Anno: 2012

E’ morto Tarak Mekki

Muore Tarak Mekki , stroncato da un improvviso arresto cardiaco nella sua casa di Hammamet.
Domani i funerali. 

Tarak Mekki 

Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

E’ morto Tarak Mekki

Muore Tarak Mekki , stroncato da un improvviso arresto cardiaco nella sua casa di Hammamet.
Domani i funerali. 

Tarak Mekki 

Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

E’ morto Tarak Mekki

Muore Tarak Mekki , stroncato da un improvviso arresto cardiaco nella sua casa di Hammamet.
Domani i funerali. 

Tarak Mekki 

Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

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Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

E’ morto Tarak Mekki

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Domani i funerali. 

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E’ morto Tarak Mekki

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E’ morto Tarak Mekki

Muore Tarak Mekki , stroncato da un improvviso arresto cardiaco nella sua casa di Hammamet.
Domani i funerali. 

Tarak Mekki 

Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

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E’ morto Tarak Mekki

Muore Tarak Mekki , stroncato da un improvviso arresto cardiaco nella sua casa di Hammamet.
Domani i funerali. 

Tarak Mekki 

Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

E’ morto Tarak Mekki

Muore Tarak Mekki , stroncato da un improvviso arresto cardiaco nella sua casa di Hammamet.
Domani i funerali. 

Tarak Mekki 

Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

E’ morto Tarak Mekki

Muore Tarak Mekki , stroncato da un improvviso arresto cardiaco nella sua casa di Hammamet.
Domani i funerali. 

Tarak Mekki 

Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

E’ morto Tarak Mekki

Muore Tarak Mekki , stroncato da un improvviso arresto cardiaco nella sua casa di Hammamet.
Domani i funerali. 

Tarak Mekki 

Uomo d’affari , analista politico e leader del movimento per la seconda repubblica . Nel 2004 abbandono’ la Tunisia dopo aver rifiutato una proposta  poco conveniente avanzata dal clan Trabelsi , famiglia dell’ex first lady tunisina Leila Trabelsi ( gli proposero di dividere gli utili dei suoi affari). Nel 2007 rifiutò’ per due volte lo status di rifugiato politico inaugurando cosi la sua ferrea opposizione alla politica autocratica di Ben Ali , fu uno dei pochi esiliati politici a chiederne pubblicamente la deposizione denunciandone la corruzione e la sistematica violazione dei diritti umani. Dopo due anni di feroce opposizione ll suo sito ufficiale venne ufficialmente cancellato nel 2009 e il suo account face book disattivato, azioni repressive che lo spinsero a spostare la sua aperta opposizione tramite video , cartoni animati satirici e appelli ad una seconda repubblica, il tutto attraverso youtube .Il suo attivismo spinse il regime Ben Ali ad un ennesimo tentativo di censura verso le sue pesanti critiche oscurando i siti di youtube e dailymotions dalle reti cibernetiche del paese maghrebino. Allo scoppio delle rivolte del Dicembre 2010 a Sidi Bouzidi , fu il primo ad annunciare la fuga dalla Tunisia del più grande e corrotto uomo d’affari Belhassen Trabelsi ,  fratello maggiore dell’allora first Lady tunisina Leila Trabelsi . In seguito alla deposizione di Ben Ali avvenuta il 14 Gennaio 2011 fece ritorno in Tunisia dove fondò un movimento denominato ” movimento per la seconda repubblica” legalizzato ufficialmente il 30 Maggio del 2011. Durante i preparativi per le elezioni del 23 Ottobre 2011 annunciò il ritiro del proprio movimento dalla corsa all’assemblea costituente preferendo assistere in qualità di analista politico la situazione politica-sociale-economica del paese pubblicando video sulla pagina face book del suo movimento . E’ stato più volte ospite di programmi quali Al Jazeera e France 24 in qualità di analista politico. Muore la notte del 30 Dicembre 2012 in seguito ad arresto cardiaco . Con la sua scomparsa  la Tunisia perde uno dei analisti politici più rispettati nonche storici oppositori del passato regime  di Zine Abidine Ben Ali . 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

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Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

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Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

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Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Tunisia e il fallimento della sua classe politica


Breve analisi dell’attuale situazione politico-sociale della Tunisia. 

Di Rabih Bouallegue , Amministratore del blog ” Essawt / la voce

Siamo di fronte ad un esecutivo incapace di tenere le redini di un paese allo sbando totale e questo grazie anche all’incapacità politica dell’opposizione , composta prevalentemente da forze di sinistra ,  di creare presupposti tali da poterlo mettere in difficoltà come presentare un alternativa valida al popolo. Bisogna riconoscere la feroce propaganda attuata dalla corrente islamista contro le attuali forze di sinistra ma cosa ha fatto la sinistra per ripulirsi l’immagine se non quella di essere protagonista di veri e propri atti definiti dai tunisini centristi, ”denigratori ” verso la cultura arabo-musulmana del popolo tunisino ? Come la proposta  di voler abolire l’intoccabile l’articolo 1 della costituzione che prevede l’islam come religione di stato e l’arabo come lingua ufficiale .Oppure come la provocazione di Chokri Belaid leader del partito di sinistra ” i patrioti democratici”  quando in occasione dell’inaugurazione per la nascita dell’assemblea costituente rifiuto di leggere la sura della ”fatiha” per commemorare i martiri  caduti durante la rivoluzione , ecc . Per il lettore europeo militante e non  , queste piccole provocazioni possono apparire  come semplici atti di militanza politica  ma per il lettore arabo nonche buon conoscitore del ” conservatorismo” dei popoli arabi, che sia musulmano di fede , copto o ortodosso , sono veri e propri  atti provocatori verso la morale di un popolo a maggioranza musulmana sunnita . Se l’attuale esecutivo al potere che ricordiamo composto da una ”Troika” politica ( due partiti di centro sinistra ed uno di destra -islamista )  è risultato incapace e privo di un programma  serio e fattibile per  le esigenze sopratutto umane del martoriato popolo tunisino, sempre più vittima della disoccupazione e mala politica all’interno dei vari governatorati, nemmeno la sinistra non è da meno . Sinistra che sino ad oggi non ha fatto altro che distogliere le attenzioni del popolo dalla sua incapacità di presentare programmi seri e non utopici tramite gossip e slogan vecchi quanto la rivoluzione d’Ottobre (o rivoluzione russa ) del 1918. Siamo di fronte ad una classe politica ” vecchia ” oltre che incapace di governare il paese , politici e militanti che hanno spaccato un popolo  storicamente unito ,  dividendolo in Laici e Islamisti , tradendo cosi i valori rivendicati dal popolo durante la rivoluzione e accrescendo cosi le già elevate tensioni sociali dovute al ritorno di forza degli ex militanti del partito di Ben Ali , Rcd ( raggruppamento costituzionale democratico ) tramite il partito ” Nidaà Tounes ( l’appello della Tunisia ) fondato dall’ex premier ad interim  del governo provvisorio post Ben Ali, El Beji Caid Sebsi . Tensioni sociali accresciute anche grazie alle voci non ancora provate , di presunte presenze in territorio tunisino di campi d’addestramento jihadisti amministrate da falange armate  , come il fronte ” Ennousra ” , tutt’ora attiva in Siria contro la ferocia e i crimini attuati dalle milizie ” Sabiha” e militari fedeli al regime siriano di Bassar Assad, impegnate nella repressione nel sangue delle manifestazioni pro-primavera araba del popolo siriano. Concludendo , siamo di fronte ad un paese privo di una classe politica , che sia di destra o di sinistra, tale da poterla traghettare verso il sogno di un nuovo Stato democratico e rispettoso dei diritti più elementari del popolo. 

Palestina in Biennale. Spunti di riflessione sull’arte come occupazione

Dust and Dispute
First published in Israel 2008,
Umm el Fahem Gallery Publishing.
[EXIBART] – Torna alla carica il germe “Occupy”, negli ultimi mesi vagamente passato inosservato. Lo annuncia la Palestina, che sfodera nomi e temi della sua partecipazione alla prossima Biennale di Venezia.
Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
Aissa Deebi: http://www.aissadeebi.com/

Palestina in Biennale. Spunti di riflessione sull’arte come occupazione

Dust and Dispute
First published in Israel 2008,
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[EXIBART] – Torna alla carica il germe “Occupy”, negli ultimi mesi vagamente passato inosservato. Lo annuncia la Palestina, che sfodera nomi e temi della sua partecipazione alla prossima Biennale di Venezia.
Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

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Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

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Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

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Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

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Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
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Umm el Fahem Gallery Publishing.
[EXIBART] – Torna alla carica il germe “Occupy”, negli ultimi mesi vagamente passato inosservato. Lo annuncia la Palestina, che sfodera nomi e temi della sua partecipazione alla prossima Biennale di Venezia.
Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

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First published in Israel 2008,
Umm el Fahem Gallery Publishing.
[EXIBART] – Torna alla carica il germe “Occupy”, negli ultimi mesi vagamente passato inosservato. Lo annuncia la Palestina, che sfodera nomi e temi della sua partecipazione alla prossima Biennale di Venezia.
Al Hoash è un’organizzazione no-profit di Gerusalemme che ha nella sua mission lo sviluppo dell’arte come elemento per “elevare” la comunicazione, l’innovazione, la libera espressione e l’orgoglio nazionale.

Una piattaforma per la conoscenza della popolazione palestinese e per la volontà di esprimersi, esplorare, capire e rafforzare la propria identità, non solo culturale, attraverso la pratica visiva.

Ma perché vi stiamo raccontando tutto ciò? Perché Al Hoash sarà il promotore della partecipazione palestinese alla rassegna, e metterà in scena “Otherwise Occupied”, progetto curato da Bruce Ferguson con Rawan Sharaf, con la partecipazione degli artisti Bashir Makhoul e Aissa Deebi, che come molti coscritti, per poter riuscire a vivere, sono emigrati, mettendo in atto durante tutto il loro percorso poetico l’idea che, per avvicinarsi alla Palestina, sia necessario impegnarsi in nuovi modi di pensare o immaginare la nazione, fosse davvero necessario vivere a distanza dai suoi confini.

Bashir Makhoul: http://www.bashirmakhoul.com/
Aissa Deebi: http://www.aissadeebi.com/

Passion Rouge tunisina

Gihen

E’ stato pubblicato in formato e-book, come la fortunata graphic novel iraniana Zahra’s Paradise, e per il momento solo in italiano, “Passion Rouge II: La Terza Chiave” (58 pagine € 6,99), spy story a fumetti di una delle poche autrici arabe del genere, la tunisina Gihèn Ben Mahmoud, da 5 anni a Milano. Il volume è il secondo capitolo (il primo uscì nel 2008 in francese, anche in Tunisia) di una storia ambientata nella Tunisia del periodo post rivoluzione, e consumata tra intrighi internazionali, giochi di potere, mistero e, naturalmente, amore.
La protagonista è una donna molto bella e sexy, Elyssa Haddad, vedova di un ex politico libanese e amministratore unico della più grande azienda farmaceutica del Medio Oriente. Insomma, in questo fumetto non ci sono supereroi ma a farla da padrona sono la gente e le strade delle metropoli arabe.
All’altrettanto bella e sexy autrice di questo fumetto, Gihè Ben Mahmoud, capelli corti e arruffati, occhi sempre disegnati da una riga di kajal, abbiamo chiesto che cosa non indosserebbe mai. Lei ci ha risposto: “Mai dire mai. Credo pero’ che sia il burqa. Lo considero una cosa che non ha niente a che fare con la religione musulmana”.

Passion Rouge tunisina

Gihen

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La protagonista è una donna molto bella e sexy, Elyssa Haddad, vedova di un ex politico libanese e amministratore unico della più grande azienda farmaceutica del Medio Oriente. Insomma, in questo fumetto non ci sono supereroi ma a farla da padrona sono la gente e le strade delle metropoli arabe.
All’altrettanto bella e sexy autrice di questo fumetto, Gihè Ben Mahmoud, capelli corti e arruffati, occhi sempre disegnati da una riga di kajal, abbiamo chiesto che cosa non indosserebbe mai. Lei ci ha risposto: “Mai dire mai. Credo pero’ che sia il burqa. Lo considero una cosa che non ha niente a che fare con la religione musulmana”.

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Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Il neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa….

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

ScreenHunter_43-Dec.-21-19.20.jpgIl neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa. Ma questa visita è carica di significati e di attese. E qualcosa ha portato. Ma, come sempre accade in politica, non tutte le promesse saranno mantenute.

 La prima in assoluto fu la visita di Giscard D’Estaing nel 1975. Là, le cose erano molto più complicate. La memoria della guerra d’indipendenza era ancora fresca nelle menti dei due popoli. Quello algerino non aveva del tutto finito di leccare le profonde ferite lasciate dal conflitto. 

La visita avveniva anche soltanto 4 anni dopo il 1971, anno in cui il presidente Houari Boumedienne aveva deciso di nazionalizzare tutte le risorse naturali del paese. La Francia tentò un embargo economico sul giovane stato ma in vano. Erano altri tempi. Il ritiro delle competenze francesi fu subito dopo colmato con l’arrivo di tecnici e ingegneri russi, polacchi, cecoslovacchi…  Il boicottaggio dei vini algerini (fino a quell’anno l’Algeria era il primo produttore mondiale di vino) da parte degli importatori francesi portò semplicemente il governo algerino a eliminare molte delle monoculture imposte dall’economia coloniale e ad introdurre al loro posto altri tipi di produzioni.

