene mediante una violazione delle regole del lavoro giornalistico o l’offerta, a osservatori minori, di vedute ristrette della realtà o addirittura […]

L’articolo La censura mediatica sembra essere il primo su Arabpress.

Iran: il Presidente cinese in visita di Stato, poi Arabia Saudita e Egitto

(Agenzie). Il Presidente della Cina, Xi Jinping, sarà in visita di Stato in Arabia Saudita, Egitto e Iran la prossima settimana, ha annunciato la diplomazia cinese. Si tratta della prima visita di Xi Jinping in questi Paesi in qualità di capo di Stato. Il viaggio avrà luogo dal 19 al 23 gennaio, ha scritto il […]

L’articolo Iran: il Presidente cinese in visita di Stato, poi Arabia Saudita e Egitto sembra essere il primo su Arabpress.

Tunisia: sospese attività di un’organizzazione LGBT

(Human Rights Watch). Le autorità tunisine hanno deciso di sospendere le attività dell’organizzazione Shans che milita in difesa dei diritti LGBT, gesto che rappresenta un passo indietro nei confronti delle libertà individuali e dell’uguaglianza di diritti in Tunisia. Shams dal maggio 2015 si è posta come obiettivo la difesa dei diritti delle minoranze sessuali e […]

L’articolo Tunisia: sospese attività di un’organizzazione LGBT sembra essere il primo su Arabpress.

Oscar 2016: con Ave Maria la Palestina di nuovo sul Red Carpet

Dopo “5 Broken Cameras” di Emad Burnat e “Omar” del regista Hany Abu Assad la Palestina è di nuovo in scena agli Oscar. Il film “Ave Maria” del regista palestinese Basil Khalil è stato nominato per il più importante premio cinematografico del mondo nella categoria miglior cortometraggio. L’opera racconta di un gruppo di suore palestinesi votate al […]

L’articolo Oscar 2016: con Ave Maria la Palestina di nuovo sul Red Carpet sembra essere il primo su Arabpress.

Somalia: al-Shabab attacca base Unione Africana

(Agenzie). Oltre 60 militari kenioti sono rimasti uccisi nell’assalto alla base dell’Unione Africana da parte del gruppo jihadista al Shabab. La base militare, gestita dalle forze di pace keniote, si trova nella città di el-Ade, a circa 550 chilometri da Mogadiscio, vicino al confine con il Kenya. Fonti dell’esercito hanno riferito che un’autobomba che si […]

L’articolo Somalia: al-Shabab attacca base Unione Africana sembra essere il primo su Arabpress.

Turchia: arrestati 21 professori pro PKK

(Agenzie). La polizia turca ha arrestato 21 professori dell’Università  di Kocaeli, a sud di Istanbul, accusati di “propaganda terroristica” per aver firmato una petizione a favore della pace con i curdi. L’appello, chiamato “Noi non saremo parte di questo crimine!”, è stato lanciato dal gruppo “Accademici per la pace” a denuncia delle azioni svolte contro […]

L’articolo Turchia: arrestati 21 professori pro PKK sembra essere il primo su Arabpress.

Marocco: linee rosse in movimento

Di Muhammad Ahmed Bennis. Al-Araby al-Jadeed (14/01/2016). Traduzione e sintesi di Irene Capiferri. Da giorni l’opinione pubblica marocchina è scossa da ciò che è stato chiamato “il massacro del giovedì nero”, quando le forze di sicurezza sono intervenute violentemente per disperdere le marce pacifiche organizzate in alcune città dai professori per protestare contro due decreti governativi […]

L’articolo Marocco: linee rosse in movimento sembra essere il primo su Arabpress.

Cinque anni dalla “primavera araba”: ritorno della “normalità”?

Santiago Alba Rico. Cinque anni dopo quel 14 gennaio 2011 in cui il popolo tunisino rovesciò il dittatore Ben Ali, la contagiosa e massiccia intifada regionale che -dal Marocco all’Arabia Saudita- fece cadere o minacciò le tirannie arabe in nome della libertà politica e della giustizia sociale, ha ceduto il passo a una versione estrema della “normalità” precedente: le dittaure […]

Cinque anni dalla “primavera araba”: ritorno della “normalità”?

Santiago Alba Rico. Cinque anni dopo quel 14 gennaio 2011 in cui il popolo tunisino rovesciò il dittatore Ben Ali, la contagiosa e massiccia intifada regionale che -dal Marocco all’Arabia Saudita- fece cadere o minacciò le tirannie arabe in nome della libertà politica e della giustizia sociale, ha ceduto il passo a una versione estrema della “normalità” precedente: le dittaure […]

Cinque anni dalla “primavera araba”: ritorno della “normalità”?

Santiago Alba Rico. Cinque anni dopo quel 14 gennaio 2011 in cui il popolo tunisino rovesciò il dittatore Ben Ali, la contagiosa e massiccia intifada regionale che -dal Marocco all’Arabia Saudita- fece cadere o minacciò le tirannie arabe in nome della libertà politica e della giustizia sociale, ha ceduto il passo a una versione estrema della “normalità” precedente: le dittaure […]

Riguardo il fallimento della politica araba

Di Talal Sulman. As-Safir ( 13/01/2016). Traduzione e sintesi di Carlotta Castoldi. La regione che noi chiamiamo, con speranza o desiderio, “la patria araba” sta vivendo una situazione senza precedenti di disgregazione, mancanza di leadership e carenza di solidarietà, senza distinzione tra i Paesi ricchi e quelli poveri: i paesi ricchi dissanguano le loro risorse finanziarie, […]

L’articolo Riguardo il fallimento della politica araba sembra essere il primo su Arabpress.

Passaggi: “Ecco il mio nome” di Adonis

Oggi voglio condividere con voi un frammento di bellezza. Di bellezza in versi. Si tratta delle strofe finali della poesia di Adonis intitolata “Ecco il mio nome”, che gioca con il nome reale del poeta siriano, Ali Ahmad Sa’id Isbir. La potete trovare completa nell’omonima raccolta, tradotta da Francesca Corrao, edita da Donizzelli nel 2009. […]

L’articolo Passaggi: “Ecco il mio nome” di Adonis sembra essere il primo su Arabpress.

Giacarta, nuovi progetti e vecchie nostalgie

Può rassicurarci, oltreché allarmarci, sostenere che Giacarta è come Parigi e Istanbul. Che Daesh ha un progetto globale e che il Paese delle 13mila isole è il tassello più gustoso del Califfato allargato. Ma la targa Stato islamico sull’attentato di Jakarta non deve farci dimenticare di che Paese parliamo. Ogni nazione ha una storia nella quale il jihadismo, al netto dell’imperscrutabile richiamo che esercita sopratutto su alcuni giovani musulmani, può giocare un ruolo eterodiretto. E non solo da Raqqa.

L‘Indonesia, fino ad allora sopratutto meta turistica e, per i più edotti l’ex regno di una dittatura ultratrentennale, fece parlare di sé nel 2002 con la bomba di Bali. Duecentodue morti in maggioranza stranieri quando ancora colpire i turisti era una novità. Le indagini, indirizzate sulla Jemaah Islamiyah e sul controverso guru islamico Abu Bakar Bashir, rivelarono piste che puzzavano di bruciato. Alcune infatti portavano più in là del jihadismo locale, tutto sommato un fenomeno – oggi come allora – residuale. Portavano a figure oscure che si muovevano tra la potente malavita indonesiana, ricchi businessman, settori dell’esercito, l’unico soggetto in grado di possedere esplosivi e che vantava una lunga storia di infiltrazioni nei movimenti islamisti e settari perché servissero a scatenare il caos: prima in funzione anti comunista, poi – dopo il golpe del 1965 e con l’avvento di Suharto – per controllare possibili ribelli. Poi ancora – nella nuova e fragile stagione di una neonata democrazia – per poter di nuovo servirsi del caos e instillare l’idea che un ritorno della vecchia guardia al potere fosse la panacea: ordine, la stessa parola che aveva segnato la stagione del dittatore che l’aveva appunto chiamata Orde Baru, ordine nuovo.

Dunque malavita, potentati economici legati al crony capitalism della famiglia Suharto, pezzi dei servizi militari deviati e riconducibili al periodo della dittatura. Questa società nascosta e segreta aveva e ha in odio la nuova stagione democratica. Se n’è fatta in parte una ragione ma rimpiange la belle epoque della dittatura. Legami diretti tra la stagione stragista iniziata nel 2002 (e ripetutasi sino al 2009 con le bombe negli alberghi e poi ancora, solo qualche tempo fa, con un’esplosione davanti alla casa del sindaco di Bandung) non son mai stati dimostrati ma a tratti i nomi di qualche businessman o di qualche agente o di qualche militare saltava fuori. Poi – complice una magistratura molto morbida – le sigle Al Qaeda e Jemaah Islamiyah coprivano tutto.

Joko Widodo

Se dietro ai fatti di ieri ci sia qualche burattinaio locale è presto per dirlo ma nel conto bisogna metterci anche questa ipotesi se non si vuole che il brand Daesh serva a insabbiare possibili piste dove si muovono i protagonisti di un’epoca che ancora non è passata. Anzi, proprio il nuovo segno della politica indonesiana, incarnata dall’outsider Joko Widodo, deve mettere in guardia. Quando si presentò alle presidenziali del 2014 sfidò nientemeno che un genero di Suharto, primo marito di Titiek, la più giovane delle figlie dell’ex dittatore ormai defunto. A Prabowo Subianto, ex generale e uomo d’affari, guardava proprio il vecchio mondo del crony capitalism e dei nostalgici della dittatura. Jokowi vinse. Ma quelle forze oscure che rimpiangono il passato sono tutt’altro che sconfitte: prova ne sia che a distanza ormai di cinquantanni è ancora vietato discutere del golpe del 1965 e delle stragi che ne seguirono. E’ in quell’oscura trama di interessi che Daesh o chi per lui può trovare alleati. Ancor prima che tra qualche giovane dei sobborghi di Jakarta o di Bandung abbagliato dall’utopia jihadista di Al Bagdadi.

Giacarta, nuovi progetti e vecchie nostalgie

Può rassicurarci, oltreché allarmarci, sostenere che Giacarta è come Parigi e Istanbul. Che Daesh ha un progetto globale e che il Paese delle 13mila isole è il tassello più gustoso del Califfato allargato. Ma la targa Stato islamico sull’attentato di Jakarta non deve farci dimenticare di che Paese parliamo. Ogni nazione ha una storia nella quale il jihadismo, al netto dell’imperscrutabile richiamo che esercita sopratutto su alcuni giovani musulmani, può giocare un ruolo eterodiretto. E non solo da Raqqa.

L‘Indonesia, fino ad allora sopratutto meta turistica e, per i più edotti l’ex regno di una dittatura ultratrentennale, fece parlare di sé nel 2002 con la bomba di Bali. Duecentodue morti in maggioranza stranieri quando ancora colpire i turisti era una novità. Le indagini, indirizzate sulla Jemaah Islamiyah e sul controverso guru islamico Abu Bakar Bashir, rivelarono piste che puzzavano di bruciato. Alcune infatti portavano più in là del jihadismo locale, tutto sommato un fenomeno – oggi come allora – residuale. Portavano a figure oscure che si muovevano tra la potente malavita indonesiana, ricchi businessman, settori dell’esercito, l’unico soggetto in grado di possedere esplosivi e che vantava una lunga storia di infiltrazioni nei movimenti islamisti e settari perché servissero a scatenare il caos: prima in funzione anti comunista, poi – dopo il golpe del 1965 e con l’avvento di Suharto – per controllare possibili ribelli. Poi ancora – nella nuova e fragile stagione di una neonata democrazia – per poter di nuovo servirsi del caos e instillare l’idea che un ritorno della vecchia guardia al potere fosse la panacea: ordine, la stessa parola che aveva segnato la stagione del dittatore che l’aveva appunto chiamata Orde Baru, ordine nuovo.

Dunque malavita, potentati economici legati al crony capitalism della famiglia Suharto, pezzi dei servizi militari deviati e riconducibili al periodo della dittatura. Questa società nascosta e segreta aveva e ha in odio la nuova stagione democratica. Se n’è fatta in parte una ragione ma rimpiange la belle epoque della dittatura. Legami diretti tra la stagione stragista iniziata nel 2002 (e ripetutasi sino al 2009 con le bombe negli alberghi e poi ancora, solo qualche tempo fa, con un’esplosione davanti alla casa del sindaco di Bandung) non son mai stati dimostrati ma a tratti i nomi di qualche businessman o di qualche agente o di qualche militare saltava fuori. Poi – complice una magistratura molto morbida – le sigle Al Qaeda e Jemaah Islamiyah coprivano tutto.

Joko Widodo

Se dietro ai fatti di ieri ci sia qualche burattinaio locale è presto per dirlo ma nel conto bisogna metterci anche questa ipotesi se non si vuole che il brand Daesh serva a insabbiare possibili piste dove si muovono i protagonisti di un’epoca che ancora non è passata. Anzi, proprio il nuovo segno della politica indonesiana, incarnata dall’outsider Joko Widodo, deve mettere in guardia. Quando si presentò alle presidenziali del 2014 sfidò nientemeno che un genero di Suharto, primo marito di Titiek, la più giovane delle figlie dell’ex dittatore ormai defunto. A Prabowo Subianto, ex generale e uomo d’affari, guardava proprio il vecchio mondo del crony capitalism e dei nostalgici della dittatura. Jokowi vinse. Ma quelle forze oscure che rimpiangono il passato sono tutt’altro che sconfitte: prova ne sia che a distanza ormai di cinquantanni è ancora vietato discutere del golpe del 1965 e delle stragi che ne seguirono. E’ in quell’oscura trama di interessi che Daesh o chi per lui può trovare alleati. Ancor prima che tra qualche giovane dei sobborghi di Jakarta o di Bandung abbagliato dall’utopia jihadista di Al Bagdadi.

Giacarta, nuovi progetti e vecchie nostalgie

Può rassicurarci, oltreché allarmarci, sostenere che Giacarta è come Parigi e Istanbul. Che Daesh ha un progetto globale e che il Paese delle 13mila isole è il tassello più gustoso del Califfato allargato. Ma la targa Stato islamico sull’attentato di Jakarta non deve farci dimenticare di che Paese parliamo. Ogni nazione ha una storia nella quale il jihadismo, al netto dell’imperscrutabile richiamo che esercita sopratutto su alcuni giovani musulmani, può giocare un ruolo eterodiretto. E non solo da Raqqa.

L‘Indonesia, fino ad allora sopratutto meta turistica e, per i più edotti l’ex regno di una dittatura ultratrentennale, fece parlare di sé nel 2002 con la bomba di Bali. Duecentodue morti in maggioranza stranieri quando ancora colpire i turisti era una novità. Le indagini, indirizzate sulla Jemaah Islamiyah e sul controverso guru islamico Abu Bakar Bashir, rivelarono piste che puzzavano di bruciato. Alcune infatti portavano più in là del jihadismo locale, tutto sommato un fenomeno – oggi come allora – residuale. Portavano a figure oscure che si muovevano tra la potente malavita indonesiana, ricchi businessman, settori dell’esercito, l’unico soggetto in grado di possedere esplosivi e che vantava una lunga storia di infiltrazioni nei movimenti islamisti e settari perché servissero a scatenare il caos: prima in funzione anti comunista, poi – dopo il golpe del 1965 e con l’avvento di Suharto – per controllare possibili ribelli. Poi ancora – nella nuova e fragile stagione di una neonata democrazia – per poter di nuovo servirsi del caos e instillare l’idea che un ritorno della vecchia guardia al potere fosse la panacea: ordine, la stessa parola che aveva segnato la stagione del dittatore che l’aveva appunto chiamata Orde Baru, ordine nuovo.

Dunque malavita, potentati economici legati al crony capitalism della famiglia Suharto, pezzi dei servizi militari deviati e riconducibili al periodo della dittatura. Questa società nascosta e segreta aveva e ha in odio la nuova stagione democratica. Se n’è fatta in parte una ragione ma rimpiange la belle epoque della dittatura. Legami diretti tra la stagione stragista iniziata nel 2002 (e ripetutasi sino al 2009 con le bombe negli alberghi e poi ancora, solo qualche tempo fa, con un’esplosione davanti alla casa del sindaco di Bandung) non son mai stati dimostrati ma a tratti i nomi di qualche businessman o di qualche agente o di qualche militare saltava fuori. Poi – complice una magistratura molto morbida – le sigle Al Qaeda e Jemaah Islamiyah coprivano tutto.

Joko Widodo

Se dietro ai fatti di ieri ci sia qualche burattinaio locale è presto per dirlo ma nel conto bisogna metterci anche questa ipotesi se non si vuole che il brand Daesh serva a insabbiare possibili piste dove si muovono i protagonisti di un’epoca che ancora non è passata. Anzi, proprio il nuovo segno della politica indonesiana, incarnata dall’outsider Joko Widodo, deve mettere in guardia. Quando si presentò alle presidenziali del 2014 sfidò nientemeno che un genero di Suharto, primo marito di Titiek, la più giovane delle figlie dell’ex dittatore ormai defunto. A Prabowo Subianto, ex generale e uomo d’affari, guardava proprio il vecchio mondo del crony capitalism e dei nostalgici della dittatura. Jokowi vinse. Ma quelle forze oscure che rimpiangono il passato sono tutt’altro che sconfitte: prova ne sia che a distanza ormai di cinquantanni è ancora vietato discutere del golpe del 1965 e delle stragi che ne seguirono. E’ in quell’oscura trama di interessi che Daesh o chi per lui può trovare alleati. Ancor prima che tra qualche giovane dei sobborghi di Jakarta o di Bandung abbagliato dall’utopia jihadista di Al Bagdadi.

Le iniziative dei rifugiati per guadagnarsi la fiducia dei tedeschi

Di Suleiman Abdallah. The Huffington Post Arabi (13/01/2016). Traduzione e sintesi di Paola Conti. In Germania si continua a discutere della “notte della vergogna” di Colonia, come è stata descritta dalla stampa tedesca, non solo a livello ufficiale e popolare, ma anche per quel che riguarda il clima di diffidenza e sospetto con cui milioni di […]

L’articolo Le iniziative dei rifugiati per guadagnarsi la fiducia dei tedeschi sembra essere il primo su Arabpress.

Giacarta come Parigi? Si fa presto a dire Daesh

Con i brand, le attribuzioni, le sigle la prudenza è una buona consigliera – anche in presenza di una rivendicazione – quando il gioco si fa duro. Si fa duro nel quartiere dello shopping e degli affari di Giacarta dove, al centro commerciale Sarinah, van le coppiette a bere frullati e le mamme a far spesa per i figlioli. Si fa duro e non è la prima volta se è vero che, sotto Natale, la polizia indonesiana ha arrestato un gruppo di probabili attivisti di Daesh, probabili responsabili di una bomba davanti alla casa di un sindaco e di un piano per colpire la capitale e altre città. Piano che sarebbe stato, e il condizionale resta d’obbligo, finanziato direttamente con risorse siriane: cash proveniente da Raqqa per accendere la miccia jihadista nel Paese musulmano più popoloso del pianeta. Può bastare per dire che sì, Giacarta è come Parigi e Istanbul e il califfo è sbarcato a Oriente del profeta?

Continua su Pagina99

Giacarta come Parigi? Si fa presto a dire Daesh

Con i brand, le attribuzioni, le sigle la prudenza è una buona consigliera – anche in presenza di una rivendicazione – quando il gioco si fa duro. Si fa duro nel quartiere dello shopping e degli affari di Giacarta dove, al centro commerciale Sarinah, van le coppiette a bere frullati e le mamme a far spesa per i figlioli. Si fa duro e non è la prima volta se è vero che, sotto Natale, la polizia indonesiana ha arrestato un gruppo di probabili attivisti di Daesh, probabili responsabili di una bomba davanti alla casa di un sindaco e di un piano per colpire la capitale e altre città. Piano che sarebbe stato, e il condizionale resta d’obbligo, finanziato direttamente con risorse siriane: cash proveniente da Raqqa per accendere la miccia jihadista nel Paese musulmano più popoloso del pianeta. Può bastare per dire che sì, Giacarta è come Parigi e Istanbul e il califfo è sbarcato a Oriente del profeta?

Continua su Pagina99

Giacarta come Parigi? Si fa presto a dire Daesh

Con i brand, le attribuzioni, le sigle la prudenza è una buona consigliera – anche in presenza di una rivendicazione – quando il gioco si fa duro. Si fa duro nel quartiere dello shopping e degli affari di Giacarta dove, al centro commerciale Sarinah, van le coppiette a bere frullati e le mamme a far spesa per i figlioli. Si fa duro e non è la prima volta se è vero che, sotto Natale, la polizia indonesiana ha arrestato un gruppo di probabili attivisti di Daesh, probabili responsabili di una bomba davanti alla casa di un sindaco e di un piano per colpire la capitale e altre città. Piano che sarebbe stato, e il condizionale resta d’obbligo, finanziato direttamente con risorse siriane: cash proveniente da Raqqa per accendere la miccia jihadista nel Paese musulmano più popoloso del pianeta. Può bastare per dire che sì, Giacarta è come Parigi e Istanbul e il califfo è sbarcato a Oriente del profeta?

Continua su Pagina99

Iraq: dall’idolo all’adorazione degli idoli

Di Abdulrahman Dara Sulemain. Elaph (12/01/2016). Traduzione e sintesi di Laura Giacobbo. La caduta nel vuoto è la conseguenza logica della sostituzione del sistema politico. L’entrata in un luogo privo di gravità e di peso, il vagare nelle tenebre non è una scelta. L’élite politica è formata da coloro che hanno collezionato lunghe esperienze nella […]

L’articolo Iraq: dall’idolo all’adorazione degli idoli sembra essere il primo su Arabpress.

Danza: Pixel, la creazione di Mourad Merzouki (video)

Dalla sua creazione nel 2014, Pixel è andato in scena 194 volte in 99 città. Mourad Merzouki, francese di origini algerine, ha realizzato questo spettacolo in cui il video e l’arte dei numeri incontrano l’hip-hop. “Siamo continuamente sottoposti a immagini, video, numeri. Gli schermi ci circondano ed è sufficiente attraversare le grandi metropoli di alcuni paesi del […]

L’articolo Danza: Pixel, la creazione di Mourad Merzouki (video) sembra essere il primo su Arabpress.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

di Campagna #freeAshraf

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista di origine palestinese, nato e residente in Arabia Saudita, è detenuto da oltre due anni nel carcere di Abha, in Arabia Saudita. Fayadh, che fa parte del collettivo di artisti di Edge of Arabia e che nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia, nel 2014 è stato arrestato nella città di Abha dalla polizia religiosa saudita con l’accusa di apostasia e di diffusione dell’ateismo con la sua raccolta poetica Le istruzioni sono all’interno (Dar al-Farabi, Beirut, 2007).…

#FreeAshraf – Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

La Guerra Fredda in Medio Oriente si riscalda

Di Bernard Haykel. L’Orient Le Jour (12/01/2016). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia. La rottura delle relazioni diplomatiche tra l’Iran e l’Arabia Saudita sono pericolose in una regione che è già instabile e in preda alla guerra. L’elemento che ha fatto scattare la tensione è stata l’esecuzione dello sceicco Nimr al-Nimr, ma la discordia ha come origine […]

L’articolo La Guerra Fredda in Medio Oriente si riscalda sembra essere il primo su Arabpress.

Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh (e per la libertà)

Il poeta palestinese detenuto da oltre 2 anni in Arabia Saudita con l’accusa di apostasia è stato condannato a morte. Un’iniziativa internazionale ne chiede la liberazione, arrivando anche in Italia. OssIraq, insieme ad altre testate, aderisce e pubblica le sue poesie, per la prima volta tradotte in italiano grazie al contributo volontario di studiosi e arabisti. 

 

 

Ashraf Fayadh ha 35 anni ed è un poeta.

14 Gennaio 2016
di: 
Redazione

Israele. L’estremismo fondamentalista dei “Giovani delle Colline”

Le organizzazioni giovanili fondamentaliste ebraiche rappresentano un altro volto dell’occupazione in Cisgiordania. Spesso vere e proprie cellule terroristiche che condividono un’ideologia messianica, come dimostrano i documenti raccolti dallo ShinBet sul caso di Douma. 

 

 

14 Gennaio 2016
di: 
Claudia De Martino e Federica De Giorgi*

In viaggio con Ibn Battuta

ibn 110Fotografie di Roberto Ferrario. Un percorso per immagini attraverso 18 Paesi e due continenti sulle orme del grande esploratore berbero. Inaugurazione della mostra il 14 gennaio 2016, ore 18 a Torino, al centro culturale Dar al-Hikma. Resterà fino al 6 febbraio.

In viaggio con Ibn Battuta

ibn 110Fotografie di Roberto Ferrario. Un percorso per immagini attraverso 18 Paesi e due continenti sulle orme del grande esploratore berbero. Inaugurazione della mostra il 14 gennaio 2016, ore 18 a Torino, al centro culturale Dar al-Hikma. Resterà fino al 6 febbraio.

Clima, ultima chiamata

accord 110Scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari, desertificazione, piccole isole destinate a scomparire e crisi idriche. Le analisi di alcuni dei massimi esperti mondiali di climatologia sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici emerse al “XII Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura” organizzato da Greenaccord a Rieti.

Clima, ultima chiamata

accord 110Scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari, desertificazione, piccole isole destinate a scomparire e crisi idriche. Le analisi di alcuni dei massimi esperti mondiali di climatologia sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici emerse al “XII Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura” organizzato da Greenaccord a Rieti.

14 gennaio 2011

Un po’ di memoria. 4 anni fa la rivoluzione tunisina registrò la sua vittoria. Ben Ali scappò in Arabia Saudita, il rifugio dei tiranni. Può essere utile ricordarsi di quello […]

La Colonia in sé e la Colonia in te

Smettiamo di sentirci superiori. Non abbiamo niente da insegnare a chi arriva qui. Tra il nostro mondo e il loro c’è solo una fragile barriera, perché in fondo si pensa che la libertà delle donne sia già troppa. Il punto di vista di Giulia Blasi (che ci sentiamo di condividere). 

 

 

14 Gennaio 2016
di: 
Giulia Blasi*

In solidarietà con Ashraf Fayadh

#FreeAshraf Riprendo le parole di Chiara Comito di “editoria araba” per offrire un riassunto sulla vicenda del poeta palestinese Ashraf Fayadh. Condivido anche l’elenco degli appuntamenti italiani di quest’oggi che fanno parte della campagna internazionale Life and Freedom for Ashraf Fayadh – Wordwide reading, oggi in contemporanea in 43 paesi per parlare del caso dell’artista condannato alla […]

Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

Originally posted on editoriaraba:
Oggi in tutto il mondo si terranno reading e incontri per parlare del caso dell’artista palestinese Ashraf Fayadh, condannato alla pena capitale in Arabia Saudita. In questo post di oggi troverete il punto sulla vicenda, le traduzioni in italiano delle poesie e l’elenco degli appuntamenti italiani che fanno parte della campagna…

Iran: implementation day sul nucleare entro domenica

(Agenzie). Il tanto atteso annuncio sull’intesa nucleare è finalmente arrivato. L’implementation day è previsto “entro sabato o domenica”, ha dichiarato il viceministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi, citato dalla tv di stato Press Tv. È quindi confermata la piena entrata in vigore dell’accordo di Vienna e la conseguente revoca delle sanzioni. Il ministro Javad Zarif e […]

L’articolo Iran: implementation day sul nucleare entro domenica sembra essere il primo su Arabpress.

Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

Oggi in tutto il mondo si terranno reading e incontri per parlare del caso dell’artista palestinese Ashraf Fayadh, condannato alla pena capitale in Arabia Saudita. In questo post di oggi troverete il punto sulla vicenda, le traduzioni in italiano delle poesie e l’elenco degli appuntamenti italiani che fanno parte della campagna internazionale Life and Freedom … Continua a leggere Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

Salvare Ashraf Fayadh

#FreeAshrafFayadh Oggi è una giornata speciale, non solo per Ashraf Fayadh. Oggi è una giornata speciale, diversa da quelle alle quali abbiamo assistito in queste ultime settimane. Così piene di dolore, lutti, sangue, terrore, stereotipi, falsità, luoghi comuni, razzismo. Oggi è una giornata dedicata a una persona, a un uomo, a un poeta: un attoRead more

Arabia Saudita: arrestata la sorella del blogger Raif Badawi

(Agenzie). Samar Badawi, sorella del blogger saudita Raif Badawi, condannato a 10 anni di prigione e 1000 frustate nel 2014, è stata arrestata martedì a Gedda. La donna, un avvocato per i diritti umani, era insieme alla figlia di due anni, è stata interrogata per 4 ore e trasferita nel carcere della città di Dhahran, […]

L’articolo Arabia Saudita: arrestata la sorella del blogger Raif Badawi sembra essere il primo su Arabpress.

#FreeAshraf

Come già scritto in un post precedente, oggi si tengono in tutto il mondo reading delle poesie di Ashraf Fayadh. Anche in Italia, sono previsti eventi a Milano-Napoli-La Spezia-Bologna-Pescara-Bari-Sassari-Villacidro-Ravenna-Formia-Pontedera-Spinea-Roma, grazie all’interessamento di Chiara Comito. A Milano ci vediamo alle ore … Continua a leggere

#FreeAshraf
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

#FreeAshraf

Come già scritto in un post precedente, oggi si tengono in tutto il mondo reading delle poesie di Ashraf Fayadh. Anche in Italia, sono previsti eventi a Milano-Napoli-La Spezia-Bologna-Pescara-Bari-Sassari-Villacidro-Ravenna-Formia-Pontedera-Spinea-Roma, grazie all’interessamento di Chiara Comito. A Milano ci vediamo alle ore … Continua a leggere

#FreeAshraf
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

“Islamico” e “islamista”, significato e uso

Islamico  e  islamista: valore semantico dei suffissi italiani e uso giornalistico dei termini […] L’aggettivo e il sostantivo islamico  derivano dal nome arabo Islām (إسلام), che designa la fede musulmana, ma anche il sistema politico-culturale correlato, e ancora l’insieme delle nazioni che professano tale religione; a Islam si aggiunge il suffisso -ico. Islamista, aggettivo e […]

La Turchia si rende finalmente conto della minaccia di Daesh

Di Mustafa Akyol. Al-Jazeera (13/01/2016). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi. Il 12 gennaio, in una soleggiata giornata d’inverno, Istanbul è stata colpita nel suo luogo più turistico: un attentatore suicida si è fatto esplodere di fronte alla Moschea Blu, proprio affianco all’obelisco egizio. Le vittime dirette sono turisti stranieri – dieci in tutto, di cui […]

L’articolo La Turchia si rende finalmente conto della minaccia di Daesh sembra essere il primo su Arabpress.

Compleanni: i vent’anni della Tavola della pace

La Tavola della pace, quel collettivo di uomini e donne che ogni anno organizzano la marcia Perugia Assisi e che continuano a preoccuparsi dei diritti di tutti, compie vent’anni. 20 anni. Il compleanno lo ha festeggiato a Senigallia  qualche giorno fa dove aveva organizzato un percorso formativo sui conflitti per docenti della scuola secondaria (previsti 150 ma arrivati in 250!). La Tavola ha avuto, specie in tempi recenti, momenti difficili e sopratutto li ha avuti il suo referente storico, Flavio Lotti, accusato persino di aver distratto fondi! Lui – e la gente che tutti i giorni gli dà una mano come sua moglie Randa o Emanuela o Ivetta e tanti altri – è finito a un certo punto nella macchina del fango dopo aver scelto di candidarsi alle politiche (improvvidamente forse ma solo – in realtà –  perché non è stato eletto e in politica perdere diventa subito un peccato di superbia). Tant’è, quel periodo è forse alle spalle. Molti non lo hanno mai abbandonato, altri adesso sono meno concentrati su di lui, altri ancora – saggiamente – preferiscono mettere una pietra sopra a una vicenda triste che ha diviso ancora di più il movimento per la pace. La Tavola adesso continua comunque ad andare avanti e in un processo che coinvolge enti locali, scuole, associazioni di base, cattoliche e non, cittadini senza sigle.

A Kabul con la bandiera della pace sulla collina
che sovrasta la capitale afgana

Per quel che mi riguarda sono da diversi anni un suo sostenitore pur essendo un laico impenitente. Durante le mie battaglie per l’Afghanistan, la Tavola non ha mai mancato di fornirmi aiuto e sostegno e non posso dimenticarlo. Con una decina fra loro andammo a Kabul a sventolare, sulla città martire, la bandiera multicolore. E’ ovviamente la cosa che ricordo con maggior commozione. Ma al di là dell’Afghanistan ne condivido gli obiettivi generali e mi pace far parte di questa comunità allargata che rappresenta specificità diverse. Per saperne di più posto qui un link che fa un po’ la storia della Tavola. Una storia in divenire ovviamente.
Come Senigallia, nel week end appena trascorso, ha ampiamente dimostrato.

Leggere: Com’è nata la Tavola della pace

A Senigallia con la bandiera della pace qualche giorno fa. Sullo sfondo la famosa rotonda dove si è tenuto il meeting

La terra è per tutti

Ieri ho avuto il privilegio di conoscere Imed Soltani, che in questi giorni fa da portavoce, in Italia, all’associazione tunisina La terre pour tous. La sua e altre 153 famiglie […]

Afghanistan: esplosione vicino al consolato del Pakistan

(Agenzie). Un’esplosione e subito dopo una sparatoria nei pressi del consolato pakistano a Jalalabad, in Afghanistan. Attaullah Khogyani, portavoce del governo della provincia di Nangarhar, ha detto che il bilancio dell’esplosione è di due morti e due feriti. La polizia ha setacciato l’area ma i dettagli restano poco chiari. L’assalto è l’ennesimo di una serie di violenze urbane […]

L’articolo Afghanistan: esplosione vicino al consolato del Pakistan sembra essere il primo su Arabpress.

Pakistan: 15 morti in attentato al centro anti-polio

(Agenzie). Sono 15 morti e dieci feriti le vittime dell’attentato avvenuto in un centro di vaccinazione contro la poliomielite a Quetta, in Pakistan. Le vittime sono quasi tutte agenti di polizia. L’attentato al centro antipolio sarebbe stato portato a termine da un kamikaze, secondo il ministero dell’Interno del Baluchistan. Testimoni oculari hanno riferito ai media che l’esplosione è stata seguita da una […]

L’articolo Pakistan: 15 morti in attentato al centro anti-polio sembra essere il primo su Arabpress.

Incontro a Roma: Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh

Ashraf Fayadh è un poeta e artista di origine palestinese nato e residente in Arabia Saudita. Fa parte del collettivo di artisti anglo-sauditi Edge of Arabia, e nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia. Da più di due anni è detenuto in un carcere ad Abha, in Arabia Saudita, con l’accusa […]

L’articolo Incontro a Roma: Conversazioni poetiche per Ashraf Fayadh sembra essere il primo su Arabpress.

Novità Editoriali: “Le mani dell’assassino” di Tareq Imam

Il 14 gennaio uscirà in libreria il romanzo “Le mani dell’assassino” dello scrittore egiziano Iman Tareq. Racconta la storia di Salem, impiegato dell’Organismo Centrale per le Statistiche e la Mobilità Pubblica, è discendente di una stirpe di assassini. Fedele ai precetti dei suoi antenati, Salem si aggira per la città mettendo in pratica gli insegnamenti […]

L’articolo Novità Editoriali: “Le mani dell’assassino” di Tareq Imam sembra essere il primo su Arabpress.

Il successo della donna egiziana

Di ‘Ali Ibrahim. Asharq al-Awsat (12/01/2016). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti. Sembra che la politica internazionale sia in certa misura governata dalle suggestioni, a prescindere dai fatti sul terreno e senza tentare di comprendere realmente ciò che sta accadendo. Questa impressione deriva dalla posizione assunta da molti in Occidente rispetto agli sviluppi in Egitto […]

L’articolo Il successo della donna egiziana sembra essere il primo su Arabpress.

Annunciati i candidati al Premio internazionale per la narrativa araba 2016

Ieri sono stati ufficialmente annunciati i titoli dei sedici romanzi che concorrono per la nona edizione del Premio internazionale per il romanzo arabo (IPAF/Arabic Booker). I libri sono stati selezionati da un giuria, ancora segreta, su un totale di 159 romanzi pubblicati in arabo negli ultimi 12 mesi e provenienti da 18 paesi. L’Egitto la fa … Continua a leggere Annunciati i candidati al Premio internazionale per la narrativa araba 2016

La Scissione online

Il mio primo libro è uscito nel 1990. Era una dettagliata, dettagliatissima ricerca sulle origini della Scissione di Palazzo Barberini e la nascita della socialdemocrazia italiana tra 1945 e 1947. Fonti primarie, interviste, archivi in giro per l’Europa e negli Stati Uniti: anni di lavoro, duri e in alcuni momenti molto belli. Ho visto cheRead more

Attacco al cuore dell’Europa

Istanbul è Costantinopoli, nel senso che la parola “Istanbul” è un succedaneo del termine con cui Costantino, il pontifex maximus, ribattezzò Bisanzio, l’11 maggio del 330. “Istan”, sta per “Costantino” […]

Siria: Assad sta scegliendo la sua opposizione

Di Raed Omari. Al-Arabiya (11/01/2016). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello. Il ministro degli Esteri siriano Walid Muallem ha chiesto una lista delle “organizzazioni terroristiche” in vista dei prossimi colloqui di pace. Ma cosa dice del suo regime che dal 2011 è stato responsabile di 300.000 morti? E che dire dello shock provocato a […]

L’articolo Siria: Assad sta scegliendo la sua opposizione sembra essere il primo su Arabpress.

Marocco: sepolta viva (quasi)

Dichiarata morta, una donna stava per essere sepolta viva prima che i parenti si rendessero conto che ancora respirava. Lo riporta il sito marocchino Bladi.net. Fatima Nabil, il nome della 57enne data per deceduta, aveva già raggiunto il cimitero di Berrechid, a 40 km da Casablanca, quando fortunatamente i parenti, sentendo dei sospiri, le hanno […]

L’articolo Marocco: sepolta viva (quasi) sembra essere il primo su Arabpress.

Tunisia: scoperto un fossile di coccodrillo di 10 metri

(Agenzie). Machimosaurus rex, così l’hanno chiamato gli scienziati, misura circa 10 metri per 3 tonnellate di peso. Stiamo parlando del fossile di coccodrillo marino riesumato nel deserto tunisino, il più grande mai scoperto nella sua categoria. L’annuncio è stato dato lunedì dalla rivista scientifica Cretaceous Research. Dell’immensa bestia, vissuta 120 milioni di anni fa, restano il cranio e qualche osso, […]

L’articolo Tunisia: scoperto un fossile di coccodrillo di 10 metri sembra essere il primo su Arabpress.

Turchia: 10 morti e 15 feriti nell’esplosione a Istanbul (video)

(Agenzie). Ancora ignote le cause dell’esplosione avvenuta martedì mattina a Istanbul, nel quartiere Sultanahmet, l’epicentro turistico della città. Sono almeno 10 i morti e 15 i feriti. Tra le vittime 9 sono cittadini tedeschi. Secondo alcune fonti, un kamikaze si è fatto esplodere vicino a un gruppo di turisti europei. Le forze di polizia e le ambulanze […]

L’articolo Turchia: 10 morti e 15 feriti nell’esplosione a Istanbul (video) sembra essere il primo su Arabpress.

Iraq: pericolo di costruzione di una trincea curda

Di Osama Mahdy. Elaph (10/01/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio. L’approssimarsi della conclusione dei lavori di una trincea curda intorno alla regione del Kurdistan iracheno ha fatto nascere il timore a Baghdad di una possibile divisione della regione e di separazione dell’Iraq stesso. Fonti irachene hanno diffuso lo stesso timore asserendo che lo scopo ultimo della […]

L’articolo Iraq: pericolo di costruzione di una trincea curda sembra essere il primo su Arabpress.

Il processo di pace "must go on" (per ora senza i talebani)

Pace in salita. La scalata
la guida il Pakistan

Per adesso la montagna ha partorito un topolino ma non era immaginabile andare oltre. Riunitosi ieri per la prima volta a Islamabad, il Quadrilateral Coordination Committee, che comprende Afghanistan, Pakistan, Cina e Usa, ha fissato il suo secondo incontro a Kabul fra una settimana e ha sopratutto messo nero su bianco che il negoziato di pace coi talebani deve andare avanti. Come? Si vedrà.

Alla riunione c’erano per il Pakistan il ministro degli Esteri Aizaz Ahmad Chaudhry e Sartaj Aziz, ascoltato consigliere del premier Nawaz Sharif, per l’Afghanistan il vice ministro degli esteri Hekmat Khalil Karzai, e gli inviati speciali americano e cinese: Richard Olson e Deng Xijun. Dietro le quinte, il potentissimo capo delle forze armate pachistane Raheel Sharif, l’architetto di questa nuova stagione negoziale. Tutti favorevoli al processo di pace ma, per ora, senza i talebani, rimasti il convitato di pietra di questo incontro quadrangolare dove erano presenti i principali protagonisti della guerra afgana. Un incontro (il primo) tra governo e talebani si era tenuto in Pakistan in luglio ma tutto era poi collassato sia per l’annuncio della morte di mullah Omar sia per le polemiche interne ai talebani sull’opportunità di parteciparvi. Infine, ai colloqui era seguita un’ondata di attentati e stragi, spesso senza rivendicazione, che avevano fatto montare un fortissimo sentimento anti pachistano negli afgani: clima che ha richiesto mesi per ricucire lo strappo.

L’inviato speciale per l’Afghanistan
ambasciatore Deng Xijun.
I cinesi stanno giocando la partita

Per ora dunque c’è almeno un accordo di principio e una “road map” da negoziare il 18 gennaio assieme forse a una lista top secret in cui il Pakistan avrebbe messo i nomi dei talebani disposti al dialogo. Tra loro ci sarebbe anche il capo, mullah Mansur, che viene considerato più malleabile di Omar.
 Ma sono solo illazioni e per ora restano una notizia  senza conferme da parte del movimento in turbante.

Alla vigilia dell’appuntamento di Islamabad ha intanto visto la luce l’ennesimo rapporto sulla situazione militare. Si tratta, ha scritto il magazine tedesco Der Spiegel, di un dossier “segreto” della Nato di cui il settimanale è venuto in possesso. Il rapporto, in totale controtendenza rispetto a quello del Pentagono presentato al Congresso americano a fine anno, non risparmia nulla alle forze di sicurezza afgane, incapaci, secondo la Nato, di far fronte alla minaccia talebana. Spiegel scrive che secondo l’Alleanza solo uno dei 101 battaglioni di fanteria è “pronto per il combattimento” e che dieci battaglioni non sarebbero nemmeno in grado di essere operativi. Benzina sul fuoco poi ce la mette proprio un americano, il generale John Campbell che dall’agosto 2014 è al comando della missione Resolute Support che ha sostituito Isaf con soli compiti di addestramento. I talebani avrebbero il controllo di fette di Paese sempre più vaste mentre – aggiunge il rapporto – e continua a salire il numero dei morti: nel solo 2015 oltre 8mila vittime militari afgane (una media di 22 al giorno) con perdite aumentate del 42% rispetto all’anno prima.

Alla Nato non sono soddisfatti: mirano
a far crescere Resolute Support?

I conti non tornano se il rapporto del Pentagono era assai più moderato nel giudizio e se la stessa missione di sostegno e formazione della Nato finisce, indirettamente, per ammettere di non essere in grado di fornire l’addestramento necessario. Viene da chiedersi se dietro al dossier “top secret”, che è però finito sui giornali, non ci sia il desiderio di aumentare Resolute Support chiedendo ai Paesi aderenti di far crescere i propri contingenti. Certo il problema esiste: proprio ieri il presidente della Commissione sicurezza dalla Camera, Mirdad Nejrabi, ha accusato il governo di non essere in grado di gestire la guerra. Accusa accompagnata dalle rivelazioni di Karim Atal a capo del Consiglio provinciale dell’Helmand del Sud secondo cui il 40% dei soldati di stanza nell’area sarebbero “fantasmi” i cui salari andrebbero nelle tasche dei comandanti. E ce n’è ancora per il presidente Ghani, sotto schiaffo perché accusato di mettere in piedi commissioni di indagine che non approdano a nulla, come nel caso della caduta di Kunduz in mano ai talebani l’anno scorso sulla quale ancora si aspetta un rapporto dettagliato. Inverno difficile e una primavera che rischia di portare, con la stagione secca, nuovi guai sul piano militare e su quello politico.

Il processo di pace "must go on" (per ora senza i talebani)

Pace in salita. La scalata
la guida il Pakistan

Per adesso la montagna ha partorito un topolino ma non era immaginabile andare oltre. Riunitosi ieri per la prima volta a Islamabad, il Quadrilateral Coordination Committee, che comprende Afghanistan, Pakistan, Cina e Usa, ha fissato il suo secondo incontro a Kabul fra una settimana e ha sopratutto messo nero su bianco che il negoziato di pace coi talebani deve andare avanti. Come? Si vedrà.

