Giorno: 31 dicembre 2015

Cucina palestinese: rummaneyye

La ricetta di oggi, molto diffusa a Gaza ma probabilmente originaria di altre zone della Palestina, propone un insolito accostamento tra melograno, lenticchie e melanzane: la rummaneyye! (dall’arabo rumman, melograno) Ingredienti: 150g di lenticchie secche 1 melanzana media 2 cucchiai di olio d’oliva 5 spicchi d’aglio 1 cucchiaio di farina 1 bicchiere di succo di melograno oppure 1 […]

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Marocco 2015: la follia dei propositi

Di Youssef Lahrichi. Al Huffington Post Maghreb (28/12/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo. Un altro anno volge al termine ed è giunto il momento per i buoni propositi. Quindi elencherò i propositi e le decisioni che sono state prese nel 2015, chiedendomi cosa viene in mente alla gente. In Marocco come altrove. Comincerei innanzitutto da […]

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Corsica: finto imam invitato da France 3 (video)

(Le Parisien). Approfittando del momento di tensione ad Ajaccio, in Corsica, dopo l’attacco contro una moschea avvenuto lo scorso 25 dicembre, tale Rachid Birbach si è fatto invitare dalla rete France 3 facendosi passare per imam e presidente dell’Assemblea dei Musulmani della Corsica, assemblea che in realtà non esiste. Il giovane imam ha detto all’emittente corsa, […]

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Diga etiope sul Nilo: Sudan, Egitto ed Etiopia d’accordo su arbitrato francese

(Agenzie). Ministri di Sudan, Egitto ed Etiopia hanno deciso ieri di ricorrere all’arbitrato di due gruppi di ingegneria francesi per superare le loro divergenze su una diga costruita dall’Etiopia sul Nilo. Il ministro degli Esteri sudanese Ibrahim Ghandour ha detto dopo un incontro a Khartoum che i Ministri di affari Esteri, Acqua e Irrigazione di […]

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I libici e la scelta dell’accordo politico

Di Mahmud Mohammed Nacua. Asharq al-Awsat (29/12/2015). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti. Dopo circa quattordici mesi di colloqui, discussioni e conferenze, da Ghadames in Libia a Ginevra in Svizzera fino a Skhirat in Marocco, è stato raggiunto un accordo sotto l’egida internazionale per la formazione di un governo di unità nazionale in Libia. L’accordo, […]

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Algeria: la crisi petrolifera pesa sulla bilancia

(Agenzie). Con l’esportazione di idrocarburi che rappresenta oltre la metà del PIL e il 60% delle entrate fiscali dello Stato, l’Algeria è la seconda vittima principale, dopo il Venezuela e ad esclusione dei Paesi del golfo Golfo, a essere danneggiata dal crollo di petrolio iniziato nel giugno 2014. La bilancia commerciale algerina è in deficit […]

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Marocco: CR7 e altre star del calcio festeggiano a Marrakesh

(Agenzie). L’attaccante del Real Madrid Cristiano Ronaldo dovrebbe passare le sue vacanze di fine anno in Marocco dove si prevede l’arrivo anche di Guardiola, Karim Benzema e Neymar. L’informazione è stata data dalla agenzia di stampa spagnola EFE. Il capitano della nazionale portoghese avrebbe viaggiato a Marrakech con la stella dell’FC Barcelona, Neymar da Silva, […]

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Afghanistan, il bilancio del Pentagono