L’ex potenza coloniale si rese presto conto che l’Algeria non era Cuba. Era un paese grande come tutta l’Europa, con molte terre fertili e un sottosuolo che faceva venire l’acquolina in bocca a molti. La visita di Giscard era una specie di riconoscimento mutuo.

Dopo quell’anno, ogni presidente francese ha visitato l’Algeria nei primi mesi della sua investitura. Anche se le relazioni non sono mai state molto cordiali. Ma da nessuna delle due parti c’era interesse per una rottura definitiva. Business must go on.

 

Una decolonizzazione dolorosa

Uno dei problemi più spinosi tra le due sponde è sicuramente quella della fase di decolonizzazione.

Dopo la seconda guerra mondiale il grande vincitore: gli Stati Uniti, aveva esortato i suoi alleati ad uscire dal vecchio modello coloniale. Per praticare quello più sofisticato che loro già praticavano da più di un secolo in America Latina: il neocolonialismo. De Gaulle, verso il 1952, pochi anni dopo, fece il giro delle colonie e dichiarò loro la fine prossima dell’era coloniale. Ma ne approfittò anche per designare chi avrebbe gestito il dopo Indipendenza. Ciò avvenne per tutta l’Africa. Ma non poteva avverarsi in Algeria senza dolori. L’Algeria era diversa da tutti gli altri. Perché non era un protettorato né una semplice colonia militare. In Algeria c’era un milione di Europei mandati a occupare il territorio. Era, come il Sudafrica, quello che si chiama un colonialismo di popolazione. Ma gli europei erano 1 milione su 10 milioni. Una minoranza che aveva assolutamente bisogno della potenza militare della madre patria per mantenere i suoi privilegi.

La guerra d’indipendenza durò 7 anni e costò centinaia di migliaia di morti. La storia ufficiale algerina parla di un milione e mezzo. Cifra assolutamente esagerata. Ma quella reale mai stabilita con esattezza, che si aggira comunque sopra il mezzo milione è altrettanto spaventosa.

La guerra a livello militare fu un vero e proprio massacro di combattenti e civili algerini. Ma al livello politico, invece, portò il Fronte di Liberazione Algerino ad una eclatante vittoria che obbligò la Francia ad accettare l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione di cui il risultato era scontato. 1962 le truppe francesi lasciano il suolo algerino. Dietro di loro, il milione di francesi d’Algeria prese paura e si trasferì in massa verso la metropoli. Un altro dramma nel dramma. 

 

I fantasmi del passato

Dopo l’indipendenza però la Francia non riconobbe mai che quello che si svolse in Algeria fu una guerra e continuò a chiamarla “Gli eventi”. Niente riconoscimento dei massacri, niente riconoscimento del sistema di tipo apartheid che era in vigore. Negazione totale della tortura e dei metodi illegali usati durante la guerra. Il quasi milione di persone scomparse in quelli anni si sarebbe evaporato da solo.

Nell’ottobre del 1961, il FLN decide di portare la protesta a Parigi, nel cuore dell’impero. La polizia di Maurice Papon, ex collaborazionista con i nazisti riciclato da De Gaulle, non esita a compiere una vera e propria macelleria. Centinaia di manifestanti inermi sono uccisi a brucia pelo, annegati nel fiume, picchiati a morte… Ancora una volta Parigi si benda gli occhi e rifiuta di vedere (Leggere un mio post precedente sul 17 ottobre 1961).

In tutti questi anni nessuna alta carica dello stato francese aveva osato rompere i tabù e riconoscere quello che è stato. Eppure tutti i presidenti francesi non erano di destra. C’è stato anche il socialista François Mitterrand. Ma per il Mitterrand, che faceva il ministro della giustizia durante i primi anni della guerra, si trattava di riconoscere le proprie colpe in una repressione di cui è stato spesso l’eminenza grigia.

Tutto questo per arrivare alla straordinarietà delle parole pronunciate da François Hollande prima e soprattutto durante la sua visita ad Algeri.

 

Un discorso tanti tabù

Nel discorso pronunciato di fronte ai parlamentari algerini, Hollande ha detto:

“Per 132 anni la popolazione algerina è stata esposta ad un sistema profondamente ingiusto e brutale e questo sistema ha un nome : a colonizzazione. E riconosco qui le sofferenze che la colonizzazione ha inflitto al popolo algerino. Tra queste sofferenze ci sono stati i massacri di Setif, Guelma e Kherata, che so essere rimasti vivi nella coscienza algerina. Ma anche dei francesi. Perché a Setif nel 1945, mentre il mondo trionfava contro la barbarie, la Francia mancava ai suoi valori universali. La verità deve essere detta anche sulle circostanze nelle quali l’Algeria è stata liberata dal sistema coloniale. Questa guerra che a lungo non ha detto il suo nome in Francia: La guerra d’Algeria. Ecco. Abbiamo il diritto di verità sulla memoria, su tutte le memorie, dobbiamo la verità sulle ingiustizie, sulle violenze, sui massacri e sulle torture. Conoscere e stabilire la verità è il dovere sia dei francesi che degli Algerini. Ed è per questo che gli archivi devono essere aperti agli esperti e che si deve avviare in tal senso una cooperazione tra i due paesi. ” (ascoltare il discorso integrale)

Ingiustizia, violenza, massacri, guerra, tortura. Mai così tanti tabù furono rotti tutti insieme nella terra di Robespierre. Forse è proprio per quello che Hollande ha aspettato proprio di mettere piede ad Algeri per pronunciarli tutti insieme.

Ma François Hollande non è Jean Paul Sartre. È prima di tutto il presidente della repubblica Francese. E fin che non sarà fondato il mondo migliore che tutti speriamo, la grandezza della repubblica francese è in gran parte fondata sulla mungitura dell’Africa. E quindi più di tanto non può fare in un momento in cui i terreni di caccia della sua nazione in Africa sono sempre di più contesi e da più di un nuovo cacciatore. François Hollande è andato in Algeria e ha teso la mano al regime algerino. Regime che, pur composto da una maggioranza di gente che non l’hanno fatta, fonda la sua legittimità sulla guerra d’indipendenza. Ma non ha teso la mano né al popolo algerino né tanto meno alle opposizioni sempre più laminate dalla repressione e dalle manipolazioni.

 

Fare i conti con il presente

 

c'é mon tourPrima della sua partenza un gruppo di associazioni e movimenti sia algerine che francesi l’hanno supplicato di usare la sua statura per richiamare il suo omologo algerino al rispetto dei diritti delle opposizioni, dei difensori dei diritti dell’uomo e dei sindacati. Ma in vano. Il presidente ha fatto (ed è il caso di dirlo) orecchie da mercante. Infatti era lì per vendere. Una tra tante, la nuova fabbrica della Renault in Algeria. La prima fabbrica del genere in un paese che ha un mercato estremamente appetibile e che ha visto il suo parco automobile moltiplicato per dieci in poco più di un decennio. Poi treni Alstom per il nostro presidente che fa la concorrenza con il vicino Re del Marocco a chi ce l’ha più bello e più veloce. Energia, probabilmente vuole piazzare lì il nucleare di Areva che fa sempre più paura ai francesi. E poi gas, petrolio, miniere… E, ovviamente, sotto sotto, ci sta pure qualche cacciabombardiere. Ci mancherebbe. 

Allora non è sorprendente se nel suo discorso ha avuto solo elogi per quello che l’Algeria è diventata oggi. E non ha fatto nessun accenno alle gravi violazioni in corso in Algeria, non ha detto una parola sulle madri dei desaparecidos degli anni 90 che ancora aspettano notizie dei loro figli. Parlando delle lingue dell’Algeria ha citato l’Arabo e il Francese, tagliando fuori più di un 40 % di Algerini che si riconoscono nella lingua berbera. Non ha accennato alle aspirazioni dei giovani algerini a più libertà, democrazia e giustizia sociale… Nulla. 

Ma forse era troppo chiedere da un presidente straniero. In modo particolare dal presidente della Francia. Hollande era già portatore del pesante fardello della riapertura del dialogo sulla storia. Un passo da gigante rispetto ai suoi predecessori. Il dialogo sul presente, forse, tocca ad altri.

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

Hollande ad Algeri. Conti con il passato e con il presente

ScreenHunter_43-Dec.-21-19.20.jpgIl neoeletto presidente François Hollande si è recato in Algeria per una visita ufficiale. Il fatto non è inedito. Non è il primo presidente francese a andare in visita nel paese Nordafricano con il quale la francia è legata da una storia lunga e complessa. Ma questa visita è carica di significati e di attese. E qualcosa ha portato. Ma, come sempre accade in politica, non tutte le promesse saranno mantenute.

 La prima in assoluto fu la visita di Giscard D’Estaing nel 1975. Là, le cose erano molto più complicate. La memoria della guerra d’indipendenza era ancora fresca nelle menti dei due popoli. Quello algerino non aveva del tutto finito di leccare le profonde ferite lasciate dal conflitto. 

La visita avveniva anche soltanto 4 anni dopo il 1971, anno in cui il presidente Houari Boumedienne aveva deciso di nazionalizzare tutte le risorse naturali del paese. La Francia tentò un embargo economico sul giovane stato ma in vano. Erano altri tempi. Il ritiro delle competenze francesi fu subito dopo colmato con l’arrivo di tecnici e ingegneri russi, polacchi, cecoslovacchi…  Il boicottaggio dei vini algerini (fino a quell’anno l’Algeria era il primo produttore mondiale di vino) da parte degli importatori francesi portò semplicemente il governo algerino a eliminare molte delle monoculture imposte dall’economia coloniale e ad introdurre al loro posto altri tipi di produzioni.

L’ex potenza coloniale si rese presto conto che l’Algeria non era Cuba. Era un paese grande come tutta l’Europa, con molte terre fertili e un sottosuolo che faceva venire l’acquolina in bocca a molti. La visita di Giscard era una specie di riconoscimento mutuo.

Dopo quell’anno, ogni presidente francese ha visitato l’Algeria nei primi mesi della sua investitura. Anche se le relazioni non sono mai state molto cordiali. Ma da nessuna delle due parti c’era interesse per una rottura definitiva. Business must go on.

 

Una decolonizzazione dolorosa

Uno dei problemi più spinosi tra le due sponde è sicuramente quella della fase di decolonizzazione.

Dopo la seconda guerra mondiale il grande vincitore: gli Stati Uniti, aveva esortato i suoi alleati ad uscire dal vecchio modello coloniale. Per praticare quello più sofisticato che loro già praticavano da più di un secolo in America Latina: il neocolonialismo. De Gaulle, verso il 1952, pochi anni dopo, fece il giro delle colonie e dichiarò loro la fine prossima dell’era coloniale. Ma ne approfittò anche per designare chi avrebbe gestito il dopo Indipendenza. Ciò avvenne per tutta l’Africa. Ma non poteva avverarsi in Algeria senza dolori. L’Algeria era diversa da tutti gli altri. Perché non era un protettorato né una semplice colonia militare. In Algeria c’era un milione di Europei mandati a occupare il territorio. Era, come il Sudafrica, quello che si chiama un colonialismo di popolazione. Ma gli europei erano 1 milione su 10 milioni. Una minoranza che aveva assolutamente bisogno della potenza militare della madre patria per mantenere i suoi privilegi.

La guerra d’indipendenza durò 7 anni e costò centinaia di migliaia di morti. La storia ufficiale algerina parla di un milione e mezzo. Cifra assolutamente esagerata. Ma quella reale mai stabilita con esattezza, che si aggira comunque sopra il mezzo milione è altrettanto spaventosa.

La guerra a livello militare fu un vero e proprio massacro di combattenti e civili algerini. Ma al livello politico, invece, portò il Fronte di Liberazione Algerino ad una eclatante vittoria che obbligò la Francia ad accettare l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione di cui il risultato era scontato. 1962 le truppe francesi lasciano il suolo algerino. Dietro di loro, il milione di francesi d’Algeria prese paura e si trasferì in massa verso la metropoli. Un altro dramma nel dramma. 

 

I fantasmi del passato

Dopo l’indipendenza però la Francia non riconobbe mai che quello che si svolse in Algeria fu una guerra e continuò a chiamarla “Gli eventi”. Niente riconoscimento dei massacri, niente riconoscimento del sistema di tipo apartheid che era in vigore. Negazione totale della tortura e dei metodi illegali usati durante la guerra. Il quasi milione di persone scomparse in quelli anni si sarebbe evaporato da solo.

Nell’ottobre del 1961, il FLN decide di portare la protesta a Parigi, nel cuore dell’impero. La polizia di Maurice Papon, ex collaborazionista con i nazisti riciclato da De Gaulle, non esita a compiere una vera e propria macelleria. Centinaia di manifestanti inermi sono uccisi a brucia pelo, annegati nel fiume, picchiati a morte… Ancora una volta Parigi si benda gli occhi e rifiuta di vedere (Leggere un mio post precedente sul 17 ottobre 1961).