Alla riunione c’erano per il Pakistan il ministro degli Esteri Aizaz Ahmad Chaudhry e Sartaj Aziz, ascoltato consigliere del premier Nawaz Sharif, per l’Afghanistan il vice ministro degli esteri Hekmat Khalil Karzai, e gli inviati speciali americano e cinese: Richard Olson e Deng Xijun. Dietro le quinte, il potentissimo capo delle forze armate pachistane Raheel Sharif, l’architetto di questa nuova stagione negoziale. Tutti favorevoli al processo di pace ma, per ora, senza i talebani, rimasti il convitato di pietra di questo incontro quadrangolare dove erano presenti i principali protagonisti della guerra afgana. Un incontro (il primo) tra governo e talebani si era tenuto in Pakistan in luglio ma tutto era poi collassato sia per l’annuncio della morte di mullah Omar sia per le polemiche interne ai talebani sull’opportunità di parteciparvi. Infine, ai colloqui era seguita un’ondata di attentati e stragi, spesso senza rivendicazione, che avevano fatto montare un fortissimo sentimento anti pachistano negli afgani: clima che ha richiesto mesi per ricucire lo strappo.

L’inviato speciale per l’Afghanistan
ambasciatore Deng Xijun.
I cinesi stanno giocando la partita

Per ora dunque c’è almeno un accordo di principio e una “road map” da negoziare il 18 gennaio assieme forse a una lista top secret in cui il Pakistan avrebbe messo i nomi dei talebani disposti al dialogo. Tra loro ci sarebbe anche il capo, mullah Mansur, che viene considerato più malleabile di Omar.
 Ma sono solo illazioni e per ora restano una notizia  senza conferme da parte del movimento in turbante.

Alla vigilia dell’appuntamento di Islamabad ha intanto visto la luce l’ennesimo rapporto sulla situazione militare. Si tratta, ha scritto il magazine tedesco Der Spiegel, di un dossier “segreto” della Nato di cui il settimanale è venuto in possesso. Il rapporto, in totale controtendenza rispetto a quello del Pentagono presentato al Congresso americano a fine anno, non risparmia nulla alle forze di sicurezza afgane, incapaci, secondo la Nato, di far fronte alla minaccia talebana. Spiegel scrive che secondo l’Alleanza solo uno dei 101 battaglioni di fanteria è “pronto per il combattimento” e che dieci battaglioni non sarebbero nemmeno in grado di essere operativi. Benzina sul fuoco poi ce la mette proprio un americano, il generale John Campbell che dall’agosto 2014 è al comando della missione Resolute Support che ha sostituito Isaf con soli compiti di addestramento. I talebani avrebbero il controllo di fette di Paese sempre più vaste mentre – aggiunge il rapporto – e continua a salire il numero dei morti: nel solo 2015 oltre 8mila vittime militari afgane (una media di 22 al giorno) con perdite aumentate del 42% rispetto all’anno prima.

Alla Nato non sono soddisfatti: mirano
a far crescere Resolute Support?

I conti non tornano se il rapporto del Pentagono era assai più moderato nel giudizio e se la stessa missione di sostegno e formazione della Nato finisce, indirettamente, per ammettere di non essere in grado di fornire l’addestramento necessario. Viene da chiedersi se dietro al dossier “top secret”, che è però finito sui giornali, non ci sia il desiderio di aumentare Resolute Support chiedendo ai Paesi aderenti di far crescere i propri contingenti. Certo il problema esiste: proprio ieri il presidente della Commissione sicurezza dalla Camera, Mirdad Nejrabi, ha accusato il governo di non essere in grado di gestire la guerra. Accusa accompagnata dalle rivelazioni di Karim Atal a capo del Consiglio provinciale dell’Helmand del Sud secondo cui il 40% dei soldati di stanza nell’area sarebbero “fantasmi” i cui salari andrebbero nelle tasche dei comandanti. E ce n’è ancora per il presidente Ghani, sotto schiaffo perché accusato di mettere in piedi commissioni di indagine che non approdano a nulla, come nel caso della caduta di Kunduz in mano ai talebani l’anno scorso sulla quale ancora si aspetta un rapporto dettagliato. Inverno difficile e una primavera che rischia di portare, con la stagione secca, nuovi guai sul piano militare e su quello politico.

Il processo di pace "must go on" (per ora senza i talebani)

Pace in salita. La scalata
la guida il Pakistan

Per adesso la montagna ha partorito un topolino ma non era immaginabile andare oltre. Riunitosi ieri per la prima volta a Islamabad, il Quadrilateral Coordination Committee, che comprende Afghanistan, Pakistan, Cina e Usa, ha fissato il suo secondo incontro a Kabul fra una settimana e ha sopratutto messo nero su bianco che il negoziato di pace coi talebani deve andare avanti. Come? Si vedrà.

Alla riunione c’erano per il Pakistan il ministro degli Esteri Aizaz Ahmad Chaudhry e Sartaj Aziz, ascoltato consigliere del premier Nawaz Sharif, per l’Afghanistan il vice ministro degli esteri Hekmat Khalil Karzai, e gli inviati speciali americano e cinese: Richard Olson e Deng Xijun. Dietro le quinte, il potentissimo capo delle forze armate pachistane Raheel Sharif, l’architetto di questa nuova stagione negoziale. Tutti favorevoli al processo di pace ma, per ora, senza i talebani, rimasti il convitato di pietra di questo incontro quadrangolare dove erano presenti i principali protagonisti della guerra afgana. Un incontro (il primo) tra governo e talebani si era tenuto in Pakistan in luglio ma tutto era poi collassato sia per l’annuncio della morte di mullah Omar sia per le polemiche interne ai talebani sull’opportunità di parteciparvi. Infine, ai colloqui era seguita un’ondata di attentati e stragi, spesso senza rivendicazione, che avevano fatto montare un fortissimo sentimento anti pachistano negli afgani: clima che ha richiesto mesi per ricucire lo strappo.

L’inviato speciale per l’Afghanistan
ambasciatore Deng Xijun.
I cinesi stanno giocando la partita

Per ora dunque c’è almeno un accordo di principio e una “road map” da negoziare il 18 gennaio assieme forse a una lista top secret in cui il Pakistan avrebbe messo i nomi dei talebani disposti al dialogo. Tra loro ci sarebbe anche il capo, mullah Mansur, che viene considerato più malleabile di Omar.
 Ma sono solo illazioni e per ora restano una notizia  senza conferme da parte del movimento in turbante.

Alla vigilia dell’appuntamento di Islamabad ha intanto visto la luce l’ennesimo rapporto sulla situazione militare. Si tratta, ha scritto il magazine tedesco Der Spiegel, di un dossier “segreto” della Nato di cui il settimanale è venuto in possesso. Il rapporto, in totale controtendenza rispetto a quello del Pentagono presentato al Congresso americano a fine anno, non risparmia nulla alle forze di sicurezza afgane, incapaci, secondo la Nato, di far fronte alla minaccia talebana. Spiegel scrive che secondo l’Alleanza solo uno dei 101 battaglioni di fanteria è “pronto per il combattimento” e che dieci battaglioni non sarebbero nemmeno in grado di essere operativi. Benzina sul fuoco poi ce la mette proprio un americano, il generale John Campbell che dall’agosto 2014 è al comando della missione Resolute Support che ha sostituito Isaf con soli compiti di addestramento. I talebani avrebbero il controllo di fette di Paese sempre più vaste mentre – aggiunge il rapporto – e continua a salire il numero dei morti: nel solo 2015 oltre 8mila vittime militari afgane (una media di 22 al giorno) con perdite aumentate del 42% rispetto all’anno prima.

Alla Nato non sono soddisfatti: mirano
a far crescere Resolute Support?

I conti non tornano se il rapporto del Pentagono era assai più moderato nel giudizio e se la stessa missione di sostegno e formazione della Nato finisce, indirettamente, per ammettere di non essere in grado di fornire l’addestramento necessario. Viene da chiedersi se dietro al dossier “top secret”, che è però finito sui giornali, non ci sia il desiderio di aumentare Resolute Support chiedendo ai Paesi aderenti di far crescere i propri contingenti. Certo il problema esiste: proprio ieri il presidente della Commissione sicurezza dalla Camera, Mirdad Nejrabi, ha accusato il governo di non essere in grado di gestire la guerra. Accusa accompagnata dalle rivelazioni di Karim Atal a capo del Consiglio provinciale dell’Helmand del Sud secondo cui il 40% dei soldati di stanza nell’area sarebbero “fantasmi” i cui salari andrebbero nelle tasche dei comandanti. E ce n’è ancora per il presidente Ghani, sotto schiaffo perché accusato di mettere in piedi commissioni di indagine che non approdano a nulla, come nel caso della caduta di Kunduz in mano ai talebani l’anno scorso sulla quale ancora si aspetta un rapporto dettagliato. Inverno difficile e una primavera che rischia di portare, con la stagione secca, nuovi guai sul piano militare e su quello politico.

Casa, بيت bayt دار dār منزل manzil

Tre parole per casa بيت bayt (n.m.), بُيُوت ‎  buyūt / بُيُوتَات ‎  buyūtāt (pl.): casa, edificio; stanza, appartamento دار dār (n.f.), دُور ‎  dūr / دِيَار ‎  diyār / دِيَارَات ‎  diyārāt / دِيَرَة ‎  diyara (‎pl.): casa; edificio منزل manzil (n.m.), ‎ مَنَازِل ‎  manāzil (pl.): casa, dimora, abitazione   Questi tre sinonimi […]

The Syrian Revolution and the Project of Autonomy

Originally posted on P U L S E:
By Stephen Hastings-King Note: This is a revised version of a presentation I made at Hamisch, the Syrian Cultural House in Istanbul, on October 16, 2015. I would like to thank the comrades of Hamisch for their hospitality and for the chance to make something new. Then as now,…

Yemen: l’accusa di HRW ai ribelli Houthi

(Agenzie). Human Rights Watch, l’Osservatorio per i Diritti Umani, domenica ha accusato i ribelli Houthi della detenzione arbitraria di decine di opponenti nella capitale yemenita Sanaa, che governano da oltre 15 mesi. Secondo l’HRW, i ribelli sciiti, sostenuti dall’Iran, hanno arrestato 35 persone tra Agosto 2014 e ottobre 2015, 27 dei quali ancora in custodia. […]

L’articolo Yemen: l’accusa di HRW ai ribelli Houthi sembra essere il primo su Arabpress.

Aggressioni e molestie sessuali in Europa: come se Daesh non bastasse

L’opinione di Al-Quds. Al-Quds al-Arabi (08/01/2016). Traduzione e sintesi di Sofia Carola Sammartano. La polizia ha comunicato che, in numerosi paesi europei, sono state ricevute decine di denunce per aggressioni di molestie sessuali, casi di stupro e furti alle donne durante i festeggiamenti di Capodanno. Altre fonti hanno segnalato che alcuni degli accusati sono richiedenti asilo […]

L’articolo Aggressioni e molestie sessuali in Europa: come se Daesh non bastasse sembra essere il primo su Arabpress.

Il Libano partecipa al conflitto regionale senza curarsi della sicurezza

Di Denise Atallah Haddad. As-Safir (09/01/2016). Traduzione e sintesi di Federico Seibusi. Il timore che il conflitto teso fra Arabia Saudita e Iran abbia ripercussioni si riflette sul Libano: il paese infatti vive da più di dieci anni in uno stato ambiguo di guerra e pace ed attende con ansia il trionfo di una delle due. […]

L’articolo Il Libano partecipa al conflitto regionale senza curarsi della sicurezza sembra essere il primo su Arabpress.

Libia: attacchi aerei vicino Sirte

(Al-Arabiya). Un aereo non identificato ha attaccato un convoglio di Daesh nei pressi di Sirte, in Libia. La città di Sirte è da mesi sotto il controllo del gruppo terroristico che la usa come base per cercare di espandersi nel Paese. Un portavoce della Guardia dei servizi petroliferi, Ali al-Hassi, ha detto che domenica tre […]

L’articolo Libia: attacchi aerei vicino Sirte sembra essere il primo su Arabpress.

Israele: prigioniero in sciopero della fame in gravi condizioni

(Agenzie). Fonti palestinesi hanno annunciato che le condizioni del giornalista in sciopero della fame detenuto in Israele stanno peggiorando. Il ministro dei prigionieri palestinese, Issa Qaraqe ha dichiarato lunedì che Mohammed al-Qeq, al suo 48° giorno di digiuno, è in condizioni critiche. Il giornalista 33enne è stato arrestato il 21 novembre 2015 e sta scontando una […]

L’articolo Israele: prigioniero in sciopero della fame in gravi condizioni sembra essere il primo su Arabpress.

Iraq: curdi annunciano costruzione trincea attorno a regione autonoma

(Elaph). Ha suscitato non poca rabbia a Baghdad l’annuncio da parte curda della costruzione di una trincea lungo il confine della Regione autonoma del Kurdistan, notizia che aumenta i già esistenti timori di una divisione dell’Iraq. Fonti irachene hanno riferito che la costruzione della trincea è mirata a delimitare le frontiere della regione curda non […]

L’articolo Iraq: curdi annunciano costruzione trincea attorno a regione autonoma sembra essere il primo su Arabpress.

USA: Casa Bianca invita rifugiato siriano al Congresso

(Agenzie). Il presidente statunitense Barack Obama ha invitato Refaai Hamo, un rifugiato siriano, a sedere al suo fianco durante il Discorso sullo Stato dell’Unione presso il Congresso americano, che si terrà domani a Washington. Il gesto altamente simbolico di invitare Hamo, 55enne che ha lasciato la Siria nel 2013 dopo la morte dei suoi famigliari, è […]

L’articolo USA: Casa Bianca invita rifugiato siriano al Congresso sembra essere il primo su Arabpress.

Intervista a Amara Lakhous

[Ho realizzato questa intervista ad Amara molti anni fa, subito dopo averlo conosicuto e aver letto il suo “Le cimici e il pirata”, recentemente ripubblicato con un titolo diverso. La ripropongo perché mi pare molto attuale. L’intervista è stata pubblicata … Continua a leggere

Intervista a Amara Lakhous
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Intervista a Amara Lakhous

[Ho realizzato questa intervista ad Amara molti anni fa, subito dopo averlo conosicuto e aver letto il suo “Le cimici e il pirata”, recentemente ripubblicato con un titolo diverso. La ripropongo perché mi pare molto attuale. L’intervista è stata pubblicata … Continua a leggere

Intervista a Amara Lakhous
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

A Oriente del Califfo: Daesh e il Paese dei Thai /2

Benvenuti in Thailandia: un’immagine
di serenità offerta dalla compagnia di bandiera

Agli inizi del dicembre scorso i giornali tailandesi hanno reso pubblico un memo che risaliva al 27 novembre con cui l’anti terrorismo avvisava i comandi di polizia che, secondo l’intelligence di Mosca (Fsb), tra la metà e la fine di ottobre alcuni militanti siriani erano entrati in Thailandia allo scopo di attaccare turisti russi. La polizia non deve aver preso molto alla lettera le informazioni del Fsb o perlomeno, come ha poi spiegato pubblicamente, non era in grado di confermare la minaccia. Eppure il Fsb era stato molto preciso: si trattava di una decina di uomini che viaggiavano separatamente. Due si erano diretti a Bangkok, due a Phuket, altri due verso una destinazione sconosciuta e altri quattro a Pattaya, con Puket una delle più note località turistiche del Paese. Le presenze russe in Thailandia superano largamente il milione di turisti l’anno. Nel 2013 ne son venuti un milione e mezzo.

Per ora non è successo nulla ai visitatori russi e anche l’attentato che in agosto ha ucciso a Bangkok una ventina di persone – in un tempietto nel centro della capitale frequentato dai turisti – non sarebbe stato organizzato da islamisti ma da musulmani uiguri (della regione occidentale cinese dove è forte un movimento separatista) che però non sarebbero legati a movimenti politici ma al traffico di persone. Già dalle prime ore la polizia aveva escluso la pista islamica ma non è chiaro se ciò non risponda più al desiderio di tenere bassa l’attenzione che non alla realtà dei fatti. Sono troppo vicine le ferite di una guerra con la minoranza musulmana che abita le province del Sud, anche se ormai è passato qualche anno da una stagione violentissima di attentati, assalti e durissima repressione, pur se la tensione resta elevata. Per Bangkok il movimento islamico autonomista del Sud rimane un pericolo ed è abbastanza chiaro il timore che quella regione possa essere un possibile bacino di reclutamenti e nuovi problemi.

Satun, Songkhla Yala, Pattani e Narathiwat, le cinque province dove
 vive una minoranza musulmana per lo più
 di origine malese: circa il 5 % dei 68 milioni di tailandesi 

La storia è vecchia, anzi antica. Nel Sud della Thailandia ci sono cinque province (Satun, Songkhla Yala, Pattani e Narathiwat) dove vive una minoranza musulmana per lo più di origine malese, circa il 5 % dei 68 milioni di tailandesi per l’80% thai e per il 95% buddisti. Yala, Pattani e Narathiwat – aree, che con altre oggi sotto la Malaysia, formavano il sultanato semi indipendente di Pattani dal 1909 definitivamente tailandese – sono le più turbolente: lì sono nati i primi movimenti indipendentisti nella seconda metà del Novecento anche se si deve arrivare al 2001 per vedere un risveglio recente del separatismo. Con azioni cui il governo nel 2005 (e dopo una durissima repressione) ha risposto con la legge marziale e i pieni poteri nel 2006 all’esercito. Alternando bastone a carota, Bangkok ha ricompensato nel 2012 i familiari delle vittime di un’ondata di violenze che, benché non abbia più visto azioni eclatanti, non è affatto diminuita. Il Bangkok Post, nel 2012, ha reso note le stime delle vittime di quasi dieci anni di guerra: otre 5.200 morti e quasi 9mila feriti. Tra i decessi: 4.215 civili, 351 soldati, 280 poliziotti, sette monaci e 242 “sospetti insorgenti”. Una guerra che potrebbe piacere a Daesh.

La prima puntata è  uscita ieri

A Oriente del Califfo: Daesh e il Paese dei Thai /2

Benvenuti in Thailandia: un’immagine
di serenità offerta dalla compagnia di bandiera

Agli inizi del dicembre scorso i giornali tailandesi hanno reso pubblico un memo che risaliva al 27 novembre con cui l’anti terrorismo avvisava i comandi di polizia che, secondo l’intelligence di Mosca (Fsb), tra la metà e la fine di ottobre alcuni militanti siriani erano entrati in Thailandia allo scopo di attaccare turisti russi. La polizia non deve aver preso molto alla lettera le informazioni del Fsb o perlomeno, come ha poi spiegato pubblicamente, non era in grado di confermare la minaccia. Eppure il Fsb era stato molto preciso: si trattava di una decina di uomini che viaggiavano separatamente. Due si erano diretti a Bangkok, due a Phuket, altri due verso una destinazione sconosciuta e altri quattro a Pattaya, con Puket una delle più note località turistiche del Paese. Le presenze russe in Thailandia superano largamente il milione di turisti l’anno. Nel 2013 ne son venuti un milione e mezzo.

Per ora non è successo nulla ai visitatori russi e anche l’attentato che in agosto ha ucciso a Bangkok una ventina di persone – in un tempietto nel centro della capitale frequentato dai turisti – non sarebbe stato organizzato da islamisti ma da musulmani uiguri (della regione occidentale cinese dove è forte un movimento separatista) che però non sarebbero legati a movimenti politici ma al traffico di persone. Già dalle prime ore la polizia aveva escluso la pista islamica ma non è chiaro se ciò non risponda più al desiderio di tenere bassa l’attenzione che non alla realtà dei fatti. Sono troppo vicine le ferite di una guerra con la minoranza musulmana che abita le province del Sud, anche se ormai è passato qualche anno da una stagione violentissima di attentati, assalti e durissima repressione, pur se la tensione resta elevata. Per Bangkok il movimento islamico autonomista del Sud rimane un pericolo ed è abbastanza chiaro il timore che quella regione possa essere un possibile bacino di reclutamenti e nuovi problemi.

Satun, Songkhla Yala, Pattani e Narathiwat, le cinque province dove
 vive una minoranza musulmana per lo più
 di origine malese: circa il 5 % dei 68 milioni di tailandesi 

La storia è vecchia, anzi antica. Nel Sud della Thailandia ci sono cinque province (Satun, Songkhla Yala, Pattani e Narathiwat) dove vive una minoranza musulmana per lo più di origine malese, circa il 5 % dei 68 milioni di tailandesi per l’80% thai e per il 95% buddisti. Yala, Pattani e Narathiwat – aree, che con altre oggi sotto la Malaysia, formavano il sultanato semi indipendente di Pattani dal 1909 definitivamente tailandese – sono le più turbolente: lì sono nati i primi movimenti indipendentisti nella seconda metà del Novecento anche se si deve arrivare al 2001 per vedere un risveglio recente del separatismo. Con azioni cui il governo nel 2005 (e dopo una durissima repressione) ha risposto con la legge marziale e i pieni poteri nel 2006 all’esercito. Alternando bastone a carota, Bangkok ha ricompensato nel 2012 i familiari delle vittime di un’ondata di violenze che, benché non abbia più visto azioni eclatanti, non è affatto diminuita. Il Bangkok Post, nel 2012, ha reso note le stime delle vittime di quasi dieci anni di guerra: otre 5.200 morti e quasi 9mila feriti. Tra i decessi: 4.215 civili, 351 soldati, 280 poliziotti, sette monaci e 242 “sospetti insorgenti”. Una guerra che potrebbe piacere a Daesh.

La prima puntata è  uscita ieri

A Oriente del Califfo: Daesh e il Paese dei Thai /2

Benvenuti in Thailandia: un’immagine
di serenità offerta dalla compagnia di bandiera

Agli inizi del dicembre scorso i giornali tailandesi hanno reso pubblico un memo che risaliva al 27 novembre con cui l’anti terrorismo avvisava i comandi di polizia che, secondo l’intelligence di Mosca (Fsb), tra la metà e la fine di ottobre alcuni militanti siriani erano entrati in Thailandia allo scopo di attaccare turisti russi. La polizia non deve aver preso molto alla lettera le informazioni del Fsb o perlomeno, come ha poi spiegato pubblicamente, non era in grado di confermare la minaccia. Eppure il Fsb era stato molto preciso: si trattava di una decina di uomini che viaggiavano separatamente. Due si erano diretti a Bangkok, due a Phuket, altri due verso una destinazione sconosciuta e altri quattro a Pattaya, con Puket una delle più note località turistiche del Paese. Le presenze russe in Thailandia superano largamente il milione di turisti l’anno. Nel 2013 ne son venuti un milione e mezzo.

