Giorno: 25 ottobre 2013

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

A dialogo con Patrizia Mancini, redattrice di Tunisie-In-Red.org

di Vanessa Bilancetti Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2013 12:36

Dove va la Tunisia? La rivoluzione è alle spalle? Quale futuro per la sinistra e per il dissenso?

L’intervista si è tenuta a Roma venerdì 17 ottobre. Lo stesso giorno a Goubellat erano stati uccisi due agenti delle forze dell’ordine in uno scontro a fuoco con gruppi salafiti. Il 23 ottobre, il giorno in cui sarebbe dovuto cominciare il dialogo nazionale, 6 agenti sono rimasti uccisi in uno scontro a fuoco Sidi Ali Ben Oun, in seguito al quale le opposizioni si sono convocate in sit-in permanente alla Kasbah di Tunisi, fino alla caduta del governo. DinamoPress ha ospitato molti racconti dalla Tunisia di Patrizia, e siamo ora molto contenti di averla conosciuta dal vivo potendo raccogliere le sue opinioni dal vivo.


Una situazione politica di instabile staticità: il Dialogo Nazionale

Il 25 luglio 2013 è stato assassinato il deputato Mohamed Brahmi, il secondo omicidio politico di un leader del Fronte Popolare (raggruppamento di partiti di sinistra e di nazionalisti), imputato a gruppi salafiti operanti nel Paese.

Ci sono molto dubbi riguardo i mandanti di questo omicidio. L’associazione per la ricerca della verità sugli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi – su cui ho già scritto in seguito alla loro conferenza stampa – ha fatto emergere una serie di documenti del Ministero degli Interni da cui risulta come lo stesso Ministero fosse stato avvisato del pericolo imminente dell’attentato. Risulterebbe anche che i due commissariati di Cartagine e di Ariana avessero ricevuto delle informazioni di cui non hanno tenuto conto. Su questo il Ministero degli Interni ha sconfessato solo le date di alcuni documenti utilizzati dall’associazione, ma non la sostanza del loro contenuto.

A seguito dell’omicidio di Mohamed Brahmi è nato il movimento del Bardo (il quartiere dove c’è la sede dell’Assemblea Costituente), inizialmente un vero e proprio sollevamento popolare, con momenti di fortissima tensione, anche perché il tutto avveniva immediatamente dopo gli avvenimenti in Egitto che hanno portato alla destituzione, manu militari, del presidente Morsi, del movimento dei Fratelli Musulmani.

All’inizio il movimento era costituito anche dai giovani, così come durante la Kasbah 1 e 2, e infatti in prima fila c’erano, tra gli altri, Néjib Abidi, militante della prima ora e regista engagé e Aziz Amani, blogger arrestato già durante la rivoluzione contro Ben Alì.Vi erano anche i “sanculottes” delle periferie tunisine e delle regioni dell’interno e le famiglie delle vittime della rivoluzione insieme a i feriti.

Il 24 agosto, dopo quasi un mese di sit-in, i giovani hanno deciso di ritirarsi dalla piazza , perché quel sit-in era diventato lo show dei partiti dell’opposizione che lo avevano esautorato dalla propria valenza rivoluzionaria, trasformandolo in una fiera.

Così la piazza è rimasta in mano Nidaa Tounes, un partito di destra e di stampo benalista, dove tantissime persone del vecchio regime si stanno riciclando, non ultimo Lazhar Akermi un ex segretario generale del RCD (Partito di Ben Alì).

Se inizialmente il sit-in del Bardo poteva avere una valenza rivoluzionaria, così come i sit-in della Kasbah nel 2011, per molti motivi, non ultimo l’incapacità di organizzazione e la mancanza di leadership della gioventù tunisina, i partiti, come Nidaa Tounes, ne hanno sopito le potenzialità, monopolizzato dai 70 deputati dell’opposizione che si sono autosospesi per protesta dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il Fronte Popolare, che tiene insieme partiti di sinistra radicale e partiti stampo nazionalista arabo, si è alleato con Nidaa Tounes, nel Fronte di Salvezza Nazionale, insieme a tutte le altre opposizioni.

Questo ha creato molte discussioni al suo interno, anche se non ci sono state scissioni, e molti mal di pancia, soprattutto nei militanti delle regioni interne, allontanando completamente i giovani simpatizzanti che non si sentono più rappresentanti da nessun partito.Nel frattempo l’UGTT, la centrale sindacale tunisina, che ha un ruolo storico e politico fondamentale, ha formato con l’UTICA, “la confindustria” tunisina, la Lega per i Diritti dell’Uomo e l’Ordine Nazionale degli Avvocati, un quartetto per favorire il dialogo nazionale tra il governo e l’opposizione in sit-in al Bardo.

Anche qui c’è una grossa contraddizione, perché l’UGTT in questa alleanza rischia di dover fare concessioni alla rappresentanza padronale in termini di controllo dei conflitti e azzeramento delle vertenze in corso. Inoltre, vi è dell’ambiguità nel ruolo che il sindacato ha assunto in questa fase e cioè il fatto di essere allo stesso tempo mediatore fra i partiti e parte in causa nell’opposizione al governo della Troika.