In tutti questi anni nessuna alta carica dello stato francese aveva osato rompere i tabù e riconoscere quello che è stato. Eppure tutti i presidenti francesi non erano di destra. C’è stato anche il socialista François Mitterrand. Ma per il Mitterrand, che faceva il ministro della giustizia durante i primi anni della guerra, si trattava di riconoscere le proprie colpe in una repressione di cui è stato spesso l’eminenza grigia.

Tutto questo per arrivare alla straordinarietà delle parole pronunciate da François Hollande prima e soprattutto durante la sua visita ad Algeri.

 

Un discorso tanti tabù

Nel discorso pronunciato di fronte ai parlamentari algerini, Hollande ha detto:

“Per 132 anni la popolazione algerina è stata esposta ad un sistema profondamente ingiusto e brutale e questo sistema ha un nome : a colonizzazione. E riconosco qui le sofferenze che la colonizzazione ha inflitto al popolo algerino. Tra queste sofferenze ci sono stati i massacri di Setif, Guelma e Kherata, che so essere rimasti vivi nella coscienza algerina. Ma anche dei francesi. Perché a Setif nel 1945, mentre il mondo trionfava contro la barbarie, la Francia mancava ai suoi valori universali. La verità deve essere detta anche sulle circostanze nelle quali l’Algeria è stata liberata dal sistema coloniale. Questa guerra che a lungo non ha detto il suo nome in Francia: La guerra d’Algeria. Ecco. Abbiamo il diritto di verità sulla memoria, su tutte le memorie, dobbiamo la verità sulle ingiustizie, sulle violenze, sui massacri e sulle torture. Conoscere e stabilire la verità è il dovere sia dei francesi che degli Algerini. Ed è per questo che gli archivi devono essere aperti agli esperti e che si deve avviare in tal senso una cooperazione tra i due paesi. ” (ascoltare il discorso integrale)

Ingiustizia, violenza, massacri, guerra, tortura. Mai così tanti tabù furono rotti tutti insieme nella terra di Robespierre. Forse è proprio per quello che Hollande ha aspettato proprio di mettere piede ad Algeri per pronunciarli tutti insieme.

Ma François Hollande non è Jean Paul Sartre. È prima di tutto il presidente della repubblica Francese. E fin che non sarà fondato il mondo migliore che tutti speriamo, la grandezza della repubblica francese è in gran parte fondata sulla mungitura dell’Africa. E quindi più di tanto non può fare in un momento in cui i terreni di caccia della sua nazione in Africa sono sempre di più contesi e da più di un nuovo cacciatore. François Hollande è andato in Algeria e ha teso la mano al regime algerino. Regime che, pur composto da una maggioranza di gente che non l’hanno fatta, fonda la sua legittimità sulla guerra d’indipendenza. Ma non ha teso la mano né al popolo algerino né tanto meno alle opposizioni sempre più laminate dalla repressione e dalle manipolazioni.

 

Fare i conti con il presente

 

c'é mon tourPrima della sua partenza un gruppo di associazioni e movimenti sia algerine che francesi l’hanno supplicato di usare la sua statura per richiamare il suo omologo algerino al rispetto dei diritti delle opposizioni, dei difensori dei diritti dell’uomo e dei sindacati. Ma in vano. Il presidente ha fatto (ed è il caso di dirlo) orecchie da mercante. Infatti era lì per vendere. Una tra tante, la nuova fabbrica della Renault in Algeria. La prima fabbrica del genere in un paese che ha un mercato estremamente appetibile e che ha visto il suo parco automobile moltiplicato per dieci in poco più di un decennio. Poi treni Alstom per il nostro presidente che fa la concorrenza con il vicino Re del Marocco a chi ce l’ha più bello e più veloce. Energia, probabilmente vuole piazzare lì il nucleare di Areva che fa sempre più paura ai francesi. E poi gas, petrolio, miniere… E, ovviamente, sotto sotto, ci sta pure qualche cacciabombardiere. Ci mancherebbe. 

Allora non è sorprendente se nel suo discorso ha avuto solo elogi per quello che l’Algeria è diventata oggi. E non ha fatto nessun accenno alle gravi violazioni in corso in Algeria, non ha detto una parola sulle madri dei desaparecidos degli anni 90 che ancora aspettano notizie dei loro figli. Parlando delle lingue dell’Algeria ha citato l’Arabo e il Francese, tagliando fuori più di un 40 % di Algerini che si riconoscono nella lingua berbera. Non ha accennato alle aspirazioni dei giovani algerini a più libertà, democrazia e giustizia sociale… Nulla. 

Ma forse era troppo chiedere da un presidente straniero. In modo particolare dal presidente della Francia. Hollande era già portatore del pesante fardello della riapertura del dialogo sulla storia. Un passo da gigante rispetto ai suoi predecessori. Il dialogo sul presente, forse, tocca ad altri.

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Inside the Free Syrian Army prison in Aleppo – YouTube

The Free Syrian Army has established a prison in Aleppo’s countryside to hold more than 200 prisoners. Among them there are Military Officers, soldiers, and “shabiha” [regime militia members] caught during battles, as well as other criminals. . Website…

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An Egyptian avant-garde

Five rebellious, avant-garde Egyptian writers and painters founded in 1939 a movement that for the first time in modern Egypt linked politics to art – The Art & Freedom Group. Though surrealism prevailed amongst the founders, the group was an eclectic cluster of some of the most important creative forces Egypt had ever seen.

Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

Fast forward to Egypt in 2012, with a newly democratically elected president and a confused society, we are presenting the works of 9 Egyptian artists whose work echoes the legacy of the Art & Freedom group, acting as agents for social change for a free liberated Egypt.

An Egyptian avant-garde

Five rebellious, avant-garde Egyptian writers and painters founded in 1939 a movement that for the first time in modern Egypt linked politics to art – The Art & Freedom Group. Though surrealism prevailed amongst the founders, the group was an eclectic cluster of some of the most important creative forces Egypt had ever seen.

Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

Fast forward to Egypt in 2012, with a newly democratically elected president and a confused society, we are presenting the works of 9 Egyptian artists whose work echoes the legacy of the Art & Freedom group, acting as agents for social change for a free liberated Egypt.

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Fast forward to Egypt in 2012, with a newly democratically elected president and a confused society, we are presenting the works of 9 Egyptian artists whose work echoes the legacy of the Art & Freedom group, acting as agents for social change for a free liberated Egypt.

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Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

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An Egyptian avant-garde

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Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

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Five rebellious, avant-garde Egyptian writers and painters founded in 1939 a movement that for the first time in modern Egypt linked politics to art – The Art & Freedom Group. Though surrealism prevailed amongst the founders, the group was an eclectic cluster of some of the most important creative forces Egypt had ever seen.

Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

Fast forward to Egypt in 2012, with a newly democratically elected president and a confused society, we are presenting the works of 9 Egyptian artists whose work echoes the legacy of the Art & Freedom group, acting as agents for social change for a free liberated Egypt.

An Egyptian avant-garde

Five rebellious, avant-garde Egyptian writers and painters founded in 1939 a movement that for the first time in modern Egypt linked politics to art – The Art & Freedom Group. Though surrealism prevailed amongst the founders, the group was an eclectic cluster of some of the most important creative forces Egypt had ever seen.

Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

Fast forward to Egypt in 2012, with a newly democratically elected president and a confused society, we are presenting the works of 9 Egyptian artists whose work echoes the legacy of the Art & Freedom group, acting as agents for social change for a free liberated Egypt.

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Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

Fast forward to Egypt in 2012, with a newly democratically elected president and a confused society, we are presenting the works of 9 Egyptian artists whose work echoes the legacy of the Art & Freedom group, acting as agents for social change for a free liberated Egypt.

An Egyptian avant-garde

Five rebellious, avant-garde Egyptian writers and painters founded in 1939 a movement that for the first time in modern Egypt linked politics to art – The Art & Freedom Group. Though surrealism prevailed amongst the founders, the group was an eclectic cluster of some of the most important creative forces Egypt had ever seen.

Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

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An Egyptian avant-garde

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Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

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An Egyptian avant-garde

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Convinced that Egypt was “a sick and failing society”, the 5 outspoken protagonists (GeorgeHenein, RamsesYounan, Fouad & AnwarKamelandKamelelTelmessani) stated that art did not exist merely as ‘art for art’s sake’, but rather‘art presented itself as the means to liberate Egypt’, with the defiant use of the pen and brush.

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A Beautiful Tango

A post about Hassan Hajjaj can only be followed by one about Hindi Zahra, a good friend of him. A modern Cheikha Rimitti or a Moroccan Omm Kalthoum. Call her what you want. But please, take 5 minutes to listen to her voice. Here you find a short bio from her post psychedelic web-site.

“The story of a Berber girl born in Morocco. Her father was in the army and her mother a housewife, occasional actress and singer of village repute. Among her uncles were musicians, into the post-psychedelic Moroccan scene of the time. She grew up to the sound of divas ¾ raï and châabi, like Cheikha Rimitti, and the great Egyptian Oum Khalsoum ¾ between traditional Berber music and desert rock’n’roll, with the blues of the great Malian Ali Farka Touré and the sensual folk music of Ismaël Lo in the wings. All this before she set out across the Mediterranean to join her father in Paris. She left school and got her first job at 18 in the Louvre. “This was my meeting with art. As a child, I was contemplative, in touch with nature. The paintings gave me the same sensations.” Read more here.

Her Beautiful Tango.

A Beautiful Tango

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“The story of a Berber girl born in Morocco. Her father was in the army and her mother a housewife, occasional actress and singer of village repute. Among her uncles were musicians, into the post-psychedelic Moroccan scene of the time. She grew up to the sound of divas ¾ raï and châabi, like Cheikha Rimitti, and the great Egyptian Oum Khalsoum ¾ between traditional Berber music and desert rock’n’roll, with the blues of the great Malian Ali Farka Touré and the sensual folk music of Ismaël Lo in the wings. All this before she set out across the Mediterranean to join her father in Paris. She left school and got her first job at 18 in the Louvre. “This was my meeting with art. As a child, I was contemplative, in touch with nature. The paintings gave me the same sensations.” Read more here.

Her Beautiful Tango.

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“The story of a Berber girl born in Morocco. Her father was in the army and her mother a housewife, occasional actress and singer of village repute. Among her uncles were musicians, into the post-psychedelic Moroccan scene of the time. She grew up to the sound of divas ¾ raï and châabi, like Cheikha Rimitti, and the great Egyptian Oum Khalsoum ¾ between traditional Berber music and desert rock’n’roll, with the blues of the great Malian Ali Farka Touré and the sensual folk music of Ismaël Lo in the wings. All this before she set out across the Mediterranean to join her father in Paris. She left school and got her first job at 18 in the Louvre. “This was my meeting with art. As a child, I was contemplative, in touch with nature. The paintings gave me the same sensations.” Read more here.

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“The story of a Berber girl born in Morocco. Her father was in the army and her mother a housewife, occasional actress and singer of village repute. Among her uncles were musicians, into the post-psychedelic Moroccan scene of the time. She grew up to the sound of divas ¾ raï and châabi, like Cheikha Rimitti, and the great Egyptian Oum Khalsoum ¾ between traditional Berber music and desert rock’n’roll, with the blues of the great Malian Ali Farka Touré and the sensual folk music of Ismaël Lo in the wings. All this before she set out across the Mediterranean to join her father in Paris. She left school and got her first job at 18 in the Louvre. “This was my meeting with art. As a child, I was contemplative, in touch with nature. The paintings gave me the same sensations.” Read more here.

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Gli strani sultani del Cairo

C’è motivo di credere che la bozza di Costituzione presentata dall’Assemblea costituente (dalla quale si erano dimessi tutti i membri “laici”) verrà approvata con il referendum in corso. Le ragioni sono molto semplici: i votanti non hanno avuto il tempo…

Hassan Hajjaj’s rockstar portraits

This Sunday, head to 32 Calvert Avenue, London, UK, for the Larache Winter Sale with winter tea,
wine and live music to keep the cold out.
— with Hassan Hajjaj.

[Orlando Reader for The Guardian] – Hassan Hajjaj’s first memories of photography are from his childhood in Morocco. His mother would occasionally dress him in clothes sent from his father in England, cover him in perfume and take the whole family to the local photography studio for a family portrait. 
Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
Read more on the Guardian.

 

Hassan Hajjaj’s rockstar portraits

This Sunday, head to 32 Calvert Avenue, London, UK, for the Larache Winter Sale with winter tea,
wine and live music to keep the cold out.
— with Hassan Hajjaj.

[Orlando Reader for The Guardian] – Hassan Hajjaj’s first memories of photography are from his childhood in Morocco. His mother would occasionally dress him in clothes sent from his father in England, cover him in perfume and take the whole family to the local photography studio for a family portrait. 
Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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— with Hassan Hajjaj.

[Orlando Reader for The Guardian] – Hassan Hajjaj’s first memories of photography are from his childhood in Morocco. His mother would occasionally dress him in clothes sent from his father in England, cover him in perfume and take the whole family to the local photography studio for a family portrait. 
Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
Read more on the Guardian.