Per ora non è successo nulla ai visitatori russi e anche l’attentato che in agosto ha ucciso a Bangkok una ventina di persone – in un tempietto nel centro della capitale frequentato dai turisti – non sarebbe stato organizzato da islamisti ma da musulmani uiguri (della regione occidentale cinese dove è forte un movimento separatista) che però non sarebbero legati a movimenti politici ma al traffico di persone. Già dalle prime ore la polizia aveva escluso la pista islamica ma non è chiaro se ciò non risponda più al desiderio di tenere bassa l’attenzione che non alla realtà dei fatti. Sono troppo vicine le ferite di una guerra con la minoranza musulmana che abita le province del Sud, anche se ormai è passato qualche anno da una stagione violentissima di attentati, assalti e durissima repressione, pur se la tensione resta elevata. Per Bangkok il movimento islamico autonomista del Sud rimane un pericolo ed è abbastanza chiaro il timore che quella regione possa essere un possibile bacino di reclutamenti e nuovi problemi.

Satun, Songkhla Yala, Pattani e Narathiwat, le cinque province dove
 vive una minoranza musulmana per lo più
 di origine malese: circa il 5 % dei 68 milioni di tailandesi 

La storia è vecchia, anzi antica. Nel Sud della Thailandia ci sono cinque province (Satun, Songkhla Yala, Pattani e Narathiwat) dove vive una minoranza musulmana per lo più di origine malese, circa il 5 % dei 68 milioni di tailandesi per l’80% thai e per il 95% buddisti. Yala, Pattani e Narathiwat – aree, che con altre oggi sotto la Malaysia, formavano il sultanato semi indipendente di Pattani dal 1909 definitivamente tailandese – sono le più turbolente: lì sono nati i primi movimenti indipendentisti nella seconda metà del Novecento anche se si deve arrivare al 2001 per vedere un risveglio recente del separatismo. Con azioni cui il governo nel 2005 (e dopo una durissima repressione) ha risposto con la legge marziale e i pieni poteri nel 2006 all’esercito. Alternando bastone a carota, Bangkok ha ricompensato nel 2012 i familiari delle vittime di un’ondata di violenze che, benché non abbia più visto azioni eclatanti, non è affatto diminuita. Il Bangkok Post, nel 2012, ha reso note le stime delle vittime di quasi dieci anni di guerra: otre 5.200 morti e quasi 9mila feriti. Tra i decessi: 4.215 civili, 351 soldati, 280 poliziotti, sette monaci e 242 “sospetti insorgenti”. Una guerra che potrebbe piacere a Daesh.

La prima puntata è  uscita ieri

Il terrorismo insegue i rifugiati in Europa

Di Jihad el-Khazen. Al-Hayat (09/01/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Maria Cascone. Qualche giorno fa la cancelliera tedesca, Angela Merkel, affermava che i rifugiati avrebbero costituito un beneficio per la Nazione, oggi sollecita la polizia a proteggere le donne in tutte le città. Tra la prima e la seconda presa di posizione c’è stato un […]

L’articolo Il terrorismo insegue i rifugiati in Europa sembra essere il primo su Arabpress.

La letteratura e lo straniero

Sulla rivista tradurre, Mariarosa Bricchi, editor di Calabuig (Jaka Book) racconta cosa voglia dire fare l’editor di narrativa internazionale, e cosa voglia dire farlo con passione, curiosità intellettuale e competenza.  Calabuig è una collana di romanzi e racconti che fa parte dell’universo editoriale di Jaka Book e pubblica testi di narrativa straniera accomunati dal tema … Continua a leggere La letteratura e lo straniero

Molinari è lì

Ciao, sono un copiaincollatore di articoli autorevoli e non, con cui scrivo libri sull’isis che Saviano consiglia di leggere. Finora sono stato per lo più buonista, a me mi chiedono […]

Il Sultano e l’Occidente. Capire Maometto II, la mostra a Roma dal 10 gennaio al 14 febbraio

La parola Sultano evoca nell’immaginario collettivo suggestive visioni, di corti ottomane e di turbanti, di sontuosi palazzi ma anche di conquiste imponenti come quelle realizzate dal giovanissimo Maometto II il Conquistatore (1432–1481) che salì al trono a 13 anni e a 21 anni conquistò Costantinopoli mettendo fine all’impero bizantino, occupò il Peloponneso, soggiogò la Serbia e […]

L’articolo Il Sultano e l’Occidente. Capire Maometto II, la mostra a Roma dal 10 gennaio al 14 febbraio sembra essere il primo su Arabpress.

A Oriente del Califfo: l’Asia nella strategia di Daesh/1

«Amirul-Mu’minin ha detto: O musulmani…alzate la testa che oggi – per grazia di Allah – disponete di un Califfato che restituirà la vostra dignità, i vostri diritti e che vi dà una leadership. E’ uno Stato in cui sono fratelli l’arabo e il non arabo, il bianco e il nero, l’orientale e l’occidentale. Un Califfato per il caucasico, l’indiano, il cinese, il siriano, l’iracheno, lo yemenita, l’egiziano, il magrebino, l’americano, il francese, il tedesco e l’australiano».

Il messaggio è chiaro e affidato a Dabiq, il magazine mensile di Daesh che non è solo un foglio di propaganda patinata ma anche la summa teoretica dello Stato islamico. Uno Stato i cui confini non sono chiari ma che, stando a queste parole, coinvolge tutti i bravi musulmani ovunque abitino, da Tunisi a Dacca, da Parigi a Giacarta. Non di meno il suo progetto di espansione territoriale non è molto chiaro. Il cuore del califfato sta a Raqqa, nello “Sham”, e i territori amministrati sono per ora solo tra Irak e Siria. Spiega però ancora Dabiq: «Lo Stato islamico è qui per restare. In Sham e in Iraq. Nel Khorasan e in Al Qawqaz (parti dell’Asia centrale e del Caucaso)… dalla Tunisia fino al Bengala, anche se i murtaddin (eretici) lo disprezzano. Il Khilafah (Califfato) continuerà ad espandersi ulteriormente fino a quando la sua ombra si estenderà… su tutte le terre raggiunte dal giorno e dalla notte»*. Il riferimento è appena un po’ più chiaro e comprende aree già conquistate e altre più lontane: il Magreb, il Bengala (quindi il Bangladesh?) e il Khorasan, i cui confini non sono granché delineati.

Espansione a Est

La rivista teorica di Daesh: non solo
propaganda. Sopra Al Bagdadi

Quel che è certo è che c’è un piano di espansione a Est e a Ovest di Raqqa. E’ facile immaginare che i luoghi dove già è in corso un conflitto e dove la tensione è molto alta (il confine afgano pachistano, la Libia, il Sinai o le regioni dominate da Boko Haram in Africa) siano i luoghi prescelti dove accendere la miccia di un nuovo jihad, spodestando quel che resta di Al Qaeda e infiltrando i vari movimenti jihadisti. Ma la scintilla deve accendersi anche altrove: dove esistono conflitti più o meno dormienti, come nel Caucaso, e dove sono attivi gruppi jihadsiti storici, come nelle Filippine. Ed forse proprio in quest’area – a Oriente del califfo – che vale la pena di guardare: lì dove ci sono le tre aree musulmane più popolose del pianeta (l’Indonesia, l’India e il Pakistan), dove può esser facile reclutare e dove i foreign fighter, una volta tornati a casa, possono diffondere il verbo di Al Bagdadi. Del resto, scrive Katy Oh Hassig nell’introduzione all’Asian Conflict Report 2015 dedicato all’Isis dal Centro per le politiche della sicurezza di Ginevra (Gcsp): «… la minaccia dell’estremismo violento è ovunque. I confini politici e regionali, che una volta fornivano la barriera naturale e istituzionale alla diffusione di ideologie estremiste, sono ormai storia. E’ la globalizzazione del crimine e del terrorismo». Del terrore senza frontiere.

Il Grande Khorasan: Afghanistan, Pakistan, Asia centrale

Una veccia mappa della Durand Line tra Afghanistan
e  Pakistan: luogo di  elezione

In realtà il califfato dell’antichità non è mai arrivato tanto lontano quanto vorrebbe Al Bagdadi: non c’erano bengalesi o indonesiani nelle mappe delle regioni orientali che la Storia identifica col “Grande Khorasan”, una regione storica (quella geografica sta oggi nell’odierno Iran) che si sarebbe spinta sin nella valle dell’Indo e nel Sind, oggi provincia pachistana. Dal Khorasan partirebbe la conquista asiatica del califfo di Raqqa che vorrebbe però andar oltre quella vasta area che si estendeva dall’odierno Iran alle terre dei Pashtun e, a Nord, in alcune ex repubbliche sovietiche oggi indipendenti e alla riscoperta dell’islam delle origini. Da lì a unire la lotta di liberazione nel Caucaso dall’ateismo del regime di Putin il passo sarebbe breve. E’ una zona sotto osservazione ovviamente e dove Daesh comincia a essere presente sopratutto in Pakistan e Afghanistan. Ma nonostante una presenza che ha già rivendicato attentati e piccole azioni dimostrative, Daesh ha anche molti nemici. Innanzi tutto i talebani afgani, decisamente contrari ai piani espansivi di Daesh che recluta soprattutto tra i guerriglieri che il movimento ha cacciato per devianza criminale più che ideologica. Bacino di reclutamento sono anche i combattenti centroasiatici, caucasici e cinesi rifugiatisi in Pakistan ma adesso sotto schiaffo da un operativo militare di Islamabad il cui obiettivo è, da un anno e mezzo, quello di smantellare gli insediamenti della guerriglia straniera. Quanto ai gruppi jihadisti pachistani, Daesh è riuscito a spaccare i talebani del Tehrek e Taleban Pakistan (Ttp) ma per ora i consensi sono pochi. Secondo il ricercatore asiatico Abdul Basit, in Pakistan ci sono tre categorie di militanti: chi apertamente è contrario a Daesh (Al Qaeda nel subcontinente indiano e la leadership del Ttp); chi lo abbraccia (come i fuoriusciti dal Ttp Jamaatul Ahrar e Jundullah Pakistan); e quelli che per ora stanno a guardare, come alcuni gruppi attivi anche in Kashmir: Lashkar e Taiba e Jaish e Muhammad. Più, aggiungiamo noi, i gruppi settari anti sciiti, molto ricettivi al messaggio di Daesh.

India e Bangladesh

Il grande colosso asiatico, patria di 180 milioni di musulmani, si è svegliato quando nell’agosto del

2014 si è saputo che quattro abitanti del Maharashtra, lo Stato di Mumbay, avevano raggiunto la Siria. Ma visto che nemmeno Al Qaeda aveva fatto molti proseliti, il califfato non è sembrata una preoccupazione. Semmai, dice qualche analista, un altro modo per accusare il Pakistan che ne sarebbe il vero incubatore. Stando ai giornali indiani, non sarebbero infatti che un paio di dozzine i foreign fighter dell’Unione che combattono in Siria anche se, nonostante il numero esiguo, avrebbero già contabilizzato molte vittime: una notizia che caldeggia l’ipotesi che gli arabi di Raqqa si servano dei non arabi per le operazioni più rischiose, considerandoli – alla fine – dei musulmani di serie B. Qualche simpatia per Daesh comunque potrebbe serpeggiare tra i membri di organizzazioni filo pachistane come gli Indian Mujahedin o tra gli attivisti dello Students Islamic Movement of India. Ma Daesh più che una minaccia – anche se documenti del califfato dimostrerebbero l’intenzione di investire molto in India – sembra solo una remota possibilità. Diverse le cose in Bangladesh, dove Daesh ha rivendicato l’assassinio dell’italiano Cesare Tavella e del giapponese Kunio Hoshi, anche se non è chiaro quanto il califfato, che si è attribuito anche l’attentato al sacerdote italiano Piero Parolari, abbia un legame reale tra i movimenti jihadisti o se qualcuno fra loro si sia soltanto appropriato del brand. Dabiq ha dedicato un luno articolo al Bengala in cui sottolinea la distanza tra i veri mujahedin e la Jamaat e islami, partito islamista istituzionale. Alcuni gruppi al bando (Ansarullah Bangla Team e Jamaat ul Mujahidden Bangladesh) potrebbero esserne i referenti. Ma Dabiq non li menziona.

Malaysia e Singapore

Da un anno e mezzo Daesh avrebbe istituito in Siria un’unità malese-indonesiana chiamata Khatibah Nusantara e una scuola di formazione per ragazzi che parlano malese. I materiali in questa lingua sul web si sprecano e i governi han preso contro misure. In Malaysia (i foreign fighter malesi sarebbero un centinaio e secondo l’intelligence nel Paese ci sarebbero 50mila simpatizzanti di Daesh) il governo è corso ai ripari col pugno duro: decine di arresti per supposti legami con Daesh, la denuncia di un attentato sventato a Kuala Lumpur ma soprattutto una nuova legge mirata che permette arresti indiscriminati, la Prevention of Terrorism Act (Pota), criticata perché fotocopia di una vecchia altrettanto severa e appena abolita nel 2012. Un’altra legge consente la revoca del passaporto. La tensione è salita dopo il sequestro e l’uccisione di un uomo d’affari malaysiano giustiziato dal gruppo filippino Abu Sayyaf. La preoccupazione è forte.
Quanto alla piccola città Stato di Singapore, i numeri sono piccolissimi: due famiglie soltanto sarebbero state “coinvolte” da Daesh.

Isole nella corrente: Filippine, Indonesia, Maldive

Il Califfato omayyde nel 750 dc. Ispirazione, ma il progetto
di Daesh va ben oltre, a Ovest e a Est

Dei 30mila non arabi che pare combattano per Daesh, quelli del Sudest asiatico non sono tanti e in molti casi i Paesi di provenienza ritenevano che le stagioni qaediste (vedi la bomba a Bali nel 2002) fossero acqua passata. Il Council for Asian Terrorism Research (Catr), fondato nel 2005 con aiuto americano e contributi da diversi Paesi asiatici, non è stato più rifinanziato; il caso tailandese (vedi articolo a fianco) sembrava rientrato e nelle Filippine si era finalmente avviato un processo di pace. Ma i 5 o 600 combattenti indonesiani che avrebbero raggiunto Raqqa, lo stallo del processo negoziale a Manila e la ripresa dei sequestri nel Sud delle Filippine, i numeri della violenza in Thailandia e gli attentati sventati in Malaysia, hanno fatto riemergere la paura di un contagio. Da alcuni sfruttato politicamente (è il caso dei nazionalisti birmani), da altri temuto come le scintilla di una nuova minaccia che potrebbe tornare col rientro dei foreign fighter dal campo di battaglia. Gli indonesiani ad esempio han scelto la linea dura: chi va in Siria non potrà più tornare a casa e i maldiviani si apprestano a fare altrettanto. Per ora però nel Paese delle 13mila isole non si è andati più in là di manifestazioni pubbliche di sostegno a Daesh – come quella organizzata a Giacarta dal gruppo Islamic Sharia Activists Forum (Faksi) – o dell’adesione di vecchi maestri di jihadismo che hanno sposato ufficialmente Daesh: è il caso di Abu Bakar Bashir, l’ex leader – in prigione – della Jemaah Islamiyah. Una scelta che non è piaciuta a tutti i membri del vecchio gruppo qaedista. Ad occuparsi di questi problemi c’è comunque Densus 88, un gruppo d’élite anti terrorismo con la mano pesante e che in passato è stato accusato di gravi violazioni. Ma non c’è solo repressione. L’Indonesia ha una tradizione di islam moderato che vede i gruppi più importanti del Paese condannare Daesh e venir coinvolti dal governo per evitare che il contagio degeneri.

Nelle Filippine le cose son più complicate: nelle isole meridionali, dove è forte il sentimento indipendentista, lo stallo nel negoziato tra governo e separatisti islamici finisce per lasciar spazio ai gruppi islamisti più marginali e agguerriti che spesso sconfinano nel banditismo, come Abu Sayyaf o il Bangsamoro Islamic Freedom Fighters, che in un video hanno dichiarato l’adesione a Daesh. Quanto i legami siano forti e reali resta da dimostrare, ma certo l’area dove sono attivi si presta a nascondigli e campi di addestramento, Un centinaio gli “expat” verso il Medio oriente.

Australia

L‘Australia infine, per niente musulmana ma terra d’immigrazione. Oltre un centinaio i reclutati da Daesh, alcune decine dei quali rimasti sul terreno. Oggi, se si è legati a gruppi terroristici, si perde la doppia nazionalità e l’eccesso di zelo non manca. Quando il governo ha messo nel mirino il gruppo islamista non violento Hizb ut Tahir, c’è chi l’ha tacciato di paranoia ingiustificata. Mettere tutti nello stesso sacco non serve. Specie se gruppi come Hizb ut Tahir, sotto accusa anche in Asia centrale dov’è molto attiva, possono essere uno degli antidoti a Daesh, perlomeno sul piano della dottrina.
(segue:  domani Daesh e il Paese dei Thai)

* Le parentesi sono nel testo originale

Questo articolo è usciato anche su Pagina99

A Oriente del Califfo: l’Asia nella strategia di Daesh/1

«Amirul-Mu’minin ha detto: O musulmani…alzate la testa che oggi – per grazia di Allah – disponete di un Califfato che restituirà la vostra dignità, i vostri diritti e che vi dà una leadership. E’ uno Stato in cui sono fratelli l’arabo e il non arabo, il bianco e il nero, l’orientale e l’occidentale. Un Califfato per il caucasico, l’indiano, il cinese, il siriano, l’iracheno, lo yemenita, l’egiziano, il magrebino, l’americano, il francese, il tedesco e l’australiano».

Il messaggio è chiaro e affidato a Dabiq, il magazine mensile di Daesh che non è solo un foglio di propaganda patinata ma anche la summa teoretica dello Stato islamico. Uno Stato i cui confini non sono chiari ma che, stando a queste parole, coinvolge tutti i bravi musulmani ovunque abitino, da Tunisi a Dacca, da Parigi a Giacarta. Non di meno il suo progetto di espansione territoriale non è molto chiaro. Il cuore del califfato sta a Raqqa, nello “Sham”, e i territori amministrati sono per ora solo tra Irak e Siria. Spiega però ancora Dabiq: «Lo Stato islamico è qui per restare. In Sham e in Iraq. Nel Khorasan e in Al Qawqaz (parti dell’Asia centrale e del Caucaso)… dalla Tunisia fino al Bengala, anche se i murtaddin (eretici) lo disprezzano. Il Khilafah (Califfato) continuerà ad espandersi ulteriormente fino a quando la sua ombra si estenderà… su tutte le terre raggiunte dal giorno e dalla notte»*. Il riferimento è appena un po’ più chiaro e comprende aree già conquistate e altre più lontane: il Magreb, il Bengala (quindi il Bangladesh?) e il Khorasan, i cui confini non sono granché delineati.

Espansione a Est

La rivista teorica di Daesh: non solo
propaganda. Sopra Al Bagdadi

Quel che è certo è che c’è un piano di espansione a Est e a Ovest di Raqqa. E’ facile immaginare che i luoghi dove già è in corso un conflitto e dove la tensione è molto alta (il confine afgano pachistano, la Libia, il Sinai o le regioni dominate da Boko Haram in Africa) siano i luoghi prescelti dove accendere la miccia di un nuovo jihad, spodestando quel che resta di Al Qaeda e infiltrando i vari movimenti jihadisti. Ma la scintilla deve accendersi anche altrove: dove esistono conflitti più o meno dormienti, come nel Caucaso, e dove sono attivi gruppi jihadsiti storici, come nelle Filippine. Ed forse proprio in quest’area – a Oriente del califfo – che vale la pena di guardare: lì dove ci sono le tre aree musulmane più popolose del pianeta (l’Indonesia, l’India e il Pakistan), dove può esser facile reclutare e dove i foreign fighter, una volta tornati a casa, possono diffondere il verbo di Al Bagdadi. Del resto, scrive Katy Oh Hassig nell’introduzione all’Asian Conflict Report 2015 dedicato all’Isis dal Centro per le politiche della sicurezza di Ginevra (Gcsp): «… la minaccia dell’estremismo violento è ovunque. I confini politici e regionali, che una volta fornivano la barriera naturale e istituzionale alla diffusione di ideologie estremiste, sono ormai storia. E’ la globalizzazione del crimine e del terrorismo». Del terrore senza frontiere.

Il Grande Khorasan: Afghanistan, Pakistan, Asia centrale

Una veccia mappa della Durand Line tra Afghanistan
e  Pakistan: luogo di  elezione

In realtà il califfato dell’antichità non è mai arrivato tanto lontano quanto vorrebbe Al Bagdadi: non c’erano bengalesi o indonesiani nelle mappe delle regioni orientali che la Storia identifica col “Grande Khorasan”, una regione storica (quella geografica sta oggi nell’odierno Iran) che si sarebbe spinta sin nella valle dell’Indo e nel Sind, oggi provincia pachistana. Dal Khorasan partirebbe la conquista asiatica del califfo di Raqqa che vorrebbe però andar oltre quella vasta area che si estendeva dall’odierno Iran alle terre dei Pashtun e, a Nord, in alcune ex repubbliche sovietiche oggi indipendenti e alla riscoperta dell’islam delle origini. Da lì a unire la lotta di liberazione nel Caucaso dall’ateismo del regime di Putin il passo sarebbe breve. E’ una zona sotto osservazione ovviamente e dove Daesh comincia a essere presente sopratutto in Pakistan e Afghanistan. Ma nonostante una presenza che ha già rivendicato attentati e piccole azioni dimostrative, Daesh ha anche molti nemici. Innanzi tutto i talebani afgani, decisamente contrari ai piani espansivi di Daesh che recluta soprattutto tra i guerriglieri che il movimento ha cacciato per devianza criminale più che ideologica. Bacino di reclutamento sono anche i combattenti centroasiatici, caucasici e cinesi rifugiatisi in Pakistan ma adesso sotto schiaffo da un operativo militare di Islamabad il cui obiettivo è, da un anno e mezzo, quello di smantellare gli insediamenti della guerriglia straniera. Quanto ai gruppi jihadisti pachistani, Daesh è riuscito a spaccare i talebani del Tehrek e Taleban Pakistan (Ttp) ma per ora i consensi sono pochi. Secondo il ricercatore asiatico Abdul Basit, in Pakistan ci sono tre categorie di militanti: chi apertamente è contrario a Daesh (Al Qaeda nel subcontinente indiano e la leadership del Ttp); chi lo abbraccia (come i fuoriusciti dal Ttp Jamaatul Ahrar e Jundullah Pakistan); e quelli che per ora stanno a guardare, come alcuni gruppi attivi anche in Kashmir: Lashkar e Taiba e Jaish e Muhammad. Più, aggiungiamo noi, i gruppi settari anti sciiti, molto ricettivi al messaggio di Daesh.