Nel rapporto che il Pentagono ha presentato al Congresso degli Stati Uniti per la fine dell’anno
(Enhancing Security and Stability in Afghanistan), i militari americani sono costretti ad ammettere che le cose non vanno bene. “Costretti” sembra un termine appropriato perché lo stile del rapporto mira sia ad assicurare che le forze di sicurezza afgane sono in grado di maneggiare la guerra infinita sia a dare un senso alla scelta di lasciare in Afghanistan quasi diecimila soldati (9.800) anziché i 5.500 che a fine 2016 avrebbero dovuto restare. Una scelta che Obama aveva fatto dopo l’eclatante presa di Kunduz da parte dei talebani tre mesi fa (nota soprattutto per il bombardamento dell’ospedale di Msf). Seppur obtorto collo, il rapporto dà conto di un peggioramento della guerra infinita: tra gennaio e novembre gli attacchi mortali sono aumentati del 4% e sono aumentati quelli con fuoco diretto (rispetto a mine e Ied); i talebani godono, nonostante tutto, di buona salute, Daesh continua a crescere e Al Qaeda non è affatto scomparsa. Solo il 28% degli afgani si sente nel 2015 “al sicuro”, rispetto al 35% nel 2014 e al 45% del 2013. «Collettivamente – conclude il rapporto – terroristi e gruppi insurrezionalisti continuano a presentare una sfida formidabile per gli afgani, gli Usa e la forze della coalizione» (a novembre circa 11.385 uomini).

Le poche righe destinate ai seguaci di bin Laden e Al Zawahiri hanno però attirato l’attenzione della stampa americana e soprattutto del New York Times: che il Paese non sia pacificato ci può stare, ma che Al Qaeda sia in forma è un altro discorso visto che, morto Osama, la missione nell’area doveva ritenersi tecnicamente conclusa. Il rapporto invece rende nota la “resilienza” della rete anche se vi dedica poche righe e tende a derubricarla come l’effetto di un’emigrazione verso l’Afghanistan dovuta all’operativo pachistano Zarb e Azb, che da diciotto mesi martella le postazioni degli stranieri (ceceni, uiguri, uzbeki) con domicilio in Waziristan (area tribale del Pakistan) e che sono i maggiori sostenitori del progetto qaedista. Non solo loro però: il rapporto ammette la preoccupazione per la scelta di mullah Mansur (il nuovo leader dei talebani o, almeno, della fazione più forte) di chiamare come suo vice Siraj Haqqani – l’erede della famosa famiglia afgana jihado-qaedista con residenza in Pakistan e forti legami coi servizi locali. Paradossalmente invece, nota ancora la stampa americana, il rapporto non fa menzione dei rapporti tra Zawahiri (nemmeno citato) e Mansur. Il primo, dopo la proclamazione a luglio del nuovo leader dei talebani aveva registrato un audio messaggio in cui giurava fedeltà al nuovo capo. E qualche giorno dopo, sul sito dei talebani campeggiava l’accettazione del giuramento da parte di Mansur (è anche vero che la pagina è poi scomparsa).

Il rapporto non menziona nemmeno quella che deve invece dev’essere considerata un’altra preoccupazione e non di natura insurrezionalistica: i movimenti al confine tra Afghanistan e repubbliche ex sovietiche, dove il dispositivo di sicurezza congiunto è stato potentemente rafforzato da Mosca dopo la presa di Kunduz tra settembre e ottobre da parte dei talebani che ha molto preoccupato i russi. Non è una novità che stiano guardando nuovamente con attenzione all’area da cui se ne sono andati nel 1989 con ignominia. Ed è di ieri la notizia che Mosca fornirà agli afgani 10mila Kalashnikov, l’arma da combattimento per eccellenza e nota in gergo come Ak47. Il Grande Gioco torna in tutta la sua potenza mentre per ora il processo di pace langue. Al netto di una riunione con americani, cinesi e pachistani che Kabul ospiterà a giorni ma a cui i talebani non parteciperanno.