 

Hassan Hajjaj’s rockstar portraits

This Sunday, head to 32 Calvert Avenue, London, UK, for the Larache Winter Sale with winter tea,
wine and live music to keep the cold out.
— with Hassan Hajjaj.

[Orlando Reader for The Guardian] – Hassan Hajjaj’s first memories of photography are from his childhood in Morocco. His mother would occasionally dress him in clothes sent from his father in England, cover him in perfume and take the whole family to the local photography studio for a family portrait. 
Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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Hassan Hajjaj’s rockstar portraits

This Sunday, head to 32 Calvert Avenue, London, UK, for the Larache Winter Sale with winter tea,
wine and live music to keep the cold out.
— with Hassan Hajjaj.

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Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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Hassan Hajjaj’s rockstar portraits

This Sunday, head to 32 Calvert Avenue, London, UK, for the Larache Winter Sale with winter tea,
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Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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This Sunday, head to 32 Calvert Avenue, London, UK, for the Larache Winter Sale with winter tea,
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[Orlando Reader for The Guardian] – Hassan Hajjaj’s first memories of photography are from his childhood in Morocco. His mother would occasionally dress him in clothes sent from his father in England, cover him in perfume and take the whole family to the local photography studio for a family portrait. 
Then there were the street photographers in Larache, the harbour town where he lived until the age of fourteen, “who would take pictures of you on a plastic horse, wearing cowboy hats and so on…” There is a similar colour and spontaneity to My Rockstars: Volume 1, a series of studio portraits Hajjaj has been working on since 1998, exhibited for the first time at The Third Line gallery in Dubai last month.
This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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This is only the latest in what has been a busy few years for Hajjaj, exhibiting his work in Europe, Africa and the Middle East: in 2009 his photographs were featured in the Bamako Rencontres Biennale, this year he exhibited work in Riad Yima, a house he designed himself, featured in the Marrakech Biennale.
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Monocle at Doha Tribeca Film Festival

Political revolutions and their aftermath are fertile conditions for filmmakers. Monocle took a front-row seat at the Doha Tribeca Film Festival (17-24 Nov), to witness the cinema of change emerging in the Arab region.

Monocle at Doha Tribeca Film Festival

Political revolutions and their aftermath are fertile conditions for filmmakers. Monocle took a front-row seat at the Doha Tribeca Film Festival (17-24 Nov), to witness the cinema of change emerging in the Arab region.

Monocle at Doha Tribeca Film Festival

Political revolutions and their aftermath are fertile conditions for filmmakers. Monocle took a front-row seat at the Doha Tribeca Film Festival (17-24 Nov), to witness the cinema of change emerging in the Arab region.

Monocle at Doha Tribeca Film Festival

Political revolutions and their aftermath are fertile conditions for filmmakers. Monocle took a front-row seat at the Doha Tribeca Film Festival (17-24 Nov), to witness the cinema of change emerging in the Arab region.

Monocle at Doha Tribeca Film Festival

Political revolutions and their aftermath are fertile conditions for filmmakers. Monocle took a front-row seat at the Doha Tribeca Film Festival (17-24 Nov), to witness the cinema of change emerging in the Arab region.

Monocle at Doha Tribeca Film Festival

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Monocle at Doha Tribeca Film Festival

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Monocle at Doha Tribeca Film Festival

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Monocle at Doha Tribeca Film Festival

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Monocle at Doha Tribeca Film Festival

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Monocle at Doha Tribeca Film Festival

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Monocle at Doha Tribeca Film Festival

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Monocle at Doha Tribeca Film Festival

Political revolutions and their aftermath are fertile conditions for filmmakers. Monocle took a front-row seat at the Doha Tribeca Film Festival (17-24 Nov), to witness the cinema of change emerging in the Arab region.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

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Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

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Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Evitata "escalation" sciopero cancellato

Alla vigilia dello sciopero generale, Il segretario generale della UGTT, il maggiore sindacto tunisino, ha annullato lo sciopero richimando all’unita e alla vigilanza contro chi trama contro   richiede vigilanza e di unità in tutta l’Unione, contro ciò che sta accadendo contro di essail sindacato. L’UGTT andrà sempre per difendere il paese e la sua unità “, recita la pagina ufficiale di Facebook del sindacato, spiegando la decisione con il  desiderio di preservare il clima di pace sociale in questa difficile fase, segnata in particolare dalle attività di gruppi armati al confine con l’Algeria.

Dubai International Film Festival choice cuts

Film director of “Wadjda”, Haifaa Al Mansour of Saudi Arabia,
 poses during a photo session at the 69th Venice Film Festival
on August 31, 2012 at Venice Lido. “Wadjda”
is competing in the Orizzonti section of the festival.
AFP PHOTO / TIZIANA FABI
As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

[Kelly Crane for GULF NEWS] – Unless you’re unemployed, on a sabbatical or enjoying a holiday, with 161 films from 43 countries screening at this year’s Dubai International Film Festival there just aren’t enough hours in the day to see them all.


Having spent the last 12 months trawling through hundreds of flicks to bring only the best to Diff 2012, the dedicated Diff programmers are the most qualified to advise on what to watch.
 All seven give tabloid! their top picks for the week and tips on how do to the Dubai International Film Festival 2012.


Nashen Moodley, Director of Asia Africa Programmes


Choice cut: “I encourage Dubai audiences to be risky with their choices.”

Diff in a sentence: “A unique celebration of international cinema providing a rare opportunity for the people of Dubai to see a broad range of wonderful, life-changing films.”



Top picks:
 Back to 1942 (China): “It’s a great epic which is both stylish and moving.” (December 13, 8pm, Madinat Arena)

Lesson of the Evil (Japan): “The legendary Japanese director Mike Takashi will join us at Diff for the presentation of his very gory and very disturbing film.” (December 11, 9.30pm MoE 12; December 13, 10.30pm, MoE 10.)


The Thieves (Korea): “This is an exhilarating heist film, filled with twists and turns, and spectacular stunts.” (December 11, 6.15pm, MoE 2; December 13, 3.15pm, MOE 1).

Read more on Gulf News

Dubai International Film Festival choice cuts

Film director of “Wadjda”, Haifaa Al Mansour of Saudi Arabia,
 poses during a photo session at the 69th Venice Film Festival
on August 31, 2012 at Venice Lido. “Wadjda”
is competing in the Orizzonti section of the festival.
AFP PHOTO / TIZIANA FABI
As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

[Kelly Crane for GULF NEWS] – Unless you’re unemployed, on a sabbatical or enjoying a holiday, with 161 films from 43 countries screening at this year’s Dubai International Film Festival there just aren’t enough hours in the day to see them all.


Having spent the last 12 months trawling through hundreds of flicks to bring only the best to Diff 2012, the dedicated Diff programmers are the most qualified to advise on what to watch.
 All seven give tabloid! their top picks for the week and tips on how do to the Dubai International Film Festival 2012.


Nashen Moodley, Director of Asia Africa Programmes


Choice cut: “I encourage Dubai audiences to be risky with their choices.”

Diff in a sentence: “A unique celebration of international cinema providing a rare opportunity for the people of Dubai to see a broad range of wonderful, life-changing films.”



Top picks:
 Back to 1942 (China): “It’s a great epic which is both stylish and moving.” (December 13, 8pm, Madinat Arena)

Lesson of the Evil (Japan): “The legendary Japanese director Mike Takashi will join us at Diff for the presentation of his very gory and very disturbing film.” (December 11, 9.30pm MoE 12; December 13, 10.30pm, MoE 10.)


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 poses during a photo session at the 69th Venice Film Festival
on August 31, 2012 at Venice Lido. “Wadjda”
is competing in the Orizzonti section of the festival.
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As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

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is competing in the Orizzonti section of the festival.
AFP PHOTO / TIZIANA FABI
As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

[Kelly Crane for GULF NEWS] – Unless you’re unemployed, on a sabbatical or enjoying a holiday, with 161 films from 43 countries screening at this year’s Dubai International Film Festival there just aren’t enough hours in the day to see them all.


Having spent the last 12 months trawling through hundreds of flicks to bring only the best to Diff 2012, the dedicated Diff programmers are the most qualified to advise on what to watch.
 All seven give tabloid! their top picks for the week and tips on how do to the Dubai International Film Festival 2012.


Nashen Moodley, Director of Asia Africa Programmes


Choice cut: “I encourage Dubai audiences to be risky with their choices.”

Diff in a sentence: “A unique celebration of international cinema providing a rare opportunity for the people of Dubai to see a broad range of wonderful, life-changing films.”



Top picks:
 Back to 1942 (China): “It’s a great epic which is both stylish and moving.” (December 13, 8pm, Madinat Arena)

Lesson of the Evil (Japan): “The legendary Japanese director Mike Takashi will join us at Diff for the presentation of his very gory and very disturbing film.” (December 11, 9.30pm MoE 12; December 13, 10.30pm, MoE 10.)


The Thieves (Korea): “This is an exhilarating heist film, filled with twists and turns, and spectacular stunts.” (December 11, 6.15pm, MoE 2; December 13, 3.15pm, MOE 1).

Read more on Gulf News

Dubai International Film Festival choice cuts

Film director of “Wadjda”, Haifaa Al Mansour of Saudi Arabia,
 poses during a photo session at the 69th Venice Film Festival
on August 31, 2012 at Venice Lido. “Wadjda”
is competing in the Orizzonti section of the festival.
AFP PHOTO / TIZIANA FABI
As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

[Kelly Crane for GULF NEWS] – Unless you’re unemployed, on a sabbatical or enjoying a holiday, with 161 films from 43 countries screening at this year’s Dubai International Film Festival there just aren’t enough hours in the day to see them all.


Having spent the last 12 months trawling through hundreds of flicks to bring only the best to Diff 2012, the dedicated Diff programmers are the most qualified to advise on what to watch.
 All seven give tabloid! their top picks for the week and tips on how do to the Dubai International Film Festival 2012.


Nashen Moodley, Director of Asia Africa Programmes


Choice cut: “I encourage Dubai audiences to be risky with their choices.”

Diff in a sentence: “A unique celebration of international cinema providing a rare opportunity for the people of Dubai to see a broad range of wonderful, life-changing films.”



Top picks:
 Back to 1942 (China): “It’s a great epic which is both stylish and moving.” (December 13, 8pm, Madinat Arena)

Lesson of the Evil (Japan): “The legendary Japanese director Mike Takashi will join us at Diff for the presentation of his very gory and very disturbing film.” (December 11, 9.30pm MoE 12; December 13, 10.30pm, MoE 10.)


The Thieves (Korea): “This is an exhilarating heist film, filled with twists and turns, and spectacular stunts.” (December 11, 6.15pm, MoE 2; December 13, 3.15pm, MOE 1).

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Film director of “Wadjda”, Haifaa Al Mansour of Saudi Arabia,
 poses during a photo session at the 69th Venice Film Festival
on August 31, 2012 at Venice Lido. “Wadjda”
is competing in the Orizzonti section of the festival.
AFP PHOTO / TIZIANA FABI
As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

[Kelly Crane for GULF NEWS] – Unless you’re unemployed, on a sabbatical or enjoying a holiday, with 161 films from 43 countries screening at this year’s Dubai International Film Festival there just aren’t enough hours in the day to see them all.


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Nashen Moodley, Director of Asia Africa Programmes


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Top picks:
 Back to 1942 (China): “It’s a great epic which is both stylish and moving.” (December 13, 8pm, Madinat Arena)

Lesson of the Evil (Japan): “The legendary Japanese director Mike Takashi will join us at Diff for the presentation of his very gory and very disturbing film.” (December 11, 9.30pm MoE 12; December 13, 10.30pm, MoE 10.)


The Thieves (Korea): “This is an exhilarating heist film, filled with twists and turns, and spectacular stunts.” (December 11, 6.15pm, MoE 2; December 13, 3.15pm, MOE 1).

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 poses during a photo session at the 69th Venice Film Festival
on August 31, 2012 at Venice Lido. “Wadjda”
is competing in the Orizzonti section of the festival.
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As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

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The Thieves (Korea): “This is an exhilarating heist film, filled with twists and turns, and spectacular stunts.” (December 11, 6.15pm, MoE 2; December 13, 3.15pm, MOE 1).

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AFP PHOTO / TIZIANA FABI
As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

[Kelly Crane for GULF NEWS] – Unless you’re unemployed, on a sabbatical or enjoying a holiday, with 161 films from 43 countries screening at this year’s Dubai International Film Festival there just aren’t enough hours in the day to see them all.


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 Back to 1942 (China): “It’s a great epic which is both stylish and moving.” (December 13, 8pm, Madinat Arena)

Lesson of the Evil (Japan): “The legendary Japanese director Mike Takashi will join us at Diff for the presentation of his very gory and very disturbing film.” (December 11, 9.30pm MoE 12; December 13, 10.30pm, MoE 10.)


The Thieves (Korea): “This is an exhilarating heist film, filled with twists and turns, and spectacular stunts.” (December 11, 6.15pm, MoE 2; December 13, 3.15pm, MOE 1).