India e Bangladesh

Il grande colosso asiatico, patria di 180 milioni di musulmani, si è svegliato quando nell’agosto del

2014 si è saputo che quattro abitanti del Maharashtra, lo Stato di Mumbay, avevano raggiunto la Siria. Ma visto che nemmeno Al Qaeda aveva fatto molti proseliti, il califfato non è sembrata una preoccupazione. Semmai, dice qualche analista, un altro modo per accusare il Pakistan che ne sarebbe il vero incubatore. Stando ai giornali indiani, non sarebbero infatti che un paio di dozzine i foreign fighter dell’Unione che combattono in Siria anche se, nonostante il numero esiguo, avrebbero già contabilizzato molte vittime: una notizia che caldeggia l’ipotesi che gli arabi di Raqqa si servano dei non arabi per le operazioni più rischiose, considerandoli – alla fine – dei musulmani di serie B. Qualche simpatia per Daesh comunque potrebbe serpeggiare tra i membri di organizzazioni filo pachistane come gli Indian Mujahedin o tra gli attivisti dello Students Islamic Movement of India. Ma Daesh più che una minaccia – anche se documenti del califfato dimostrerebbero l’intenzione di investire molto in India – sembra solo una remota possibilità. Diverse le cose in Bangladesh, dove Daesh ha rivendicato l’assassinio dell’italiano Cesare Tavella e del giapponese Kunio Hoshi, anche se non è chiaro quanto il califfato, che si è attribuito anche l’attentato al sacerdote italiano Piero Parolari, abbia un legame reale tra i movimenti jihadisti o se qualcuno fra loro si sia soltanto appropriato del brand. Dabiq ha dedicato un luno articolo al Bengala in cui sottolinea la distanza tra i veri mujahedin e la Jamaat e islami, partito islamista istituzionale. Alcuni gruppi al bando (Ansarullah Bangla Team e Jamaat ul Mujahidden Bangladesh) potrebbero esserne i referenti. Ma Dabiq non li menziona.

Malaysia e Singapore

Da un anno e mezzo Daesh avrebbe istituito in Siria un’unità malese-indonesiana chiamata Khatibah Nusantara e una scuola di formazione per ragazzi che parlano malese. I materiali in questa lingua sul web si sprecano e i governi han preso contro misure. In Malaysia (i foreign fighter malesi sarebbero un centinaio e secondo l’intelligence nel Paese ci sarebbero 50mila simpatizzanti di Daesh) il governo è corso ai ripari col pugno duro: decine di arresti per supposti legami con Daesh, la denuncia di un attentato sventato a Kuala Lumpur ma soprattutto una nuova legge mirata che permette arresti indiscriminati, la Prevention of Terrorism Act (Pota), criticata perché fotocopia di una vecchia altrettanto severa e appena abolita nel 2012. Un’altra legge consente la revoca del passaporto. La tensione è salita dopo il sequestro e l’uccisione di un uomo d’affari malaysiano giustiziato dal gruppo filippino Abu Sayyaf. La preoccupazione è forte.
Quanto alla piccola città Stato di Singapore, i numeri sono piccolissimi: due famiglie soltanto sarebbero state “coinvolte” da Daesh.

Isole nella corrente: Filippine, Indonesia, Maldive

Il Califfato omayyde nel 750 dc. Ispirazione, ma il progetto
di Daesh va ben oltre, a Ovest e a Est

Dei 30mila non arabi che pare combattano per Daesh, quelli del Sudest asiatico non sono tanti e in molti casi i Paesi di provenienza ritenevano che le stagioni qaediste (vedi la bomba a Bali nel 2002) fossero acqua passata. Il Council for Asian Terrorism Research (Catr), fondato nel 2005 con aiuto americano e contributi da diversi Paesi asiatici, non è stato più rifinanziato; il caso tailandese (vedi articolo a fianco) sembrava rientrato e nelle Filippine si era finalmente avviato un processo di pace. Ma i 5 o 600 combattenti indonesiani che avrebbero raggiunto Raqqa, lo stallo del processo negoziale a Manila e la ripresa dei sequestri nel Sud delle Filippine, i numeri della violenza in Thailandia e gli attentati sventati in Malaysia, hanno fatto riemergere la paura di un contagio. Da alcuni sfruttato politicamente (è il caso dei nazionalisti birmani), da altri temuto come le scintilla di una nuova minaccia che potrebbe tornare col rientro dei foreign fighter dal campo di battaglia. Gli indonesiani ad esempio han scelto la linea dura: chi va in Siria non potrà più tornare a casa e i maldiviani si apprestano a fare altrettanto. Per ora però nel Paese delle 13mila isole non si è andati più in là di manifestazioni pubbliche di sostegno a Daesh – come quella organizzata a Giacarta dal gruppo Islamic Sharia Activists Forum (Faksi) – o dell’adesione di vecchi maestri di jihadismo che hanno sposato ufficialmente Daesh: è il caso di Abu Bakar Bashir, l’ex leader – in prigione – della Jemaah Islamiyah. Una scelta che non è piaciuta a tutti i membri del vecchio gruppo qaedista. Ad occuparsi di questi problemi c’è comunque Densus 88, un gruppo d’élite anti terrorismo con la mano pesante e che in passato è stato accusato di gravi violazioni. Ma non c’è solo repressione. L’Indonesia ha una tradizione di islam moderato che vede i gruppi più importanti del Paese condannare Daesh e venir coinvolti dal governo per evitare che il contagio degeneri.

Nelle Filippine le cose son più complicate: nelle isole meridionali, dove è forte il sentimento indipendentista, lo stallo nel negoziato tra governo e separatisti islamici finisce per lasciar spazio ai gruppi islamisti più marginali e agguerriti che spesso sconfinano nel banditismo, come Abu Sayyaf o il Bangsamoro Islamic Freedom Fighters, che in un video hanno dichiarato l’adesione a Daesh. Quanto i legami siano forti e reali resta da dimostrare, ma certo l’area dove sono attivi si presta a nascondigli e campi di addestramento, Un centinaio gli “expat” verso il Medio oriente.

Australia

L‘Australia infine, per niente musulmana ma terra d’immigrazione. Oltre un centinaio i reclutati da Daesh, alcune decine dei quali rimasti sul terreno. Oggi, se si è legati a gruppi terroristici, si perde la doppia nazionalità e l’eccesso di zelo non manca. Quando il governo ha messo nel mirino il gruppo islamista non violento Hizb ut Tahir, c’è chi l’ha tacciato di paranoia ingiustificata. Mettere tutti nello stesso sacco non serve. Specie se gruppi come Hizb ut Tahir, sotto accusa anche in Asia centrale dov’è molto attiva, possono essere uno degli antidoti a Daesh, perlomeno sul piano della dottrina.
(segue:  domani Daesh e il Paese dei Thai)

* Le parentesi sono nel testo originale

Questo articolo è usciato anche su Pagina99

A Oriente del Califfo: l’Asia nella strategia di Daesh/1

«Amirul-Mu’minin ha detto: O musulmani…alzate la testa che oggi – per grazia di Allah – disponete di un Califfato che restituirà la vostra dignità, i vostri diritti e che vi dà una leadership. E’ uno Stato in cui sono fratelli l’arabo e il non arabo, il bianco e il nero, l’orientale e l’occidentale. Un Califfato per il caucasico, l’indiano, il cinese, il siriano, l’iracheno, lo yemenita, l’egiziano, il magrebino, l’americano, il francese, il tedesco e l’australiano».

Il messaggio è chiaro e affidato a Dabiq, il magazine mensile di Daesh che non è solo un foglio di propaganda patinata ma anche la summa teoretica dello Stato islamico. Uno Stato i cui confini non sono chiari ma che, stando a queste parole, coinvolge tutti i bravi musulmani ovunque abitino, da Tunisi a Dacca, da Parigi a Giacarta. Non di meno il suo progetto di espansione territoriale non è molto chiaro. Il cuore del califfato sta a Raqqa, nello “Sham”, e i territori amministrati sono per ora solo tra Irak e Siria. Spiega però ancora Dabiq: «Lo Stato islamico è qui per restare. In Sham e in Iraq. Nel Khorasan e in Al Qawqaz (parti dell’Asia centrale e del Caucaso)… dalla Tunisia fino al Bengala, anche se i murtaddin (eretici) lo disprezzano. Il Khilafah (Califfato) continuerà ad espandersi ulteriormente fino a quando la sua ombra si estenderà… su tutte le terre raggiunte dal giorno e dalla notte»*. Il riferimento è appena un po’ più chiaro e comprende aree già conquistate e altre più lontane: il Magreb, il Bengala (quindi il Bangladesh?) e il Khorasan, i cui confini non sono granché delineati.

Espansione a Est

La rivista teorica di Daesh: non solo
propaganda. Sopra Al Bagdadi

Quel che è certo è che c’è un piano di espansione a Est e a Ovest di Raqqa. E’ facile immaginare che i luoghi dove già è in corso un conflitto e dove la tensione è molto alta (il confine afgano pachistano, la Libia, il Sinai o le regioni dominate da Boko Haram in Africa) siano i luoghi prescelti dove accendere la miccia di un nuovo jihad, spodestando quel che resta di Al Qaeda e infiltrando i vari movimenti jihadisti. Ma la scintilla deve accendersi anche altrove: dove esistono conflitti più o meno dormienti, come nel Caucaso, e dove sono attivi gruppi jihadsiti storici, come nelle Filippine. Ed forse proprio in quest’area – a Oriente del califfo – che vale la pena di guardare: lì dove ci sono le tre aree musulmane più popolose del pianeta (l’Indonesia, l’India e il Pakistan), dove può esser facile reclutare e dove i foreign fighter, una volta tornati a casa, possono diffondere il verbo di Al Bagdadi. Del resto, scrive Katy Oh Hassig nell’introduzione all’Asian Conflict Report 2015 dedicato all’Isis dal Centro per le politiche della sicurezza di Ginevra (Gcsp): «… la minaccia dell’estremismo violento è ovunque. I confini politici e regionali, che una volta fornivano la barriera naturale e istituzionale alla diffusione di ideologie estremiste, sono ormai storia. E’ la globalizzazione del crimine e del terrorismo». Del terrore senza frontiere.

Il Grande Khorasan: Afghanistan, Pakistan, Asia centrale

Una veccia mappa della Durand Line tra Afghanistan
e  Pakistan: luogo di  elezione

In realtà il califfato dell’antichità non è mai arrivato tanto lontano quanto vorrebbe Al Bagdadi: non c’erano bengalesi o indonesiani nelle mappe delle regioni orientali che la Storia identifica col “Grande Khorasan”, una regione storica (quella geografica sta oggi nell’odierno Iran) che si sarebbe spinta sin nella valle dell’Indo e nel Sind, oggi provincia pachistana. Dal Khorasan partirebbe la conquista asiatica del califfo di Raqqa che vorrebbe però andar oltre quella vasta area che si estendeva dall’odierno Iran alle terre dei Pashtun e, a Nord, in alcune ex repubbliche sovietiche oggi indipendenti e alla riscoperta dell’islam delle origini. Da lì a unire la lotta di liberazione nel Caucaso dall’ateismo del regime di Putin il passo sarebbe breve. E’ una zona sotto osservazione ovviamente e dove Daesh comincia a essere presente sopratutto in Pakistan e Afghanistan. Ma nonostante una presenza che ha già rivendicato attentati e piccole azioni dimostrative, Daesh ha anche molti nemici. Innanzi tutto i talebani afgani, decisamente contrari ai piani espansivi di Daesh che recluta soprattutto tra i guerriglieri che il movimento ha cacciato per devianza criminale più che ideologica. Bacino di reclutamento sono anche i combattenti centroasiatici, caucasici e cinesi rifugiatisi in Pakistan ma adesso sotto schiaffo da un operativo militare di Islamabad il cui obiettivo è, da un anno e mezzo, quello di smantellare gli insediamenti della guerriglia straniera. Quanto ai gruppi jihadisti pachistani, Daesh è riuscito a spaccare i talebani del Tehrek e Taleban Pakistan (Ttp) ma per ora i consensi sono pochi. Secondo il ricercatore asiatico Abdul Basit, in Pakistan ci sono tre categorie di militanti: chi apertamente è contrario a Daesh (Al Qaeda nel subcontinente indiano e la leadership del Ttp); chi lo abbraccia (come i fuoriusciti dal Ttp Jamaatul Ahrar e Jundullah Pakistan); e quelli che per ora stanno a guardare, come alcuni gruppi attivi anche in Kashmir: Lashkar e Taiba e Jaish e Muhammad. Più, aggiungiamo noi, i gruppi settari anti sciiti, molto ricettivi al messaggio di Daesh.

India e Bangladesh

Il grande colosso asiatico, patria di 180 milioni di musulmani, si è svegliato quando nell’agosto del

2014 si è saputo che quattro abitanti del Maharashtra, lo Stato di Mumbay, avevano raggiunto la Siria. Ma visto che nemmeno Al Qaeda aveva fatto molti proseliti, il califfato non è sembrata una preoccupazione. Semmai, dice qualche analista, un altro modo per accusare il Pakistan che ne sarebbe il vero incubatore. Stando ai giornali indiani, non sarebbero infatti che un paio di dozzine i foreign fighter dell’Unione che combattono in Siria anche se, nonostante il numero esiguo, avrebbero già contabilizzato molte vittime: una notizia che caldeggia l’ipotesi che gli arabi di Raqqa si servano dei non arabi per le operazioni più rischiose, considerandoli – alla fine – dei musulmani di serie B. Qualche simpatia per Daesh comunque potrebbe serpeggiare tra i membri di organizzazioni filo pachistane come gli Indian Mujahedin o tra gli attivisti dello Students Islamic Movement of India. Ma Daesh più che una minaccia – anche se documenti del califfato dimostrerebbero l’intenzione di investire molto in India – sembra solo una remota possibilità. Diverse le cose in Bangladesh, dove Daesh ha rivendicato l’assassinio dell’italiano Cesare Tavella e del giapponese Kunio Hoshi, anche se non è chiaro quanto il califfato, che si è attribuito anche l’attentato al sacerdote italiano Piero Parolari, abbia un legame reale tra i movimenti jihadisti o se qualcuno fra loro si sia soltanto appropriato del brand. Dabiq ha dedicato un luno articolo al Bengala in cui sottolinea la distanza tra i veri mujahedin e la Jamaat e islami, partito islamista istituzionale. Alcuni gruppi al bando (Ansarullah Bangla Team e Jamaat ul Mujahidden Bangladesh) potrebbero esserne i referenti. Ma Dabiq non li menziona.

Malaysia e Singapore

Da un anno e mezzo Daesh avrebbe istituito in Siria un’unità malese-indonesiana chiamata Khatibah Nusantara e una scuola di formazione per ragazzi che parlano malese. I materiali in questa lingua sul web si sprecano e i governi han preso contro misure. In Malaysia (i foreign fighter malesi sarebbero un centinaio e secondo l’intelligence nel Paese ci sarebbero 50mila simpatizzanti di Daesh) il governo è corso ai ripari col pugno duro: decine di arresti per supposti legami con Daesh, la denuncia di un attentato sventato a Kuala Lumpur ma soprattutto una nuova legge mirata che permette arresti indiscriminati, la Prevention of Terrorism Act (Pota), criticata perché fotocopia di una vecchia altrettanto severa e appena abolita nel 2012. Un’altra legge consente la revoca del passaporto. La tensione è salita dopo il sequestro e l’uccisione di un uomo d’affari malaysiano giustiziato dal gruppo filippino Abu Sayyaf. La preoccupazione è forte.
Quanto alla piccola città Stato di Singapore, i numeri sono piccolissimi: due famiglie soltanto sarebbero state “coinvolte” da Daesh.

Isole nella corrente: Filippine, Indonesia, Maldive

Il Califfato omayyde nel 750 dc. Ispirazione, ma il progetto
di Daesh va ben oltre, a Ovest e a Est

Dei 30mila non arabi che pare combattano per Daesh, quelli del Sudest asiatico non sono tanti e in molti casi i Paesi di provenienza ritenevano che le stagioni qaediste (vedi la bomba a Bali nel 2002) fossero acqua passata. Il Council for Asian Terrorism Research (Catr), fondato nel 2005 con aiuto americano e contributi da diversi Paesi asiatici, non è stato più rifinanziato; il caso tailandese (vedi articolo a fianco) sembrava rientrato e nelle Filippine si era finalmente avviato un processo di pace. Ma i 5 o 600 combattenti indonesiani che avrebbero raggiunto Raqqa, lo stallo del processo negoziale a Manila e la ripresa dei sequestri nel Sud delle Filippine, i numeri della violenza in Thailandia e gli attentati sventati in Malaysia, hanno fatto riemergere la paura di un contagio. Da alcuni sfruttato politicamente (è il caso dei nazionalisti birmani), da altri temuto come le scintilla di una nuova minaccia che potrebbe tornare col rientro dei foreign fighter dal campo di battaglia. Gli indonesiani ad esempio han scelto la linea dura: chi va in Siria non potrà più tornare a casa e i maldiviani si apprestano a fare altrettanto. Per ora però nel Paese delle 13mila isole non si è andati più in là di manifestazioni pubbliche di sostegno a Daesh – come quella organizzata a Giacarta dal gruppo Islamic Sharia Activists Forum (Faksi) – o dell’adesione di vecchi maestri di jihadismo che hanno sposato ufficialmente Daesh: è il caso di Abu Bakar Bashir, l’ex leader – in prigione – della Jemaah Islamiyah. Una scelta che non è piaciuta a tutti i membri del vecchio gruppo qaedista. Ad occuparsi di questi problemi c’è comunque Densus 88, un gruppo d’élite anti terrorismo con la mano pesante e che in passato è stato accusato di gravi violazioni. Ma non c’è solo repressione. L’Indonesia ha una tradizione di islam moderato che vede i gruppi più importanti del Paese condannare Daesh e venir coinvolti dal governo per evitare che il contagio degeneri.

Nelle Filippine le cose son più complicate: nelle isole meridionali, dove è forte il sentimento indipendentista, lo stallo nel negoziato tra governo e separatisti islamici finisce per lasciar spazio ai gruppi islamisti più marginali e agguerriti che spesso sconfinano nel banditismo, come Abu Sayyaf o il Bangsamoro Islamic Freedom Fighters, che in un video hanno dichiarato l’adesione a Daesh. Quanto i legami siano forti e reali resta da dimostrare, ma certo l’area dove sono attivi si presta a nascondigli e campi di addestramento, Un centinaio gli “expat” verso il Medio oriente.

Australia

L‘Australia infine, per niente musulmana ma terra d’immigrazione. Oltre un centinaio i reclutati da Daesh, alcune decine dei quali rimasti sul terreno. Oggi, se si è legati a gruppi terroristici, si perde la doppia nazionalità e l’eccesso di zelo non manca. Quando il governo ha messo nel mirino il gruppo islamista non violento Hizb ut Tahir, c’è chi l’ha tacciato di paranoia ingiustificata. Mettere tutti nello stesso sacco non serve. Specie se gruppi come Hizb ut Tahir, sotto accusa anche in Asia centrale dov’è molto attiva, possono essere uno degli antidoti a Daesh, perlomeno sul piano della dottrina.
(segue:  domani Daesh e il Paese dei Thai)

* Le parentesi sono nel testo originale

Questo articolo è usciato anche su Pagina99

Libano: bambina di 12 anni fugge da Daesh e partecipa a The Voice Kids (video)

Si chiama Mirna Hanna e ha 12 anni. In fuga da Daesh, ha lasciato l’Iraq e raggiunto il Libano insieme ad altre famiglie di rifugiati, in cerca di protezione. La famiglia di Mirna è fuggita dopo aver ricevuto le minacce da parte di Daesh circa il rapimento della bambina. Mirna vive ormai in Libano da […]

L’articolo Libano: bambina di 12 anni fugge da Daesh e partecipa a The Voice Kids (video) sembra essere il primo su Arabpress.

Turchia: uccisi 32 militanti curdi

(Agenzie). Le forze di sicurezza turche hanno ucciso 32 militanti del PKK durante il weekend. Secondo quanto riportato dalle forze armate turche in una dichiarazione, sabato sono stati uccisi 16 ribelli curdi nelle città di Cizre e Silopi, al confine iracheno, altri 4 a Diyarbakir, nel sud, e 12 a Van, nel sud-est. Oltre 40mila […]

L’articolo Turchia: uccisi 32 militanti curdi sembra essere il primo su Arabpress.

Siria: Assad pronto per i colloqui di Ginevra

(Agenzie). Bashar al-Assad si dichiara pronto a partecipare a colloqui di pace sulla Siria in programma il prossimo 25 gennaio a Ginevra. Il ministro degli Esteri Walid al-Muallem, dopo l’incontro con l’inviato delle Nazioni Unite Staffan de Mistura, ha riportato le condizioni del governo di Damasco: poter accedere alle liste dei gruppi di opposizione che […]

L’articolo Siria: Assad pronto per i colloqui di Ginevra sembra essere il primo su Arabpress.

“Tunisie 2045”: la Tunisia come destinazione di rifugiati europei (video)

(Al Huffington Post Maghreb). La scena sembra soprannaturale. “Tunisie 2045”, cortometraggio di Ted Hardy-Carnac, descrive un’inversione dei ruoli. Se il 2015 è stato l’anno dell’ondata dei rifugiati verso le frontiere europee, nella Tunisia del 2045 del regista francese la situazione è capovolta: sono gli europei a richiedere asilo in Tunisia e si vedono negare l’accesso perché “le quote per i […]

L’articolo “Tunisie 2045”: la Tunisia come destinazione di rifugiati europei (video) sembra essere il primo su Arabpress.

Iraq: ucciso vice di al- Baghdadi, leader di Daesh

(Agenzie). Assi Ali Mohammed Nasser al-Obeidi, uno dei vice del leader di Daesh Abu Bakr al-Baghdadi, è stato ucciso durante un attacco delle forze aeree irachene nella città di Barwana, in Iraq. Lo riferisce la Cnn che cita fonti dell’esercito iracheno, secondo cui, al-Obeidi prima di coprire un ruolo di leader all’interno di Daesh, è stato un […]

L’articolo Iraq: ucciso vice di al- Baghdadi, leader di Daesh sembra essere il primo su Arabpress.