Anche fra i blogger e i giovani attivisti indipendenti, gli stessi che nel 2011 si incontravano nei locali del sindacato per organizzarsi, si è diffusa l’opinione che l’UGTT si sia istituzionalizzata e questo distacco è sempre più profondo.

Le condizioni per il dialogo nazionale erano sostanzialmente quattro: lo scioglimento di questo governo (con la conseguente formazione di un nuovo governo di tecnici che dovrebbe solo portare il Paese a nuove elezioni a tutti i livelli), l’immediata formazione dell’istanza per le elezioni (ISIE), l’accelerazione del processo costituzionale con l’aiuto di una commissione di esperti costituzionalisti per rivedere tutta la Carta,l’immediata formazione dell’Istanza per il controllo dell’audio-visuale (regole per la par-condicio).

Il problema forse è che per l’attuazione di questo programma vengono richiesti tempi obiettivamente troppo ristretti e il pericolo rappresentato da un governo di tecnocrati, così come è avvenuto in altri paesi.

Chiedere lo scioglimento del governo e di elezioni a tutti i livelli è necessario, perché Ennahda ha continuato, come succedeva durante il periodo di Ben Alì, a nominare tutte le cariche locali e regionali, in base alla vecchia legislazione dell’epoca della dittatura, dimostrando scarsa “immaginazione” (o nessuna volontà?) rivoluzionaria nel rivedere le modalità delle nomine.

Quindi, ci troviamo in un Paese dove nessuno è stato eletto nelle rappresentanze locali con una marea di gente incompetente, incapace e corrotta che ricopre ruoli di potere, ma invece di far riferimento a Ben Alì, fa riferimento ad Ennahda. In questo caso il problema evidentemente non è la religione, ma un sistema che è rimasto mafioso e corrotto.

Il Fronte Popolare si trova un una vicolo cieco all’interno di questo Fronte di Salute Nazionale: se all’inizio sembrava solo una scelta tattica, ora sembra addirittura che abbia intenzione di presentarsi alla prossime elezioni insieme a Nidaa Tounes.

In ogni caso la redazione della Costituzione era quasi conclusa e l’Istanza per le elezioni pronta: chiedere di ricominciare tutto da capo significa bloccare di nuovo il Paese. Inoltre, bisogna riconoscere che la Costituzione, sulla spinta delle lotte, aveva riconosciuto i diritti delle donne, la piena libertà di espressione, senza alcun riferimento alla Sharia. Ripeto, a mio avviso, la richiesta di sciogliere il governo è assolutamente legittima, ma ciò deve avvenire tramite forti mobilitazioni popolari e certamente non con l’appoggio dell’esercito, perché questo governo non ha mai ascoltato le istanze sociali che emergono con forza dalle lotte presenti in tutta la Tunisia, oltre che aver ceduto alle pressioni internazionali e degli Usa.

Lo scontro laici–religiosi, una trappola per la sinistra?

Qual è il vero problema della sinistra tunisina? E’ di essere caduta nel tranello dello scontro laici e religiosi, in un paese dove il 90% è religioso o comunque si dichiara rispettoso dei valori islamici. I problemi sono altri: l’emarginazione totale di alcune regioni della Tunisia che non hanno avuto alcuno sollievo dalla cacciata di Ben Alì, la povertà in aumento, l’esclusione totale dei giovani dalla vita sociale e politica.

In occidente piace molto questa storia dello “scontro di civiltà”, ma la sinistra tunisina come primo obiettivo dovrebbe porsi quello di difendere le classi meno abbienti, la classe operaia e contadina, le fasce emarginate dalla società, non rincorrere lo scontro fra “il cattivo islamico e il laico buono”.

E’ innegabile che ci sia un aumento della violenza di stampo fondamentalista, in particolare al confine con l’Algeria. Probabilmente questi gruppi sono finanziati dall’estero, anche se non si sa bene da chi. Bisogna ammettere che l’Arabia Saudita è il più grande nemico delle primavere arabe.

Ennahda è un partito con molte correnti interne, la minoritaria è quella più vicina alle istanze democratiche, la più forte è quella di ispirazione sunnita, dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, questa lotta tra correnti è nascosta, ma molto forte. E’ probabile che una parte deviata del Ministero degli Interni e correnti minoritarie salafite abbiano a che fare con gli omicidi di Belaid e Brahmi.

Purtroppo sia Ennhada che i salafiti sono molto abili nel lavoro nelle periferie e fra la povera gente. E infatti oggi proprio nelle banlieues più povere fa presa la vulgata salafita e fondamentalista, laddove la sinistra non ha saputo radicarsi per la sua incapacità di parlare ai disoccupati e agli emarginati dalla società, tanto meno l’élite francofona! La diffusione della predicazione salafita (e jihadista) nei quartieri delle periferie questa diffusione è stata prima favorita anche da Ennhada, ma ora si sta ritorcendo contro lo stesso partito islamico.