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Film director of “Wadjda”, Haifaa Al Mansour of Saudi Arabia,
 poses during a photo session at the 69th Venice Film Festival
on August 31, 2012 at Venice Lido. “Wadjda”
is competing in the Orizzonti section of the festival.
AFP PHOTO / TIZIANA FABI
As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

[Kelly Crane for GULF NEWS] – Unless you’re unemployed, on a sabbatical or enjoying a holiday, with 161 films from 43 countries screening at this year’s Dubai International Film Festival there just aren’t enough hours in the day to see them all.


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Lesson of the Evil (Japan): “The legendary Japanese director Mike Takashi will join us at Diff for the presentation of his very gory and very disturbing film.” (December 11, 9.30pm MoE 12; December 13, 10.30pm, MoE 10.)


The Thieves (Korea): “This is an exhilarating heist film, filled with twists and turns, and spectacular stunts.” (December 11, 6.15pm, MoE 2; December 13, 3.15pm, MOE 1).

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on August 31, 2012 at Venice Lido. “Wadjda”
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AFP PHOTO / TIZIANA FABI
As the vast majority of the readers of this blog are not from Italy (in order from USA, Italy, Egypt, Russia, Germany, UK, France, Morocco … and some, sometimes, even from Mongolia!), I keep posting also in English. Last week I attended the premier in Milan of the first ever full-length feature film entirely made in Saudi Arabia. “Wadjda,” (in Italian “La bicicletta verde”) directed by Haiffa Al-Mansour, that is about an 11-year-old girl growing up on the outskirts of Riyadh who dreams of getting and riding a green bicycle. It is a moving and uplifting movie, with reare footage of real life in Saudi Arabia. Everyone should try to watch it. So I decided today to post something also about Arab movies. Here it comes a list of must-see movies at Dubai Inernational Film Festival 2012 (9th Edition, 9-16 Decembre 2012) still ongoig in Dubai. It is not only about Arab movies, but it is also about what Arabs watch.

[Kelly Crane for GULF NEWS] – Unless you’re unemployed, on a sabbatical or enjoying a holiday, with 161 films from 43 countries screening at this year’s Dubai International Film Festival there just aren’t enough hours in the day to see them all.


Having spent the last 12 months trawling through hundreds of flicks to bring only the best to Diff 2012, the dedicated Diff programmers are the most qualified to advise on what to watch.
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Nashen Moodley, Director of Asia Africa Programmes


Choice cut: “I encourage Dubai audiences to be risky with their choices.”

Diff in a sentence: “A unique celebration of international cinema providing a rare opportunity for the people of Dubai to see a broad range of wonderful, life-changing films.”



Top picks:
 Back to 1942 (China): “It’s a great epic which is both stylish and moving.” (December 13, 8pm, Madinat Arena)

Lesson of the Evil (Japan): “The legendary Japanese director Mike Takashi will join us at Diff for the presentation of his very gory and very disturbing film.” (December 11, 9.30pm MoE 12; December 13, 10.30pm, MoE 10.)


The Thieves (Korea): “This is an exhilarating heist film, filled with twists and turns, and spectacular stunts.” (December 11, 6.15pm, MoE 2; December 13, 3.15pm, MOE 1).

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Le armi chimiche della Siria

Riporto qui un post di Valerio Peverelli, apparso su “Tutto in 30 secondi” il 25 luglio scorso. Ritengo sia fondamentale per intavolare un discorso ragionevole sulla questione “armi chimiche in Siria”, al di là della retorica della “pistola fumante“, di…

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
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Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
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Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
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Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
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Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
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Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

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Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
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Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
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Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
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Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
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Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
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Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
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Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
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Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
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Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
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Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
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Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

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Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

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"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
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Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
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Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

Sulla letteratura palestinese ho invece rintracciato un post di Paola Caridi che fa riferimento ad un suo articolo, dal titolo “Il vero romanzo palestinese è un pezzo rap”, recentemente pubblicato sulla stampa nazionale. Ne riporta il contenuto QUI sul suo blog Arabinvisibili.  

 

"It’s not the End of the World"

Ieri il bel blog Editoriaraba ha ospitato un mio post. Ho partecipato infatto all’interessante iniziativa rivolta dall’amministratrice ai suoi lettori arabisti di realizzare una top ten dei loro autori preferiti. 
Eccone, qui sotto, uno stralcio. Si tratta di giovani autori, già tradotti in italiano, e ancora – credo tutti – disponibili (in libreria o su richiesta delle case editrici). Ahime’ ho dovuto scartare quello che piu’ di tutti mi ha appassionato negli anni di studio dell’arabo, perchè credo che sia fuori stampa. Si tratta del marocchino Driss Chraibi (1926-2007) autore della serie dell’ispettore Ali (tipo il tenente Colombo orientale). Comunque, torniamo a noi … .
Vertigo, dello scrittore e fotografo egiziano Ahmed Mourad (trad. di Barbara Teresi, 2012). E’ un giallo ricco di suspense in cui la denuncia della corruzione si mescola all’immancabile ironia egiziana. Al Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, il fotografo Ahmad Kamal assiste per caso all’omicidio di due corrotti uomini d’affari, noti per i loro legami con i vertici del potere.Vertigo è diventata anche una serie Tv andata in onda durante il Ramadan 2012. Pero’ i telespettatori ci trovano una sorpresa: Kamal è invece una donna, interpretata dalla splendida attrice tunisina Hind Sabri che abbiamo già visto recitare in un’altra serie araba di successo. E’ quella tratta dal libro Che il velo sia da sposa di Ghada Abdel Aal (uscito in italiano nel 2010).
Beirut I Love You, della scrittrice libanese Zena el Khalil (trad. di Santina Mobiglia, 2010). Ha scelto internet, nella forma di un blog, per sfogare le sue paure, l’artista libanese Zena El Khalil. Era il 2006 e la sua Beirut si sgretolava sotto i raid degli israeliani. The Guardian ha pubblicato le sue cronache che alla fine hanno ispirato un libro. In Italia: Beirut, I Love You. Inoltre, oggi è anche una installazione, Beirut, I Love You – A Work in Progress, realizzata sempre dall’artista Zena el Khalil in collaborazione con il regista Gigi Roccati, come parte del progetto ideato da Artissima 19 It’s Not The End Of The World. Il lavoro è frutto dei tre anni di collaborazione nell’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato da Zena in un film lungometraggio ancora da realizzare, per la regia di Gigi Roccati.
metro 
Metro, del disegnatore egiziano Magdi Al Shafee (trad. di Ernesto Pagano, 2010). Metro‭ ‬è la prima graphic novel egiziana‭, ‬e la sua storia è quasi un romanzo a sé‭.‬ Magdy El Shafee‭, ‬illustratore e intellettuale egiziano‭, ‬l’aveva terminata nel 2008‭: ‬è un thriller a fumetti‭, ‬storia d’amore e romanzo politico metropolitano‭, ‬protagonista un giovane programmatore informatico‭, ‬Shehab‭, ‬coinvolto in una rapina da un politico corrotto‭. ‬Ma soprattutto nei disegni si srotolano gli avvenimenti egiziani degli ultimi anni‭, ‬prima della rivoluzione del 2011, cadenzati dalle fermate della metropolitana che portano nomi dei capi di stato‭: ‬Nasser‭, ‬Sadat‭, ‬Mubarak‭. ‬All’epoca fu abbastanza per una confisca immediata del volume‭,‬ l’arresto dell’editore‭ (‬celebre blogger egiziano‭) ‬e un processo concluso con una multa per ‬اaver compromesso la moralità pubblica. E’ uscita nel 2010 la sua traduzione integrale in italiano‭ e nel 2012 quella in inglese, ‬testimonianza di un mondo arabo del fumetto che fra censura e denuncia sociale sta conquistando nuovo pubblico‭.
[…]
Rapsodia irachena, dello scrittore iracheno Sinan Antoon (trad. di Ramona Ciucani, 2010). Acclamato poeta iracheno in esilio, ma anche scrittore e traduttore (fra gli altri del memorabile Mahmoud Darwish) e disturbatore dello status quo. Sinan Antoon si è trasferito negli Stati Uniti subito dopo la prima Guerra del Golfo. E a Baghdad ci è tornato solo nel luglio 2003, per girarci un documentario in cui racconta il suo viaggio nella città sotto l’occupazione americana. In questo suo romanzo d’esordio, dal titolo Rapsodia irachena, ci parla della vita sotto un regime, quello iracheno di Saddam, in costante stato di belligeranza. Sullo sfondo la prima di una serie di guerre che ha distrutto un popolo un tempo incredibilmente ricco, non solo di cultura. Siamo negli anni ’80 e l’Iraq è in guerra con l’Iran. Attraverso le memorie che appartengono alla vita di un prigioniero contrario al regime, Rapsodia irachena ci regala in poche pagine una miniatura inedita della dolorosa vita in quegli anni, di cui si sa veramente poco. Sinan Antoon è anche co-fondatore e co-editor del sito bilingue di critica e cultura sul mondo arabo Jadaliyya.
[…]
Leggi il post intero QUI su Editoriaraba.

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Siria: il peggior finale possibile

Sembra che gli americani si apprestino ad armare apertamente i ribelli siriani. Fino ad oggi lo hanno fatto limitatamente e non apertamente. Sembra che, allo stesso tempo, gli americani si apprestino a dichiarare la Jabhat al-nusra, una formazione jihadista siriana,…

Tunisia, verso il 13 dicembre: una seconda rivoluzione

La scorsa settimana l’UGTT, il piu grande sindacao tunisino ha indetto uno sciopero generale, non succedeva dalla rivoluzione, in seguito alla “escalation” di violenze e intimidazioni di forze vicine all’ala radicale di Ennhada.Una seconda rivoluzione? L’inizio della fine di Ennhada? Un Egitto bis? Secondo un eccellente post che abbiamo raccolto su una pagina facebook di un alto funzionario tunisino “Le proteste di ieri hanno il merito di chiarire la natura della battaglia che si gioca oggi nel nostro Paese: da un lato, i sindacalisti e i loro amici a difendere una organizzazione storica che era tutto lotte per la libertà, la democrazia e il progresso del popolo tunisino, dall’altro, la predicazione dell’odio e della violenza di alcuni imam, dotati di un vero e proprio progetto fascista che vede qualsiasi opposizione al governo come eresia.Il futuro del nostro Paese si sta giocando in questo momento e sarà soprattutto il giorno dello sciopero generale il Giovedi 13!”” Il risultato e’ molto incerto, ma la posta in gioco e’ di certo molto alta.

Tunisia, verso il 13 dicembre: una seconda rivoluzione

La scorsa settimana l’UGTT, il piu grande sindacao tunisino ha indetto uno sciopero generale, non succedeva dalla rivoluzione, in seguito alla “escalation” di violenze e intimidazioni di forze vicine all’ala radicale di Ennhada.Una seconda rivoluzione? L’inizio della fine di Ennhada? Un Egitto bis? Secondo un eccellente post che abbiamo raccolto su una pagina facebook di un alto funzionario tunisino “Le proteste di ieri hanno il merito di chiarire la natura della battaglia che si gioca oggi nel nostro Paese: da un lato, i sindacalisti e i loro amici a difendere una organizzazione storica che era tutto lotte per la libertà, la democrazia e il progresso del popolo tunisino, dall’altro, la predicazione dell’odio e della violenza di alcuni imam, dotati di un vero e proprio progetto fascista che vede qualsiasi opposizione al governo come eresia.Il futuro del nostro Paese si sta giocando in questo momento e sarà soprattutto il giorno dello sciopero generale il Giovedi 13!”” Il risultato e’ molto incerto, ma la posta in gioco e’ di certo molto alta.

Tunisia, verso il 13 dicembre: una seconda rivoluzione

La scorsa settimana l’UGTT, il piu grande sindacao tunisino ha indetto uno sciopero generale, non succedeva dalla rivoluzione, in seguito alla “escalation” di violenze e intimidazioni di forze vicine all’ala radicale di Ennhada.Una seconda rivoluzione? L’inizio della fine di Ennhada? Un Egitto bis? Secondo un eccellente post che abbiamo raccolto su una pagina facebook di un alto funzionario tunisino “Le proteste di ieri hanno il merito di chiarire la natura della battaglia che si gioca oggi nel nostro Paese: da un lato, i sindacalisti e i loro amici a difendere una organizzazione storica che era tutto lotte per la libertà, la democrazia e il progresso del popolo tunisino, dall’altro, la predicazione dell’odio e della violenza di alcuni imam, dotati di un vero e proprio progetto fascista che vede qualsiasi opposizione al governo come eresia.Il futuro del nostro Paese si sta giocando in questo momento e sarà soprattutto il giorno dello sciopero generale il Giovedi 13!”” Il risultato e’ molto incerto, ma la posta in gioco e’ di certo molto alta.