Il mare del diluvio

[Traduzione del racconto di Zuhūr Wanīsī, “Baḥr aṭ-ṭūfān” originariamente pubblicato in Aẓ-ẓilāl al-mumtada, Aš-šarika al-waṭaniyya li-n-našr wa-t-tawzī‘, Al-ğazā’ir 1985. L’edizione cui faccio riferimento è quella delle opere complete di Wanīsī, Rūsīkādā wa-l-uḫriyāt, Dār al-hūma, Al-ğazā’ir 2007, vol. I, pp. 361-371.] … Continua a leggere

Il mare del diluvio
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Il mare del diluvio

[Traduzione del racconto di Zuhūr Wanīsī, “Baḥr aṭ-ṭūfān” originariamente pubblicato in Aẓ-ẓilāl al-mumtada, Aš-šarika al-waṭaniyya li-n-našr wa-t-tawzī‘, Al-ğazā’ir 1985. L’edizione cui faccio riferimento è quella delle opere complete di Wanīsī, Rūsīkādā wa-l-uḫriyāt, Dār al-hūma, Al-ğazā’ir 2007, vol. I, pp. 361-371.] … Continua a leggere

Il mare del diluvio
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Madaya: un enorme campo di concentramento dove Hezbollah fa morire la gente di fame

Di Azzam Tamimi. Middle East Eye (07/01/2015). Traduzione e sintesi di Maddalena Goi. Fino a poco tempo fa, il partito libanese Hezbollah era un’ispirazione per milioni di persone nel Medio Oriente e nel mondo: il simbolo della resistenza eroica che si è battuto per liberare i territori occupati nel sud del Libano e che, dopo la […]

L’articolo Madaya: un enorme campo di concentramento dove Hezbollah fa morire la gente di fame sembra essere il primo su Arabpress.

Crisi Iran – Arabia Saudita: Intervista a Ahmad Rafat

Intervista di Katia Cerratti Ancora altissima la tensione tra Riyad e Teheran dopo l’esecuzione dell’imam sciita Nimr al-Nimr, storico oppositore del regime saudita, giustiziato insieme ad altre 46 persone con l’accusa di terrorismo. Una provocazione per l’Iran, che ha portato la Guida Suprema Ayatollah Khamenei ad appellarsi alla ‘vendetta divina’. Un atto dovuto per la sunnita Arabia […]

L’articolo Crisi Iran – Arabia Saudita: Intervista a Ahmad Rafat sembra essere il primo su Arabpress.

Tunisia: liberati su cauzione i sei studenti condannati per omosessualità

(Agenzie). La corte d’appello di Sousse ha liberato giovedì su cauzione i 6 studenti tunisini condannati nel dicembre 2015 per omosessualità. La condanna in prima istanza era a tre anni di prigione per “pratiche omosessuali”, la massima pena prevista dall’articolo 230 del codice penale tunisino, e a 5 anni di allontanamento da Kairouan, la città dove studiano. […]

L’articolo Tunisia: liberati su cauzione i sei studenti condannati per omosessualità sembra essere il primo su Arabpress.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Il coatto e la signora

di Paolo Sabbagh*

Venerdì 8 gennaio 13:30 ca. siamo alla fermata di via tiburtina e stiamo facendo salire i migranti per accompagnarli ad una mensa e farli mangiare.

Un ragazzo corpulento ci si para davanti e indicando i nostri fratelli migranti dice “questi qui nun entrano”.…

Il coatto e la signora è un articlo pubblicato su Nazione Indiana.

Gran Bretagna: voleva consegnare i figli a Daesh, donna arrestata

(Agenzie). Una donna britannica è stata arrestata per aver cercato di inviare i figli in Siria, con l’intento di farli vivere sotto il conrollo di Daesh. La donna di 34 anni, che mantiene l’anonimato per ragioni legali, voleva attenersi alla legge della sharia e considerava questo possibile solo nelle fila di Daesh, ha dichiarato in tribunale. […]

L’articolo Gran Bretagna: voleva consegnare i figli a Daesh, donna arrestata sembra essere il primo su Arabpress.

Cucina marocchina: loubia, zuppa di fagioli bianchi

La ricetta di oggi ci porta in Marocco con un piatto semplice e saporito, perfetto per l’inverno: la loubia, zuppa di fagioli bianchi! Ingredienti: 500g di fagioli bianchi secchi 1 cipolla 2 spicchi d’aglio 3 cucchiai di olio d’oliva 2 cucchiai di coriandolo fresco tritato 1 cucchiaino di sale ½ cucchiaino di pepe 1 cucchiaino di paprika 1 […]

L’articolo Cucina marocchina: loubia, zuppa di fagioli bianchi sembra essere il primo su Arabpress.

Turchia: convocato ambasciatore iraniano, Iran smentisce

(Agenzie). Il Ministero degli Esteri turco ha annunciato giovedì di aver convocato l’ambasciatore iraniano ad Ankara in seguito alle critiche apparse sui media della Repubblica islamica contro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Le critiche riguardavano il rifiuto di Erdogan di condannare l’Arabia Saudita per l’esecuzione, il 2 gennaio scorso, dello sceicco sciita Nimr al-Nimr, evento che […]

L’articolo Turchia: convocato ambasciatore iraniano, Iran smentisce sembra essere il primo su Arabpress.

Comprare il silenzio: come i Sauditi controllano i media arabi

WikiLeaks. Traduzione e sintesi di Emanuela Barbieri. [La pubblicazione dei cables sauditi sul sito di WikiLeaks è di venerdì 19/06/2015.] Il giorno in cui l’Arabia Saudita ha raggiunto il record per la decapitazione dei suoi primi 100 prigionieri in 6 mesi [il 15/06/2015 ndr], la storia non è apparsa nei media arabi, nonostante circolasse tra le agenzie di […]

L’articolo Comprare il silenzio: come i Sauditi controllano i media arabi sembra essere il primo su Arabpress.

Fuḍālat al-ḫiwān fī ṭayyibāt aṭ-ṭa‘ām wa-l-alwān

        Ibn Razīn at-Tuğībī, Fuḍālat al-ḫiwān fī ṭayyibāt aṭ-ṭa‘ām wa-l-alwān, eيizione a cura di Iḥsān ‘Abbās, Dār al-ġarb al-islāmī, Bayrūt 1984 At-Tuğībī (1227-1293) fu un giurista, poeta e gastronomo originario di Murcia. Poco si sa della sua … Continua a leggere

Fuḍālat al-ḫiwān fī ṭayyibāt aṭ-ṭa‘ām wa-l-alwān
letturearabe di Jolanda Guardi
letturearabe di Jolanda Guardi – Ho sempre immaginato che il paradiso fosse una sorta di biblioteca (J. L. Borges)

Il ruolo della poesia nel reclutamento dei jihadisti

Di Abdelilah Majid. Elaph (01/01/2016). Traduzione e sintesi di Paola Conti. Un nuovo studio ha rivelato che la poesia è uno strumento fortemente efficace per l’arruolamento di jihadisti nelle fila dei gruppi islamici estremisti. Nella sua ricerca Elisabeth Kendall, dell’Università di Oxford, afferma: “Il potere della poesia nello stimolare emotivamente l’ascoltatore e il lettore arabo, nel […]

L’articolo Il ruolo della poesia nel reclutamento dei jihadisti sembra essere il primo su Arabpress.

Arabia Saudita: la società petrolifera Aramco presto in Borsa?

(Agenzie). Nel momento in cui il costo del barile è il più basso dal 2004, l’Arabia saudita vuole aprire il capitale della Saudi Aramco, società petrolifera nazionale. Per la compagnia, nazionalizzata dal 1982, sarebbe un totale cambiamento di strategia. Decisione che potrebbe verificarsi nei prossimi mesi, ha detto il principe ereditario Mohammed bin Salman, ministro […]

L’articolo Arabia Saudita: la società petrolifera Aramco presto in Borsa? sembra essere il primo su Arabpress.

Le radici del terrorismo di cui non si può parlare

Di Ibrahim Ahmed. Elaph (07/01/2016). Traduzione e sintesi di Irene Capiferri. È innegabile che il sostegno dei religiosi estremisti, la trascuratezza delle istituzioni europee e americane riguardo il problema dei profughi musulmani e l’aumento del razzismo in Occidente abbiano avuto ruoli diversi nell’esplosione del terrorismo; ma nello sviluppo dell’ideologia estremista, la politica americana e di alcuni […]

L’articolo Le radici del terrorismo di cui non si può parlare sembra essere il primo su Arabpress.

Glossario di arabismi in italiano / 2

‘Neoislamismi’ contemporanei: parole della vita quotidiana, della  politica e della religione In fase moderna sono entrate in italiano parole arabe relative alla religione e alla politica musulmane, in qualche caso in veste turca (muezzin, musulmano) o persiana (ayatollah), insieme a voci tratte dalla vita quotidiana (cucina e vestiario). Gli  arabismi  rientrano nella più vasta categoria […]

Israele vuole i cristiani nel suo esercito

Articolo di Giusy Regina Risale a metà dicembre scorso l’ultimo appello del ministro della Difesa israeliano Ya’alon Moshe, affinché sempre più arabi cristiani si uniscano alle file dell’esercito israeliano (IDF). “Israele non può più tollerare le violenze contro i cristiani in Medio Oriente”, ha detto il ministro. Ma la questione non nasce dal nulla. Per non […]

L’articolo Israele vuole i cristiani nel suo esercito sembra essere il primo su Arabpress.

La verità nuda e cruda di Mohamed Choukri

Il primo articolo del 2016 lo voglio dedicare ad una pietra miliare della narrativa marocchina. Vi parlerò, infatti, di Mohamed Choukri, nato nel 1935 in un paesino vicino a Tetuan, nel Rif, le montagne nel nord del Marocco, e morto nel 2003. Il romanzo che l’ha reso famoso, facendo conoscere la sua storia straordinaria è […]

L’articolo La verità nuda e cruda di Mohamed Choukri sembra essere il primo su Arabpress.

Marocco: bloccate le chiamate VoIP, gli utenti si ribellano

(Agenzie). I tre principali operatori telefonici del Marocco hanno bloccato l’uso di chiamate gratuite tramite VoIP sulle reti 3G e 4G, ma di prevede che nel giro di due mesi i grandi delle telecomunicazioni impongano un blocco totale, esteso anche alle reti wifi del regno. Per ora, la decisione interessa le principali app con le quali […]

L’articolo Marocco: bloccate le chiamate VoIP, gli utenti si ribellano sembra essere il primo su Arabpress.

La diaspora italiana in Tunisia e le impennate della Storia

mcc43 “La mia madre biologica è l’Italia, ho sposato la Francia ma la mia nutrice è stata la Tunisia” Adriano Salmieri Quelli di Pirandello erano personaggi in cerca di un autore, altri, invece, sono persone in carne ed ossa che cercano un pubblico per la loro storia. Un luogo dov’è facile incontrarne è il treno. Il […]

La diaspora italiana in Tunisia e le impennate della Storia

mcc43 “La mia madre biologica è l’Italia, ho sposato la Francia ma la mia nutrice è stata la Tunisia” Adriano Salmieri Quelli di Pirandello erano personaggi in cerca di un autore, altri, invece, sono persone in carne ed ossa che cercano un pubblico per la loro storia. Un luogo dov’è facile incontrarne è il treno. Il […]

La diaspora italiana in Tunisia e le impennate della Storia

mcc43 “La mia madre biologica è l’Italia, ho sposato la Francia ma la mia nutrice è stata la Tunisia” Adriano Salmieri Quelli di Pirandello erano personaggi in cerca di un autore, altri, invece, sono persone in carne ed ossa che cercano un pubblico per la loro storia. Un luogo dov’è facile incontrarne è il treno. Il […]

La diaspora italiana in Tunisia e le impennate della Storia

mcc43 “La mia madre biologica è l’Italia, ho sposato la Francia ma la mia nutrice è stata la Tunisia” Adriano Salmieri Quelli di Pirandello erano personaggi in cerca di un autore, altri, invece, sono persone in carne ed ossa che cercano un pubblico per la loro storia. Un luogo dov’è facile incontrarne è il treno. Il […]

La diaspora italiana in Tunisia e le impennate della Storia

mcc43 “La mia madre biologica è l’Italia, ho sposato la Francia ma la mia nutrice è stata la Tunisia” Adriano Salmieri Quelli di Pirandello erano personaggi in cerca di un autore, altri, invece, sono persone in carne ed ossa che cercano un pubblico per la loro storia. Un luogo dov’è facile incontrarne è il treno. Il […]

Non solo a Colonia

Odio la dietrologia. Odio il complottismo. Sui fatti indegni di Colonia, sulla molestia sessuale di massa sulle donne nel centro di Colonia, occorre che si torni al raziocinio e si rifletta. Perché se così non si fa vuole dire che “c’è veramente del marcio in Danimarca”. Quello che sta succedendo – nel post-Colonia – èRead more

Moda Islamica: un mercato da 300 miliardi di dollari

Articolo di Silvia Di Cesare La moda va dove i soldi girano. Questo potrebbe essere il sottotitolo per il nuovo capitolo della moda contemporanea, l’Islamic Fashion. Collezioni di Abaya, Galabiyya, Hijab firmate dai più grandi stilisti mondiali sono ormai all’ordine del giorno nel mondo della moda. Abiti attenti alle necessità di una parte della popolazione […]

L’articolo Moda Islamica: un mercato da 300 miliardi di dollari sembra essere il primo su Arabpress.

Turchia: sequestrati più di 1200 giubbotti di salvataggio

(Agenzie). Le autorità turche hanno fatto irruzione nella città costiera di Smirne e sequestrato più di 1.200 giubbotti di salvataggio difettosi che sarebbero stati venduti ai migranti, secondo un rapporto del quotidiano Hurriyet di mercoledì. L’Hurriyet ha detto che i giubbotti di salvataggio erano fatti di materiale non galleggiante che si appesantisce in acqua, facendo […]

L’articolo Turchia: sequestrati più di 1200 giubbotti di salvataggio sembra essere il primo su Arabpress.

Turchia: Erdogan non condanna le esecuzioni in Arabia Saudita

(Agenzie). ll presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, non condanna l’Arabia Saudita per l’esecuzione di 47 persone, tra cui lo sceicco sciita Nimr al Nimr. Sarebbe una “questione legale interna” al Regno, secondo Erdogan. “Le esecuzioni in Arabia Saudita sono una questione legale interna. Se si approvi o meno la decisione, è una questione a parte”, […]

L’articolo Turchia: Erdogan non condanna le esecuzioni in Arabia Saudita sembra essere il primo su Arabpress.

Siria: uccisa da Daesh la reporter Raqia Hassan

(Agenzie). La giornalista Raqia Hassan, meglio nota in rete con lo pseudonimo di Nissan Ibrahim, è stata uccisa da Daesh perché considerata una spia dei gruppi ribelli siriani. Raqia Hassan, unica reporter indipendente donna a Raqqa, è morta a settembre ma la notizia è stata resa nota solo nei giorni scorsi. I militanti di Daesh avevano fatto […]

L’articolo Siria: uccisa da Daesh la reporter Raqia Hassan sembra essere il primo su Arabpress.

MOURNING IS BEAUTIFUL: TA’ZIYEH AND GENDER AFFIRMATION IN SOUTH IRAN

South Iran presents striking peculiarities in the way women participate in Muharram ceremonies. My paper is based on ethnographic research carried out among women performers in Muharram rituals in South Iran, in particular in the Gulf area; it shows how women, by claiming their right to perform in a public arena, are also asking to be […]

MOURNING IS BEAUTIFUL: TA’ZIYEH AND GENDER AFFIRMATION IN SOUTH IRAN

South Iran presents striking peculiarities in the way women participate in Muharram ceremonies. My paper is based on ethnographic research carried out among women performers in Muharram rituals in South Iran, in particular in the Gulf area; it shows how women, by claiming their right to perform in a public arena, are also asking to be […]

MOURNING IS BEAUTIFUL: TA’ZIYEH AND GENDER AFFIRMATION IN SOUTH IRAN

South Iran presents striking peculiarities in the way women participate in Muharram ceremonies. My paper is based on ethnographic research carried out among women performers in Muharram rituals in South Iran, in particular in the Gulf area; it shows how women, by claiming their right to perform in a public arena, are also asking to be […]

L’illusione di Ramadi

Di Mohammad-Mahmoud Ould Mohamedou. Al-Monitor (05/01/2016). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi Le avventate dichiarazioni auto-congratulatorie di vittoria a Ramadi da parte dell’esercito iracheno sono fuorvianti al pari dell’eco internazionale. Al di là di una radicata miopia, ciò che salta particolarmente all’occhio è il desiderio impaziente da parte delle autorità irachene e dei loro alleati […]

L’articolo L’illusione di Ramadi sembra essere il primo su Arabpress.

La Tunisia in prospettiva: le dieci sfide del 2016

 Benoît Delmas Dopo un 2015 difficile sotto molti punti di vista, la Tunisia dovrà affrontare alcune tematiche fondamentali per ritrovare un buon indirizzo economico, politico e sociale. Analisi Economia: piano quinquennale 2016-2020 Si tratta del grande progetto del governo. L’alfa e l’omega del mandato del Primo Ministro Habib Essid. Un progetto destinato a rimettere il paese nella direzione della crescita […]

La Tunisia in prospettiva: le dieci sfide del 2016

 Benoît Delmas Dopo un 2015 difficile sotto molti punti di vista, la Tunisia dovrà affrontare alcune tematiche fondamentali per ritrovare un buon indirizzo economico, politico e sociale. Analisi Economia: piano quinquennale 2016-2020 Si tratta del grande progetto del governo. L’alfa e l’omega del mandato del Primo Ministro Habib Essid. Un progetto destinato a rimettere il paese nella direzione della crescita […]

Algeria: la lingua amazigh presto riconosciuta come ufficiale

(Agenzie). Un progetto di revisione della Costituzione algerina che prevede di elevare la lingua berbera amazigh a lingua ufficiale accanto all’arabo è stato reso pubblico martedì ad Algeri. La lingua amazigh, o tamazight, è stata già riconosciuta lingua nazionale nel 2002. La riforma, presentata in una conferenza stampa da Ahmed Ouyahia, Capo di Stato Maggiore […]

L’articolo Algeria: la lingua amazigh presto riconosciuta come ufficiale sembra essere il primo su Arabpress.

Glossario di arabismi in italiano / 1

Arabismi in italiano: parole della cultura materiale e tecnicismi delle scienze Gli  arabismi  sono esotismi provenienti da diverse varietà di arabo, in particolare maghrebine, entrati nel vocabolario italiano a partire dal Medioevo fino ai giorni nostri. La maggior parte dei prestiti arabi in italiano ha un senso concreto: si tratta di parole della cultura materiale – […]

Perché l’Arabia Saudita provoca l’Iran

Di Agnès Rotivel. La Croix (04/01/2016). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia. L’Arabia Saudita ha interrotto le sue relazioni diplomatiche con l’Iran dopo che la sua ambasciata a Teheran e il suo consolato nella città iraniana di Machhad sono stati parzialmente distrutti in seguito all’esecuzione, sabato 2 gennaio, dello sceicco sciita Nimr al-Nimr. Come prima reazione, […]

L’articolo Perché l’Arabia Saudita provoca l’Iran sembra essere il primo su Arabpress.

Cosa svelano i cable di Wikileaks su Nimr al-Nimr

Di Henry Johnson. Foreign Policy (04/01/2016). Traduzione e sintesi di Emanuela Barbieri. I sauditi lo descrivono come un militante pro-Iran, cercando di screditare il suo lavoro a favore di maggiori diritti all’interno della minoranza sciita del regno. Ma lo sceicco Nimr al-Nimr, decapitato il 2 gennaio scorso, ha cercato nel 2008 di persuadere i diplomatici americani […]

L’articolo Cosa svelano i cable di Wikileaks su Nimr al-Nimr sembra essere il primo su Arabpress.

La crisi senza diplomatici e senza mediatori

Di Abdulrahman al-Rashed. Asharq al-Awsat (05/01/2016). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti. L’Arabia Saudita e l’Iran stanno vivendo la peggiore fase di scontro degli ultimi trent’anni, perciò la posizione solidale di Paesi come Emirati, Bahrein e Sudan che hanno deciso di chiudere o ridurre le proprie missioni diplomatiche in Iran riveste un importante significato per […]

L’articolo La crisi senza diplomatici e senza mediatori sembra essere il primo su Arabpress.

“Medio Occidente” di Beppi Chiuppani

Un incontro casuale, un incrocio di sguardi, una passione che nasce e cresce fino a diventare motivo di scelte di vita, di cambiamenti profondi e rotture rispetto al passato. Sono gli elementi con i quali prende avvio la storia narrata da Beppi Chiuppani nella sua prima opera “Medio Occidente”, pubblicato dalla casa editrice Il Sirente. […]

L’articolo “Medio Occidente” di Beppi Chiuppani sembra essere il primo su Arabpress.

Iran: svelata una nuova base sotterranea di missili

(Agenzie). In un momento di alta tensione nella regione, l’Iran ha deciso di svelare una nuova base missilistica sotterranea tramite immagini trasmesse dalla televisione di Stato Irib. La base contiene missili con una portata di 1700 chilometri. Nelle immagini, si vede il presidente del Parlamento Ali Larijani mentre visita la base in cui sono depositati vari tipi di attrezzi, […]

L’articolo Iran: svelata una nuova base sotterranea di missili sembra essere il primo su Arabpress.

Afghanistan: ucciso soldato Usa

(Agenzie).  Un soldato statunitense ucciso e due feriti a Marjah, nella provincia di Helmand, Afghanistan. Secondo la network americana Nbc, fonti ufficiali hanno confermato che delle forze speciali erano impegnate in operazioni antiterrorismo e sono finite in un’imboscata. I talebani hanno recentemente guadagnato posizioni in quest’area a sud del Paese. Nella mattina di martedì un ordigno è esploso a Jalalabad, […]

L’articolo Afghanistan: ucciso soldato Usa sembra essere il primo su Arabpress.

Iran: Khamenei fa appello a “unità dei gruppi etnici” in Afghanistan

(Agenzie). La Guida suprema iraniana, Ayatollah Ali Khamenei, ha incontrato nella mattina di martedì il CEO afghano Abdullah Abdullah. Il leader ha dichiarato nell’incontro che l’Iran vede “nella sicurezza, nella pace e nel progresso dell’Afghanistan anche la propria sicurezza e progresso”. Khamenei ha fatto appello all’ “unità dei gruppi etnici” in Afghanistan come soluzione ai problemi del Paese, […]

L’articolo Iran: Khamenei fa appello a “unità dei gruppi etnici” in Afghanistan sembra essere il primo su Arabpress.

Ripristino delle relazioni tra Turchia e Arabia Saudita

Di Mustafa al-Libad. As-Safir (04/01/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio. La visita della scorsa settimana del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, nel regno saudita ha annunciato l’istituzione di un “Consiglio di Cooperazione Strategica” tra i due Paesi al fine di ampliare la cooperazione militare, di investimenti ed economica tra la Turchia e l’Arabia Saudita. Essa […]

L’articolo Ripristino delle relazioni tra Turchia e Arabia Saudita sembra essere il primo su Arabpress.

