Giorno: 30 luglio 2015

Mullah Omar è morto. Viva mullah Mansur

Le cronache (tutte pachistane) dicono che il Gran consiglio dei talebani, chiusosi a chiave per in concilio d’emergenza dopo che la notizia della morte di mullah Omar è diventata virale, ha deciso che il nuovo leader (non emiro ma solo numero uno)* debba essere mullah Akhtar Mansur, che Omar avrebbe a suo tempo indicato (con mullah Baradar ora fuori gioco e mullah Obaidullah Akhund ucciso nel 2010) come successore.  Sotto sorveglianza stretta dell’Isi il primo, morto il secondo, Mansur avrebbe avuto gioco facile. L’ex ministro dell’aviazione civile dell’emirato è una garanzia: è nella manica dei pachistani ed è favorevole al processo negoziale. E’ stato forse lui a scrivere il famoso via libera al negoziato firmato da mullah Omar. Mansur avrà due secondi: uno potrebbe essere Yakub figlio di Omar (che molti avrebbero voluto al posto di Mansur) mentre l’altro sarebbe per certo Sirajuddin Haqqani, il figlio senior della rete creata dal vecchio padre mujahedin Jalaluddin e di cui sono noti i buoni anzi ottimi rapporti coi sauditi. Al suo fianco come secondo vice, sostiene l’agenzia Pajhwok, ci sarebbe mullah Haibatullah Akhunzada, già titolare della Difesa durante l’emirato. La scelta fatta sarebbe indigesta alla famiglia di Omar, scrive sempre Pajhwok.
Il processo di pace andrà avanti? Doveva tenersi proprio oggi il secondo round negoziale ma poi i  talebani  ne hanno preso le distanze stamane con una nota ufficiale. E’, dicono Islamabad e Kabul, solo rinviato. Poi si vedrà.

ps I talebani hanno ammesso la morte di mullah Omar: ma risalirebbe solo a qualche giorno fa e non sarebbe avvenuta in Pakistan

* Amir e non Amir-ul-Momineen

Il mullà Omar e il principio di indeterminazione

Stavolta potrebbe essere morto, o meglio: stavolta potrebbe essere vero che sia morto due o tre anni fa. Ma di necrologi ne sono già usciti molti, ogni volta che moriva ne pubblicavano un buon numero, corredando il tutto con considerazioni finali collegate alla situazione del momento.

Quindi di letteratura sul mullà Omar ne abbiamo moltissima e ultimamente è disponibile anche una biografia scrit…

Il mullà Omar e il principio di indeterminazione

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Afghanistan: talebani si dichiarano non a conoscenza dei colloqui di pace

(Agenzie). I talebani si sono dichiarati completamente inconsapevoli e non informati di qualsiasi nuovo round di colloqui di pace previsti questa settimana con il governo afghano. Al contempo non rilasciano nessun tipo di commento sulla notizia circolata ieri, mercoledì 29 luglio, circa la morte del loro leader Mullah Omar. “Secondo i media i colloqui di pace si svolgeranno molto […]

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Turchia: l’AKP verso acque inesplorate

Di Behlul Özkan. In Al Jazeera (27/07/2015). Traduzione e sintesi di Omar Bonetti. Al momento, nessuna mente lucida penserebbe che l’ambiente politico turco sia in forma. La politica estera praticata dal Partito Giustizia e Sviluppo (AKP), che non lascia spazio a compromessi, ha già portato a un parziale isolamento regionale della Turchia. Seppur per motivi […]

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Cinque show che hanno fatto la storia della televisione araba

(Baraka Bits). Anche la televisione araba ha avuto i suoi baluardi: tra questi ecco cinque show televisivi che rimangono nella memoria collettiva di molti Paesi arabi. Madrast Al-Mushaghebeen (1973). Questo spettacolo teatrale egiziano è stato riadattato dal film americano “To Sir, With Love” del 1967. Lo spettacolo ebbe un grande successo non solo in Egitto, ma in […]

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Il Grande Gioco in Pakistan dopo la morte di mullah Omar e l’accordo tra Iran e Usa