Tunisia, verso il 13 dicembre: una seconda rivoluzione

La scorsa settimana l’UGTT, il piu grande sindacao tunisino ha indetto uno sciopero generale, non succedeva dalla rivoluzione, in seguito alla “escalation” di violenze e intimidazioni di forze vicine all’ala radicale di Ennhada.Una seconda rivoluzione? L’inizio della fine di Ennhada? Un Egitto bis? Secondo un eccellente post che abbiamo raccolto su una pagina facebook di un alto funzionario tunisino “Le proteste di ieri hanno il merito di chiarire la natura della battaglia che si gioca oggi nel nostro Paese: da un lato, i sindacalisti e i loro amici a difendere una organizzazione storica che era tutto lotte per la libertà, la democrazia e il progresso del popolo tunisino, dall’altro, la predicazione dell’odio e della violenza di alcuni imam, dotati di un vero e proprio progetto fascista che vede qualsiasi opposizione al governo come eresia.Il futuro del nostro Paese si sta giocando in questo momento e sarà soprattutto il giorno dello sciopero generale il Giovedi 13!”” Il risultato e’ molto incerto, ma la posta in gioco e’ di certo molto alta.

Tunisia, verso il 13 dicembre: una seconda rivoluzione

La scorsa settimana l’UGTT, il piu grande sindacao tunisino ha indetto uno sciopero generale, non succedeva dalla rivoluzione, in seguito alla “escalation” di violenze e intimidazioni di forze vicine all’ala radicale di Ennhada.Una seconda rivoluzione? L’inizio della fine di Ennhada? Un Egitto bis? Secondo un eccellente post che abbiamo raccolto su una pagina facebook di un alto funzionario tunisino “Le proteste di ieri hanno il merito di chiarire la natura della battaglia che si gioca oggi nel nostro Paese: da un lato, i sindacalisti e i loro amici a difendere una organizzazione storica che era tutto lotte per la libertà, la democrazia e il progresso del popolo tunisino, dall’altro, la predicazione dell’odio e della violenza di alcuni imam, dotati di un vero e proprio progetto fascista che vede qualsiasi opposizione al governo come eresia.Il futuro del nostro Paese si sta giocando in questo momento e sarà soprattutto il giorno dello sciopero generale il Giovedi 13!”” Il risultato e’ molto incerto, ma la posta in gioco e’ di certo molto alta.

Tunisia, verso il 13 dicembre: una seconda rivoluzione

La scorsa settimana l’UGTT, il piu grande sindacao tunisino ha indetto uno sciopero generale, non succedeva dalla rivoluzione, in seguito alla “escalation” di violenze e intimidazioni di forze vicine all’ala radicale di Ennhada.Una seconda rivoluzione? L’inizio della fine di Ennhada? Un Egitto bis? Secondo un eccellente post che abbiamo raccolto su una pagina facebook di un alto funzionario tunisino “Le proteste di ieri hanno il merito di chiarire la natura della battaglia che si gioca oggi nel nostro Paese: da un lato, i sindacalisti e i loro amici a difendere una organizzazione storica che era tutto lotte per la libertà, la democrazia e il progresso del popolo tunisino, dall’altro, la predicazione dell’odio e della violenza di alcuni imam, dotati di un vero e proprio progetto fascista che vede qualsiasi opposizione al governo come eresia.Il futuro del nostro Paese si sta giocando in questo momento e sarà soprattutto il giorno dello sciopero generale il Giovedi 13!”” Il risultato e’ molto incerto, ma la posta in gioco e’ di certo molto alta.

Tunisia, verso il 13 dicembre: una seconda rivoluzione

La scorsa settimana l’UGTT, il piu grande sindacao tunisino ha indetto uno sciopero generale, non succedeva dalla rivoluzione, in seguito alla “escalation” di violenze e intimidazioni di forze vicine all’ala radicale di Ennhada.Una seconda rivoluzione? L’inizio della fine di Ennhada? Un Egitto bis? Secondo un eccellente post che abbiamo raccolto su una pagina facebook di un alto funzionario tunisino “Le proteste di ieri hanno il merito di chiarire la natura della battaglia che si gioca oggi nel nostro Paese: da un lato, i sindacalisti e i loro amici a difendere una organizzazione storica che era tutto lotte per la libertà, la democrazia e il progresso del popolo tunisino, dall’altro, la predicazione dell’odio e della violenza di alcuni imam, dotati di un vero e proprio progetto fascista che vede qualsiasi opposizione al governo come eresia.Il futuro del nostro Paese si sta giocando in questo momento e sarà soprattutto il giorno dello sciopero generale il Giovedi 13!”” Il risultato e’ molto incerto, ma la posta in gioco e’ di certo molto alta.

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La scorsa settimana l’UGTT, il piu grande sindacao tunisino ha indetto uno sciopero generale, non succedeva dalla rivoluzione, in seguito alla “escalation” di violenze e intimidazioni di forze vicine all’ala radicale di Ennhada.Una seconda rivoluzione? L’inizio della fine di Ennhada? Un Egitto bis? Secondo un eccellente post che abbiamo raccolto su una pagina facebook di un alto funzionario tunisino “Le proteste di ieri hanno il merito di chiarire la natura della battaglia che si gioca oggi nel nostro Paese: da un lato, i sindacalisti e i loro amici a difendere una organizzazione storica che era tutto lotte per la libertà, la democrazia e il progresso del popolo tunisino, dall’altro, la predicazione dell’odio e della violenza di alcuni imam, dotati di un vero e proprio progetto fascista che vede qualsiasi opposizione al governo come eresia.Il futuro del nostro Paese si sta giocando in questo momento e sarà soprattutto il giorno dello sciopero generale il Giovedi 13!”” Il risultato e’ molto incerto, ma la posta in gioco e’ di certo molto alta.

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Tunisia, verso il 13 dicembre: una seconda rivoluzione

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Yasmine Hamdan & Friends

Three winters ago, Yasmine Hamdan was known as Y.A.S., a pairing, or an encounter of her own culture and that of Mirwais’s electropop music. For ten years she dominated the Arab underground scene from Beirut, becoming its icon as the front woman of the band Soapkills (along with Zeid Hamdan).
Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

Performance, 15 min

Musical guests: Marc Collin’s ghost, Charbel Haber, Walid Sadek & other special guests.
With the collaboration of Alia Hamdan, Ziad Nawfal & friends.
Location: Beirut Art Center
Date & Time: Wednesday, December 19, 2012 at 8:00pm

Yasmine Hamdan & Friends

Three winters ago, Yasmine Hamdan was known as Y.A.S., a pairing, or an encounter of her own culture and that of Mirwais’s electropop music. For ten years she dominated the Arab underground scene from Beirut, becoming its icon as the front woman of the band Soapkills (along with Zeid Hamdan).
Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

Performance, 15 min

Musical guests: Marc Collin’s ghost, Charbel Haber, Walid Sadek & other special guests.
With the collaboration of Alia Hamdan, Ziad Nawfal & friends.
Location: Beirut Art Center
Date & Time: Wednesday, December 19, 2012 at 8:00pm

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Three winters ago, Yasmine Hamdan was known as Y.A.S., a pairing, or an encounter of her own culture and that of Mirwais’s electropop music. For ten years she dominated the Arab underground scene from Beirut, becoming its icon as the front woman of the band Soapkills (along with Zeid Hamdan).
Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

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Musical guests: Marc Collin’s ghost, Charbel Haber, Walid Sadek & other special guests.
With the collaboration of Alia Hamdan, Ziad Nawfal & friends.
Location: Beirut Art Center
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Three winters ago, Yasmine Hamdan was known as Y.A.S., a pairing, or an encounter of her own culture and that of Mirwais’s electropop music. For ten years she dominated the Arab underground scene from Beirut, becoming its icon as the front woman of the band Soapkills (along with Zeid Hamdan).
Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

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With the collaboration of Alia Hamdan, Ziad Nawfal & friends.
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Three winters ago, Yasmine Hamdan was known as Y.A.S., a pairing, or an encounter of her own culture and that of Mirwais’s electropop music. For ten years she dominated the Arab underground scene from Beirut, becoming its icon as the front woman of the band Soapkills (along with Zeid Hamdan).
Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

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Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

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Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

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Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
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Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
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Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
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Three winters ago, Yasmine Hamdan was known as Y.A.S., a pairing, or an encounter of her own culture and that of Mirwais’s electropop music. For ten years she dominated the Arab underground scene from Beirut, becoming its icon as the front woman of the band Soapkills (along with Zeid Hamdan).
Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

Performance, 15 min

Musical guests: Marc Collin’s ghost, Charbel Haber, Walid Sadek & other special guests.
With the collaboration of Alia Hamdan, Ziad Nawfal & friends.
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Three winters ago, Yasmine Hamdan was known as Y.A.S., a pairing, or an encounter of her own culture and that of Mirwais’s electropop music. For ten years she dominated the Arab underground scene from Beirut, becoming its icon as the front woman of the band Soapkills (along with Zeid Hamdan).
Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
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Musical guests: Marc Collin’s ghost, Charbel Haber, Walid Sadek & other special guests.
With the collaboration of Alia Hamdan, Ziad Nawfal & friends.
Location: Beirut Art Center
Date & Time: Wednesday, December 19, 2012 at 8:00pm

Yasmine Hamdan & Friends

Three winters ago, Yasmine Hamdan was known as Y.A.S., a pairing, or an encounter of her own culture and that of Mirwais’s electropop music. For ten years she dominated the Arab underground scene from Beirut, becoming its icon as the front woman of the band Soapkills (along with Zeid Hamdan).
Yasmine is back, precise and crisp clear. She embraces a new project under her own name. The album is the result of an intensive studio collaboration between Yasmine and the producer Marc Collin. A battle is waged through the echoing of Arabic music, from the great productions of the 50s and 60s recorded in Beirut and Cairo, as well as the super sexy Choubi from Iraq, and the very soulful Samri from Kuwait.
In a code-free environment, the artists created a universe of sounds where Yasmine’s vocal swings interpret folk ballads over electronic vibes, as synthesizers, on each song, give accents to a sensuality that belongs to our time.

Performance, 15 min

Musical guests: Marc Collin’s ghost, Charbel Haber, Walid Sadek & other special guests.
With the collaboration of Alia Hamdan, Ziad Nawfal & friends.
Location: Beirut Art Center
Date & Time: Wednesday, December 19, 2012 at 8:00pm

Writers attack. Nella primavera araba.

Su Exibart.com . Ecco un estratto.
L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
[ … ]
Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
[ … ]
Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
Leggi l’intervista completa QUI.

 

 

Writers attack. Nella primavera araba.

Su Exibart.com . Ecco un estratto.
L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
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Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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Su Exibart.com . Ecco un estratto.
L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
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Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
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Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
[ … ]
Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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Su Exibart.com . Ecco un estratto.
L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
[ … ]
Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
[ … ]
Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
[ … ]
Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
[ … ]
Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
[ … ]
Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
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Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
[ … ]
Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
Leggi l’intervista completa QUI.

 

 

Writers attack. Nella primavera araba.

Su Exibart.com . Ecco un estratto.
L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
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Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
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Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
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«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
Leggi l’intervista completa QUI.

 

 

Writers attack. Nella primavera araba.

Su Exibart.com . Ecco un estratto.
L’intervista – I muri come “social network” del presente. I graffiti che raccontano le proteste al Cairo oggi, come a New York quaranta anni fa. Ma con una radicalizzazione politica e l’aiuto della tecnologia. Abbiamo intervistato Elisa Pierandrei, giornalista e arabista che nel 2011 ha vissuto i fatti in presa diretta, da quell’osservatorio privilegiato che è stato piazza Tahrir al Cairo. E che oggi pubblica un e-book sul fenomeno dei graffiti made in Medio Oriente [di Matteo Bergamini] 
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Il fumetto del libanese George Abou Mahya,
Beirut è una sorta di Gotham City mediorientale
I ragazzi di piazza Tahrir hanno adottato un mezzo linguistico che fa parte della cultura occidentale, soprattutto statunitense. Eppure hanno assimilato tag e  bombolette come “modus operandi” di stampo politico. Pensi che in Occidente non sarebbe più possibile una corrispondenza del genere?
«I murales politici in Egitto, Tunisia e Libia sono espressione di una parte della scena culturale metropolitana giovanile fortemente globalizzata. È un fenomeno che fa riferimento ad altre rivoluzioni accadute altrove, in tempi non troppo lontani. Mi riferisco, ad esempio, alla rivoluzione portoghese dei Garofani, nel 1974. Anche all’epoca il linguaggio visivo servì ad amplificare i messaggi politici e creò nuove forme di intervento nello spazio pubblico. I rivoluzionari portoghesi si espressero attraverso adesivi, murales, manifesti politici, caricature, vignette e fotomontaggi».
Hai detto che i muri delle città arabe sono un “social network fisico”. Spesso le autorità sono intervenute a rimuovere parole, disegni e invocazioni, messi in scena ad esempio dall’artista iraniano Maziar Mohktari con la serie di stampe Palinsest: ad Isfahan durante la notte i muri cittadini vengono invasi da scritte inneggianti la libertà e la rivoluzione. All’alba le medesime scritte vengono cancellate con vernice gialla dagli addetti delle pulizie al servizio del governo. Qual è la forza e la funzione del graffito urbano in Medio Oriente?
«Come spiega bene la gallerista Stefania Angarano nell’introduzione a Urban Cairo, “i graffiti sono riproducibili all’infinito, grazie alla tecnica dello stencil di velocissima esecuzione, spesso piccoli e quindi adattabili a qualunque spazio, sono realizzabili da chiunque, anche da chi artista non è”. Sono anche il volto pacifista della guerriglia urbana, grazie alla quale nei mesi delle rivolte arabe i volti delle vittime hanno sostituito nella memoria collettiva il ritratto dell’egiziano Mubarak o quello del tunisino Ben Ali. Il solo fatto di esistere come movimento, che ha un obiettivo comune ed è capace a volte di coordinarsi,  è stato e continua ad essere un atto di grande resistenza, in un contesto urbano pieno zeppo di divieti».
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Urban Cairo è anche un e-book: quanto conta la condivisione in questo preciso periodo storico? Che cosa è necessario al rinnovamento europeo, prendendo esempio dalla vicina primavera araba? 
«Pensare alla primavera araba in formato e-book (che ha una mappa interattiva dei graffiti del Cairo) è stata la sfida che cercavo. Quando l’editore mi ha contattata per chiedermi se volevo partecipare al lancio di una nuova collana di e-book sul giornalismo narrativo e investigativo non ho avuto grosse esitazioni. L’e-book  promuove il libero e rapido scambio di idee, ovunque tu sia. In metro, in aereo, in treno, sul tuo smartphone o su un tablet o un e-reader. Inoltre per me era importante esprimermi attraverso un mezzo di comunicazione digitale, per rafforzare l’idea che le rivolte arabe sono un segno del cambiamento dei tempi e comunicarne l’urgenza. Ho sempre considerato molto stimolante la lettura di “The medium is the message”, dell’intramontabile Marshall McLuhan. A volte mi sembra che noi europei non abbiamo una visione altrettanto elaborata della funzione dei nuovi media».
 