L’Iran e la rivoluzione (islamica)

Per ricordare a tutti che la retorica della rivoluzione islamica è uno dei pilastri della propaganda iraniana consustanziale alla nascita dell’Iran contemporaneo. Nei primi giorni della rivolta in Tunisia, nel […]

Arabia Saudita-Iran: Teheran sospende il pellegrinaggio alla Mecca

(Agenzie). Le autorità iraniane hanno deciso di sospendere l’Umra’, il pellegrinaggio minore , finché Riyadh non garantirà migliori condizioni di sicurezza rispetto a quanto avvenuto lo scorso settembre alla Mecca. Lo ha annunciato martedì il portavoce del governo Mohammad Bagher Nobakht.

L’articolo Arabia Saudita-Iran: Teheran sospende il pellegrinaggio alla Mecca sembra essere il primo su Arabpress.

Arabia Saudita-Iran: Kuwait richiama ambasciatore a Teheran

(Agenzie). Dopo gli Emirati, anche il Kuwait ha annunciato di aver richiamato il suo ambasciatore in Iran, schierandosi così a favore dell’Arabia Saudita. In risposta all’esecuzione dello sceicco sciita Nimr al-Nimr e altri 46 presunti terroristi, a Teheran sabato è stata saccheggiata e data alle fiamme l’Ambasciata saudita. L’Arabia Saudita ha interrotto i rapporti diplomatici con l’Iran […]

L’articolo Arabia Saudita-Iran: Kuwait richiama ambasciatore a Teheran sembra essere il primo su Arabpress.

Leggere il Corano in ebraico

Di Jacky Hugi. Al-Monitor (29/12/2015). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello. Una nuova versione del Corano in ebraico, il cui titolo è “Il Corano in altre parole”, è stata appena aggiunta alla librerie israeliane, portando il numero totale di traduzioni in ebraico a cinque. A differenza delle precedenti quattro traduzioni, a cui avevano lavorato degli […]

L’articolo Leggere il Corano in ebraico sembra essere il primo su Arabpress.

Marocco: almeno 3 subsahariani morti al confine con Ceuta

(Agenzie). Un gruppo di oltre 200 migranti africani ha cercato di scavalcare il confine verso il territorio europeo lunedì all’alba. Sembra che nessuno di loro sia riuscito ad oltrepassare la recinzione ultra-sicura della città autonoma spagnola di Ceuta, un’enclave che si trova in Marocco. Almeno 3 di loro sono morti nell’assalto, secondo i dati provvisori dell’ONG spagnola Caminando Fronteras. Si […]

L’articolo Marocco: almeno 3 subsahariani morti al confine con Ceuta sembra essere il primo su Arabpress.

Arabia Saudita: continua tensione con l’Iran

(Agenzie). Alta tensione tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Dopo la rottura diplomatica tra i due paesi,  i principali alleati di Riyadh hanno risposto all’assalto all’ambasciata saudita a Teheran tagliando o riducendo le relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica. L’Arabia Saudita ha sospeso tutti i voli da e verso l’Iran, mentre il ministro degli Esteri Adel […]

L’articolo Arabia Saudita: continua tensione con l’Iran sembra essere il primo su Arabpress.

Egitto: ripristinate le relazioni diplomatiche con Israele

(Agenzie). Egitto e Israele hanno ripristinato le relazioni diplomatiche dopo tre anni di interruzione. Il ministero degli Esteri israeliano ha comunicato che Hazem Hairat, Ambasciatore d’Egitto in Israele, è tornato venerdì a Tel Aviv. “L’arrivo dell’ambasciatore egiziano aiuterà ulteriormente le relazioni tra i due paesi”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. L’amministrazione del presidente Mohammed Morsi, […]

L’articolo Egitto: ripristinate le relazioni diplomatiche con Israele sembra essere il primo su Arabpress.

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 11 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, […]

SIRIA: BASTA BOMBE!

Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà. Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, centinaia di migliaia di donne e uomini sono stati arrestati, […]

Arabia Saudita: l’imam Nimr al-Nimr non sarà l’ultima vittima

Di Nasri Al-Sayegh. As-Safir (04/01/2016). Traduzione e sintesi di Federico Seibusi. L’imam Nimr al-Nimr non è la prima vittima di un’ingiustizia e di certo non sarà l’ultima. La corte dei diritti saudita ha negato la sua innocenza e l’attuazione della pena è un atto di brutalità. Il regno saudita vive nel timore ed è prodigo […]

L’articolo Arabia Saudita: l’imam Nimr al-Nimr non sarà l’ultima vittima sembra essere il primo su Arabpress.

Status pena di morte: mantenitori

Articolo di Silvia Di Cesare Quarantasette persone sono state decapitate lo scorso 2 gennaio in Arabia Saudita con l’accusa di aver progettato o eseguito attacchi terroristici contro i civili. Tra i 47 condannati vi era anche l’Imam sciita Nimr al-Nimr, religioso saudita che aveva appoggiato le manifestazioni anti-governative scoppiate nel 2011 e nel 2012 nella […]

L’articolo Status pena di morte: mantenitori sembra essere il primo su Arabpress.

La giornata nera di Narendra Modi e Nawaz Sharif (aggiornato)

Quella di ieri è stata sicuramente la peggior giornata del 2016 per il premier indiano Narendra Modi. Un sisma nella zona orientale del Paese e, a Ovest, l’attacco a un consolato indiano a Mazar, in Afghanistan, che al calar del sole non era ancora terminato (ci sono volute 25 ore per chiudere le partita). Ma al calar del sole non era nemmeno terminato il terzo giorno di battaglia tra un manipolo di guerriglieri e una delle maggiori potenze militari del pianeta. Alle tre del mattino di sabato, dopo aver sequestrato alcune persone, almeno sei guerriglieri che fanno capo all’Ujc (il “cartello” kshmiro Consiglio unito del jihad) e a una fantomatica “Highway Squad”, di cui finora non si era avuto notizia, sono riusciti a penetrare in una base dell’aviazione indiana che sorveglia il confine pachistano – a qualche decina di chilometri in linea d’aria – e l’area del Kashmir, ferita mai rimarginatasi dopo la Partition del 1947 che ha diviso il Raj britannico tra India e Pakistan con tutte le malattie che ne sono derivate.

Sabato pomeriggio, il governo aveva annunciato una fatidica “missione compiuta” ma prima che ieri scoccassero le sei di sera, lo stesso ministro dell’Interno che aveva dato per chiusa la partita di Pathankot, dove ha sede la base, doveva ammettere di aver detto sabato una bestiata, dettata forse dalla fretta e dall’imbarazzo di aver faticato – allora – 12 ore per averla vinta. Salvo scoprire che alcuni sabotatori erano ancora all’interno della base e ancora non è chiaro se la partita sia davvero chiusa (i guerriglieri morti sono sei e oggi la cosa può dirsi definitivamente finita). Dalla vicenda afgana, che riguarda comunque un problema di sicurezza dell’apparato consolare, alla brutta storia di Pathankot, per il decisionista Modi son ore dure. E non solo per la morte di sette “jawan”, come in gergo sono chiamati i militari. Ma perché la vicenda di Pathankot è piena di buchi e soprattutto, dice qualcuno, quei buchi si devono proprio a un uomo che ha accentrato poteri e decisioni. Scelte che, in casi come questo, fan venire al pettine più di un nodo.

Oltre alla bagarre interna, al problema di mettere in sicurezza una base militare molto ampia e l’apparato diplomatico all’estero, c’è poi la questione tutta politica dei rapporti col Pakistan. Pathankot e Mazar sono strettamente legati: che siano talebani in un caso (non c’è ancora una rivendicazione) e mujahedin kashmiri nell’altro, la fobia per il Pakistan non può che aumentare. E benché il comunicato dell’Ujc prenda le distanze da Islamabad sostenendo che i guerriglieri stanno agendo in autonomia per la secessione del Kashmir, tutto ciò non può che suonare alle orecchie dei falchi indiani come l’ennesima provocazione di un Pakistan percepito più come il vero grande nemico che non come il gemello con cui è bene riconciliarsi. Riconciliazione difficile e appena iniziata col viaggio di Modi in Pakistan nel dicembre scorso e ora a rischio. E’ pur vero che Islamabad ha condannato l’attacco di Pathankot e che Delhi ha fatto sapere che un attentato non basta a far deragliare il dialogo, ma è anche vero che gli attentati adesso sono due, uno dei quali ha impegnato i soldati indiani per giorni. Delhi ha intanto reso noto che, del possibile incontro dei ministri degli Esteri – passo fondamentale per dar luce verde al dialogo tra i due colossi –, se ne riparlerà a operazione veramente conclusa, quando su Pathankot (e indagini correlate) sarà scritta la parola fine.

Per Islamabad l’imbarazzo non è meno grande e in un momento difficile nei rapporti internazionali. Uno dei suoi alleati per eccellenza, la retriva e ricca monarchia dei Saud – che non ha mai mancato di dare il suo sostanziale appoggio al governo pachistano e alle varie bande jihadiste del Paese – sta scaldando i motori contro Teheran. L’ultima avventura cui Islamabad vorrebbe partecipare: il Pakistan aveva già irritato i Saud quando, all’inizio della guerra nello Yemen, aveva risposto con una certa freddezza alla chiamata di Riad, limitandosi a frasi di rito ma rifiutando di inviare soldati. Poi, quando i Saud si sono inventati la coalizione islamica anti terrorismo, il Pakistan ha addirittura fatto sapere di non essere stato consultato. Mentre cerca di evitare una guerra a oriente Riad glene propone una a occidente. Anche qui son nodi al pettine.

aggiornato alle 14 del 5 dicembre

La giornata nera di Narendra Modi e Nawaz Sharif (aggiornato)

Quella di ieri è stata sicuramente la peggior giornata del 2016 per il premier indiano Narendra Modi. Un sisma nella zona orientale del Paese e, a Ovest, l’attacco a un consolato indiano a Mazar, in Afghanistan, che al calar del sole non era ancora terminato (ci sono volute 25 ore per chiudere le partita). Ma al calar del sole non era nemmeno terminato il terzo giorno di battaglia tra un manipolo di guerriglieri e una delle maggiori potenze militari del pianeta. Alle tre del mattino di sabato, dopo aver sequestrato alcune persone, almeno sei guerriglieri che fanno capo all’Ujc (il “cartello” kshmiro Consiglio unito del jihad) e a una fantomatica “Highway Squad”, di cui finora non si era avuto notizia, sono riusciti a penetrare in una base dell’aviazione indiana che sorveglia il confine pachistano – a qualche decina di chilometri in linea d’aria – e l’area del Kashmir, ferita mai rimarginatasi dopo la Partition del 1947 che ha diviso il Raj britannico tra India e Pakistan con tutte le malattie che ne sono derivate.

Sabato pomeriggio, il governo aveva annunciato una fatidica “missione compiuta” ma prima che ieri scoccassero le sei di sera, lo stesso ministro dell’Interno che aveva dato per chiusa la partita di Pathankot, dove ha sede la base, doveva ammettere di aver detto sabato una bestiata, dettata forse dalla fretta e dall’imbarazzo di aver faticato – allora – 12 ore per averla vinta. Salvo scoprire che alcuni sabotatori erano ancora all’interno della base e ancora non è chiaro se la partita sia davvero chiusa (i guerriglieri morti sono sei e oggi la cosa può dirsi definitivamente finita). Dalla vicenda afgana, che riguarda comunque un problema di sicurezza dell’apparato consolare, alla brutta storia di Pathankot, per il decisionista Modi son ore dure. E non solo per la morte di sette “jawan”, come in gergo sono chiamati i militari. Ma perché la vicenda di Pathankot è piena di buchi e soprattutto, dice qualcuno, quei buchi si devono proprio a un uomo che ha accentrato poteri e decisioni. Scelte che, in casi come questo, fan venire al pettine più di un nodo.

Oltre alla bagarre interna, al problema di mettere in sicurezza una base militare molto ampia e l’apparato diplomatico all’estero, c’è poi la questione tutta politica dei rapporti col Pakistan. Pathankot e Mazar sono strettamente legati: che siano talebani in un caso (non c’è ancora una rivendicazione) e mujahedin kashmiri nell’altro, la fobia per il Pakistan non può che aumentare. E benché il comunicato dell’Ujc prenda le distanze da Islamabad sostenendo che i guerriglieri stanno agendo in autonomia per la secessione del Kashmir, tutto ciò non può che suonare alle orecchie dei falchi indiani come l’ennesima provocazione di un Pakistan percepito più come il vero grande nemico che non come il gemello con cui è bene riconciliarsi. Riconciliazione difficile e appena iniziata col viaggio di Modi in Pakistan nel dicembre scorso e ora a rischio. E’ pur vero che Islamabad ha condannato l’attacco di Pathankot e che Delhi ha fatto sapere che un attentato non basta a far deragliare il dialogo, ma è anche vero che gli attentati adesso sono due, uno dei quali ha impegnato i soldati indiani per giorni. Delhi ha intanto reso noto che, del possibile incontro dei ministri degli Esteri – passo fondamentale per dar luce verde al dialogo tra i due colossi –, se ne riparlerà a operazione veramente conclusa, quando su Pathankot (e indagini correlate) sarà scritta la parola fine.

Per Islamabad l’imbarazzo non è meno grande e in un momento difficile nei rapporti internazionali. Uno dei suoi alleati per eccellenza, la retriva e ricca monarchia dei Saud – che non ha mai mancato di dare il suo sostanziale appoggio al governo pachistano e alle varie bande jihadiste del Paese – sta scaldando i motori contro Teheran. L’ultima avventura cui Islamabad vorrebbe partecipare: il Pakistan aveva già irritato i Saud quando, all’inizio della guerra nello Yemen, aveva risposto con una certa freddezza alla chiamata di Riad, limitandosi a frasi di rito ma rifiutando di inviare soldati. Poi, quando i Saud si sono inventati la coalizione islamica anti terrorismo, il Pakistan ha addirittura fatto sapere di non essere stato consultato. Mentre cerca di evitare una guerra a oriente Riad glene propone una a occidente. Anche qui son nodi al pettine.

aggiornato alle 14 del 5 dicembre

La giornata nera di Narendra Modi e Nawaz Sharif (aggiornato)

Quella di ieri è stata sicuramente la peggior giornata del 2016 per il premier indiano Narendra Modi. Un sisma nella zona orientale del Paese e, a Ovest, l’attacco a un consolato indiano a Mazar, in Afghanistan, che al calar del sole non era ancora terminato (ci sono volute 25 ore per chiudere le partita). Ma al calar del sole non era nemmeno terminato il terzo giorno di battaglia tra un manipolo di guerriglieri e una delle maggiori potenze militari del pianeta. Alle tre del mattino di sabato, dopo aver sequestrato alcune persone, almeno sei guerriglieri che fanno capo all’Ujc (il “cartello” kshmiro Consiglio unito del jihad) e a una fantomatica “Highway Squad”, di cui finora non si era avuto notizia, sono riusciti a penetrare in una base dell’aviazione indiana che sorveglia il confine pachistano – a qualche decina di chilometri in linea d’aria – e l’area del Kashmir, ferita mai rimarginatasi dopo la Partition del 1947 che ha diviso il Raj britannico tra India e Pakistan con tutte le malattie che ne sono derivate.

Sabato pomeriggio, il governo aveva annunciato una fatidica “missione compiuta” ma prima che ieri scoccassero le sei di sera, lo stesso ministro dell’Interno che aveva dato per chiusa la partita di Pathankot, dove ha sede la base, doveva ammettere di aver detto sabato una bestiata, dettata forse dalla fretta e dall’imbarazzo di aver faticato – allora – 12 ore per averla vinta. Salvo scoprire che alcuni sabotatori erano ancora all’interno della base e ancora non è chiaro se la partita sia davvero chiusa (i guerriglieri morti sono sei e oggi la cosa può dirsi definitivamente finita). Dalla vicenda afgana, che riguarda comunque un problema di sicurezza dell’apparato consolare, alla brutta storia di Pathankot, per il decisionista Modi son ore dure. E non solo per la morte di sette “jawan”, come in gergo sono chiamati i militari. Ma perché la vicenda di Pathankot è piena di buchi e soprattutto, dice qualcuno, quei buchi si devono proprio a un uomo che ha accentrato poteri e decisioni. Scelte che, in casi come questo, fan venire al pettine più di un nodo.

Oltre alla bagarre interna, al problema di mettere in sicurezza una base militare molto ampia e l’apparato diplomatico all’estero, c’è poi la questione tutta politica dei rapporti col Pakistan. Pathankot e Mazar sono strettamente legati: che siano talebani in un caso (non c’è ancora una rivendicazione) e mujahedin kashmiri nell’altro, la fobia per il Pakistan non può che aumentare. E benché il comunicato dell’Ujc prenda le distanze da Islamabad sostenendo che i guerriglieri stanno agendo in autonomia per la secessione del Kashmir, tutto ciò non può che suonare alle orecchie dei falchi indiani come l’ennesima provocazione di un Pakistan percepito più come il vero grande nemico che non come il gemello con cui è bene riconciliarsi. Riconciliazione difficile e appena iniziata col viaggio di Modi in Pakistan nel dicembre scorso e ora a rischio. E’ pur vero che Islamabad ha condannato l’attacco di Pathankot e che Delhi ha fatto sapere che un attentato non basta a far deragliare il dialogo, ma è anche vero che gli attentati adesso sono due, uno dei quali ha impegnato i soldati indiani per giorni. Delhi ha intanto reso noto che, del possibile incontro dei ministri degli Esteri – passo fondamentale per dar luce verde al dialogo tra i due colossi –, se ne riparlerà a operazione veramente conclusa, quando su Pathankot (e indagini correlate) sarà scritta la parola fine.

Per Islamabad l’imbarazzo non è meno grande e in un momento difficile nei rapporti internazionali. Uno dei suoi alleati per eccellenza, la retriva e ricca monarchia dei Saud – che non ha mai mancato di dare il suo sostanziale appoggio al governo pachistano e alle varie bande jihadiste del Paese – sta scaldando i motori contro Teheran. L’ultima avventura cui Islamabad vorrebbe partecipare: il Pakistan aveva già irritato i Saud quando, all’inizio della guerra nello Yemen, aveva risposto con una certa freddezza alla chiamata di Riad, limitandosi a frasi di rito ma rifiutando di inviare soldati. Poi, quando i Saud si sono inventati la coalizione islamica anti terrorismo, il Pakistan ha addirittura fatto sapere di non essere stato consultato. Mentre cerca di evitare una guerra a oriente Riad glene propone una a occidente. Anche qui son nodi al pettine.

aggiornato alle 14 del 5 dicembre

Superstizioni politiche dell’anno nuovo: ancora pazzie?

L’opinione di Al-Quds. Al-Quds al-Arabi (01/01/2016). Traduzione e sintesi di Sofia Carola Sammartano. Mentre il mondo dice addio all’anno vecchio con il solito ritrovo nelle piazze pubbliche, i fuochi d’artificio, la veglia con canti e balli, numerosi popoli nel mondo arabo continuano a soffrire la disoccupazione, la tirannia, la corruzione, la povertà e gli sforzi per […]

L’articolo Superstizioni politiche dell’anno nuovo: ancora pazzie? sembra essere il primo su Arabpress.

Israele: artiglieria bombarda il confine libanese

Le Forze di Difesa Israeliane hanno bombardato domenica il confine libanese per il quarto giorno consecutivo, con l’obiettivo di scoraggiare un attacco da parte di Hezbollah, secondo The Times of Israel. Il leader del gruppo, Hassan Nasrallah, ha più volte giurato vendetta per l’assassinio di Samir Kuntar avvenuto due settimane fa e attribuito a Israele. Per […]

L’articolo Israele: artiglieria bombarda il confine libanese sembra essere il primo su Arabpress.

Arabia Saudita: relazioni interrotte con Iran

(Agenzie). La tensione tra Arabia Saudita e Iran non fa che aumentare dopo che i Saudita ha annunciato l’esecuzione di 47 persone indicate come “terroristi”, tra i quali lo sceicco sciita Nimr al Nimr. Nella tarda serata di domenica Riyadh ha annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. La Guida suprema Ali Khamenei aveva rivolto parole durissime contro la […]

L’articolo Arabia Saudita: relazioni interrotte con Iran sembra essere il primo su Arabpress.

Algeria: cambio di governo a breve

Il governo algerino si appresta al cambiamento. Secondo il sito web Algeria1, noto per la sua vicinanza al cerchio presidenziale, il presidente Bouteflika applicherà presto modifiche significative al suo gabinetto. Sembra che l’obiettivo sia eliminare le personalità fedeli al generale deposto, Mohamed Toufik Mediène. Per la carica di primo Ministro, Algeria1 suggerisce due nomi: Abdesslam Bouchouareb e Ouali Abdelkader. Bouchouareb, membro […]

L’articolo Algeria: cambio di governo a breve sembra essere il primo su Arabpress.

Perché dobbiamo accettare la nuova “normalità” in Medio Oriente

Di James Zogby. The National.ae (2/1/2016). Traduzione e sintesi di Antonia Maria Cascone. I conflitti che imperversano in Iraq e in Siria stanno radicalmente trasformando il Medio Oriente e il mondo intero, e le conseguenze sono così profonde che non esiste una soluzione semplice che potrebbe ripristinare la normalità in tempi brevi. È d’uopo, dunque, riconoscere […]

L’articolo Perché dobbiamo accettare la nuova “normalità” in Medio Oriente sembra essere il primo su Arabpress.

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

AUSCHWITZ A DAMASCO

Il dossier “Caesar” “Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove” Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015 Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e […]

Ciò che “Star Wars” può insegnarci sul mondo islamico

Di Babak Rahimi. Huffington Post (31/12/2015). Traduzione e sintesi di Ismahan Hassen. La saga di “Star Wars” presenta il cosiddetto scontro di civiltà, rappresentato come un conflitto duraturo tra due ordini culturali, due mondi indipendenti e con un insieme fisso di valori e di ideali concorrenti. Come qualunque mito, “Star Wars” evoca potenti immaginari di eroi […]

L’articolo Ciò che “Star Wars” può insegnarci sul mondo islamico sembra essere il primo su Arabpress.

La prossima crisi di rifugiati

Di Santiago Roncagliolo. El País (31/12/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo. Sono più di cinque milioni i palestinesi che vivono in campi profughi in Siria. Una nuova esplosione di violenza li obbligherebbe a fuggire e la cifra di coloro diretti in Europa raddoppierebbe. È quindi urgente trovare una soluzione politica al conflitto palestinese. La maggior parte […]

L’articolo La prossima crisi di rifugiati sembra essere il primo su Arabpress.

Iran: Khamenei parla di “vendetta divina”

All’uccisione in Arabia Saudita del leader sciita Nimr al-Nimr, accusato di terrorismo insieme ad altre 46 persone, l’Iran risponde altrettanto violentemente. A Teheran è stata presa d’assalto l’ambasciata saudita. Contro l’edificio sono state lanciate bottiglie molotov, poi i manifestanti hanno fatto irruzione e devastato gli interni. Riguardo l’esecuzione, la guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, dichiara […]

L’articolo Iran: Khamenei parla di “vendetta divina” sembra essere il primo su Arabpress.