Afghanistan, il bilancio del Pentagono

Nel rapporto che il Pentagono ha presentato al Congresso degli Stati Uniti per la fine dell’anno
(Enhancing Security and Stability in Afghanistan), i militari americani sono costretti ad ammettere che le cose non vanno bene. “Costretti” sembra un termine appropriato perché lo stile del rapporto mira sia ad assicurare che le forze di sicurezza afgane sono in grado di maneggiare la guerra infinita sia a dare un senso alla scelta di lasciare in Afghanistan quasi diecimila soldati (9.800) anziché i 5.500 che a fine 2016 avrebbero dovuto restare. Una scelta che Obama aveva fatto dopo l’eclatante presa di Kunduz da parte dei talebani tre mesi fa (nota soprattutto per il bombardamento dell’ospedale di Msf). Seppur obtorto collo, il rapporto dà conto di un peggioramento della guerra infinita: tra gennaio e novembre gli attacchi mortali sono aumentati del 4% e sono aumentati quelli con fuoco diretto (rispetto a mine e Ied); i talebani godono, nonostante tutto, di buona salute, Daesh continua a crescere e Al Qaeda non è affatto scomparsa. Solo il 28% degli afgani si sente nel 2015 “al sicuro”, rispetto al 35% nel 2014 e al 45% del 2013. «Collettivamente – conclude il rapporto – terroristi e gruppi insurrezionalisti continuano a presentare una sfida formidabile per gli afgani, gli Usa e la forze della coalizione» (a novembre circa 11.385 uomini).

Le poche righe destinate ai seguaci di bin Laden e Al Zawahiri hanno però attirato l’attenzione della stampa americana e soprattutto del New York Times: che il Paese non sia pacificato ci può stare, ma che Al Qaeda sia in forma è un altro discorso visto che, morto Osama, la missione nell’area doveva ritenersi tecnicamente conclusa. Il rapporto invece rende nota la “resilienza” della rete anche se vi dedica poche righe e tende a derubricarla come l’effetto di un’emigrazione verso l’Afghanistan dovuta all’operativo pachistano Zarb e Azb, che da diciotto mesi martella le postazioni degli stranieri (ceceni, uiguri, uzbeki) con domicilio in Waziristan (area tribale del Pakistan) e che sono i maggiori sostenitori del progetto qaedista. Non solo loro però: il rapporto ammette la preoccupazione per la scelta di mullah Mansur (il nuovo leader dei talebani o, almeno, della fazione più forte) di chiamare come suo vice Siraj Haqqani – l’erede della famosa famiglia afgana jihado-qaedista con residenza in Pakistan e forti legami coi servizi locali. Paradossalmente invece, nota ancora la stampa americana, il rapporto non fa menzione dei rapporti tra Zawahiri (nemmeno citato) e Mansur. Il primo, dopo la proclamazione a luglio del nuovo leader dei talebani aveva registrato un audio messaggio in cui giurava fedeltà al nuovo capo. E qualche giorno dopo, sul sito dei talebani campeggiava l’accettazione del giuramento da parte di Mansur (è anche vero che la pagina è poi scomparsa).

Il rapporto non menziona nemmeno quella che deve invece dev’essere considerata un’altra preoccupazione e non di natura insurrezionalistica: i movimenti al confine tra Afghanistan e repubbliche ex sovietiche, dove il dispositivo di sicurezza congiunto è stato potentemente rafforzato da Mosca dopo la presa di Kunduz tra settembre e ottobre da parte dei talebani che ha molto preoccupato i russi. Non è una novità che stiano guardando nuovamente con attenzione all’area da cui se ne sono andati nel 1989 con ignominia. Ed è di ieri la notizia che Mosca fornirà agli afgani 10mila Kalashnikov, l’arma da combattimento per eccellenza e nota in gergo come Ak47. Il Grande Gioco torna in tutta la sua potenza mentre per ora il processo di pace langue. Al netto di una riunione con americani, cinesi e pachistani che Kabul ospiterà a giorni ma a cui i talebani non parteciperanno.