La bandiera dell’Armata di Jhangvi: si riferisce a Haq

Nawaz Jhangvi fondatore di Sipah- e -Sahaba Pakistan, gruppo islamista sunnita

nato nel 1980. Lashkar-e-Jangvi nasce nel 1996. Entrambi si rifanno 
alla tradizione Deobandi, la scuola islamista del subcontinente 

Mentre si diffondeva la notizia della presunta morte di mullah Omar, da morte sicuramente certa veniva colpito in Pakistan Malik Ishaq, capo di Lashkar-e-Jhangvi, sanguinario gruppo estremista anti sciita. Catturato una settimana, Malik è stato ucciso (coi figli Usman e Haq Nawaz e altri 11 militanti della sua organizzazione) durante un tentativo per liberarlo che è finito con la morte di tutti e 14 i militanti, uccisi dalle forze di sicurezza pachistane. Benché al bando da anni, Lashkar-e-Jhangvi ha sempre goduto di una certa impunità. Lo stesso Malik, pluriaccusato per stragi che hanno ucciso decine di sciiti, ha fatto 14 anni di prigione ma nel 2011 è uscito e, arrestato più volte, è sempre stato liberato. Ora però il gruppo settario e filo qaedista è nel mirino come quasi tutte le formazioni radical-islamiste del Paese. Qualcosa sta cambiando e non si tratta di un mero fatto nazionale.


Nel quadro confuso di una guerra antica scatenata dai gruppi settari anti sciiti (cui non pare estranea la mano dei Paesi del Golfo) si è aggiunto il caos della nascita di un progetto di Daesh in Pakistan e Afghanistan e una guerra contro il governo ingaggiata dai talebani pachistani del Tehrek-e-Taleban Pakistan, in disaccordo coi cugini afgani (che in cambio dell’ospitalità nei rifugi sicuri del Pakistan si son sempre detti contrari a una guerra contro il regime di Islamabad). Un incendio che è ormai fuori controllo anche perché il potere dei servizi segreti pachistani (più o meno deviati) si è allentato: sia grazie a un tentativo di repulisti nei ranghi dell’Isi da parte del governo, sia perché il quadro jihadista è diventato sempre più disomogeneo con gruppi e gruppuscoli che anziché servire la causa nazionale (disturbare la Nato, controllare il conflitto in Afghanistan, sostenere la battaglia anti indiana per il Kashmir, contenere l’influenza sciito-iraniana) hanno cominciato a giocare una carta propria o quella di altri Paesi. In un gioco che ormai non coincide più con gli interessi strategici del Pakistan. E proprio qui sta il punto.
Da quando gli Stati uniti hanno iniziato a raffreddare le tensioni con Teheran, sino ad arrivare a un accordo sul nucleare qualche settimana fa, i pachistani hanno cominciato lentamente a non seguire più i dettati dei Saud. Se prima tolleravano i gruppi anti sciiti, adesso hanno iniziato a temerli come parte di una galassia jihadista incontrollabile e come attori di un processo di contenimento dell’Iran che al Pakistan interessa meno di prima. Per Islamabad è importante infatti avere buone relazioni con Teheran: è uno Stato confinante con una certa influenza in Afghanistan (sia sul governo sia su parte della guerriglia) e può essere un attore indispensabile di sviluppo (si veda il famoso progetto di un gasdotto dall’Iran all’India e alla Cina che passa per il Pakistan).
Che le tensioni coi sauditi siano aumentate lo si è visto quando Islamabad, pur confermando la fedeltà all’alleato, ha rifiutato di mandare uomini e armi in appoggio alla guerra che i sauditi hanno ingaggiato nello Yemen con gli Houthi (sciiti). Riad l’ha presa a male e ha minacciato ritorsioni. Il fatto è che Islamabad sa che il progetto del califfato non è estraneo ai convulsi disegni geo strategici dei Saud e questo è stato probabilmente un altro motivo di frizione quando Daesh ha pensato bene di allargare i suoi immaginari confini al Khorasan, una regione che nella geografia califfale significa AfPak. Se dunque Islamabad adesso stringe il collare sino a strozzare i gruppi che fino a ieri facevano una politica favorevole ai disegni di Riad, non c’è da stupirsi. Gli effetti dell’accordo di Vienna con Teheran stanno rivoluzionando anche questa fetta del pianeta.