Leggi l’intervista completa QUI.

 

 

Manga oltre il terrorismo

Insieme ai colleghi Francesco Pistocchini ed Enrico Casale abbiamo pubblicato su Popoli (www.popoli.info) di dicembre una inchiesta sul mondo dei fumetti arabi dal titolo “Se un fumetto fa primavera”. Io naturalmente ho scritto degli algerini, mentre francesco è stato a Yella, Let’s Comics a Beirut. Enrico ha invece incontrato ed intervistato una giovane e formidabile fumettista tunisina. Che vive a Milano.
Qui di seguito uno stralcio del mio pezzo sull’Algeria e il link per leggere e scaricare tutto l’articolo.
Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
ospite di FIBDA 2012.

MANGA OLTRE IL TERRORISMO

ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

Oggi la situazione è diversa … (vai su www.popoli.info e scarica il PDF dell’articolo intero)

Manga oltre il terrorismo

Insieme ai colleghi Francesco Pistocchini ed Enrico Casale abbiamo pubblicato su Popoli (www.popoli.info) di dicembre una inchiesta sul mondo dei fumetti arabi dal titolo “Se un fumetto fa primavera”. Io naturalmente ho scritto degli algerini, mentre francesco è stato a Yella, Let’s Comics a Beirut. Enrico ha invece incontrato ed intervistato una giovane e formidabile fumettista tunisina. Che vive a Milano.
Qui di seguito uno stralcio del mio pezzo sull’Algeria e il link per leggere e scaricare tutto l’articolo.
Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
ospite di FIBDA 2012.

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ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
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ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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Oggi la situazione è diversa … (vai su www.popoli.info e scarica il PDF dell’articolo intero)

Manga oltre il terrorismo

Insieme ai colleghi Francesco Pistocchini ed Enrico Casale abbiamo pubblicato su Popoli (www.popoli.info) di dicembre una inchiesta sul mondo dei fumetti arabi dal titolo “Se un fumetto fa primavera”. Io naturalmente ho scritto degli algerini, mentre francesco è stato a Yella, Let’s Comics a Beirut. Enrico ha invece incontrato ed intervistato una giovane e formidabile fumettista tunisina. Che vive a Milano.
Qui di seguito uno stralcio del mio pezzo sull’Algeria e il link per leggere e scaricare tutto l’articolo.
Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
ospite di FIBDA 2012.

MANGA OLTRE IL TERRORISMO

ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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Manga oltre il terrorismo

Insieme ai colleghi Francesco Pistocchini ed Enrico Casale abbiamo pubblicato su Popoli (www.popoli.info) di dicembre una inchiesta sul mondo dei fumetti arabi dal titolo “Se un fumetto fa primavera”. Io naturalmente ho scritto degli algerini, mentre francesco è stato a Yella, Let’s Comics a Beirut. Enrico ha invece incontrato ed intervistato una giovane e formidabile fumettista tunisina. Che vive a Milano.
Qui di seguito uno stralcio del mio pezzo sull’Algeria e il link per leggere e scaricare tutto l’articolo.
Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
ospite di FIBDA 2012.

MANGA OLTRE IL TERRORISMO

ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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Insieme ai colleghi Francesco Pistocchini ed Enrico Casale abbiamo pubblicato su Popoli (www.popoli.info) di dicembre una inchiesta sul mondo dei fumetti arabi dal titolo “Se un fumetto fa primavera”. Io naturalmente ho scritto degli algerini, mentre francesco è stato a Yella, Let’s Comics a Beirut. Enrico ha invece incontrato ed intervistato una giovane e formidabile fumettista tunisina. Che vive a Milano.
Qui di seguito uno stralcio del mio pezzo sull’Algeria e il link per leggere e scaricare tutto l’articolo.
Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
ospite di FIBDA 2012.

MANGA OLTRE IL TERRORISMO

ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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Insieme ai colleghi Francesco Pistocchini ed Enrico Casale abbiamo pubblicato su Popoli (www.popoli.info) di dicembre una inchiesta sul mondo dei fumetti arabi dal titolo “Se un fumetto fa primavera”. Io naturalmente ho scritto degli algerini, mentre francesco è stato a Yella, Let’s Comics a Beirut. Enrico ha invece incontrato ed intervistato una giovane e formidabile fumettista tunisina. Che vive a Milano.
Qui di seguito uno stralcio del mio pezzo sull’Algeria e il link per leggere e scaricare tutto l’articolo.
Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
ospite di FIBDA 2012.

MANGA OLTRE IL TERRORISMO

ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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Insieme ai colleghi Francesco Pistocchini ed Enrico Casale abbiamo pubblicato su Popoli (www.popoli.info) di dicembre una inchiesta sul mondo dei fumetti arabi dal titolo “Se un fumetto fa primavera”. Io naturalmente ho scritto degli algerini, mentre francesco è stato a Yella, Let’s Comics a Beirut. Enrico ha invece incontrato ed intervistato una giovane e formidabile fumettista tunisina. Che vive a Milano.
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Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
ospite di FIBDA 2012.

MANGA OLTRE IL TERRORISMO

ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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Insieme ai colleghi Francesco Pistocchini ed Enrico Casale abbiamo pubblicato su Popoli (www.popoli.info) di dicembre una inchiesta sul mondo dei fumetti arabi dal titolo “Se un fumetto fa primavera”. Io naturalmente ho scritto degli algerini, mentre francesco è stato a Yella, Let’s Comics a Beirut. Enrico ha invece incontrato ed intervistato una giovane e formidabile fumettista tunisina. Che vive a Milano.
Qui di seguito uno stralcio del mio pezzo sull’Algeria e il link per leggere e scaricare tutto l’articolo.
Abime, del marocchino Omar Ennaciri,
ospite di FIBDA 2012.

MANGA OLTRE IL TERRORISMO

ALGERI – Il fumetto è in cerca di un ruolo da protagonista nella nuova produzione culturale e letteraria araba. Anche in Algeria, dove un festival del fumetto, fra i più interessanti del Nord Africa, sta provando a mettere insieme creativi e case editrici. Si chiama Festival international de la bande dessinée d’Alger (Fibda, 6-13 ottobre 2012) e, come sempre accade con i festival, gioca un ruolo chiave nell’innescare nuova creatività e aiutare gli autori a farsi pubblicare. Dal 2008 ha infilato cinque edizioni di seguito e oggi è un appuntamento fisso per gli autori arabi del genere. In Algeria, un pubblico esisteva già, grazie all’impegno di un collettivo di autori fra cui Slim, Haroun, Aider, Maz, Melouah, Tenani, Dilem che, dopo essersi occupati di fumetto per bambini, all’inizio degli anni Novanta avevano lanciato una rivista di vignette di satira politica: El Manchar. Gli anni di piombo del terrorismo islamico hanno però interrotto l’esperienza.

«Con questa rivista stavamo rompendo tanti tabù: sesso, politica, religione – spiega Haroun, uno dei padri del fumetto in Algeria -. Poi sono arrivate le minacce dei fondamentalisti islamici e allora abbiamo dovuto chiudere». Il disegnatore e intellettuale algerino fa riferimento ai fatti accaduti nei primi anni Novanta, quando il Fronte islamico di salvezza, un partito islamico, vinse le elezioni. L’intervento delle forze militari, prima che fossero assegnati i seggi in Parlamento, rovesciò il neoeletto partito. Iniziarono così gli attentati.

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Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

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Cairo Film Fest opening; artists divided

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Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

Cairo Film Fest opening; artists divided

(ANSAmed) – The 35th Cairo International Film Festival kicked off with a low-key ceremony last night, despite week-long tensions throughout the country. Devoid of international stars, the gala took place in a heavily guarded Opera House as Egypt’s fi…

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

El Barnameg? Puntata rinviata

Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
Dal 23 novembre torna in Tv, dopo una meritata pausa estiva, l’ex You Tube sensation, oggi anchor televisivo, Bassem Youssef soprannominato il Jon Stewart egiziano. Un ex cardiochirurgo di 38 anni, dagli occhi blu, che conduce una seguitissima trasmissione, mezz’ora di attualità con interviste e recensioni di libri, che si intitola “El Barnameg” (Il Programma). Lanciata nel marzo 2011 su You Tube con il titolo di B+ Show, consisteva in episodi di pochi minuti, realizzati, a basso costo, in un appartamento del Cairo. L’obiettivo era fare satira politica sui servizi televisivi forvianti messi in onda dai canali di Stato. Il successo è stato così grande che sono piovuti inviti ad andare in onda sulle emittenti satellitari arabe Al Jazeera e MBC, alle quali pero’ il conduttore all’epoca preferi’ gli sudi dell’egiziana ONtv. Con il suo programma adesso in onda su CBC Egypt, Youssef spera di insegnare un nuovo modo di fare giornalismo in Egitto. Nell’episodio di esordio su ONtv, in onda nel mese di Ramadan 2011, ha preso di mira i media siriani accusandoli di usare la stessa propaganda imbevuta di ipocrisia del vecchio sistema egiziano. In un’altra puntata ha denunciato il silenzio del mondo arabo sulle atrocità perpetrate dal regime di Damasco. Risultato? Una pagina Facebook che si chiama Ultras Bassem Youssef e conta oltre 100mila fan, nonché un tour negli States, questa estate, durante il quale ad un certo punto è stato ospite proprio del Daily Show di Jon Stewart di cui è un accanito fan. Bassem Youssef era uno dei medici che ha prestato soccorso ai civili feriti nei 18 giorni di manifestazioni che all’inizio del 2011 hanno costretto l’ex presidente Hosni Mubarak alle dimissioni. All’epoca, era in attesa di partire per andare a prestare servizio negli Usa.

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Mentre l’Egitto è ancora in piazza per rivendicare il rispetto dei suoi diritti, l’emittente CBC Egypt ha deciso di cancellare la trasmissione di ieri di El Barnameg, programma di satira politica condotto dal popolarissimo Bassem Youssef (il Jon Stewart egiziano). Ma di chi e di che cosa stiamo parlando? Su questo blog ve ne avevo già parlato. Ecco una update.
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Il terrorista quantico

Netanyahu per combattere “i terroristi” a Gaza bombarda Gaza. Al-Asad per combattere “i terroristi” in Siria bombarda la Siria. I terroristi sono della stessa matrice ma Netanyahu è imperialista mentre Al-Asad è antimperialista: Netanyahu aggredisce un territorio non suo, al-Asad…

Islam del mercato e rivolte arabe

Altrove ho criticato un libro di Daniele Atzori (“Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo?”, il Mulino, 2010) per averlo trovato poco maturo (la ricerca sottostante mi era sembrata, però, ben strutturata e approfondita). Incontro di nuovo Atzori…

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

Resoconto di una vicenda dimenticata : la questione dei migranti tunisini dispersi

Dove sono i nostri figli ? 