La libertà di espressione, le verità nascoste.

Un altro discorso che in occidente piace molto è quello sulla libertà di espressione. Va detto subito che la libertà di espressione in Tunisia esiste, forse è l’unica vera acquisizione della rivoluzione, ma esistono anche leggi fatte dal regime precedente che Ennahda , o meglio il governo della Troika, non ha cambiato. Il sistema giuridico e poliziesco è esattamente lo stesso di Ben Alì. E quindi si assiste spesso ad una schizofrenica applicazione di regole in aperto contrasto con le nuove libertà, ma spesso dietro presunti attacchi alla libertà d’espressione si nascondono attacchi molto più politici, in particolare contro la gioventù che ha fatto la rivoluzione.

L’esplosione della parola che c’è stata dopo la rivoluzione infatti non si è persa in Tunisia. Invece si stanno colpendo con una repressione durissima i giovani che hanno fatto la rivoluzione, gli artisti sono solo la punta dell’iceberg, quella più visibile all’estero. Ma poi ci sono tanti processi di cui non parla nessuno, in cui c’è un accanimento terribile contro i giovani tunisini che hanno alzato la voce.

C’è un ragazzo, di cui abbiamo seguito il caso, Jihed Mabrouk, che è stato rinviato a giudizio per non essersi presentato alla leva militare, eppure è sulla sedia a rotelle dal 2011, per ferite riportate in seguito a scontri con la polizia benalista. La sua vera colpa? Essersi lamentato sui media per la lentezza della giustizia militare.

Ci sono ancora ragazzi in prigione per assalti al commissariato o alle sedi del partito di Ben Alì durante la rivoluzione, in azioni che hanno contribuito alla caduta del regime, per le quali le persone non dovrebbero subire processi!

Un caso eclatante è stato quello di Sabri Safaru, a cui un poliziotto ha tirato un colpo di pistola in pieno viso, distruggendogli la mascella . La sua colpa? Essersi rifiutato di rientrare a casa, come gli era stato intimato dagli agenti. O Yasmin che è stata processata per aver tirato un uovo sul muro del Ministero degli Interni, o ancora il regista Nessreddine Shili, oggi in prigione per aver gettato un uovo contro il Ministero della Cultura.

Weld15 è un rapper che è stato arrestato per la seconda volta e, ad oggi è in prigione per aver scritto una canzone in cui si definiscono i poliziotti come dei cani. Un altro rapper, Klai BBJ, è stato rilasciato solo in questi giorni.

Poi c’è la storia dell’arresto degli 6 artisti: Néjib Abidi, Yahya Dridi, Abdallah Yahya, Slim Abida, Mahmoud Ayad, SKander Ben Abid. La polizia è entrata in casa senza mandato, arrestando tutti per uso di droga. Per l’utilizzo di hascish in Tunisia si può arrivare fino ad un anno di condanna, senza la possibilità di attenuanti. La sera prima a Nèjib era stato rubato in casa l’hard disk contenente tutto il suo nuovo film, dove denunciava la complicità della polizia tunisina con i trafficanti nelle tratte dell’immigrazione clandestina e le politiche migratorie della UE.

E ancora: Jabeur Mejri, condannato a sette anni e mezzo di carcere per aver pubblicato delle caricature del profeta, così come il suo collega e amico Ghazi Beji, condannato in contumacia e ora rifugiato politico in Francia. Questo è passato come il primo caso di censura dopo la rivoluzione, ma la questione non è così semplice come sembra – utile la lettera di Azyz Amami http://www.rue89.com/2013/09/24/lettre-dun-activiste-tunisien-a-edgar-morin-soutenez-246019 ad un giornale francese per comprendere fino in fondo la situazione.Jabeur e Ghazi avevano denunciato tutti i traffici esistenti all’interno di una società collegata alle Ferrovie dello Stato, clientelismo, peso dell’appartenenza ai clan finanziari, ecc. Sono stati denunciati da un imam, cugino di una delle persone accusate di corruzione, per aver criticato l’Islam, cosa che hanno effettivamente fatto. Il giorno dopo la predica un avvocato, conosciuto per il suo passato pro Ben Alì, li ha denunciati sulla base di una legge coloniale del 1905 contro la blasfemia. In realtà come ci dice Azyz, Jabeur e Ghazi avevano “preso posizione” contro tutto ciò che non è cambiato dopo la rivoluzione.Ad oggi Jabeur è in prigione, ed è stato picchiato ripetutamente, perché chi va dentro per blasfemia è considerato alla stregua di un pedofilo. Esiste una grande campagna per sostenerlo: #FreeJabeur.

In conclusione…

Sulla Tunisia sono meno ottimista, ma non si torna più indietro, non tornerà ad essere una dittatura. Si andrà verso una normalizzazione dei processi politici, i conflitti verranno dalla base del sindacato e dai giovani rivoluzionari e su questo bisogna dare man forte. O il Fronte Popolare fa marcia indietro o il conflitto verrà da altre parti. Oggi la Tunisia è nel caos, ma il cambiamento ha bisogno di tempi lunghi.