Afghanistan, il bilancio del Pentagono

Nel rapporto che il Pentagono ha presentato al Congresso degli Stati Uniti per la fine dell’anno
(Enhancing Security and Stability in Afghanistan), i militari americani sono costretti ad ammettere che le cose non vanno bene. “Costretti” sembra un termine appropriato perché lo stile del rapporto mira sia ad assicurare che le forze di sicurezza afgane sono in grado di maneggiare la guerra infinita sia a dare un senso alla scelta di lasciare in Afghanistan quasi diecimila soldati (9.800) anziché i 5.500 che a fine 2016 avrebbero dovuto restare. Una scelta che Obama aveva fatto dopo l’eclatante presa di Kunduz da parte dei talebani tre mesi fa (nota soprattutto per il bombardamento dell’ospedale di Msf). Seppur obtorto collo, il rapporto dà conto di un peggioramento della guerra infinita: tra gennaio e novembre gli attacchi mortali sono aumentati del 4% e sono aumentati quelli con fuoco diretto (rispetto a mine e Ied); i talebani godono, nonostante tutto, di buona salute, Daesh continua a crescere e Al Qaeda non è affatto scomparsa. Solo il 28% degli afgani si sente nel 2015 “al sicuro”, rispetto al 35% nel 2014 e al 45% del 2013. «Collettivamente – conclude il rapporto – terroristi e gruppi insurrezionalisti continuano a presentare una sfida formidabile per gli afgani, gli Usa e la forze della coalizione» (a novembre circa 11.385 uomini).

Le poche righe destinate ai seguaci di bin Laden e Al Zawahiri hanno però attirato l’attenzione della stampa americana e soprattutto del New York Times: che il Paese non sia pacificato ci può stare, ma che Al Qaeda sia in forma è un altro discorso visto che, morto Osama, la missione nell’area doveva ritenersi tecnicamente conclusa. Il rapporto invece rende nota la “resilienza” della rete anche se vi dedica poche righe e tende a derubricarla come l’effetto di un’emigrazione verso l’Afghanistan dovuta all’operativo pachistano Zarb e Azb, che da diciotto mesi martella le postazioni degli stranieri (ceceni, uiguri, uzbeki) con domicilio in Waziristan (area tribale del Pakistan) e che sono i maggiori sostenitori del progetto qaedista. Non solo loro però: il rapporto ammette la preoccupazione per la scelta di mullah Mansur (il nuovo leader dei talebani o, almeno, della fazione più forte) di chiamare come suo vice Siraj Haqqani – l’erede della famosa famiglia afgana jihado-qaedista con residenza in Pakistan e forti legami coi servizi locali. Paradossalmente invece, nota ancora la stampa americana, il rapporto non fa menzione dei rapporti tra Zawahiri (nemmeno citato) e Mansur. Il primo, dopo la proclamazione a luglio del nuovo leader dei talebani aveva registrato un audio messaggio in cui giurava fedeltà al nuovo capo. E qualche giorno dopo, sul sito dei talebani campeggiava l’accettazione del giuramento da parte di Mansur (è anche vero che la pagina è poi scomparsa).

Il rapporto non menziona nemmeno quella che deve invece dev’essere considerata un’altra preoccupazione e non di natura insurrezionalistica: i movimenti al confine tra Afghanistan e repubbliche ex sovietiche, dove il dispositivo di sicurezza congiunto è stato potentemente rafforzato da Mosca dopo la presa di Kunduz tra settembre e ottobre da parte dei talebani che ha molto preoccupato i russi. Non è una novità che stiano guardando nuovamente con attenzione all’area da cui se ne sono andati nel 1989 con ignominia. Ed è di ieri la notizia che Mosca fornirà agli afgani 10mila Kalashnikov, l’arma da combattimento per eccellenza e nota in gergo come Ak47. Il Grande Gioco torna in tutta la sua potenza mentre per ora il processo di pace langue. Al netto di una riunione con americani, cinesi e pachistani che Kabul ospiterà a giorni ma a cui i talebani non parteciperanno.

Fede e fiducia, thiqah ثقة

Una parola per l’anno che viene ثقة thiqah (n.f.), ثقات  thiqaat (pl.): fede, fiducia ✏ (en.) faith, confidence, trust; (de.) Vertrauen; (es.) confianza ∗ ∗ ∗ Lettere  ثاء  thāʼ/ṯāʼ è la quarta lettera dell’alfabeto arabo   تاء مربوطة  tāʼ marbūta (“ta legata”) è una lettera aggiuntiva – variante di tāʼ (ﺕ) – usata solo a fine […]