Siria: il governo condanna le esecuzioni in Arabia Saudita

(Agenzie). Il ministro dell’Informazione siriano Omran al Zoubi, ha condannato sabato l’esecuzione in Arabia Saudita di 47 persone, tra cui l’esponente religioso sciita Nimr al-Nimr, denunciando il fatto come “un crimine commesso da uno Stato contro il proprio popolo.” Secondo al Zoubi, le istituzioni internazionali dovrebbero chiedere spiegazioni all’Arabia Saudita riguardo le esecuzioni. Il regime del presidente […]

L’articolo Siria: il governo condanna le esecuzioni in Arabia Saudita sembra essere il primo su Arabpress.

Marocco: CIA mette in guardia contro le bombe radioattive dello Stato Islamico

Nella sua edizione del 1° gennaio 2016, il giornale Assabah ha segnalato che gruppi libici affiliati a Daesh hanno fabbricato dispositivi contenenti materiali radioattivi e si preparano a “testarli” nei paesi del Maghreb. La CIA avrebbe inviato un avviso al Marocco per mettere il regno in guardia contro possibili attacchi terroristici. Secondo il quotidiano Assabah, i servizi segreti […]

L’articolo Marocco: CIA mette in guardia contro le bombe radioattive dello Stato Islamico sembra essere il primo su Arabpress.

Il 2016 sarà un altro anno di guerre?

Di Hisham Melhem. An-Nahar (31/12/2015). Traduzione e sintesi di Alessandro Mannara. Tutti i principali indicatori politici mostrano che il 2016 sarà lo specchio del 2015. Ciò significa che nel nuovo anno continueremo ad assistere al crollo del fragile sistema politico arabo in Siria, Iraq, Yemen e Libia nonostante si parli di proposte politiche e di […]

L’articolo Il 2016 sarà un altro anno di guerre? sembra essere il primo su Arabpress.

Attentato al dialogo tra India e Pakistan (aggiornato)

Pathankot, venti chilometri dal confine pachistano, venti dal confine col Kashmir. E’ qui che si trova una base aerea che ospita i caccia indiani che controllano le due aree per Delhi più sensibili nel subcontinente indiano. Ed è qui che ieri all’alba, verso le 3.30 ora locale, cinque guerriglieri travestiti da soldati, forse del gruppo estremista pachistano Jaish-e-Mohammad, hanno messo a rischio il neonato dialogo tra India e Pakistan assaltando la base dell’Indian Air Force. Aver ragione di loro non è stato facile e ha richiesto più di mezza giornata. Poi, alle 7.45 di ieri sera, il ministro dell’Interno Rajnath Singh ha confermato che tutti e cinque gli assalitori erano stati uccisi. Con loro tre soldati (quattro ieri secondo la stampa pachistana che confermava anche tre vittime civili.  Stamane il bilancio sarebbe salito a sette militari indiani uccisi). Operazione conclusa (in realtà per niente: il 4 la crisi entrava nel suo terzo giorno).

Nawaz Sharif: condanna immediata

Attacchi della guerriglia prokashmira non sono inusuali in India (il JeM è un gruppo nato proprio per riunificare sotto la bandiera di Islamabad il Kashmir ora diviso tra le due nazioni) e nel luglio scorso sette uomini erano stati uccisi in un attacco simile in una stazione di polizia del vicino distretto di Gurdaspur. Ma questa volta in ballo c’era una posta ben più grossa che non una semplice azione di disturbo e non solo per l’importanza strategico militare della base. Solo qualche giorno fa, il 25 dicembre, il premier indiano Narendra Modi ha fatto una visita “a sorpresa” in Pakistan, atterrando a Lahore dopo un viaggio in Russia e in Afghanistan. Non una visita qualunque ma la prima di un premier indiano in oltre dieci anni. E Nawaz Sharif l’ha ricevuto col tappeto rosso. La visita “a sorpresa” era evidentemente preparata da tempo ma in discreto silenzio benché ci fossero stati alcuni segnali (Nawaz Sharif era stato in India per l’insediamento di Modi e recentemente è stato siglato un accordo importante che regola questioni logistiche tra i due Paesi). Ma è anche vero che, oltre alla mai risolta questione del Kashmir, i pachistani sono infastiditi dall’influenza che Delhi ha guadagnato a Kabul e da accordi con gli Stati Uniti che permettono all’India vantaggi sul piano del nucleare; gli indiani accusano il Pakistan di terrorismo di Stato e, negli ultimi tre anni, sono ricominciati gli incidenti alla frontiera: meno noti degli attentati terroristici o delle dispute sulla Loc (la linea di controllo in Kashmir tra India e Pakistan) hanno continuato a ripetersi con vittime dalle due parti, anche tra i civili. Dunque la visita ha acquistato una rilevanza quasi impensabile e forse la “sorpresa” era per evitare che i falchi dalle due parti della frontiera potessero intralciare l’ennesimo tentativo di riavvicinamento (purtroppo non il primo e al netto di almeno quattro conflitti maggiori e diversi incidenti minori tra i due Paesi che hanno spesso tirato l’acqua al mulino di una nuova guerra).

Questa volta però le reazioni immediate di Islamabad e Delhi fanno ben sperare. Nel pomeriggio di ieri – e in perfetta sintonia temporale – il Bjp, il partito di Modi, ha fatto sapere che il dialogo appena avviato non può certo essere messo in crisi da un attentato e ha anzi accusato chi nel Congresso intende politicizzare l’incidente di Pathankot. Contemporaneamente arrivava un comunicato ufficiale di Islamabad, che univa alle condoglianze per le vittime una dura condanna dell’accaduto. La preoccupazione è dunque dalle due parti ed è condivisa da chi guarda con attenzione ai rapporti tra i due colossi nucleari. Come il vice segretario di Stato americano Antony Blinken che ha confidato a The Indian Express i timori di un possibile conflitto non intenzionale ma innescato da incidenti come quello di Pathankot. La corda resta tesa ma non si è spezzata.

aggiornato alle 11 del 3/1

Attentato al dialogo tra India e Pakistan (aggiornato)

Pathankot, venti chilometri dal confine pachistano, venti dal confine col Kashmir. E’ qui che si trova una base aerea che ospita i caccia indiani che controllano le due aree per Delhi più sensibili nel subcontinente indiano. Ed è qui che ieri all’alba, verso le 3.30 ora locale, cinque guerriglieri travestiti da soldati, forse del gruppo estremista pachistano Jaish-e-Mohammad, hanno messo a rischio il neonato dialogo tra India e Pakistan assaltando la base dell’Indian Air Force. Aver ragione di loro non è stato facile e ha richiesto più di mezza giornata. Poi, alle 7.45 di ieri sera, il ministro dell’Interno Rajnath Singh ha confermato che tutti e cinque gli assalitori erano stati uccisi. Con loro tre soldati (quattro ieri secondo la stampa pachistana che confermava anche tre vittime civili.  Stamane il bilancio sarebbe salito a sette militari indiani uccisi). Operazione conclusa (in realtà per niente: il 4 la crisi entrava nel suo terzo giorno).

Nawaz Sharif: condanna immediata

Attacchi della guerriglia prokashmira non sono inusuali in India (il JeM è un gruppo nato proprio per riunificare sotto la bandiera di Islamabad il Kashmir ora diviso tra le due nazioni) e nel luglio scorso sette uomini erano stati uccisi in un attacco simile in una stazione di polizia del vicino distretto di Gurdaspur. Ma questa volta in ballo c’era una posta ben più grossa che non una semplice azione di disturbo e non solo per l’importanza strategico militare della base. Solo qualche giorno fa, il 25 dicembre, il premier indiano Narendra Modi ha fatto una visita “a sorpresa” in Pakistan, atterrando a Lahore dopo un viaggio in Russia e in Afghanistan. Non una visita qualunque ma la prima di un premier indiano in oltre dieci anni. E Nawaz Sharif l’ha ricevuto col tappeto rosso. La visita “a sorpresa” era evidentemente preparata da tempo ma in discreto silenzio benché ci fossero stati alcuni segnali (Nawaz Sharif era stato in India per l’insediamento di Modi e recentemente è stato siglato un accordo importante che regola questioni logistiche tra i due Paesi). Ma è anche vero che, oltre alla mai risolta questione del Kashmir, i pachistani sono infastiditi dall’influenza che Delhi ha guadagnato a Kabul e da accordi con gli Stati Uniti che permettono all’India vantaggi sul piano del nucleare; gli indiani accusano il Pakistan di terrorismo di Stato e, negli ultimi tre anni, sono ricominciati gli incidenti alla frontiera: meno noti degli attentati terroristici o delle dispute sulla Loc (la linea di controllo in Kashmir tra India e Pakistan) hanno continuato a ripetersi con vittime dalle due parti, anche tra i civili. Dunque la visita ha acquistato una rilevanza quasi impensabile e forse la “sorpresa” era per evitare che i falchi dalle due parti della frontiera potessero intralciare l’ennesimo tentativo di riavvicinamento (purtroppo non il primo e al netto di almeno quattro conflitti maggiori e diversi incidenti minori tra i due Paesi che hanno spesso tirato l’acqua al mulino di una nuova guerra).

Questa volta però le reazioni immediate di Islamabad e Delhi fanno ben sperare. Nel pomeriggio di ieri – e in perfetta sintonia temporale – il Bjp, il partito di Modi, ha fatto sapere che il dialogo appena avviato non può certo essere messo in crisi da un attentato e ha anzi accusato chi nel Congresso intende politicizzare l’incidente di Pathankot. Contemporaneamente arrivava un comunicato ufficiale di Islamabad, che univa alle condoglianze per le vittime una dura condanna dell’accaduto. La preoccupazione è dunque dalle due parti ed è condivisa da chi guarda con attenzione ai rapporti tra i due colossi nucleari. Come il vice segretario di Stato americano Antony Blinken che ha confidato a The Indian Express i timori di un possibile conflitto non intenzionale ma innescato da incidenti come quello di Pathankot. La corda resta tesa ma non si è spezzata.

aggiornato alle 11 del 3/1

Attentato al dialogo tra India e Pakistan (aggiornato)

Pathankot, venti chilometri dal confine pachistano, venti dal confine col Kashmir. E’ qui che si trova una base aerea che ospita i caccia indiani che controllano le due aree per Delhi più sensibili nel subcontinente indiano. Ed è qui che ieri all’alba, verso le 3.30 ora locale, cinque guerriglieri travestiti da soldati, forse del gruppo estremista pachistano Jaish-e-Mohammad, hanno messo a rischio il neonato dialogo tra India e Pakistan assaltando la base dell’Indian Air Force. Aver ragione di loro non è stato facile e ha richiesto più di mezza giornata. Poi, alle 7.45 di ieri sera, il ministro dell’Interno Rajnath Singh ha confermato che tutti e cinque gli assalitori erano stati uccisi. Con loro tre soldati (quattro ieri secondo la stampa pachistana che confermava anche tre vittime civili.  Stamane il bilancio sarebbe salito a sette militari indiani uccisi). Operazione conclusa (in realtà per niente: il 4 la crisi entrava nel suo terzo giorno).

Nawaz Sharif: condanna immediata

Attacchi della guerriglia prokashmira non sono inusuali in India (il JeM è un gruppo nato proprio per riunificare sotto la bandiera di Islamabad il Kashmir ora diviso tra le due nazioni) e nel luglio scorso sette uomini erano stati uccisi in un attacco simile in una stazione di polizia del vicino distretto di Gurdaspur. Ma questa volta in ballo c’era una posta ben più grossa che non una semplice azione di disturbo e non solo per l’importanza strategico militare della base. Solo qualche giorno fa, il 25 dicembre, il premier indiano Narendra Modi ha fatto una visita “a sorpresa” in Pakistan, atterrando a Lahore dopo un viaggio in Russia e in Afghanistan. Non una visita qualunque ma la prima di un premier indiano in oltre dieci anni. E Nawaz Sharif l’ha ricevuto col tappeto rosso. La visita “a sorpresa” era evidentemente preparata da tempo ma in discreto silenzio benché ci fossero stati alcuni segnali (Nawaz Sharif era stato in India per l’insediamento di Modi e recentemente è stato siglato un accordo importante che regola questioni logistiche tra i due Paesi). Ma è anche vero che, oltre alla mai risolta questione del Kashmir, i pachistani sono infastiditi dall’influenza che Delhi ha guadagnato a Kabul e da accordi con gli Stati Uniti che permettono all’India vantaggi sul piano del nucleare; gli indiani accusano il Pakistan di terrorismo di Stato e, negli ultimi tre anni, sono ricominciati gli incidenti alla frontiera: meno noti degli attentati terroristici o delle dispute sulla Loc (la linea di controllo in Kashmir tra India e Pakistan) hanno continuato a ripetersi con vittime dalle due parti, anche tra i civili. Dunque la visita ha acquistato una rilevanza quasi impensabile e forse la “sorpresa” era per evitare che i falchi dalle due parti della frontiera potessero intralciare l’ennesimo tentativo di riavvicinamento (purtroppo non il primo e al netto di almeno quattro conflitti maggiori e diversi incidenti minori tra i due Paesi che hanno spesso tirato l’acqua al mulino di una nuova guerra).

Questa volta però le reazioni immediate di Islamabad e Delhi fanno ben sperare. Nel pomeriggio di ieri – e in perfetta sintonia temporale – il Bjp, il partito di Modi, ha fatto sapere che il dialogo appena avviato non può certo essere messo in crisi da un attentato e ha anzi accusato chi nel Congresso intende politicizzare l’incidente di Pathankot. Contemporaneamente arrivava un comunicato ufficiale di Islamabad, che univa alle condoglianze per le vittime una dura condanna dell’accaduto. La preoccupazione è dunque dalle due parti ed è condivisa da chi guarda con attenzione ai rapporti tra i due colossi nucleari. Come il vice segretario di Stato americano Antony Blinken che ha confidato a The Indian Express i timori di un possibile conflitto non intenzionale ma innescato da incidenti come quello di Pathankot. La corda resta tesa ma non si è spezzata.

aggiornato alle 11 del 3/1

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Silenzio

Esco dal mio silenzio (auto)imposto per non essere classificato tra gli omertosi,per non vedere apparire il mio nome tra i nomi di chi tace e continua a tacere sui crimini dell’Arabia Saudita,tollerati dall’occidente e giustificati da una larga fetta del mondo musulmano. Rompo il mio silenzio pubblicando un ritratto come foto profilo del mio account facebook : Quello di Sheik el Nimr,leader della minoranza sciita saudita giustiziato questa mattina dalle autorità dell’Arabia Saudita. Un terrorista secondo le autorità saudite e uno sporco eretico per i musulmani sunniti. Un uomo che affrontò l’ignoranza, la tirannia e l’oppressione di un regime oggi a capo del consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Apologia al ” terrorismo” o eresia ?
Finché parole come queste saranno pronunciate per condannare a morte uomini liberi,mostri come l’Isis continueranno a cibarsi delle nostre carni.
Rabih Boualleg

Il PKK e la “sirianizzazione” della Turchia

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Il PKK e la “sirianizzazione” della Turchia

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Il PKK e la “sirianizzazione” della Turchia

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Il PKK e la “sirianizzazione” della Turchia

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

PKK: arnese per “sirianizzare” la Turchia ?

mcc43 Ciclicamente vediamo formarsi  la “muta da caccia”, per dirla con Elias Canetti, contro un paese prendendo di mira il leader. E’ il turno della Turchia e di Recep T. Erdogan. La platea che inneggia, i segugi che rincorrono le notizie di RT e Sputnik, media russi di propaganda, partecipano inconsapevolmente al tentativo di destabilizzare […]

Arabia Saudita: giustiziati 47 presunti terroristi

(Agenzie). L’Arabia Saudita ha giustiziato 47 persone accusate di terrorismo, secondo quanto riferito sabato dal ministero dell’Interno in un comunicato. Il canale televisivo Al-Arabiya ha dichiarato che i 47 giustiziati sono stati condannati per aver concorso alla realizzazione di attacchi terroristici compiuti da al-Qaeda tra il 2003 e il 2006, colpendo civili e militari in Arabia Saudita e all’estero. Tra i condannati anche […]

L’articolo Arabia Saudita: giustiziati 47 presunti terroristi sembra essere il primo su Arabpress.

Egitto: almeno 15 morti nel naufragio di un traghetto sul Nilo

(Agenzie). Almeno 15 persone sono annegate nel Nilo, a nord del Cairo, nel naufragio di un traghetto che non aveva licenza. La tragedia è avvenuta nella notte tra giovedì e venerdì. I 15 corpi sono stati recuperati dalle squadre di soccorso della provincia di Kafr el Sheikh. Il governo ha confermato che tre dei sopravvissuti allo schianto […]

L’articolo Egitto: almeno 15 morti nel naufragio di un traghetto sul Nilo sembra essere il primo su Arabpress.

Iniziative italiane per il poeta Ashraf Fayadh

Originally posted on editoriaraba:
Il Festival Internazionale di Letteratura di Berlino ha lanciato un appello internazionale a persone, organizzazioni, scuole e media, affinchè si mobilitino per supportare il caso di Ashraf Fayadh, il poeta e artista palestinese detenuto in Arabia Saudita con l’accusa di apostasia e che, dopo aver passato due anni in carcere (senza…

Riposo e quiete, rāḥa راحة

راحة rāḥa (n.f.): riposo, pausa; tranquillità, quiete ➳ rāḥa (n.f.), ‎ رَاحَات ‎  rāḥāt / رَاح ‎  rāḥ (pl.): palmo della mano ∗ ∗ ∗ Lettere  راء  rāʼ è la decima lettera dell’alfabeto arabo — — — Immagini: Illustrazione di © Jean-Michel Folon, da Pinterest; Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0  

Lo scricchiolio dei muri

Cari amici e care amiche, cari lettori degli Arabi Invisibili, Ho trovato finalmente un po’ di calma, dopo la conclusione del primo Festival Centro del Mundo dei Radiodervish qui in Puglia, per potervi mandare i miei auguri di un buon 2016, in dignità e in felicità. Leggo, sui social e nei messaggi, la preoccupazione eRead more

Le nere maree…

mcc43 Non un vaticinio, ma un monito. Clima Psiche Salute  assediati dalle nere maree: Conflitti Xenofobia Razzismo Manipolazione delle notizie Squilibri economici Avventurismo scientifico Diseguaglianze dei diritti Svuotamento dei principi ….. Google+    Archiviato in:Uncategorized

Le nere maree…

mcc43 Non un vaticinio, ma un monito. Clima Psiche Salute  assediati dalle nere maree: Conflitti Xenofobia Razzismo Manipolazione delle notizie Squilibri economici Avventurismo scientifico Diseguaglianze dei diritti Svuotamento dei principi ….. Google+    Archiviato in:Uncategorized

Le nere maree…

mcc43 Non un vaticinio, ma un monito. Clima Psiche Salute  assediati dalle nere maree: Conflitti Xenofobia Razzismo Manipolazione delle notizie Squilibri economici Avventurismo scientifico Diseguaglianze dei diritti Svuotamento dei principi ….. Google+    Archiviato in:Uncategorized

Le nere maree…

mcc43 Non un vaticinio, ma un monito. Clima Psiche Salute  assediati dalle nere maree: Conflitti Xenofobia Razzismo Manipolazione delle notizie Squilibri economici Avventurismo scientifico Diseguaglianze dei diritti Svuotamento dei principi ….. Google+    Archiviato in:Uncategorized

Algeria: un funerale degno di un capo di stato per Ait Ahmed

(Agenzie). La salma del leader dell’opposizione Hocine Ait Ahmed, uno dei padri della indipendenza dell’Algeria, morto il 23 dicembre in Svizzera, è stata rimpatriata giovedì ad Algeri, dove un funerale degno di un capo di Stato è stato organizzato su ordine del presidente Abdelaziz Bouteflika. Hocine Ait Ahmed sarà sepolto il 1° gennaio nel suo villaggio natale […]

L’articolo Algeria: un funerale degno di un capo di stato per Ait Ahmed sembra essere il primo su Arabpress.

Fuga di cervelli dai Paesi arabi: chi è responsabile?

Di Abd al-Sattar Qasim. Al-Jazeera (27/12/2015). Traduzione e sintesi di Annamaria Bertani. Molti accademici si occupano della questione della fuga dei cervelli dai paesi arabi e generalmente si concentrano sui fattori politici come causa principale, riferendosi in particolare all’oppressione dei regimi e alle misure repressive adottate da questi contro gli intellettuali. Per questi regimi è […]

L’articolo Fuga di cervelli dai Paesi arabi: chi è responsabile? sembra essere il primo su Arabpress.

Tunisia: adolescente rischia carcere per un post su Facebook

Afraa Ben Azza, una giovane ragazza un pò bohemienne, con ampi riccioli castani, che dovrebbe raggiungere la maturità il prossimo anno. Ma l’adolescente tunisina 17enne di Kef, a duecento chilometri a ovest della capitale, ha altre cose per la testa. Deve affrontare il rischio di andare in carcere per un post su Facebook. Accusata di aver insultato un […]

L’articolo Tunisia: adolescente rischia carcere per un post su Facebook sembra essere il primo su Arabpress.

Egitto: Bloccato Free Basics

(Agenzie). Il servizio di Facebook che permette alle popolazioni svantaggiate di accedere liberamente ad alcuni servizi internet è stato bloccato in Egitto. Lanciato da più di un anno, Free Basics è arrivato nel Paese due mesi fa, grazie ad una partnership tra Facebook e l’operatore locale Etisalat. Free Basics è un’applicazione sviluppata da Facebook che […]

L’articolo Egitto: Bloccato Free Basics sembra essere il primo su Arabpress.

EAU: grave incendio in grattacielo a Dubai

(Agenzie). L’incendio nell’hotel di lusso di Dubai si è sviluppato durante la notte di San Silvestro, causando almeno 16 feriti, nessuno dei quali in gravi condizioni. Le fiamme hanno avvolto 20 dei 63 piani dell’hotel di lusso “Address” situato nel centro della città, nei pressi del Burj Khalifa, l’edificio più alto del mondo dove migliaia di persone […]

L’articolo EAU: grave incendio in grattacielo a Dubai sembra essere il primo su Arabpress.

Tunisia: il quarto paese più economico del mondo

(Agenzie). In un recente rapporto del sito web Numbeo riguardante il costo della vita nei Paesi del mondo, la Tunisia è classificata in quarta posizione come paese più economico. Il rapporto ha preso in considerazione diversi criteri quali il costo dell’affitto, del cibo, il potere d’acquisto e il prezzo di un pasto al ristorante. Lo […]

L’articolo Tunisia: il quarto paese più economico del mondo sembra essere il primo su Arabpress.