Sono passati 23 mesi dalla rivolta popolare che portò alla caduta del dispotico regime del generale tunisino Zine abidine Ben ali , caduta che spinse  28.800 cittadini tunisini di età compresa tra i 13 e gli 40 anni ad abbandonare la ” Tunisia liberata ” per raggiungere ” l’El Dorado Europa ” . Di questi giovani avventurieri 250 appartenenti ai quartieri popolari di Tunisi risultano ancora oggi scomparsi nel nulla . Decine le immagini e i fotogrammi di servizi giornalistici che documentarono l’arrivo in terra italiana di una piccola parte dell’elevato numero dei desaparecidos,  documenti che spinsero i genitori a denunciarne la scomparsa ai governi delle sponde opposte del mediterraneo dando cosi vita ad un lotta che si è protratta sino ad oggi senza alcun risultato , peggiorando le condizioni psico-fisiche di alcune madri già fortemente provate dallo spauracchio di una probabile morte del proprio caro  in terra italiana . Con l’arrivo delle prime elezioni libere della storia della Tunisia, sale al potere una troika politica composta da ex partiti d’opposizione al regime deposto . La salita al potere di un esecutivo di ex esiliati ed oppressi  venne visto inizialmente dai parenti dei dispersi  come una possibile svolta in positivo della loro lotta dimenticata , chiedendo prima udienze ai vari ministri e in seguito organizzando animate proteste non autorizzate di fronte ai vari ministeri al grido ”IN DUE PAROLE , DOVE SONO I NOSTRI FIGLI ?” Col passare dei mesi la loro triste vicenda sembra non scalfire minimamente l’attenzione degli attuali politicanti al potere ,eppure  durante il duro ventennio del tiranno Ben Ali anche loro conobbero l’esilio e la prigionia ,come mai non si  mobilitano ? Come mai non si riconoscono nella vicenda di questi ragazzi esiliati con molta probabilità sotto falso nome nei vari C.I.E e prigioni d’Europa .Con ciò  la lotta per la verità cominciata dai parenti dei dispersi sembrò essere destinata in eterno a sbattere contro il muro di gomma eretto dall’attuale governo tunisino, cosa che minerà con il tempo l’instabilità mentale di parecchie madri che tenteranno più volte il suicidio.

Rafik Abd selem Bouchleka

Ma una svolta è destinata ad internazionalizzare la loro lotta . Il ministro degli esteri tunisino Rafik Ben abd Selem Bouchleka dopo aver cercato invano per mesi di tranquillizzare le proteste dei familiari di fronte il proprio ministero chiese ed ottenne dal governo italiano un visto della durata di sei mesi per una  delegazione composta da cinque  genitori dei ragazzi dispersi, che una volta approdati in terra italiana dovranno adempiere al difficile compito della ricerca dei desaparecidos . L’iniziativa fin da subito si dimostrò un fragile castello di carte a causa  della cattiva organizzazione tra i corpi diplomatici tunisini sparsi per il territorio italiano e il ministero degli esteri , cattiva organizzazione dovuta sopratutto alla presenza all’interno dei consolati e delle ambasciate di diplomatici  ed ex agenti segreti fortemente legati al regime Ben Ali , che a distanza di mesi dalla caduta del regime risultavano ancora tramortiti dal drastico cambiamento politico  della Tunisia .

L’ex console tunisino di Palermo 

L’arrivo della delegazione dei genitori dei dispersi avvenne il 28 Gennaio 2012 alle ore 16:35 all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo dove furono accolti dal console tunisino di stanza a Palermo Abd Rahman Ben Mansour  . Fin da subito il diplomatico si dimostrò disponibile a dare informazioni  più dettagliate circa la sorte dei ragazzi dispersi , dichiarando incoscientemente di conoscere la sorte di una buona parte di questi ragazzi , che sempre secondo le sue dichiarazioni si trovavano rinchiusi nei C.I.E del nord Italia , i genitori scioccati da tale notizia chiesero  i nomi dell’ubicazione esatta di queste città invano in quanto il console rifiutò di dare maggiori informazioni . Cosi iniziò la lunga odissea della delegazione dei parenti dei dispersi in Italia , se nella sponda sud  dovettero fare i conti con l’impassibilità e l’inesperienza del nuovo governo tunisino ,  dall’altra dovevano vedersela con il disinteressato governo tecnico di Mario Monti , decisamente non disposto a pagare i danni nel campo dell’immigrazione causati del passato governo Berlusconi  . Undici mesi di vane proteste , feroci scioperi  della fame e inutili mobilitazioni di giornalisti e attivisti non fanno altro che incrementare ancor di più la disperazione della madri in Tunisia , in costante contatto con una delegazione al completo sbando in Italia.

Malore di una madre durante la protesta di fronte l’ambasciata d’Italia a Tunisi

Ma nel Maggio scorso avviene il primo cedimento psicologico , una madre mal’informata dai media tunisini  che diedero per morti i ragazzi dispersi s’immolò al fuoco per la disperazione , riportando gravissime ustioni nel 60 % del corpo .Un mese prima, precisamente il 30 Aprile 2012 , le madri organizzarono un sit-in di protesta di fronte l’ambasciata italiana dove chiesero risposte all’ambasciatore italiano pena l’incolumità fisica della numerosa comunità italiana residente a Tunisi . Passano i giorni , passano i mesi , e dei ragazzi nessuna traccia ,eppure le immagini parlano chiaro ,alcuni di loro c’e l’avevano fatta e riuscirono a toccare il suolo di Lampedusa , ma un recente riscontro delle loro impronte digitali attuata con la collaborazione del governi tunisino e italiano affermarono l’esatto contrario per buona parte di loro in quanto i database del ministero dell’interno italiano rilevarono le impronte digitali di soli 14 dei 250 desaparecidos , precisando che cinque  di loro toccarono terra nel 2010 e i restanti nove nei primi mesi del 2011 . Informazioni che risultarono incomplete per la delegazione presente in Italia che chiese invano di dare nomi e cognomi ai presunti ” ritrovati ”.

La delegazione dei parenti dei migranti dispersi in Italia

Un risultato che spinse le madri a gridare al complotto pur  di allontanare l’idea di una possibile morte dei propri cari .Teorie complottiste  che vanno da una sorta di protocollo massone segreto firmato ai tempi dell’accordo del 5 Aprile 2011 tra i governi dell’allora primo ministro ad interim tunisino El Beji Caid Sebsi e Silvio Berlusconi , protocollo che prevedeva  lo svuotamento delle piazze tunisine in rivolta tramite l’apertura delle frontiere marittime del canale di Sicilia con la conseguente partenza alla volta di Lampedusa dei giovani protagonisti della rivoluzione , salvaguardando cosi sia gli affari stretti dal cavaliere con il deposto Ben Ali , sia gli interessi delle ex forze del regime deposto rappresentate dallo stesso Sebsi , desiderose di riprendersi il potere perduto, sino ad arrivare ad un piano governativo che vede l’attuale governo italiano impegnato a far scomparire qualsiasi traccia che porti al ritrovamento dei 250 giovani dispersi , testimoni , secondo le loro madri , di una terribile vicenda legata alla politica anti-immigrazione attuata dal leghista Roberto Maroni , ex ministro dell’interno italiano ai tempi ” dell’invasione dell’isola di Lampedusa” come amava definirla l’attuale leader della Lega. Una vicenda  , quella dei desaparecidos del mediterraneo destinata a protrarsi negli anni dato che la delegazione dei genitori presenti tutt’ora a  Roma riusci’ ad incontrare un non specificato parlamentare del PDL ( partito della libertà ) di Silvio Berlusconi , che  sempre secondo la delegazione rivelò la presenza in territorio italiano di cinque ragazzi sbarcati nel settembre 2010 ( i cosidetti dispersi di ras jebal della provincia di Tunisi ) che in seguito al loro arrivo chiesero ed ottennero asilo politico .Erano gli stessi cui impronte digitali rientravano nei famosi 14 dei 250 dispersi rilevati dai data base del ministero dell’interno italiano . Oggi  a quasi due anni dalla scomparsa , la ricerca dei 250 dispersi si è ristretta a 14 . Ma nonostante la riduzione del numero di dispersi  la vicenda è destinata ad infittirsi sempre di più  e le madri condannate per sempre ad essere la pallina da ping pong preferita dei politicanti al potere nelle sponde opposte.

Fotogramma di un servizio del Tg5 del Marzo 2011 raffigurante alcuni giovani dispersi appartenenti al quartiere popolare di Tunisi
” El Kabbaria” 

La memoria rivoluzionaria di Shari‘ Mohamed Mahmoud

Specialmente in questi anni, in cui l’informazione è così saturante, si fa fatica anche solo a ricordare ciò che è successo ieri. Si entra nel grande tubo della rete, si fa “un’esperienza” molto piena e coinvolgente, il giorno dopo rimane…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

Io non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata…

Bani Walid mon amour

 

gheddafiIo non sono mai andato a Bani Walid né a Sirte. A dire il vero non ho mai messo i piedi in Libia. Ho girato buona parte del Nord Africa, Algeria, Marocco, Tunisia, ma la Libia mi era profondamente antipatica. No volevo andare a vedere quella mascherata permanente in cui il regime di Gheddafi aveva costretto a vivere il suo popolo.

Odiavo il regime libico e odio quelli che dicono che era giusto. Odio quelli che raccontano che Gheddafi era un grande leader africano e che aveva un piano per unificare l’Africa e farla uscire dal sottosviluppo e altre pagliacciate di questo genere.

 

Odio Gheddafi, Saddam Hussein, Bashar Al Assad e i loro rispettivi regimi: razzisti, corrotti, violenti, oscurantisti e distruttivi. Odiavo Bani Walid e Sirte, Tikrit , fedele a Saddam e Tartous, città degli Assad. Odio quella logica di chi costruisce il proprio potere sulla corruzione, sul clientelismo e sulle relazioni familiari e tribali. Ma questo odio è rivolto a quello che questi luoghi rappresentano e non verso i singoli abitanti.

Oggi che la città di Bani Walid e la popolazione appartenente alla tribù dei Warfalla, che erano rimasti fino all’ultimo momento fedeli al regime di Gheddafi (quando molti di quelle che li attaccano oggi hanno girato gabbana all’ultimo minuto), sta subendo un vero e proprio sterminio, e che il mondo intero guarda da tutt’altra parte, non sento che tristezza e affetto. Tristezza per la popolazione che subisce e per noi che stiamo a guardare (o a non guardare) senza saper cosa fare. Affetto per questi bambine, bambini, donne e uomini che muoiono o soffrono nell’indifferenza generale.

 

È iniziato tutto nel mese di luglio scorso, con il rapimento di Omran Shaaban, il 22enne, considerato dalle nuove forze al potere come l’eroe della cattura e del linciaggio di Muamar Gheddafi. Il giovane è quello immortalato da tutti i media del mondo tenendo in mano la pistola d’oro del Rais, ricevuta come premio per aver giocato un ruolo di primo piano nella cattura del ex-dittatore.

 

Omran Shaaban era di passaggio nella provincia di Bani Ewalid quando fu catturato da un gruppo di miliziani pro gheddafi. Ferito, detenuto in pessime condizioni e probabilmente torturato, viene restituito all’autorità nazionale dopo 50 giorni di sequestro. Evacuato sull’ospedale americano di Parigi, non ce la fa e muore il 25 settembre scorso.

Pochi giorni dopo i funerali del “eroe”, una spedizione punitiva, composta dalle milizie di Misurata, Zintan e altre parti varie e non identificate, parte verso Bani Walid. Il Congresso Nazionale che ha poco controllo sulle milizie, lascia fare. L’8 ottobre un appello lanciato dall’ospedale di Bani walid parla di massacro e di sintomi di intossicazioni con i gas.

Il 26 ottobre Al Jazira e i media vicini alle milizie annunciavano la presa della città, la fine delle ostilità e il ritorno alla normalità. Nei filmati di questi servizi si vede un esercito libico regolare ordinato e calmo che fa il suo ingresso in una città, dicono, che lo accoglie come liberatore. Ma la realtà descritta da altri osservatori non sembra corrispondere a questa versione. Se la città non è stata effettivamente liberata dalle milizie pro-Gheddafi, oggi, è sottomessa anche a quelle anti-Gheddafi e esecuzioni, saccheggi, aggressioni e altri misfatti sembrano essere all’ordine del giorno, oltre al continuità dei combattimenti.

 

Purtroppo il silenzio dei media internazionali e delle grosse ONG su Baniwalid, così come fu anche di fronte al massacro di Falluja all’epoca, ci porta veramente poche notizie e spesso veicolate da blog, youtube, facebook e altri strumenti utili ma difficili da verificare. Non che io consideri più affidabile ciò che viene dichiarato dai grandi media, ma quando di una cosa si parla apertamente in genere si può rintracciare più fonti e più versioni.

I pochi attivisti che riescono a entrare in contatto con abitanti di Bani Walid parlano di un milizie.jpgvero e proprio massacro e di una emergenza umanitaria. Le milizie continuano a praticare la legge del taglione senza nessuna interferenza né dall’autorità nazionale, né dalla comunità internazionale. Molte famiglie sarebbero scappate di casa per sfuggire agli attacchi e ai bombardamenti indiscriminati e buona parte sarebbe ancora accampata in mezzo al deserto senza una adeguata assistenza e in balia a attacchi e rapine dei gruppi armati.

Forse qualcuno, lì in mezzo al deserto si chiede dov’è oggi, quella comunità internazionale, dove sono la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che si erano tanto commossi per la sorte dei civili libici quando c’era da intervenire militarmente per abbattere l’ex amico Gheddafi, ormai diventato ingombrante e imbarazzante.

Oggi che è successo tutto questo, quella città che fino a un anno fa rappresentava ciò che più al mondo odiavo, mi diventa cara e nella mia mente una frase gira come un ritornello: Bani Walid mon amour.

Bani Walid mon amour